Lc 1,39-56 (46-56)
Il canto-insieme di Maria ed Elisabetta riassume e celebra la storia della salvezza. Esso riflette una lauda liturgica giudeo cristiana propria delle prime comunità di ‘anawim.
I piccoli e fedeli sperimentano il tracciato ideale della storia, della quale paradossalmente diventano motore.
Le due Donne porgono voce alle ‘chiese’ povere e minoritarie, spesso sfidate dalle forze del potere imperiale in duelli drammatici.
Raffigurano le primitive assemblee, fraternità minuscole; focolari di convivenza e vita intima.
In esse le anime credenti facevano esperienza di un Dio che non rimane impassibile nei confronti del grido dei minimi perseguitati.
In un quadro di visita famigliare e (appunto) di lode, si riflette tutta la destinazione del nuovo Popolo.
La diversità tra le due figure sottolinea lo scatto di Fede in Maria, rispetto alle attese della ‘parentela’ religiosa.
In Elisabetta il Primo Patto ha già percorso tutto il suo cammino, e non andrebbe molto oltre.
La storia degli uomini è arida, ma Dio la feconda di novità e letizia, che finalmente muta i confini.
Le vie previste sono giunte al termine; ancora cieche e sottomesse alle potenze della terra... Esse non rendono forte il debole.
La Fede trasmuta interamente i fondamenti della storia antidivina, perché consente allo Spirito d’impadronirsi della vita personale e permearla, rendendola capace di azione benedicente.
Nel modo di credere di Maria noi conosciamo ciò che non sappiamo - perché abbiamo una Visione che guida, un’immagine sacra che agisce dentro, come un istinto innato.
E possediamo già ciò che speriamo - perché la Fede è un colpo di mano, un’azione che si appropria, un atto-calamita (cf. Eb 11,1).
[Il suo vertice è scoprire stupori di recupero impossibile, a partire dai lati in ombra e perfino che detestiamo di noi - vicenda propria degli scartati].
L’Inno esprime dunque la traiettoria della vita del credente e la direzione della nostra esistenza, che ricompone l’essere malfermo nell’armonia nuova del progetto divino.
Tesi classica già del Primo Testamento: Dio solleva dalla polvere il misero e innalza il povero dalle immondizie.
Egli non s’indirizza a coloro che sono pieni di sé, ma a chi sa rivolgersi alle profondità, e come Maria le estende agli altri.
Entro tale vicenda del perdersi per ritrovarsi - incarnata sia dai discepoli che dalle chiese - si rintraccia l’esperienza del mattino di Pasqua.
Lc evangelista dei poveri celebra questo ribaltamento di situazioni in molti episodi di persone ed eventi ai margini.
Anche il Magnificat ribadisce: le scelte del Signore sono davvero estrose. Liberamente Egli passa per gli sconfitti e i derisi, che trovano guadagno nella perdita e vita dalla morte.
Maria in specie diventa figura espressiva della bassezza [ταπείνωσις (tapeínōsis, “abbassamento”), da ταπεινός (tapeinós, “basso”); v.48 testo greco] come ‘radice’ della trasformazione dell’essere - nell’Imprevedibile di Dio.
Egli è fedele.
[Visitazione B.V. Maria, 31 maggio]