La distrazione in sala d’attesa, o una crisi dal senso evolutivo
(Mt 25,1-13)
Il tema non è quello della vigilanza morale, bensì puntuale: prima o poi tutti i battezzati in Cristo si addormentano (v.5).
E l’ambiente non sembra dei migliori: lo sposo ritarda, le ragazze sono assopite, alcune senz’olio e le altre... acide.
Ma a volte siamo come pazzi che vanno a costruire case sulla sabbia: alla prima fiumana crolla tutto.
L’entusiasmo c’e, la sintonia col Signore e la sua voglia di abbracciare e trasmettere pienezza di essere... forse no.
Manca una dimensione di profondità, o di speranza viva che anima le motivazioni e lubrifica l’energia, nell'impulso alla missione.
È l’esito di coloro che sembrano aver accolto le Beatitudini di tutto punto, ma non le fanno proprie...
Non per il fatto che non adempiono bene il ruolo - una mansione - ma perché non mettono in relazione l’ascolto con la pratica non distratta, squisitamente evangelica.
Alimentare la torcia è promuovere la vita!
Ma come concentrarsi e non offuscarla, anzi sbloccarla, e non lasciarsi suggestionare dai monili, tirarla fuori dal cassetto; orientarla bene - in favore locale e universale, proprio, e di tutti?
L’Appello, il momento opportuno, giunge improvviso. Non si allestisce attraverso una scelta generale o formale che evolve senza correlazioni, senza binari personali, senza attenzione agli eventi e capacità di corrispondere.
Insomma: la relazione di Fede non è olio che si possa prestare.
Come in un rapporto d’Amore, ciascuno ha bisogno istante per istante di un nuovo personale equilibrio - potenziato nella fusione.
Esistono anime ansiose o perfezioniste che si precipitano a intervenire, ma difettano di percezione. Vi sono cuori timorosi e paralizzati: devono acquisire flessibilità.
Alcuni fissano i momenti “no” e non sanno trasformarli in occasioni di risveglio; o guariscono troppo tardi. Altri dipendono dalla stagione o vivono di adrenalina, e difettano di consapevolezza.
Qualcuno deve rallentare e raccogliersi, ritrovare se stesso e la leggerezza vocazionale istintiva, la propria parte infinita - ma evitando strategie puerili.
Altri che già hanno accolto il divino, avrebbero bisogno di svegliarsi dal torpore, per mettere in moto la luce sapiente, innata, che possiedono nelle inclinazioni profonde.
Qualcuno ha necessità di gettare zavorre, divenire più sottile nell’udire e nel porgersi, o meno dirigista; altri, prepararsi all’Incontro in una dimensione più relazionale e visibile.
Ci sono persone che non possono non complicarsi la vita, per poi semplificare [senza disperdere] divenendo infine più nitide; altre e forse più, imparare a donare. Così via.
Quindi... per armonizzare e rinvigorire l’organismo naturale, passionale e vocazionale, meglio alcuni con la luce che tutti al buio - bloccati in sala d’attesa, persi per sempre.
Gesù non predilige gli assopiti in una spiritualità vuota senza unicità - ovvero gli avvinti dall’istinto di autoprotezione. Esso non ricerca prima le proprie risorse, ciò che già trova in sé; bensì quel che ottiene fuori, o vien dato a richiesta, mendicato da altri.
L’ascolto insolito - forse indebito - e personale, nonché le azioni intraprendenti, il rischio per la saggezza, l’amore, lo stimolo alla completezza di essere, costruiscono la Persona e il suo dialogo vero.
I conformismi non producono svolte; permangono nel contorno torpido.
La folla indistinta senza convivialità delle differenze - se mediocre, priva di picchi esplorativi, eccezioni - spinge in panchina ogni Chiamata irripetibile.
Spesso s’immagina di aver provveduto alla propria pratica con Dio iscrivendosi nei registri parrocchiali, senza elaborarne l’impegno sino in fondo. Forse per timore del rischio o di fatiche impreviste.
Poi qualche zelante manierista assume anche atteggiamenti proni di apparenza [un tempo si diceva] “papista” e [finta] ortodossia - o viceversa, sofisticate, à la page.
Astrazioni disincarnate, che allo Sposo non interessano.
Colui che neppure lavora su di sé, ovviamente secondo il carattere delle proprie inclinazioni vocazionali, non edifica né comunica vita.
Non arricchisce né rallegra l’esistenza anche sommaria, dei tempi di stanchezza nell’attesa. Infine, non ha nulla a che fare con Dio (v.12).
Il paradigma di questo Richiamo alto e forte del Vangelo è la terapia che può rigenerare il mondo soggiogato da omologazioni esterne, affinché vada Altrove - e non rinunci alla dimensione del Mistero che lo suscita.
Appello fuori del tempo per la Chiesa stessa, affinché non si accontenti di schemi, modelli, ricette standard, o di rimettere le cose a posto in modo abitudinario.
Né si blocchi nei rapporti malati, nelle nomenclature d’appoggio qualunquista; strepitoso o museale. E in tal guisa si ritrovi fuori della Festa, disorientata, sopraffatta; senza neppure aver attivato se stessa, umanizzando.
Come ricorda l’enciclica Fratelli Tutti al n.33 [riprendendo un’omelia di Papa Francesco a Skopje]:
«Ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione [perdendo] il gusto e il sapore della realtà».
Ma anche la crisi potrà avere un senso evolutivo: nell’accettare di sbagliare, nella presa di coscienza delle imperfezioni.
Nel non sentirsi assoluti; nella logica delle opzioni, nella personalizzazione, nell’Incontro imprevisto e differente.
Soglia di ogni Esodo verso la Libertà e la Festa.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai perso il senso dell’invito a Nozze? O semplicemente preferisci varcare indenne la soglia del Banchetto?
Esiste un Incontro che ritieni possa destare la tua vita, o l’abitudine di attendere si è tramutata in una abitudine di non attendere più nulla?
Per non ricadere
«Le Letture bibliche dell’odierna liturgia […] ci invitano a prolungare la riflessione sulla vita eterna […]. Su questo punto è netta la differenza tra chi crede e chi non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera. Scrive infatti san Paolo ai Tessalonicesi: «Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» ( 1 Ts 4,13). La fede nella morte e risurrezione di Gesù Cristo segna, anche in questo campo, uno spartiacque decisivo. Sempre san Paolo ricorda ai cristiani di Efeso che, prima di accogliere la Buona Notizia, erano «senza speranza e senza Dio nel mondo» ( Ef 2,12). Infatti, la religione dei greci, i culti e i miti pagani, non erano in grado di gettare luce sul mistero della morte, tanto che un’antica iscrizione diceva: « In nihil ab nihilo quam cito recidimus», che significa: «Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo». Se togliamo Dio, se togliamo Cristo, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio. E questo trova riscontro anche nelle espressioni del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che contagia purtroppo tanti giovani.
Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13). E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo “olio”, indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo. Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita».
[Papa Benedetto, Angelus 6 novembre 2011]