(Mt 8,23-27)
Excita, Domine, potentiam tuam, et veni
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni” – con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente […]
Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”. Anche oggi abbiamo motivi molteplici per associarci a questa preghiera […] Il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso.
Excita – la preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare. Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, Egli rimproverò i discepoli per la loro poca fede (cfr Mt 8,26 e par.). Voleva dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo.
[Papa Benedetto, alla Curia romana 20 dicembre 2010]
La nostra vita procede come su una barchetta sballottata da sismi. Andiamo speranzosi, ma talora le avversità rischiano di farci annegare, e con noi sembra trascinino giù tutta la vita.
Episodi che tuttavia fanno capire quanto vale l’amicizia di Cristo per noi e cosa ci trasmette.
Sperimentiamo infatti che solo il Signore vince lo spavento degli sconvolgimenti.
Ma lo fa senza precipitarsi, e privo di schemi assodati che lo inquadrino per sempre (sarebbe come farlo perire).
Se lo ospitiamo in modo semplice e schietto, ci rendiamo conto che esiste un altro regno, che ogni elemento è in suo potere.
Su tale onda divenuta vitale, tutto servirà per riattivarci - anche il vento contrario e le insidie del male.
L’Amico invisibile ci guida e realizza infallibilmente. E fa giungere a Riva. Approdo che è condizione definitiva.
Terraferma che la forza delle onde non può intaccare, neanche quando avessimo la sensazione di essere trascinati altrove dai flutti.
Usando parafrasi del libro dell’Esodo, Mt cerca di aiutare le sue comunità a comprendere il Mistero della Persona di Gesù.
Non pochi giudei convertiti ritenevano Cristo un personaggio tutto sommato in linea con la loro mentalità e tradizione, concorde con profezie e figure del Primo Testamento.
Altrove, alcuni pagani che avevano accettato il Signore propugnavano un’intesa con la mentalità mondana - una sorta di accordo fra Gesù e Impero.
Ma Chi poteva placare le tempeste?
La situazione delle minuscole famiglie cristiane di Galilea e Siria era ancora buia. Cristo pareva non del tutto presente, e il mare agitato, il vento contrario.
Si poteva ri-creare l’Esodo?
La Fede in Lui era scossa, non distesa. I discepoli non possedevano la medesima fiducia tranquilla del Maestro nei confronti del Padre.
Eppure, proprio nella condizione di pellegrini sballottati, nell’accostarsi alla sua Persona si faceva esperienza di una strana e diversa stabilità: il perdurare controcorrente.
Una traversata verso la libertà che proveniva dall’aggrapparsi al solo Gesù, nel caos delle sicurezze. Per una discorde permanenza.
Ancora oggi, è il cammino di crescita non abitudinario e critico che Lo svela in grado di manifestare la sua forza quieta, restituendo gli elementi sconvolti alla calma.
Il senso di marcia imposto da Gesù ai suoi sembra contromano, e infrange sfacciatamente le regole accettate da tutti.
Mentre i discepoli accarezzavano desideri nazionalisti, il Maestro inizia a far capire che Egli non è il Messia volgarmente atteso, restauratore del defunto impero di Davide o dei Cesari.
Il Regno di Dio è aperto a tutta l'umanità, che in quei tempi di sballottamento cercava sicurezze, accoglienza, punti di riferimento. Ciascuno poteva trovarvi casa e riparo (Mt 13,32c; Mc 4,32b).
Ma gli apostoli e i veterani di chiesa sembravano avversi alle proposte di Cristo; rimanevano insensibili a un’idea troppo larga di fraternità - che li spiazzava. È un problema ancora vivo e gravissimo.
L’insegnamento e richiamo imposto ai discepoli è quello di passare all’altra riva (Mc 4,35; Lc 8,22) ossia di non trattenere per sé.
Gli Apostoli hanno il compito di comunicare le ricchezze del Padre ai pagani, considerati impuri e malfamati.
Eppure proprio gli intimi del Maestro non ne volevano sapere di sproporzioni rischiose, che facessero effettivamente risaltare l’azione a maglie larghe del Figlio di Dio.
Erano volentieri tarati su consuetudini di religiosità comune, e un’ideologia di potere circoscritta.
La resistenza all’incarico divino nonché il dibattito interno lacerante che ne era derivato, già negli anni 70 aveva scatenato una grande tempesta nelle assemblee dei credenti.
«Ed ecco venne una grande agitazione nel mare, così che la barca veniva coperta dalle onde» (Mt 8,24).
La bufera riguardava i soli discepoli, unici sgomenti; non Gesù: «ma dormiva» (v.24c) [si tratta del Risorto].
Quel che accadeva “dentro” la barchetta della Chiesa non era il semplice riflesso di ciò che capitava “fuori”! Questo l’errore da correggere.
Anche per noi, tale identificazione può bloccare e rendere cronica la vita, proprio a partire dalla gestione delle situazioni emotivamente rilevanti - che hanno il loro senso.
Esse sempre recano un appello significativo, introducono un diverso occhio, introspezione, dialogo.
Insomma, dalla pace della condizione divina che domina il caos, il Signore richiama l’attenzione e rimprovera gli apostoli, accusandoli di non avere Fede.
Pur devoti, mancano d’un briciolo di rischio. Mancano d’amore - come un granello di senape (v.26) - da portare all’umanità per rinnovarla.
E noi credenti siamo ancora confusi, nell’imbarazzo? Tuttora infuria il caos degli schemi - non escluso l’egoismo, che inesorabilmente fa capolino?
Andiamo paradossalmente sulla strada dell’Esodo, dell’esperienza dei primi; “conoscenza” giusta, perché diretta. Unica avvertenza: non bisogna farsi prendere dal timore.
In Lui, eccoci intrisi d’una diversa visione del pericolo.
Dice il Tao Tê Ching (xxii): «Il santo non da sé vede, perciò è illuminato». Anche nelle strettoie.
In ogni tempo sembra infatti che Gesù voglia espressamente per gli apostoli i momenti scuri del confronto e del dubbio (Mc 4,35; Lc 8,22b). In primis saranno alcuni responsabili di chiesa, i chiamati a far pulizia da convinzioni ripetitive. Solo così il loro Annuncio non resterà tarato.
Infatti le attese da manuale (e l’abitudine ad allestire armonie conformiste) bloccano la fioritura di ciò che siamo e speriamo.
Soprattutto quel che è seccante o addirittura “contro” ha qualcosa di decisivo da dirci.
Anche nella barchetta delle assemblee [cf. Mc 4,36] il disagio deve esprimersi.
«E avvicinatisi lo svegliarono dicendo: Signore, salva, siamo perduti!» (v.25).
Il periglio è occasione per far rinascere l’essenza di ciascuno e della stessa comunità.
La prova introduce il cambiamento (nascosto o represso) e lo attiva nel modo più efficace.
La Novità viene dal naturale contatto con energie sottaciute, primordiali.
Più degli opposti attriti e degli eventi esterni in conflitto, l’ansia, l’impressione, l’angoscia, sorgono infatti dal timore stesso di affrontare le normali o decisive questioni dell’esistenza.
Ciò può accadere per sfiducia: sentendo il pericolo forse solo perché ci cogliamo intimamente poco cresciuti, e incapaci di altro colloquio; di scoprire e rielaborare, convertirci, o rimodulare.
La fatica di mettersi in discussione e la sofferenza che l’avventura della Fede riservano, sfumeranno anche tra i fastidi del mare mosso - che appunto non vuole farci tornare “quelli di prima”.
Basta sganciarsi dall’idea di stabilità, anche religiosa, e ascoltare la vita così com’è, abbracciandola.
Perfino nella sua folla di urti, amarezze, speranze di armonia infrante, dispiaceri - intrattenendosi con questa fiumana di nuove emergenze, e incontrando la propria natura profonda.
Il miglior vaccino contro gli affanni dell’avventura insieme a Cristo sulle onde mutevoli dell’inatteso. sarà proprio di non evitare a monte le preoccupazioni - anzi, andare loro incontro e accoglierle; riconoscersi, lasciarle fare.
Anche nel tempo della crisi globale, le apprensioni che sembra vogliano devastarci, vengono a noi come energie preparatorie di altre gioie che desiderano irrompere. Nuove sintonie cosmiche; per lo stupore a partire da noi stessi - e guida dell’aldilà.
La nostra barchetta è in una stabilità invertita, capovolta, non pareggiabile; incerta, sconveniente - eppure energica, pungente, capace di reinventarsi.
E sarà perfino eccessiva, ma dai dissesti.
Per una proposta di Tenerezza (non corrispondente) che non è zona relax, perché fa rima con ansia terribile e... ancora disattese periferie!
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In quali occasioni hai trovato facile ciò che prima sembrava impossibile? Alzi mai la voce con Gesù? Con quale Nome ti si è rivelato? Con quale titolo lo definiresti? Hai attraversato acque che non prevedevi nei tuoi piani e propositi? Chi ha calmato le tue tempeste? Come vivi l’armonia?
Qualche altra provvidenza, che tu ignori
«È bene non cadere, oppure cadere e risollevarsi. E se accade di cadere, è bene non disperare e non rendersi estranei all’amore che il Sovrano ha per l’uomo. Se lo vuole può infatti fare misericordia alla nostra debolezza. Soltanto non allontaniamoci da lui, non sentiamoci angustiati se siamo forzati dai comandamenti e non avviliamoci se non arriviamo a niente (…).
Non dobbiamo né aver fretta né ripiegarci, ma sempre ricominciare di nuovo (…).
Aspettalo, ed egli ti farà misericordia, sia con la conversione sia con delle prove, sia con qualche altra provvidenza che tu ignori».
[Pietro Damasceno, libro secondo, ottavo discorso, in La Filocalia, Torino 1982, I,94]