Traiettoria curva, e il modello che non è la “sfera”
(Mt 17,10-13)
All’esperienza de “il Monte” - cosiddetta Trasfigurazione - segue l’episodio di Elia e Giovanni [cf. Mt 17,10-13 e parallelo Mc 9,2-13].
Gesù ha introdotto i discepoli in vista ma più testardi degli altri alla percezione della Metamorfosi (Mt 17,2 testo greco) del Volto divino e ad un’idea capovolta del Messia atteso (vv.4-7).
Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio.
Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento.
Anche nelle comunità di Mt e Mc, tra i molti provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche, in relazione al Cristo.
Il brano di Vangelo è dotato di una potente specificità personale, cristologica [il fratello più prossimo, che riscatta: Go’El del sangue].
A ciò si aggiunge una precisa accezione comunitaria, perché Gesù identifica la figura del profeta Elia con il Battista.
Al tempo, nell’area palestinese le difficoltà economiche e la dominazione romana costringevano le persone a ripiegare su un modello di vita individuale.
I problemi di sussistenza e assetto sociale avevano avuto come conseguenza uno sgretolamento della vita di relazione (e legami) sia di clan che nelle stesse famiglie.
Nuclei accorpanti, che avevano sempre assicurato assistenza, sostegno e difesa concreta ai membri più deboli e in difficoltà.
Tutti si attendevano che la venuta di Elia e del Messia potesse avere un esito positivo nella ricostruzione della vita fraterna, allora intaccata.
Come si diceva: «ricondurre il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» [Mal 3,22-24 annunciava proprio l’invio di Elia] per ricostruire la convivenza disintegrata.
Ovviamente il recupero del senso d'identità interno del popolo era malvisto dal sistema di dominazione. Figuriamoci la cifra gesuana della Chiamata per Nome, che avrebbe spalancato la vita pia popolare a mille possibilità.
Giovanni aveva predicato con forza un ripensamento dell’idea di libertà conquistata (passaggio del Giordano), il riassetto delle idee religiose consolidate (conversione e perdono dei peccati nella vita reale, fuori del Tempio) e giustizia sociale.
Avendo un progetto evoluto di riforma nella solidarietà (Lc 3,7-14), in pratica era il Battezzatore stesso che aveva già svolto la missione dell’Elia atteso [Mt 17,10-12; Mc 9,11-13].
Per questo motivo era stato tolto di mezzo: poteva riassemblare tutto un popolo di estromessi - emarginati sia dal giro del potere che della religiosità verticista, accomodante, servile, e collaborazionista.
Una devozione a compartimenti stagni, che non consentiva assolutamente né il “ricordo” di se stessi, né dell’antico assetto sociale comunitario, incline alla condivisione.
Insomma, il sistema di cose, interessi, gerarchie, forzava a radicarsi in quella configurazione insoddisfacente. Ma ecco Gesù, che non si piega.
Chi ha il coraggio d’intraprendere un cammino di spiritualità biblica e di Esodo impara ad apprendere che ciascuno ha un modo differente di scendere in campo e stare nel mondo.
Allora, esiste un saggio equilibrio tra rispetto di sé, del contesto, e altrui?
Gesù viene presentato da Mt alle sue comunità come Colui che ha voluto continuare l’opera di edificazione del Regno, sia sotto il profilo della qualità vocazionale che per quanto concerne la ricostruzione della coesistenza.
Con una differenza fondamentale: rispetto al portato delle concezioni etnico-religiose, il Maestro non propone a tutti una sorta di ideologia di corpo, che finisce per spersonalizzare i Doni eccentrici dei deboli - quelli imprevedibili per una mentalità consolidata, ma che tracciano futuro.
In clima di clan rinsaldato, non di rado sono proprio i senza peso e coloro che conoscono solo abissi (e non vertici) a venire come spinti all’assenso di una conformazione rassicurante d’idee - invece che dinamica - e fucina di accoglienza più larga.
Quanti non conoscono vette ma solo povertà, proprio nei momenti di crisi sono i primi invitati dalle circostanze avverse ad oscurare il proprio sguardo sull’avvenire.
I miseri restano gl’impossibilitati a guardare in un’altra direzione e spostarsi, tracciando un diverso destino - proprio a causa di tare esterne a loro: culturali, di tradizione, di reddito, o “spirituali”.
Tutte caselle riconoscibili, forse talora non allarmanti, ma lontane dalla nostra natura.
E subito: con la condanna a portata di giudizio comune [per mancata omologazione].
Sentenza che vuole tarpare le ali, annientare l’atmosfera nascosta e segreta che appartiene davvero all'unicità personale, e condurci tutti - anche in modo esasperato.
Il Signore propone una vita assembleare di carattere, ma non ostinata né targata - non disattenta... come nella misura in cui viene costretta ad andare nella medesima rotta antica di sempre. O nella stessa direzione dei capitribù.
Cristo vuole una collaborazione più rigogliosa, che faccia utilizzare bene le risorse (interne e non) e le differenze.
Assetto per l’inedito: nel modo che ad es. le cadute o le inesorabili tensioni non vengano camuffate - anzi, diventino opportunità, sconosciute e impensabili ma assai feconde di vita.
Qui anche le crisi diventano importanti, anzi fondamentali per far evolvere la qualità dello stare accanto - nella ricchezza del «poliedro» che come scrive Papa Francesco «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» [Evangelii Gaudium n.236].
Senza rigenerarsi, solo ripetendo e ricalcando modalità collettive - da modello sfera (ibidem) - o altrui, ossia da nomenclatura, non personalmente rielaborate o valicate, non si cresce; non ci si dirige verso la propria irripetibile missione.
Non si colma il senso lacerante di vuoto.
Tentando di manipolare caratteri e personalità per guidarle al “come devono essere”, non si sta bene con se stessi e neppure fianco a fianco. Non si trasmette ai tanti diversi la percezione di stima e adeguatezza, né il senso di benevolenza - tantomeno gioia di vivere.
Le traiettorie curve o a tentativo ed errore si confanno alla Prospettiva del Padre, e alla nostra crescita irripetibile.
Differenza tra religiosità e Fede.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quando nella tua vita è cresciuto in modo sincero e non costretto dalle circostanze il tuo senso di comunità?
Come contribuisci in modo convinto alla fraternità concreta - talora profetica e critica (come Giovanni e Gesù)? O sei rimasto allo zelo fondamentalista di Elia e a quello accorpante ma purista dei precursori del Signore Gesù?