Ardore profetico, Salvezza che non ripete
(Lc 1,57-66.80)
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio che ancora tergiversa su ciò ch’è certificato, comprovato e tranquillizzante - perché ritenuto (attorno) puro e quotato.
La Salvezza - lo spunto per un’esistenza piena - percorre spazi sempre più vasti e irrompe in modo perentorio, senza mai ripetersi.
Non chiede permessi autorevoli, né aspetta una dimora bella spazzata e adorna.
Entra persino nella Casa (Israele) in cui non si faceva altro che commemorare, senza possibilità di rinnovamento e progresso.
La trasforma, sebbene già profumata d’incenso e purezze.
In quell’ambito, purtroppo, l’Attesa si era trasformata in un’abitudine [ad attendere] che ormai non attendeva più nulla. Ci si tratteneva e basta, senza granché nelle aspettative.
L’annuncio dei tempi nuovi suscita viceversa gioie contagiose, una voglia di fare e intaccare l’antico recinto abitudinario - sotto tutti gli aspetti della mentalità, d’improvviso non più conforme.
Il cambiamento inaugura un’era di redenzione: concretamente, una vita da salvati.
Traiettoria ora in grado di aprire pertugi sulla grande muraglia delle convenzioni che imbrigliano la libertà di essere e di fare.
Zaccaria [«Dio fa memoria»: il solito Dio e il solito ricordo] genera una Promessa che si sta compiendo sotto gli occhi.
Parola-evento che visita realmente il popolo - qui e ora, ogni alba - imponendo il «nessuno della tua parentela» (v.61) ossia del costume - addirittura sacerdotale: ecco Johanan [«Dio ha fatto Grazia»].
Il Vivente misericordioso non è più esattamente quello dei culti cruenti e propiziatori al Tempio, bensì delle prospettive, dei dispiegati orizzonti.
Si ritrova leggerezza. Nessun blocco condizionante, né senso di colpa per aver deviato. Nelle sue proposte di vita dilatata, Egli è e resta «Favorevole».
Il Nome da imporre per antica consuetudine veicolava una cultura e un ruolo (persino) dalle venature sacrali, rassicuranti.
Cambiandolo si muta destino. Non ci si cala in una veste, in una parte da recitare; si coglie l’essenza del Volto atteso.
L’Eterno non è Colui che invita a una serie di pie e arcinote consuetudini rituali identificate, da ricalcare senza tregua. Le sue iniziative senza condizioni porgono ogni giorno una decisiva apertura di campo.
L’Altissimo crea e chiama per lo sviluppo, per il meglio e l’ulteriore sovreminente: le categorie di possibilità sono sorvolate!
Le antiche barriere fra Cielo e Terra, fra Tradizione e Manifestazione, stanno per cadere, in favore d’un mondo incline alla vita.
La Redenzione inizia a fare scintille con le scelte da manuale: non si sopportano più.
Scrive il Tao Tê Ching (xix), che reputa esteriori le più celebrate virtù:
«Insegna che v’è altro cui attenersi: mostrati semplice e mantieniti grezzo».
Commenta il maestro Wang Pi: «Le qualità formali sono del tutto insufficienti».
E il maestro Ho-shang Kung aggiunge: «Tralascia il regolare e il creare dei santi, torna a quel che era al Principio».
Anche nel nostro percorso, accettando orizzonti differenti dal previsto consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita.
Ciò affinché l’essenza dei nostri stati profondi si distacchi dal giudizio comune, e risintonizzi su quant’è ancora Sconosciuto invece che utile - ma sentiamo ci appartiene.
In ogni spostamento di sguardo troveremo un altro cosmo, una Bellezza discreta, riservata.
Essa riconduce al nostro Nucleo naturale, alla Chiamata per Nome nella quale si annida il Segreto per ciascuno, e una tappa della piena realizzazione per tutti.
Il Compimento è ora «fortificato in Spirito e nei deserti» invece che secondo usanza, misurata - in luoghi deputati della liturgia sacerdotale (v.80) dai quali bisogna spingersi fuori, perfino in modo irregolare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quante volte hai sentito ripetere che non vai bene?
Come ti accorgi dei tempi del Cambiamento di Dio?
Quale sbalordimento hai provato nel tuo cammino spirituale?
Quale differenza hai misurato con le tue aspettative e propositi?
Come pensi di costruire la tua dignità da battistrada?
Quale principio di discernimento viene usato nella tua comunità? Si parte dalla tua irripetibile Vocazione o esiste un cliché assuefatto e omologante, altri nomi che devi ripetere e copiare?
«Cosa pensate che diverrà, questo mio figlio?» [di Teresa Girolami]
Il Vangelo odierno ci presenta la nascita di Giovanni, il profeta di Cristo, e lo stupore degli astanti:
«Che sarà mai questo bambino? E davvero la mano del Signore era con lui» (Lc 1,66).
Nella vita di Francesco, fin dalla nascita, si manifestò su di lui e sulla madre Monna Pica un segno visibile della predilezione di Dio.
Le Fonti evidenziano con chiarezza tutto questo:
“Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l’antica Santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico.
Quando i vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d’animo e l’integrità morale di Francesco ripeteva, quasi divinamente ispirata:
«Cosa pensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio».
In realtà, era questa l’opinione anche di altri, che apprezzavano Francesco già grandicello per alcune sue inclinazioni molto buone.
Allontanava da sé tutto ciò che potesse suonare offesa a qualcuno e, crescendo con animo gentile, non sembrava figlio di quelli che erano detti suoi genitori.
Perciò il nome di Giovanni conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco alla sua fama, che ben presto si diffuse ovunque, dopo la sua piena conversione a Dio.
Al di sopra della festa di ogni altro santo, riteneva solennissima quella di Giovanni Battista, il cui nome insigne gli aveva impresso nell’animo un segno di arcana potenza.
Tra i nati di donna non sorse alcuno maggiore di quello, e nessuno più perfetto di questo tra i fondatori di ordini religiosi. È una coincidenza degna di essere sottolineata” (FF 583).
[Teresa Girolami]
Secondo quale immagine e somiglianza?
Il nostro sguardo va al quadro di Giulio Romano, sopra all’altare maggiore di questa Chiesa: esso presenta la Sacra Famiglia, con Giovanni il Battista ancora piccolo, l’Apostolo Giacomo e l’Evangelista Marco, questi ultimi già adulti.
Il Battista indica vivacemente con la sinistra il Bambino Gesù, rappresentato nella sua debolezza infantile. Alla domanda dei familiari e dei vicini di Elisabetta e di Zaccaria: “Cosa ne sarà di questo bambino?” il quadro sembra darci questa risposta: Giovanni il Battista indica con tutto il suo atteggiamento Gesù al visitatore Giacomo che gli è vicino; si inchina profondamente nella consapevolezza della sua piccolezza: Non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo a colui che viene dopo di me, ma che è prima di me. Questa parola non ha nulla a che vedere con una falsa umiltà. Il Battista è troppo retto, troppo sobrio per questo. Ha certamente riconosciuto l’impotenza umana meglio della maggior parte degli uomini.
Il predicatore della penitenza che interpella gli uomini nel loro intimo, che li scuote nelle loro certezze e li trasforma, li strappa dalla superficialità di un atteggiamento materialistico puramente terreno, appartiene ancora all’Antica Alleanza, è solo colui che indica la via verso il Regno di Dio; e questo Regno di Dio è vicino, si ode la voce di colui che chiama nel deserto. L’umiltà del Battista è autentica. Ma Dio ha esaltato la piccolezza del Battista con la grandezza del compito affidatogli, anzi, lo aveva già esaltato nel grembo di sua madre: prima ancora di nascere, era infatti già “rinato” dallo Spirito di Cristo. La grandezza umana è niente in confronto alla piccolezza che è chiamata a partecipare della grandezza e della santità di Dio.
Per noi sacerdoti, Giovanni è un modello. Non cerca niente per sé, ma tutto per colui che ora addita. Il bambino rappresenta già in certo qual modo la parola trasmessaci nel quarto Vangelo: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 30). Giovanni doveva condurre gli uomini a Gesù e rendere testimonianza […].
Giovanni e la storia della sua vita sono come una diapositiva sulla quale sono indicati un nome e una verità. Resta oscura finché una fonte luminosa non viene accesa dietro ad essa. Così dice il Vangelo di Giovanni: “Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce” (Gv 1, 8). La luce di Dio è determinante nella sua vita e nella sua missione. Per la sua luce noi diventiamo veggenti, per riconoscere la volontà di Dio. Questa è spesso contraria ai nostri desideri e alla nostra propria volontà. Quando si trattò di dare un nome al neonato Giovanni in occasione della sua circoncisione, era determinante la tradizione: avrebbe ricevuto il nome del padre. Ma Elisabetta decise altrimenti. Conosceva la volontà di Dio e diede al bambino il nome di “Giovanni”, che significa “Dio si dimostra misericordioso”.
Perché dovrebbe essere stato così solo allora?
Tutti possiamo sperimentare nella vita la potenza e la bontà di Dio, quando abbiamo fiducia in lui e ci sforziamo seriamente di compiere la sua volontà. Ma questo richiede da noi umiltà e la consapevolezza che l’uomo non possiede la misura di tutte le cose. Non possiamo considerarci come metro di ogni pensiero, di ogni morale e di ogni diritto. Cediamo troppo facilmente alla convinzione che tutto possa essere fatto, il cielo come la terra, anzi l’uomo stesso, sempre secondo la nostra propria immagine e somiglianza.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia s. Maria dell’Anima 24 giugno 1990]