Ascensione del Signore
(Lc 24,46-53)
Lc interpreta la Risurrezione come compimento della Prima Alleanza (vv.44-45): tutta la storia d’Israele [come le tappe d’un cammino] riceve senso e culmine in Cristo, chiave delle Scritture.
Ora la Pasqua si espande nell’invio dello Spirito (v.49) ed è attestata nella Missione ecclesiale (vv.47-48).
La venuta dello Spirito condensa ed espande la Via del Signore. “Salendo” al Padre, il Figlio ci dona la forza di percorrerla, ed essa diventa nostra.
In particolare, la Missione è testimonianza della vicenda del Cristo; e di un cambiamento di mentalità e perdono possibili, aperti al mondo.
Tutti ricevono la grazia di percorsi che guidano alla riconciliazione con gli uomini e alla comunione con Dio. Infatti l’accento cade sulla figura di Gesù benedicente (vv.50-51).
“Ascensione” sta a dire la profondità della Pasqua, mèta dello sviluppo della storia: il messaggio del Signore e la verità della sua vicenda non sono un momento del passato.
Dall’altezza dei cieli (che appunto non ci trae dalla storia) al cammino quotidiano: il vissuto del Cristo si fa radice profonda e giudizio, fondamento e humus, verità e traguardo della nostra vicenda.
L’Ascensione (non dal mondo, ma col mondo) glorifica l'umanità. Essa raffigura la dimensione cosmica e universale della Risurrezione - nuovo modo del Cielo che Viene nello spazio dell’uomo, evento perenne.
Qual è dunque il destino di una vita spesa nella fedeltà a una vocazione profetica? L’esito terreno di Gesù - il Figlio fedele - sembrerebbe quello dei falliti d’ogni tempo e di qualsiasi cultura, filosofia o religione.
Allora vale la pena essere se stessi? Non sarebbe più costruttivo regolarsi sulla base di convenienze personali e opportunismi di cerchia?
La Pasqua celebra una gioia: è la festa di coloro che si rendono conto che le disfatte non restano lati oscuri, inutili. Nascondono Gemme sproporzionate.
Del nostro passaggio rimane una fioritura piena. E non è vero che una vita vilipesa dai prepotenti sia sciupata o finisca male.
Nelle icone orientali la Pasqua è raffigurata come Discesa agli Inferi del Cristo: vittoria della donna e dell’uomo comuni (Adamo ed Eva tratti su dai rispettivi sepolcri).
Ancora nelle icone, il Mistero dell’Ascensione è raffigurato con due angeli in bianche vesti che indicano agli apostoli il nimbo glorioso del Signore, seduto in trono.
Come a dire: contemplate dove è giunta una vita sprecata secondo gli uomini ma realizzata secondo il Padre.
Obbedire alla nostra Vocazione senza compromessi e in modo integrale può sembrare imprudente e temerario. Invece è pieno rispetto di sé, e valutazione istintiva che ci porta alla nostra Patria.
La natura delle nostre fibre animate dall’Amico interiore fa appello non a traguardi sociali da raggiungere, ma a ciò che siamo davvero - e la naturalezza profonda dispiegata nel cammino di Fede conduce infallibilmente alla Culla che ci corrisponde.
Lasciarsi influenzare e diventare esterni è perdere la guida, rovinando l’interezza dell’essere in tutti quegli aspetti che il pensiero conformista considera sbagliati e invece dovranno prima o poi scendere in campo per affrontare la vita reale e completarci - anche d’inedito.
Malgrado l’apparente fallimento e i rimproveri che l’inconsueto personale (e sociale o ecclesiale) suscita, ascoltando la nostra Chiamata per Nome e quel Fuoco inestinguibile che ci abita, realizziamo noi stessi e gli altri.
Se l'attenzione non è sullo scenario di ciò che un tempo è stato o attorno accade, trasaliamo per la nuova consapevolezza d’una genesi in atto della nostra personalità e missione: un prototipo e modalità di noi stessi che stanno misteriosamente fiorendo e hanno valore.
A meno che non ci lasciamo condizionare da interferenze, soverchiare dal plagio di realtà consolidate - o calcolo di circostanze - avvertiamo che c’è un binario caratterizzante che chiama.
Ci accorgiamo di poter stare con noi stessi e crescere senza preclusioni d’inatteso o criteri già comunemente paradigmatici, perché Dio non si esprime emanando normative saccenti, ma creando rinnovati cieli dentro di noi e già sulla terra.
Il suo linguaggio è irripetibile per ciascuno: la vita nello Spirito non è questione di essere retrogradi oppure scapicollo - tifoserie infeconde.
Insomma, con la Pasqua e Ascensione di Gesù cosa è cambiato? Apparentemente nulla, perché la gente continua come prima a viaggiare o stare ferma, a comprare e vendere, a lavorare o fare festa, a gioire o piangere. La realtà è quella.
Ma come in un paesaggio caratterizzato da nebbie... d’improvviso sorge il sole e vediamo profili netti, godiamo della brillantezza di colori, persino delle sfumature. S’infrange l’isolamento personale e quello del campanile.
Infatti [prendiamo ad esempio il finale di Lc (che appare sconsolato)]: dopo che Gesù ha tentato di condurre i suoi all’Esodo di Betania (la comunità senza finti padroni delle cose di Dio; composta di soli fratelli e sorelle - addirittura coordinata da una donna, Marta) essi ritornano volentieri al culto antico, del Tempio.
Spontaneamente, gli apostoli avrebbero trovato un compromesso con l’istituzione stagnante sulla quale il Signore si era pronunciato con espressioni durissime - e che l’aveva fatto fuori con soddisfazione.
È il motivo per cui il Tempo di Pasqua non termina come forse ci si attenderebbe con l’Ascensione, ma a Pentecoste: la scoperta di un Tesoro e una Vampa vitale da non trattenere, bensì universale.
Ma intanto questa oscillazione fra un dentro e un fuori - uno stare seduti (Lc 24,49: testo greco) e un partire - ci trasmette il giusto ritmo del Cielo.
Cielo che aiuta a rientrare in se stessi ed evitare l’illusione omologante delle mode o di un club qualsiasi - non ci appartengono.
Insomma, in queste solennità pasquali siamo chiamati a scoprire periferie, regni lontani, altri modi di stare in campo... ma forse prima a svelare una radice di mistero, in quei lati nascosti di noi - o celati dall’ombra - che devono emergere per completare la personalità.
Emancipiamo dalla povertà di pensiero dell’era solita (ratificata) attorno: vale anche per il conformismo spirituale, che dall’energia paludosa dell’identificazione rassicurante vuole a tutti i costi balzare nell’esperienza piena della Fede personale.
Anche oggi in un mondo che restringe i giovani in chat e sempre più lontano dalla realtà e dalla natura, vogliamo acuire l’ascolto e tutta la percezione (che sviluppano il carattere, il desiderio di coesistere, la gioia di vivere).
Impariamo ad allargare gli ambiti, ad accogliere l’oggettivo degli altri, ma nella loro-nostra irripetibilità, accentuando i codici del mondo interno: non possiamo giocarci la vita per una missione ipotetica, ma per un’identità forte sì - e che non si sgretola al primo smottamento.
L’anima si orienta verso la sua utopia (non più ristretta) e si lascia fecondare da quell’immaginazione che prima si nutre del reale totale e poi si tuffa nei grandi ideali, persino eroici - o a punta di spillo.
Apprendiamo a dialogare con l’umano concreto e integrale: il prossimo e noi stessi. Così finalmente onorare Dio rispettandoci a tutto tondo; accettando fragilità, insicurezze e timori: interamente nostri.
Ascendere è ritrovare il Cielo in noi e nell’umanità: decollare senz’allontanarsi.
Pasqua, Ascensione. Decollare senz’allontanarsi
Ci sono prove che Vive
Qual è il destino di una vita spesa nella fedeltà a una vocazione profetica?
L’esito terreno di Gesù - il Figlio fedele - sembrerebbe quello dei falliti d’ogni tempo e di qualsiasi cultura, filosofia o religione.
Allora vale la pena essere se stessi?
Non sarebbe più costruttivo regolarsi sulla base di convenienze personali e opportunismi di gruppo?
La Pasqua celebra una gioia: è la festa di coloro che si rendono conto che le sconfitte non restano lati oscuri. Nascondono Gemme sproporzionate.
Del nostro passaggio rimane una fioritura piena. E non è vero che una vita distrutta sia sciupata o finisca male.
Nelle icone orientali la Pasqua è raffigurata come Discesa agli Inferi: vittoria della donna e dell’uomo comuni.
Ancora nelle icone, il Mistero dell’Ascensione è in genere raffigurato con due angeli in bianche vesti che indicano agli Apostoli il nimbo glorioso del Signore, seduto in trono.
Come a dire: contemplate dove è giunta una vita sprecata secondo gli uomini ma realizzata secondo il Padre.
Obbedire alla nostra Chiamata senza compromessi e in modo integrale può sembrare imprudente e temerario. Invece è pieno rispetto di sé, e ci porta alla nostra Patria.
La natura delle nostre fibre animate dall’Amico interiore fa appello non a traguardi sociali da raggiungere, ma a ciò che siamo davvero.
E la nostra identità profonda dispiegata nel cammino di Fede conduce infallibilmente alla Culla dell’essere.
Lasciarsi influenzare e diventare esterni è perdere la guida, rovinando la completezza delle capacità innate.
Malgrado l’apparente fallimento e i rimproveri che l’inedito personale e sociale suscita, ascoltando la nostra Chiamata per Nome e quel Fuoco inestinguibile che ci abita, realizziamo la vita.
Oggi più che mai siamo nell’era delle vetrine sociali, che palesano ogni aspetto della storia e della cronaca anche personali.
Ma il tronco, i rami, i fiori, i germogli e i frutti nascono dalle radici. Esse vivono ben nascoste.
Il nostro Cielo è intrecciato alla nostra terra e alla nostra polvere: sta dentro e in basso, non dietro le nuvole.
Se non c’è tempo per un’accurata percezione e un’intima riflessione, manca il modo di rinascere alla Novità di Dio.
Su tutte le pieghe dell’andare, anche spirituale, diventiamo sempre più sensibili ai commenti e giudizi che giungono in tempo reale.
Diventati membri a pieno titolo della società dell’epidermide, perdiamo la meridiana, spesso la capacità di evolvere e far crescere gli altri.
Non rinvenendo il lato segreto che c’inabita, scoraggiamo.
Perdendo lo sguardo nei meandri del giudizio diffuso e tutto esteriore, si smarrisce la capacità di gestazione del Gesù personale, e non lo si partorisce più.
Al massimo lo si farà assomigliare a una sua paradigmatica parvenza; magari convincendo che sia effettivamente quello, tutto esteriore.
In tal guisa, il Signore diventa un Gesù parere degli altri, dattorno; del gruppo, degli stendardi patronali; o quello della “diretta” [il parere di chi fa audience].
Se valorizziamo l’aspetto dell’anima che comunica con le scorze dei target, la tagliamo o squilibriamo con pensieri dominanti, lasciando che venga plagiata da manipolatori - anche spirituali.
Ma il cuore che perde l’intero non guida più l’anima in ciò che caratterizza la Vocazione e il nostro Seme.
L’intimo pretende di esprimersi. Ovvero procedemmo a vanvera, o a cliché.
Manon siamo un giudizio, un’opinione, una crisi, un ricordo, bensì inventori di strade che attingono a un’acqua sempre sorgiva.
Non a un pozzo, né ad una palude, dove tutto è già accaduto - ma a una Sorgente.
Se l'attenzione non è sullo scenario conformista di ciò che un tempo è stato o attorno accade, trasaliamo per la nuova consapevolezza d’una genesi in atto.
Una ri-nascita della nostra personalità e missione: un prototipo e modalità di noi stessi che stanno misteriosamente fiorendo e hanno valore.
A meno che non ci lasciamo condizionare e soverchiare da interferenze culturali o calcolo di circostanze, avvertiamo che c’è un binario caratterizzante che ci chiama.
Ci si accorge che possiamo stare con noi stessi e crescere senza preclusioni d’inatteso, o codici già comunemente paradigmatici.
Perché Dio non si esprime emanando normative tuttologhe, ma creando rinnovati cieli dentro di noi e già sulla terra.
Insomma, con la Pasqua e Ascensione di Gesù cosa è cambiato?
Apparentemente nulla, perché la gente continua come prima a viaggiare o stare ferma, a comprare e vendere, a lavorare o fare festa, a gioire o piangere...
Eppure, come in un paesaggio caratterizzato da nebbie, d’improvviso sorge il sole e vediamo profili netti, godiamo della brillantezza di colori, persino delle sfumature.
Si acuisce l’ascolto e tutta la percezione.
Impariamo ad accogliere l’oggettivo degli altri e la loro-nostra irripetibilità.
Apprendiamo a dialogare con la realtà e anzitutto con noi stessi; così finalmente ad onorare l’Eterno, rispettandoci in modo integrale.
Il Cielo: decollare senz’allontanarsi. Non siamo soli. E il meglio deve ancora Venire.