Ago 4, 2024 Scritto da 

Trasfigurazione controcorrente

Fede e Metamorfosi

(Mt 17,1-9; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36)

 

«La montagna - il Tabor come il Sinai - è il luogo della vicinanza con Dio. È lo spazio elevato, rispetto all'esistenza quotidiana, dove respirare l'aria pura della creazione. È il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore, come Mosè e come Elia, che appaiono accanto a Gesù trasfigurato e parlano con Lui dell'"esodo" che lo attende a Gerusalemme, cioè della sua Pasqua. La Trasfigurazione è un avvenimento di preghiera: pregando Gesù si immerge in Dio, si unisce intimamente a Lui, aderisce con la propria volontà umana alla volontà di amore del Padre, e così la luce lo invade e appare visibilmente la verità del suo essere: Egli è Dio, Luce da Luce. Anche la veste di Gesù diventa candida e sfolgorante. Questo fa pensare al Battesimo, alla veste bianca che indossano i neofiti. Chi rinasce nel Battesimo viene rivestito di luce anticipando l'esistenza celeste, che l'Apocalisse rappresenta con il simbolo delle vesti candide (cfr Ap 7, 9.13). Qui è il punto cruciale: la trasfigurazione è anticipo della risurrezione, ma questa presuppone la morte. Gesù manifesta agli Apostoli la sua gloria, perché abbiano la forza di affrontare lo scandalo della croce, e comprendano che occorre passare attraverso molte tribolazioni per giungere al Regno di Dio. La voce del Padre, che risuona dall'alto, proclama Gesù suo Figlio prediletto come nel Battesimo nel Giordano, aggiungendo: "Ascoltatelo" (Mt 17, 5). Per entrare nella vita eterna bisogna ascoltare Gesù, seguirlo sulla via della croce, portando nel cuore come Lui la speranza della risurrezione. "Spe salvi", salvati nella speranza. Oggi possiamo dire: "Trasfigurati nella speranza"» [Papa Benedetto].

 

 

Nel linguaggio biblico, l’esperienza de «il Monte» è icona dell’Incontro fra Dio e l’uomo. È sì per noi come un perdere la testa, ma in modo assai pratico - niente affatto visionario.

Il Maestro la impone alle tre figure eminenti delle prime comunità, non perché li considera degli eletti, ma l’esatto contrario: si accorge che sono i suoi capitani che hanno bisogno d’una verifica.

I Vangeli sinottici non parlano di trasfigurazione alcuna, ma di «Metamorfosi» [testo greco di Mt 17,2 e Mc 9,2]: passaggio sotto una forma differente.

In particolare Lc 9,29 sottolinea che «l’aspetto del suo volto divenne altro» [testo greco]. Non per uno stato parossistico.

Sembra pazzesco, ma la ieratica magnificenza dell’Eterno si rivela controcorrente: nell’immagine del garzone dimesso.

 

L’esperienza della Gloria divina risulta per i discepoli eminenti insostenibile - non in riferimento a bagliori di luce fisici.

Come nelle icone orientali, si ritrovano faccia a terra. «E udendo i discepoli caddero sul loro volto e furono presi grandemente da timore» (Mt 17,6).

Nella cultura dell’oriente antico significava precisamente: “sconfitti” nelle loro aspirazioni - e spaventati. Timorosi di essere chiamati anche loro al dono di sé: Mt 17,6; Mc 9,6; Lc 9,34-36.

La vertigine dell’esperienza di Dio non era quella che coltivavano e volevano.

Il chiarore abbagliante cui si riferisce il passo (Mt 17,2.5; Mc 9,3; Lc 9,29) è quello d’una Rivelazione che fa aprire gli occhi sull’identità “impossibile” del Figlio.

Era popolarmente atteso come somigliante a Davide, sovrano potente, in grado di assicurare al popolo un agevole e pronto benessere.

Si svela al viceversa. Manifestazione lampante di Dio è: Comunione nella semplicità, che ci qualifica tutti.

La forma del “capo” è quella dell’inserviente, che ha la libertà di scendere di quota per mettere a proprio agio gli ultimi: l’umanamente sconfitto!

Pietro sgomita più di altri per dire la sua. Come solito, vuole emergere e ribadire le idee antiche, ma si svela come il più ridicolo di tutti (Mc 9,6; Lc 9,33): sproloquia.

Per lui [ancora!] al centro del trittico resta Mosè (Mt 17,4; Mc 9,5; Lc 9,33).

Con l’ausilio di profezie animate da zelo focoso [Elia], secondo Simone Gesù sarebbe uno dei tanti che avrebbe fatto praticare la tradizione legalista.

A fondamento restano i Comandamenti, non le Beatitudini.

Il primo degli apostoli proprio non vuol capire che il Signore non impone un’Alleanza fondata sull’obbedire, ma sul Somigliare!

Certo, anche gli altri “grandi” erano in dormiveglia. Chissà cosa sognavano... poi smarriti cercano tutti e ancora un Gesù secondo Mosè ed Elia (Mt 17,8; Mc 9,8-10; Lc 9,36).

 

Nella cultura del tempo, il nuovo Principe osservante e dirompente era atteso durante la festa delle Capanne.

Avrebbe inaugurato il dominio del popolo eletto su tutte le nazioni della terra (Zc 14,16-19); in pratica, l’età dell’oro.

Nel giudaismo, la festa delle Capanne faceva memoria delle «mirabilia Dei» dell’Esodo [Lc 9,31: qui, la nuova e personalistica liberazione dal paese delle schiavitù] celebrandone le prospettive di vittoria.

Ma il Regno del Signore non è un impero tutto da godere, prodigioso e immediato - badando per il resto a non farsi troppo del male, ossia tenendosi a distanza di sicurezza.

Nessuna proposta di vita scorrevole. Piuttosto, cambiamento di volto e di cosmo.

Sviluppo e passaggio inatteso, che però convince l’anima: invita all’introspezione e a prendere atto - così ci completa e fa trasalire (con virtù perfetta).

 

Per edificare la Chiesa di Dio non vi sono scorciatoie, né punti di sicurezza intorpidita, e lì starsene tranquilli a coltivare consenso - al riparo dalle ferite, o senza vedere altre relazioni.

L’esperienza della Gloria è «sub contraria specie»: nella regalità che spinge verso il basso.

Ma nella parsimonia ci fa scoprire metamorfosi da stupore - così vicine alle nostre radici.

 

 

Elia, Giovanni, Gesù: Evoluzione del senso di Comunità

 

Traiettoria curva, e il modello che non è la “sfera”

(Mt 17,10-13)

 

All’esperienza de “il Monte” - cosiddetta Trasfigurazione -  segue l’episodio di Elia e Giovanni [cf. Mt 17,10-13 e parallelo Mc 9,2-13].

Gesù ha introdotto i discepoli in vista ma più testardi degli altri alla percezione della Metamorfosi (Mt 17,2 testo greco) del Volto divino e ad un’idea capovolta del Messia atteso (vv.4-7).

 

Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio.

Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento.

 

Anche nelle comunità di Mt e Mc, tra i molti provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche, in relazione al Cristo.

Il brano di Vangelo è dotato di una potente specificità personale, cristologica [il fratello più prossimo, che riscatta: Go’El del sangue].

A ciò si aggiunge una precisa accezione comunitaria, perché Gesù identifica la figura del profeta Elia con il Battista.

 

Al tempo, nell’area palestinese le difficoltà economiche e la dominazione romana costringevano le persone a ripiegare su un modello di vita individuale.

I problemi di sussistenza e assetto sociale avevano avuto come conseguenza uno sgretolamento della vita di relazione (e legami) sia di clan che nelle stesse famiglie.

Nuclei accorpanti, che avevano sempre assicurato assistenza, sostegno e difesa concreta ai membri più deboli e in difficoltà.

Tutti si attendevano che la venuta di Elia e del Messia potesse avere un esito positivo nella ricostruzione della vita fraterna, allora intaccata.

Come si diceva: «ricondurre il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» [Mal 3,22-24 annunciava proprio l’invio di Elia] per ricostruire la convivenza disintegrata.

Ovviamente il recupero del senso d'identità interno del popolo era malvisto dal sistema di dominazione. Figuriamoci la cifra gesuana della Chiamata per Nome, che avrebbe spalancato la vita pia popolare a mille possibilità.

Giovanni aveva predicato con forza un ripensamento dell’idea di libertà conquistata (passaggio del Giordano), il riassetto delle idee religiose consolidate (conversione e perdono dei peccati nella vita reale, fuori del Tempio) e giustizia sociale.

Avendo un progetto evoluto di riforma nella solidarietà (Lc 3,7-14), in pratica era il Battezzatore stesso che aveva già svolto la missione dell’Elia atteso [Mt 17,10-12; Mc 9,11-13].

Per questo motivo era stato tolto di mezzo: poteva riassemblare tutto un popolo di estromessi - emarginati sia dal giro del potere che della religiosità verticista, accomodante, servile, e collaborazionista.

Una devozione a compartimenti stagni, che non consentiva assolutamente né il “ricordo” di se stessi, né dell’antico assetto sociale comunitario, incline alla condivisione.

Insomma, il sistema di cose, interessi, gerarchie, forzava a radicarsi in quella configurazione insoddisfacente. Ma ecco Gesù, che non si piega.

 

Chi ha il coraggio d’intraprendere un cammino di spiritualità biblica e di Esodo impara ad apprendere che ciascuno ha un modo differente di scendere in campo e stare nel mondo.

Allora, esiste un saggio equilibrio tra rispetto di sé, del contesto, e altrui?

Gesù viene presentato da Mt alle sue comunità come Colui che ha voluto continuare l’opera di edificazione del Regno, sia sotto il profilo della qualità vocazionale che per quanto concerne la ricostruzione della coesistenza.

Con una differenza fondamentale: rispetto al portato delle concezioni etnico-religiose, il Maestro non propone a tutti una sorta di ideologia di corpo, che finisce per spersonalizzare i Doni eccentrici dei deboli - quelli imprevedibili per una mentalità consolidata, ma che tracciano futuro.

In clima di clan rinsaldato, non di rado sono proprio i senza peso e coloro che conoscono solo abissi (e non vertici) a venire come spinti all’assenso di una conformazione rassicurante d’idee - invece che dinamica - e fucina di accoglienza più larga.

Quanti non conoscono vette ma solo povertà, proprio nei momenti di crisi sono i primi invitati dalle circostanze avverse ad oscurare il proprio sguardo sull’avvenire.

 

I miseri restano gl’impossibilitati a guardare in un’altra direzione e spostarsi, tracciando un diverso destino - proprio a causa di tare esterne a loro: culturali, di tradizione, di reddito, o “spirituali”.

Tutte caselle riconoscibili, forse talora non allarmanti, ma lontane dalla nostra natura.

E subito: con la condanna a portata di giudizio comune [per mancata omologazione].

Sentenza che vuole tarpare le ali, annientare l’atmosfera nascosta e segreta che appartiene davvero all'unicità personale, e condurci tutti - anche in modo esasperato.

 

Il Signore propone una vita assembleare di carattere, ma non ostinata né targata - non disattenta... come nella misura in cui viene costretta ad andare nella medesima rotta antica di sempre. O nella stessa direzione dei capitribù.

Cristo vuole una collaborazione più rigogliosa, che faccia utilizzare bene le risorse (interne e non) e le differenze.

Assetto per l’inedito: nel modo che ad es. le cadute o le inesorabili tensioni non vengano camuffate - anzi, diventino opportunità, sconosciute e impensabili ma assai feconde di vita.

 

Qui anche le crisi diventano importanti, anzi fondamentali per far evolvere la qualità dello stare accanto - nella ricchezza del «poliedro» che come scrive Papa Francesco «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» [Evangelii Gaudium n.236].

Senza rigenerarsi, solo ripetendo e ricalcando modalità collettive - da modello sfera (ibidem) - o altrui, ossia da nomenclatura, non personalmente rielaborate o valicate, non si cresce; non ci si dirige verso la propria irripetibile missione.

Non si colma il senso lacerante di vuoto.

Tentando di manipolare caratteri e personalità per guidarle al “come devono essere”, non si sta bene con se stessi e neppure fianco a fianco. Non si trasmette ai tanti diversi la percezione di stima e adeguatezza, né il senso di benevolenza - tantomeno gioia di vivere.

Le traiettorie curve o a tentativo ed errore si confanno alla Prospettiva del Padre, e alla nostra crescita irripetibile.

Differenza tra religiosità e Fede.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quando nella tua vita è cresciuto in modo sincero e non costretto dalle circostanze il tuo senso di comunità?

Come contribuisci in modo convinto alla fraternità concreta - talora profetica e critica (come Giovanni e Gesù)? O sei rimasto allo zelo fondamentalista di Elia e a quello accorpante ma purista dei precursori del Signore Gesù?

 

 

In tutti i Sinottici, al brano della Metamorfosi di Gloria segue l’episodio della guarigione del fanciullo epilettico [in Mt appunto dopo la questione del Ritorno di Elia che Mc include]. Tema che gli altri evangelisti traggono proprio da Mc 9,14-29. Andiamo direttamente a tale fonte, assai istruttiva per cogliere e precisare il significato profondo dell’argomento e della proposta essenziale comune, introdotta dagli Autori nella catechesi della cosiddetta “Trasfigurazione”:

Fede, Preghiera d’attenzione, Guarigioni: senza esclusione di colpi

(Mc 9,14-29)

 

Come regolarsi nell’impotenza di fronte ai drammi dell’umanità? Anche nel cammino di Fede, a un certo punto del nostro percorso cogliamo un bisogno insopprimibile di trasformarci.

Vogliamo realizzare il nostro essere in modo più completo, e fare il bene, perfino altrui. È una spinta innata.

Il bisogno di vita non nasce da ragionamenti: sorge spontaneo, affinché emergano nuove situazioni, altre parti di noi.

Cambiare è legge di natura, di ogni Seme.

Tale moto ci “chiama” dalle profondità del nostro Nucleo, affinché arriviamo a modificare equilibri, convincimenti, modi di scendere in campo che hanno fatto il loro tempo.

A tale vocazione si può rispondere rendendosi disponibili, onde scoprire differenti punti di vista. Anche esterni, ma a partire dal rinvenimento di una sorta di “nuovo io” che in realtà giaceva nell’ombra delle nostre virtù.

Energie cui non avevamo ancora concesso respiro.

Viceversa, a tale processo ci si può d’istinto opporre, causa varie paure, e allora ogni vicenda diventa ostica; come una corsa a ostacoli.

Infine, nel nostro itinerario di trasformazione si rinviene spesso anche l’opposizione degli altri, che magari appaiono più esperti di noi…

Sembrano periti e veterani, eppure anch’essi “spaventati” dal fatto che non intendiamo fermarci al palo già dettato.

In ogni caso la spinta al cambiamento non mollerà la presa intima.

Faremo azioni nuove, esprimeremo diverse opinioni, mostreremo lati opposti della personalità; lasceremo più spazio all’onda vitale.

Basta coi compromessi, anche se agli altri può sorgere il dubbio che siamo diventati “tortuosi”.

 

Insomma, che potere ha il sopraggiungere della scelta di Fede nella vita, persino fra l’incredulità della gente?

E - come nel passo di Vangelo - nello scetticismo incapace [degli stessi apostoli, che sarebbero i primi deputati a manifestarne lo spessore]?

Anche oggi alcuni vecchi “personaggi” e guide stanno tramontando, spiazzati dal nuovo incedere di consapevolezze, o da enigmi cangianti, e differenti unità di misura.

La vecchia “forma” non soddisfa più. Anzi, produce malessere. Ma c’è attorno - appunto - tutto un sistema di aspettative, anche “spirituali”, o almeno “religiose” piuttosto conformiste.

Qual è il punto, se anche noi preti non siamo più rassicuranti? E cosa ne pensa Dio?

 

La messianicità di Cristo e la stessa Salvezza appartengono alla sfera della Fede e della Preghiera.

Sono gli ambiti dell'ascolto intimo, della percezione acuta, della fiduciosa accoglienza sponsale, e della spinta liberatrice.

Il Maestro stesso - fluido e concreto - non si è immerso nel sistema delle rigide aspettative sociali [reciproche] del suo tempo, e ha deciso di uscire dal “gruppo”.

Su questo punto Gesù sbotta contro la mediocrità e l’azione senza picchi - tutta prevedibile - dei suoi (vv.18-19) ed è costretto a riprendere da zero (vv.28-29).

Certo, forse anche agli altri manca la Fede creativa senza flessioni e turbillon, ma almeno lo riconoscono (v.24) e con estrema riservatezza desiderano essere aiutati, ben prima di farsi insegnanti altrui (v.14).

Talora proprio gli intimi del vero Maestro, forse ancora scarsamente esperti dei grandi segni di Dio, ricercano solo l’osanna dei ruoli, e consenso nella spettacolarità.

Tanto che «entrato Egli in casa» ossia nella sua Chiesa (v.28) deve ricominciare a fare catechismo base [forse pre-catechismo, proprio ai suoi capi].

Senza voler concedere alle turbe nessun festival d’avanspettacolo esterno, come probabilmente avrebbero fatto gli “intimi”.

 

Il brano è strutturato sulla falsariga delle prime liturgie catecumenali.

Il Signore vuole che le persone schiavizzate da pensieri normali, dall’ideologia di potere e dalla falsa religione vengano portate a Lui (v.19) ed esige la Fede di coloro che le guidano (vv.23-24).

Il principiante passa attraverso una revisione di vita che «contorce» e «conduce a terra».

Questo perché si può rimanere appunto plagiati da guide “spirituali” dirigiste, poco sagge, nascostamente manipolanti - malgrado inefficaci e sotto sotto insicure.

Poi è un vero strazio scoprire di essersi fin dall’infanzia (v.21) regolati su un modello mortificante - fatto di facili classificazioni, che però non realizzano, bensì disumanizzano.

Forse anche noi siamo stati condizionati da direttori poco accorti.

E solo con faticose, strazianti esperienze, abbiamo scoperto che proprio quanto ci era stato insegnato come sublime - e in grado di assicurarci comunione con Dio - era viceversa la prima causa del distacco da Lui, nonché da un’esistenza personale ed ecclesiale più armonica e colma.

 

Per essere liberato e risorgere a nuova vita (v.27) il candidato del cammino di Fede passa come attraverso una morte - sorta d’immersione battesimale, che affoga la sua antica formazione [di fatto] paganeggiante.

Al tempo di Mc molti parlavano di espulsione dei demoni.

Nella tipologia del nuovo Battesimo, la comunità di Roma voleva esprimere l’obbiettivo della Lieta Notizia dei Vangeli: aiutare le persone a levarsi su - liberandosi dalle paure condizionanti del male.

Non è quello il vero potere.

 

Nel brano, sordità e mutismo del fanciullo stanno a indicare la mancanza della «Parola» che si fa «evento» - vita incessante, crescente, in grado di tramutare la sorte segnata, standard, di “terra”.

Carenza che sussiste sia in mezzo al popolo disorientato che - purtroppo - in primis tra i discepoli, malati di protagonismo e unilateralità.

Lo stesso comportamento del giovane (vv.18.20.26) ricalca le modalità esistenziali di persone soggiogate da forze invincibili, perché autodistruttive - quindi in preda a lacerazioni ossessive, senza posa.

Contrarie alla quintessenza del carattere personale.

È una situazione appunto straziante: quella di chi scopre di essere stato ingannato da una religiosità di convincimenti troppo comuni - col trucco epidermico, persuasivo, delle direzioni di branco o di massa.

 

L’avvento del Regno di Dio significava sin d’allora la venuta d’un potere “interno” più forte dello stesso esercito romano, le cui legioni venivano usate appunto per mantenere situazioni d’oppressione civile, persino di timore religioso.

Anche oggi, tra le spinte che inducono malattie profonde [come un qualcosa che si è impadronito di noi] e la presenza del Messia, si scatena una lotta senza esclusione di colpi.

I due poli opposti non si sopportano; fanno scintille.

Ma la soluzione non è meravigliare le folle, né viceversa tentare di rifare cose che infine tornino a sacralizzare lo status quo.

Così, talora sembra che non siamo in condizione di avviare processi di guarigione autentica (v.18b).

Eppure il male non cede per miracolo e con clamore, né per forza o insistenza dell’uomo, bensì per sintonia e Dono (v.29). A partire da potenze-evento interne.

Ecco lo spazio dell’orazione-ascolto.

La preghiera fa uscire dai confini e pone in contatto con altre energie e sorprese di cui non ci si è accorti: virtù innate e della Grazia, le quali permettono di vedere ogni situazione con altri occhi, liberati.

 

Per le soluzioni che risolvono i veri problemi, da dentro, abbiamo bisogno costante non di regole conformiste, bensì di una nuova Lettura

Ecco lo sguardo dissimmetrico.

Dice il Tao Tê Ching (i): «Il Tao [modo di condursi] che può esser detto non è l’Eterno Tao. Il nome che può esser nominato, non è l’Eterno Nome». Commenta il maestro Wang Pi: «Un Tao effabile indica una pratica».

La nostra vita non si gioca sull’iniziativa di ciò che siamo già in grado di allestire e praticare - o interpretare, disegnare e prevedere (vv.14-19) - ma sull’Attenzione (v.29).

Il «monte» da smuovere [v. parallelo Mt 17,20 - cf. Mt 19,20ss; Mc10,20ss; Lc 18,21ss] non è fuori, ma dentro di noi.

In tal guisa, l’idea conformista che ci scoraggia, o tutti gli ostacoli (invece di nuocere) saranno preziose occasioni di crescita.

 

Saremo al centro della realtà d’Incarnazione: come un mettere la carne al fuoco.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come vivi i tuoi conflitti? Qual è la tua esperienza di guarigione?

 

 

Superare quel “qualcosa di incredulità”,

e “mettere la carne al fuoco”

 

I miracoli esistono ancora oggi. Ma per consentire al Signore di compierli c'è bisogno di una preghiera coraggiosa, capace di superare quel "qualcosa di incredulità" che alberga nel cuore di ogni uomo, anche se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve "mettere carne al fuoco", cioè coinvolgere la nostra persona e impegnare tutta la nostra vita, per superare l'incredulità [...]

Tornando all'episodio evangelico, il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: "Ma perché noi non abbiamo potuto cacciarlo? Questa specie di demoni, spiega Gesù, non si può cacciare in alcun modo se non con la preghiera". E il padre del fanciullo "ha detto: Credo Signore, aiuta la mia incredulità". La sua è stata "una preghiera forte; e questa preghiera, umile e forte, fa sì che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un'azione straordinaria - ha spiegato il Pontefice - deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo tutta la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco".

Il Pontefice ha poi raccontato un episodio avvenuto in Argentina: "Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di Luján". Una bambina di sette anni si era ammalata, ma i medici non trovavano la soluzione. Andava peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che non c'era più niente da fare e che le rimanevano poche ore di vita. "Il papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta la notte. Quest'uomo lottava con Dio. Lottava proprio con Dio per la guarigione della sua fanciulla. Poi alle sei di mattina è andato al terminal e ha preso il bus. È arrivato all'ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c'è niente... La terranno ancora solo due giorni. Ma non capiscono quello che è successo. E questo - ha commentato il Papa - succede ancora. I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un'Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega".

La preghiera fa miracoli, "ma - ha concluso Papa Francesco - dobbiamo crederlo. Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera, non una preghiera per cortesia, ma una preghiera con il cuore, e dirgli oggi per tutta la giornata: Credo Signore! Aiuta la mia incredulità. Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo, Signore. Ma aiuta la mia incredulità".

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 20-21/05/2013]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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