(Mc 6,45-52)
«Excita, Domine, potentiam tuam, et veni
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni” – con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente […]
Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”. Anche oggi abbiamo motivi molteplici per associarci a questa preghiera […] Il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso.
Excita – la preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare. Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, Egli rimproverò i discepoli per la loro poca fede (cfr Mt 8,26 e par.). Voleva dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo».
[Papa Benedetto, alla Curia romana 20 dicembre 2010]
Le comunità romane del tempo di Mc (anno dei quattro Cesari) erano in alto mare e i discepoli sembravano soli: il Maestro aveva ormai guadagnato la Terraferma (vv.46-47).
Al buio, pur volendo avanzare, le minuscole fraternità erano confuse per la guerra civile in corso, emarginate dall’ideologia di potere, flagellate da vento contrario.
E non pescavano nulla. Solo si esponevano a forze ostili e sembrava loro di sprofondare senza possibilità di scampo, né futuro.
Anche la nostra vita procede come su una barchetta sballottata da sismi. Andiamo speranzosi, eppure le avversità rischiano di farci annegare, e con noi sembra trascinino giù tutta la vita.
Episodi critici, che però fanno capire quanto vale l’amicizia di Cristo per noi e cosa ci trasmette. Certo, Dio non è un surrogato del lavoro umano.
Solo il Risorto vince lo spavento degli sconvolgimenti, ma lo fa senza precipitarsi, e vuole addirittura andare oltre le bufere in cui i discepoli sembrano incartarsi e smarrire (v.48).
Egli è privo di schemi assodati che lo inquadrino per sempre (sarebbe come renderlo evasivo e farlo perire). Infatti - come i discepoli di Emmaus - non lo riconoscono (vv.49-50).
Ma se lo ospitiamo in modo semplice e schietto nella nostra barchetta (v.51), sbalorditi in noi stessi (cf. testo greco) ci rendiamo conto che esiste un altro regno, che ogni elemento è in suo potere.
Salvo ridurre il Signore alle proprie idee o forze e desideri - tutto servirà per riattivarci, anche il vento contrario e le insidie del mare (figura del male). E pur friggendo, la nostra Fede sarà audace e combattiva, non bellicosa.
L’Amico invisibile guida e realizza infallibilmente, e fa giungere a riva (v.53) - condizione definitiva che la forza delle onde non può intaccare, neanche quando abbiamo la sensazione di essere trascinati altrove dai flutti.
Usando parafrasi del libro dell’Esodo e di Isaia (nuovo Esodo), Mc cerca di aiutare le sue comunità a comprendere il Mistero della Persona di Gesù: la presenza del Padre in Lui - e nelle vicende della loro esperienza di vita, lacerata anche da polemiche interne.
Sino alla seconda generazione di credenti, non pochi giudei convertiti ritenevano Cristo un personaggio tutto sommato in linea con la loro mentalità e tradizione, concorde con le profezie e le figure del Primo Testamento.
Viceversa, alcuni pagani che avevano accettato Gesù come Signore propugnavano piuttosto un’intesa con la mentalità mondana - una sorta di accordo tra Figlio di Dio e Impero.
Ma l’alleanza della nuova Fede con l’ideologia e l’immaginario del dominio poteva placare le tempeste?
La situazione delle minuscole fraternità al centro dell’Impero era ancora buia e instabile. Cristo pareva non del tutto presente (non vuole mai che i suoi siano dei disimpegnati!) e il mare agitato, il vento a prua. Si poteva ri-creare l’Esodo?
La Fede nel Dio Liberatore era scossa; non distesa - bensì angustiata. I discepoli non possedevano la medesima fiducia tranquilla del Maestro nei confronti del Padre.
Mantenevano una loro mentalità, offuscata e poco mobile (vv.49-52).
Malgrado tutto e proprio nella condizione di pellegrini sballottati, nell’accostarsi alla sua Persona facevano esperienza di una strana e diversa stabilità: il perdurare controcorrente e il procedere - nel superare alienazioni.
Una traversata verso la libertà che veniva dall’aggrapparsi al solo Gesù dentro, nel caos delle sicurezze, senza garanzie - perché il Signore non toglie da gorghi e situazioni oscillanti, per farci morire nelle norme (o nei conformismi attesi).
La nostra è una discorde permanenza, fluttuante; e attuante, ma nei rovesci.
Quindi non di tipo feudale: non con un’alternativa di tradizione rassicurante - non mediata da quel “potere” di civitas christiana che spegne la forza di rinnovarci (e ci stremerebbe).
Ancora oggi, è il cammino di crescita non abitudinario e critico che Lo svela in grado di manifestare la sua forza quieta, restituendo gli elementi sconvolti alla calma - e a noi la potenza delle facoltà umane.
Dice il Tao Tê Ching (LX) che ci suggerisce di stare nella dignità regale: “Governare un gran regno è come friggere pesciolini minuti”. Il maestro Wang Pi precisa il motivo: “(il sovrano) Non li rigira. Se è irrequieto fa danno, se è quieto mantiene intatta la sua genuinità”.
Il maestro Ho-shang Kung commenta: “Quando si friggono dei piccoli pesci non si tolgono loro le interiora e le squame, né si osa agitarli, per timore si sfascino. Quando il governo dello stato è molesto, i sudditi sono sediziosi; quando è molesto il governo della persona, l’essenza viene dispersa”.
Più degli opposti attriti e degli eventi esterni contrari, l’ansia, l’impressione e l’angoscia vengono dal timore stesso di affrontare le normali questioni dell’esistenza.
Ciò forse per sfiducia personale o ecclesiale: sentendosi in pericolo solo perché ci cogliamo intimamente poco cresciuti, incapaci di altro dialogo e rielaborare, convertirci o rimodulare.
La fatica di mettersi in discussione e la sofferenza che l’avventura della Fede riservano, sfumeranno anche tra i fastidi del mare mosso.
Basta sganciarsi da idee fisse di stabilità, anche religiosa, e ascoltare la vita così com’è, abbracciandola, perfino nella sua folla di urti, amarezze, speranze di armonia infrante, dispiaceri - intrattenendosi con questa fiumana di nuove emergenze, e incontrando la propria natura profonda.
Il miglior vaccino contro gli affanni dell’avventura insieme a Cristo sulle onde mutevoli dell’inatteso sarà proprio di non evitare a monte le preoccupazioni - anzi, andare loro incontro e accoglierle; riconoscersi, lasciarle fare.
Anche nel tempo della crisi globale, le apprensioni che sembra vogliano devastarci, vengono a noi come energie preparatorie di altre gioie che desiderano irrompere - per nuove sintonie cosmiche; per lo stupore a partire da noi stessi, e guida dell’aldilà.
La nostra barchetta è in una stabilità invertita, capovolta, non pareggiabile; incerta, sconveniente - eppure energica, pungente, capace di reinventarsi. E sarà perfino eccessiva, ma dai dissesti.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In quali occasioni hai trovato facile ciò che prima sembrava impossibile?
Dio in ostaggio, o la diversa visione del pericolo (Mc 4,35-41)
Tutto il Vangelo di Mc è una risposta articolata alla domanda: chi è Gesù (v.41)? Il suo senso di marcia sembra contromano, e infrange sfacciatamente le regole accettate da tutti.
Mentre i discepoli accarezzavano desideri nazionalisti, il Maestro inizia a far capire che Egli non è il Messia volgarmente attesto, restauratore del defunto impero di Davide o dei Cesari (in lotta di successione sotto gli occhi della comunità romana di Mc: Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano).
Il Regno di Dio è aperto a tutta l'umanità, che in quei tempi di sballottamento - straziata dalla rapida ma sanguinosa guerra civile successiva alle follie di Nerone - cerca sicurezze, accoglienza, punti di riferimento. Ciascuno può trovarvi casa e riparo (Mc 4,32b).
Ma gli apostoli e i veterani di chiesa sembrano avversi alle proposte di Cristo; rimangono insensibili a un’idea troppo larga di fraternità - che li spiazza. È un problema vivo e gravissimo.
L’insegnamento e richiamo imposto ai discepoli è quello di passare all’altra riva (v.35) ossia di non trattenere per sé, ma di comunicare le ricchezze del Padre ai pagani, considerati impuri e malfamati.
Eppure i suoi non ne vogliono sapere di sproporzioni rischiose, che facciano effettivamente risaltare l’azione del Figlio di Dio. Sono tarati su consuetudini di religiosità comune e un’ideologia di potere circoscritta.
Quindi per esorcizzare il pericolo della missione - e dover ospitare persone, rielaborare situazioni, accogliere sorprese che li agiterebbero (mettendoli in discussione) - tentano di prendere in ostaggio il Maestro (v.36).
La resistenza all’incarico divino e il dibattito interno lacerante che ne deriva scatena una grande tempesta nelle assemblee dei credenti.
«E viene una grande burrasca di vento. E le onde si rovesciavano nella barca, così che già si riempiva la barca» (v.37).
La bufera riguarda i soli discepoli, unici sgomenti; non Gesù - a poppa, ossia al timone, alla guida (v.36 - e sul «cuscino»: si tratta del Risorto).
Quel che accade “dentro” non è il semplice riflesso di ciò che capita “fuori”! Questo l’errore da correggere.
Tale identificazione blocca e rende cronica la vita, a partire dalla gestione delle situazioni emotivamente rilevanti - che hanno il loro senso. Esse recano un appello significativo, introducono un diverso occhio e dialogo.
Anche dalla pace della condizione divina che domina il caos (v.39) il Signore richiama l’attenzione e rimprovera gli apostoli, accusandoli di non avere fede, ossia un briciolo di rischio d’amore - come un granello di senape (v.31) - da portare all’umanità per rinnovarla.
Insomma, siamo confusi, creiamo imbarazzo e infuria il caos degli schemi e dell’egoismo? Andiamo paradossalmente sulla strada giusta, ma non bisogna farsi prendere dal timore.
In Lui, eccoci intrisi d’una diversa visione del pericolo.
Dice il Tao Tê Ching (xxii): «Il santo non da sé vede, perciò è illuminato». Anche nelle strettoie.
Sembra infatti che Gesù voglia espressamente per gli apostoli i momenti scuri del confronto e del dubbio (v.35). Anche per noi, persino se fossimo responsabili di chiesa... perché altrimenti non si farà pulizia da convinzioni ripetitive.
Le attese da manuale (e l’abitudine ad allestire armonie conformiste) bloccano la fioritura di ciò che siamo e speriamo.
Soprattutto quel che è seccante o addirittura “contro” ha qualcosa di decisivo da dirci. Anche nella barchetta delle chiese (v.36) il disagio deve esprimersi.
È per far rinascere l’essenza di ciascuno e della stessa comunità, per introdurre il cambiamento (nascosto o represso) e attivarlo nel modo più efficace... dal contatto con le energie sottaciute, primordiali.
Più degli opposti attriti e degli eventi esterni in conflitto, l’ansia, l’impressione e l’angoscia vengono infatti dal timore stesso di affrontare le normali o decisive questioni dell’esistenza.
Ciò per sfiducia: sentendosi in pericolo forse solo perché ci cogliamo intimamente poco cresciuti, incapaci di altro colloquio, di scoprire e rielaborare, convertirci, o rimodulare.
La fatica di mettersi in discussione e la sofferenza che l’avventura della Fede riservano, sfumeranno anche tra i fastidi del mare mosso - che appunto non vuole farci tornare “quelli di prima”.
Basta sganciarsi dall’idea di stabilità, anche religiosa, e ascoltare la vita così com’è, abbracciandola, perfino nella sua folla di urti, amarezze, speranze di armonia infrante, dispiaceri - intrattenendosi con questa fiumana di nuove emergenze, e incontrando la propria natura profonda.
Il miglior vaccino contro gli affanni dell’avventura insieme a Cristo sulle onde mutevoli dell’inatteso sarà proprio di non evitare a monte le preoccupazioni - anzi, andare loro incontro e accoglierle; riconoscersi, lasciarle fare.
Anche nel tempo della crisi globale, le apprensioni che sembra vogliano devastarci, vengono a noi come energie preparatorie di altre gioie che desiderano irrompere - nuove sintonie cosmiche; per lo stupore a partire da noi stessi, e guida dell’aldilà.
La nostra barchetta è in una stabilità invertita, capovolta, non pareggiabile; incerta, sconveniente - eppure energica, pungente, capace di reinventarsi. E sarà perfino eccessiva, ma dai dissesti.
Per una proposta di Tenerezza (non corrispondente) che non è zona relax, perché fa rima con ansia terribile e... periferie!
Qualche altra provvidenza, che tu ignori
«È bene non cadere, oppure cadere e risollevarsi. E se accade di cadere, è bene non disperare e non rendersi estranei all’amore che il Sovrano ha per l’uomo. Se lo vuole può infatti fare misericordia alla nostra debolezza. Soltanto non allontaniamoci da lui, non sentiamoci angustiati se siamo forzati dai comandamenti e non avviliamoci se non arriviamo a niente (…).
Non dobbiamo né aver fretta né ripiegarci, ma sempre ricominciare di nuovo (…).
Aspettalo, ed egli ti farà misericordia, sia con la conversione sia con delle prove, sia con qualche altra provvidenza che tu ignori».
[Pietro Damasceno, libro secondo, ottavo discorso, in La Filocalia, Torino 1982, I,94]