Dal basso, non da su una vetta
(Mc 4,26-34)
Eccoci introdotti a una differente mentalità, in una nuova Famiglia, a un altro Regno, poco “elevato”; anzi, completamente rovesciato. Diverso, rispetto a quello atteso su un monte imponente (Ez 17,22).
Esso non sarà raffigurato dalla maestà del cedro del Libano [che un tempo ricopriva i pendii montuosi del Vicino Oriente] bensì da un semplice arbusto dell’orto di casa (Mc 4,32a).
E le stesse origini di tale realtà novella non deriveranno dagli apici di un fusto altissimo, bensì da un piccolo seme, semplicemente piantato a terra.
Granellino come gli altri. Niente di ragguardevole in sé. Che sviluppa in orizzontale, piuttosto (v.32b).
Quanto gas bisogna dare per accelerare la diffusione del Regno? Secondo Gesù si deve attendere che ciascuno incontri se stesso, senza nevrosi.
Proposta che non conosce frontiere: si rivolge a tutti. Basta lasciar fare alla semente le sue cose normali - così integrando le energie; dando spazio, persino cedendo.
Il Seme cresce da solo, intrecciato al terreno e al clima, eppure secondo carattere-individuo profondo.
Sfugge alle spiegazioni cerebrali: «Come, egli stesso non sa» (v.27).
Dopo la seminagione, l’autore del gesto riprende la vita normale.
Lasciando fare, il piccolo granello nascosto percorre la sua strada, sino in fondo.
Questo il fattore evolutivo.
Nessun agricoltore calpesta il suo campo, né indaga cosa succede, importunando: sviluppo, crescita e maturazione sono per sé garantiti.
Chi volesse entrare disturberebbe i germogli.
Chi scavasse per controllare il chicco che sta intrecciando le sue radici col terreno, rovinerebbe tutto.
La nostra identità sacra è inestricabilmente legata alla singolarità personale: si aggroviglia a una irripetibile sensibilità e vicenda.
È il buio, il silenzio, l’attesa, che fanno spuntare i suoi teneri germogli, nella loro unicità e autenticità.
Li danneggerebbe solo colui che volesse interferire, modificando, sovrapponendo suoi schemi e andamenti - mai conformi alle realtà in sviluppo singolare spontaneo.
Attenzione alla precipitazione di chi vuole subito un risultato… che non sia quello di essere noi stessi in relazione all’essenza innata e missione personale, che sprizzano dalla Sorgente nascosta.
Il tempo dell’amore non è immediato: si svolge lungo un sentiero, i cui periodi non possono essere scanditi da disegni frettolosi - solo irritanti - se non dallo Spirito, affinché manifestiamo l’inedito intrinseco.
Nessuno può importunare tale eccezionale ricchezza, che nasce e sviluppa «automaticamente» (v.28), affinché siamo messi in grado di partorire il mondo interno, la quintessenza, il Gesù che cova in cuore; non altri.
«Metter mano alla falce» (v.29) significa che a questo punto l’anima è desta per il Regno, pronta a ‘dare vita’ a sé e ai fratelli, traboccando la sua completezza ad altri, anche lontani o vaganti come uccelli (v.32).
Insieme, una Chiesa che - senza troppo pensare “come dovrebbe essere” - convince tutti i bisognosi di riparo dalle arsure.
E il Seme potrà esser trasmesso ovunque dagli stessi «volatili» che vi si posano anche solo quanto basta a ciascuno per spiccare di nuovo il volo.
Le ‘parabole del regno’ in Mt 13 e qui in Mc 4 non narrano una realtà solenne, epocale, maestosa, che intestardisce e s’impone.
Piuttosto, il regno ‘novello’ sarà paragonabile a un arbusto comune, che cresce modestamente - silente, nell’orto di casa (v.32).
Come dire: evolviamo in segni minuscoli - niente di straordinario - però siamo persone, non facsimili.
Così annunciamo il Paradiso.
[Venerdì 3.a sett. T.O. 31 gennaio 2025]