Piccola Casa di Dio o luogo di affari? Non si mercanteggia più
(Lc 19,45-48)
Gesù nota che attorno all’attività che si svolgeva nei perimetri del Tempio si era articolata tutta un’ambigua struttura di peccato.
La smania affaristica del Santuario non era neppure nascosta - anzi, addirittura lo fronteggiava.
Ma le prospettive sacerdotali del santo tributo e gli orizzonti di vita piena del popolo confliggevano.
Idem per gli scopi di giuristi e dottori, che volentieri si affollavano in specie sotto il portico di Salomone [dall’altra parte, verso est] a “concedere” consulenze.
L’esclusiva funzione di favorire l’incontro con la presenza di Dio veniva totalmente mortificata.
L’area sacra era divenuta covo di astuti mercanti, affaristi perennemente a caccia, sempre intenti a cambiar valuta.
Ciò col beneplacito della setta dei dominanti sadducei, che non sapevano resistere alla tentazione di tirare le fila dei lauti commerci.
Cacciando i falsi amici del Padre soccorrevole, parassiti della religiosità, il Signore non si orienta tanto a risarcire la purezza del Luogo, né a rabberciare e riproporre lo smalto del sobrio culto originario - come pur volevano i Profeti.
Rende un servizio santo non al Dio antico (come nelle religioni) bensì alla gente - da quel sistema [o groviglio] resa totalmente inconsapevole della propria dignità vocazionale: solo incatenata, munta, e tosata.
Infatti gli Zeloti puntavano a restaurare la purezza dei riti. Immaginavano in qualche modo di poterne recuperare la coerenza.
Gli Esseni avevano invece del tutto abbandonato il Tempio. Essi consideravano la vergognosa situazione ormai compromessa.
Giovanni il Battezzatore aveva operato il medesimo distacco.
Sebbene di stirpe sacerdotale, predicava al popolo il perdono dei peccati attraverso una conversione di vita, non mediante i sacrifici della liturgia [solo in Gerusalemme].
L’autentico Angelo dell’Alleanza era invece definitivamente intransigente, assai più radicale di tutti loro!
Infatti secondo i primissimi cristiani, che pur rifrequentavano il Tempio, il luogo dell’incontro con Dio, la terra dalla quale irradiava il suo Amore, non era più legata ad aspetti materiali.
Neppure in sé religiosi; tantomeno impregnata di osservanze dottrinali, codici moralisti, o visioni del mondo unilaterali.
In tal guisa, anche per noi la Presenza divina e la sua Comunione non si colgono nella mitica purità, nell’antica magnificenza, negli sforzi perfezionisti - o nell’adesione à la page.
Il servizio a Dio è onore della donna e dell’uomo così come e dove sono: il sacro rispetto parte da un Dono che già attraversa la nostra vita. Le opinioni non servono.
L’Amico sconosciuto vuole dimorare in noi non per appropriarsi, ma per fondersi e dilatare le capacità relazionali e qualitative. Quelle nostre, non altrui o a contorno.
In Cristo, dall’obbedienza a norme più o meno datate [fossero anche futuribili] passiamo allo stile di Somiglianza personale. Ciò che edifica Santuari viventi.
L’onore al Padre si realizza non nei dettagli o nello spirito di corpo già dettato, bensì nei figli e figlie, comunque - se vivono in fraternità.
Questo avviene in specie quando essi assimilano l’Insegnamento di Gesù [sulla Grazia] (v.47).
Così nel tempo, da Lui stesso imparano la convivialità, e insieme sono incoraggiati a dialogare con la loro eccezionale e irripetibile Vocazione, la quale avvince perché corrisponde davvero.
E l’intima convinzione è sola, incomparabile e preziosa energia di valenza trasformatrice - che porta a non recedere da se stessi, dalla propria eccezionalità, né soprassedere la realtà dei fratelli.
Piuttosto induce a fare Esodo, esplorare nuove condizioni dell’essere, trasfigurare la percezione in azione beata.
Solo da qui, deriva la coesistenza.
E Peccato resta sì deviazione, ma non più trasgressione alla legge - bensì incapacità a corrispondere alla Chiamata che caratterizza, che sprigiona e potenzia una sorprendente unicità di Relazione.
La prima Tenda di Dio è dunque l’umanità stessa, il suo cuore pulsante - non uno spazio di pietre e mattoni, fisso, delimitato, o fantasioso… da ornare con sovraggiunte.
Entrato in Gerusalemme, il Maestro prende possesso della Casa celeste - che non è il Tempio, bensì il Popolo.
Per questo Egli caccia fuori dall’immaginifico sacrale inculcato agli ingenui, proprio i tratti più diseducativi del festival - e specialmente insegna ai malfermi, a sentirsi già adeguati!
Incredibile: a ciascuno Cristo cambia l’atmosfera mentale.
Il Signore vero non insegna a entrare in armature abitudinarie o astratte e formali, accette al contorno ma distanti da noi stessi, dalle creature.
Piuttosto, stimola a non frenare la nostra vera natura con delle cappe di costume [datate o meno] secondo le quali “non è mai abbastanza”.
Dietro la nostra essenza caratteriale si cela una Chiamata feconda, irripetibile, singolare; dai risvolti visuali e sociali che non sappiamo.
Come siamo - proprio così - andiamo bene.
Non c’è bisogno di esorcizzare nulla del nostro essere profondo, che spontaneamente manifesta i suoi disagi compressi e le corrispondenze gioiose, anche nelle eccentricità esteriori.
Piuttosto, ogni domesticazione convenzionale epidermica, di adattamento, o astuta, soffoca il nucleo della Chiamata per Nome - autentica Guida, impulso dello Spirito.
Il nostro mondo interno non va istericamente considerato alla stregua di un pericoloso estraneo da riconfigurare.
Le radici innate e la nostra energia naturale hanno il diritto di fiorire e prevalere sulle maniere o idee comuni: sono traccia sperimentale del Divino.
In esse sussiste un legame Personale.
La rivendicazione del Signore è immediatamente contrastata dall’ostilità dei paludati, interessati al dare-avere di quel teatrino manierista.
Lo fanno passare per squilibrato, da eliminare subito: sognatore pericolosissimo, perché attiva e valorizza le anime, invece della struttura di mediazione.
Ecco la condanna impartita dai “grandi” in società: esito d’ogni operazione di verità.
Così si cerca di appannare qualsiasi tentativo d’emancipazione dei vessati nello spirito, nel nucleo di sé - sia per paura di Dio che per ossessione d’indegnità.
Ma nella realtà attuale, che ci tallona, il Risorto continua a demitizzare l’eccessiva preoccupazione per i luoghi identificati, le “alture” di carattere stanziale e materiale.
Coi loro risvolti che non nutrono in modo pieno e stabile - viceversa diventano un tarlo.
Insomma, bisogna cambiare approccio.
È Lui stesso il punto essenziale del culto all’Eterno.
In tale luce di Persona nella sua Persona, ciascuno può abbracciare proposte che non sono altrui e intruse; che non risulteranno zavorra.
E prestigio autentico della Chiesa sarà far echeggiare l’Annuncio che libera e piace davvero.
Provocando ovviamente le medesime tensioni mercantili; cartina al tornasole della nostra azione divina.
Per opera di apostoli impauriti dalle maniere spicce delle autorità, e forse essi stessi proni al compromesso - il magnifico santuario che Gesù aveva esplicitamente definito come una tana di marpioni ridiventerà il centro dell’assemblea ecclesiale [Lc 24,53; At 5,12].
Provvederà in modo più efficace… non la coscienza che brucia, bensì la tragica storia della città santa, a farne tramontare l’eccesso d’importanza.
Anche oggi: il fantasmagorico culmine antico sta diventando periferia, decade. E a ritrovarsi, facciamo difficoltà.
Occasione da non perdere per procedere in modo vivo e singolare, in sintonia con un sempre nuovo insegnamento sull’Amore inedito, che prende il nostro passo.
È l’Appello bruciante de «il Monte», che centra sulla passione: proprio sul Desiderio.
Non più un severo richiamo ai “no” delle grandi apparenze - ma finalmente Ascolto della Voce nell’anima, che stupisce (v.48).
Autentico sacro del tempio.
L’insegnamento di Gesù nel luogo venerando viene presentato da Lc 19,47 come duraturo: «stava insegnando ogni giorno» [testo greco].
Attraverso la Parola che non resta in alto ma partecipa della nostra umanità (finalmente spalancata) Egli ritrova anche oggi il suo Tempio.
Dimora sgombrata da vetusti e nuovi cacciatori.
Egli brama solo il suo Popolo - donne e uomini liberati dalla spelonca di briganti [Ger 7,11; Lc 19,46] che ancora tenta di penetrare la nostra qualità di relazione.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.226) volentieri ribadiamo con Papa Francesco: «non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà» (irritante) dei soci in affari con Dio.
La spazzatura va eliminata. La posta in palio è troppo alta e personale.
Con ciò che non corrisponde, anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, non si mercanteggia più.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai ancora bisogno di tempi stabiliti, luoghi ritagliati, gesti di espiazione e propiziazione, o con Dio senti una relazione vivente?
Qual è la tua Casa di Preghiera?
Chiese di servizio, non supermercato.
Il più importante tempio di Dio è il nostro cuore
«Chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”»: non ha usato giri di parole Papa Francesco nel riproporre l’attualità del gesto di Gesù di scacciare i mercanti dal tempio. E «vigilanza, servizio e gratuità» sono le tre parole chiave che ha rilanciato nella messa celebrata venerdì 24 novembre a Santa Marta.
«Ambedue le letture della liturgia di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano del tempio, anzi della purificazione del tempio». Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Maccabei (4, 36-37.52-59), il Papa ha fatto notare come «dopo la sconfitta della gente che Antioco Epìfane aveva inviato per paganizzare il popolo, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli vogliono purificare il tempio, quel tempio dove ci sono stati sacrifici pagani e ripristinare la bellezza spirituale del tempio, il sacro del tempio». Per questo «il popolo era gioioso». Si legge infatti nel testo biblico che «grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani». Dunque, ha aggiunto il Papa, «il popolo ritrova la propria legge, si ritrova con il proprio essere; il tempio diventa, un’altra volta, il posto dell’incontro con Dio».
«Lo stesso fa Gesù quando scaccia quelli che vendevano nel tempio: purifica il tempio» ha affermato Francesco, richiamandosi al passo evangelico di Luca (19, 45-48). Così facendo il Signore rende il tempio «come deve essere: puro, solo per Dio e per il popolo che va a pregare». Ma, da parte nostra, «come purificare il tempio di Dio?». La risposta, ha detto il Papa, sta in «tre parole che possono aiutarci a capire. Prima: vigilanza; seconda: servizio; terza: gratuità».
«Vigilanza», dunque, è la prima parola suggerita dal Pontefice: «Non solo il tempio fisico, i palazzi, i templi sono i templi di Dio: il più importante tempio di Dio è il nostro cuore, la nostra anima». Tanto che, ha fatto presente il Papa, san Paolo ci dice: «Voi siete tempio dello Spirito Santo». Dunque, ha rilanciato Francesco, «dentro di noi abita lo Spirito Santo».
E proprio «per questo la prima parola» proposta da Francesco è, appunto, «vigilanza». Da qui alcune domande per un esame di coscienza: «Cosa succede nel mio cuore? Cosa succede dentro di me? Come mi comporto con lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è uno in più dei tanti idoli che io ho dentro di me o ho cura dello Spirito Santo? Ho imparato a vigilare dentro di me, perché il tempio nel mio cuore sia solo per lo Spirito Santo?».
Ecco, allora, l'importanza di «purificare il tempio, il tempio interiore, e vigilare» ha affermato il Papa. Con un invito esplicito: «Stai attento, stai attenta: cosa succede nel tuo cuore? Chi viene, chi va... Quali sono i tuoi sentimenti, le tue idee? Tu parli con lo Spirito Santo? Ascolti lo Spirito Santo?». Si tratta, perciò, di «vigilare: stare attenti a cosa succede nel tempio nostro, dentro di noi».
La «seconda parola è servizio» ha proseguito il Pontefice. «Gesù — ha ricordato — ci fa capire che lui è presente in un modo speciale nel tempio di quelli che hanno bisogno». E «lo dice chiaramente: è presente negli ammalati, quelli che soffrono, negli affamati, nei carcerati, è presente lì». Anche per la parola «servizio» Francesco ha suggerito alcune domande da porre a se stessi: «So custodire quel tempio? Mi prendo cura del tempio con il mio servizio? Mi avvicino per aiutare, per vestire, per consolare quelli che hanno bisogno?».
«San Giovanni Crisostomo — ha fatto notare Francesco — rimproverava quelli che facevano tante offerte per ornare, per abbellire il tempio fisico e non prendevano cura dei bisognosi: rimproverava e diceva: “No, questo non va bene, prima il servizio poi le ornamentazioni”». Insomma, siamo chiamati a «purificare il tempio che sono gli altri». E per farlo bene, occorre domandarci: «Come io aiuto a purificare quel tempio?». La risposta è semplice: «Con il servizio, con il servizio ai bisognosi. Gesù stesso dice che lui è presente lì». E «lui è presente lì — ha spiegato il Papa — e quando noi ci avviciniamo a prestare un servizio, ad aiutare, assomigliamo a Gesù che è lì dentro».
Francesco, a questo proposito, ha confidato di aver «visto un’icona tanto bella del Cireneo che aiutava Gesù a portare la croce: guardando bene quell’icona, il Cireneo aveva la stessa faccia di Gesù». Dunque, «se tu custodisci quel tempio che è l’ammalato, il carcerato, il bisognoso e l’affamato, anche il tuo cuore sarà più simile a quello di Gesù». Proprio «per questo custodire il tempio significa servizio».
«La prima parola, vigilanza» ha riepilogato il Pontefice, esprime qualcosa che «succede dentro di noi». Mentre «la seconda parola» ci porta verso il «servizio ai bisognosi: quello è purificare il tempio». E «la terza parola che mi viene in mente — ha proseguito — leggendo il Vangelo è gratuità». Nel brano del Vangelo, Gesù dice: «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Proprio tenendo in mente queste parole del Signore, ha affermato il Papa, «quante volte con tristezza entriamo in un tempio — pensiamo a una parrocchia, un vescovado — e non sappiamo se siamo nella casa di Dio o in un supermercato: ci sono lì i commerci, anche c’è la lista dei prezzi per i sacramenti» e «manca la gratuità».
Ma «Dio ci ha salvato gratuitamente, non ci ha fatto pagare nulla» ha insistito il Pontefice, invitando a essere di aiuto «affinché le nostre chiese, le nostre parrocchie non siano un supermercato: che siano casa di preghiera, che non siano un covo di ladri, ma che siano servizio gratuito». Certo, ha aggiunto il Papa, qualcuno potrebbe obiettare che «dobbiamo avere dei soldi per mantenere la struttura e anche dobbiamo avere dei soldi per dare da mangiare ai preti, ai catechisti». La risposta del Pontefice è chiara: «Tu da’ con gratuità e Dio farà il resto, Dio farà quello che manca».
«Custodire il tempio — ha affermato, dunque, Francesco — significa questo: vigilanza, servizio e gratuità». Anzitutto «vigilanza nel tempio del nostro cuore: cosa succede lì, stare attenti perché è il tempio dello Spirito Santo». Poi «servizio ai bisognosi» ha ripetuto, suggerendo anche di leggere il capitolo 25 del vangelo di Matteo. Servizio anche «agli affamati, agli ammalati, ai carcerati, a quelli che hanno bisogno perché lì è Cristo», sempre con la certezza che «il bisognoso è il tempio di Cristo».
Infine, ha concluso il Papa, il «terzo» punto è la «gratuità nel servizio che si dà nelle nostre chiese: chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2017]