Incapaci di peccato
(At 2,1-11)
Pentecoste è la festa del Dono, semplicemente. Il linguaggio di Atti degli Apostoli è piuttosto impressionante e colorito: infarcisce l’evento con prodigi simbolici che è bene decifrare.
Tuoni, folgori, vento e fuoco erano le immagini che avevano accompagnato la rivelazione della legge antica. Con esse Lc vuol sottolineare la potenza del mondo avvenire.
I rabbini sostenevano che sul Sinai le Parole di Dio avevano preso forma di settanta lingue di fuoco - a dire che l’intera Torah era destinata alle moltitudini, anche ai pagani.
Secondo interpretazione tradizionale, le Parole divine si erano rese visibili [«il popolo vedeva le voci»; testo ebraico] sotto forma di fiamme che avevano scolpito le tavole di pietra preparate da Mosè (Es 20,18).
Su tale sfondo, Lc intende presentare il dono della nuova Legge - quella dello Spirito - e impiega le medesime icone bibliche per farsi capire, non per raccontare cronache di dettaglio.
Le figure vigorose suggeriscono un’esplosione potente, che butta all’aria tutta la vita - questo il punto.
Ciò a dire: per una liberazione radicale dalle vecchie strutture che mascheravano il peccato e (troppe) doppiezze, ossessioni o quietismi, deve giungere lo Spirito divino.
Solo la sua forza inattesa e sconvolgente può cambiare la faccia della terra e far nascere trasformazioni radicali.
Impossibile ottenerlo autenticamente, generando qualsiasi rivolgimento a partire dal limite del nostro genio e muscoli.
È fuori dalle nostre capacità far cadere condizionamenti, barriere ataviche, e attivare la Novità poliedrica di Dio che ci umanizza.
Solo una Relazione fondante può ad es. convincere che le iniziative coraggiose e il trionfo della vita passano attraverso una forma di morte. Morte del pensiero comune, del mondo antico, di condizionamenti e mode - e del vuoto di se-stessi-a-modo.
Un’opera essenziale - per incontrare la molteplicità dei volti; propri e altrui.
Le “molte lingue parlate” stanno appunto a indicare l’universalismo ora graffiante del messaggio di Cristo e della sua Chiesa.
Il Dono viene da una Presenza ‘dentro’ noi e gli accadimenti. Ma è destinato appunto alle moltitudini, senza più barriere.
Il disastro di Babele è redento sia dall’alto che dal basso, perché qui e ora le difformità diventano risorse preziose.
Chi si lascia guidare dallo Spirito recupera le tante sfaccettature, anche dei [personali e non] lati in ombra.
In tal guisa si esprime nella lingua che tutti intendono: la Comunione, convivialità delle differenze.
È l’amore che fa tesoro di tutto e riunisce tutti (vv.7-11) facendo sparire le fissazioni idolatriche della religione selettiva - quella delle purità dalle sfumature individualiste o etniche; idolatrie legate all’estrazione culturale.
Tutti gli autori del Nuovo Testamento partono dalla realtà della presenza dello Spirito; Lc osa invece ‘descriverla’.
La discesa dello Spirito è dunque collocata nel giorno di Pentecoste, cinquanta giorni dalla Pasqua.
Ma in Gv (20,22) Gesù comunica lo Spirito che anima i credenti e la Chiesa… il medesimo giorno della Risurrezione.
Come la stessa liturgia propone nei suoi segni ed espressioni simboliche, il Mistero della Pasqua è Uno.
A dirla tutta: il Crocifisso «consegnò lo Spirito» già dalla Croce (Gv 19,30).
Lc descrive il denso significato dell’unico Mistero-realtà pasquale in tre “momenti”-aspetti successivi di maturazione dei discepoli.
Essi diventano ‘apostoli’ [Risurrezione, Ascensione, Pentecoste] non per trasmetterci una cronaca di fatti particolari, bensì per aiutare a comprenderne il rilievo e i molteplici aspetti.
Gv invece colloca la consegna dello Spirito dalla Croce e nella sera di Pasqua, per evidenziarlo quale Dono globale del Crocifisso Risorto.
L’autore di At pone emblematicamente tale portato nel giorno di Pentecoste, per sottolineare il rapporto e distacco dalla festività ebraica.
Festa che però forniva uno scenario perfetto: era festa di pellegrinaggio che richiamava in Gerusalemme ebrei sia palestinesi che della diaspora.
Le origini “ufficiali” della Comunità resa consapevole del suo compito di «Inviata in uscita» si alimentava - in più - d’un sottile riferimento allo Spirito della Creazione.
L’alito della Ruah - Spirito divino [in ebraico di genere femminile] diventa il soffio vitale e vento impetuoso che investe la «Casa» (v.2) rigenerando e costringendo i timorosi seguaci, ancora seduti al Tempio (Lc 24,53).
L’antica Pentecoste celebrava l’arrivo del popolo al monte Sinai e il dono della Legge [che teologizzava la festa agricola del ringraziamento per la raccolta del frumento, la quale a sua volta concludeva il ciclo della natura rinascente che aveva avuto inizio a Pasqua e precedeva la festa delle Capanne poi svolta in occasione della grande raccolta d’autunno; nella tradizione dei pastori, la Pasqua era una teologizzazione del rito apotropaico del sacrificio d’un agnello per propiziarsi l’esito della transumanza primaverile, mentre Pentecoste la sua festa conclusiva sulle alture e che precedeva il ritorno agli ovili nell’autunno successivo].
Lc vuole insegnare che lo Spirito ha sostituito la Torah: è divenuto la nuova norma di comportamento e l’unico criterio non esteriore di comunione con Dio.
L’autore evoca la tradizionale festa ebraica, quasi per comparazione - onde segnare il suo compimento-pienezza. Ma come la Pasqua, anche Pentecoste è tesa all’avvenire.
L’evangelista vuol dimostrare l’ampiezza della destinazione dello Spirito su «dodici» regioni diverse, veicolata dal fuoco della Parola (v.3) la quale abilitava all’Annuncio verso tutte le nazioni sulla terra.
Ma anzitutto Lc ha come intento di farne comprendere la reale incisività.
L’autore del terzo Vangelo e di At si rende conto che per ottenere opere di giustizia e amore, agli uomini non basta indicare la strada giusta.
È l’Eterno stesso che deve diventare Soggetto affidabile della storia, unico propulsore della vita.
Pertanto, Dio ha dovuto cambiare il nostro cuore: precetti e consigli non sono sufficienti a modificare l’istinto profondo di persone e popoli.
La normativa esterna ci fa solo diventare epidermici: non coglie l’intimo, non convince il cuore.
Ogni azione genuina è espressione d’una adesione profonda, d’un desiderio dell’anima, di un impulso intimo coinvolgente.
La legge dello Spirito è una sorta di fantasia al potere, ma non sta al di fuori, né richiede in sé alcuno sforzo contromano con il proprio carattere - in radice.
Il «cuore nuovo» è la vita stessa di Dio che entra in noi per trasformarci, non in termini moralistici o di modello - bensì dilatando l’esistenza in modo genuino, a partire dal seme, dal nostro nucleo.
Quando la Vita dell’Eterno pulsa nell’anima di chiunque, spontaneamente manifesta Dio nella storia degli uomini.
E produce le sue opere vitali - con un’azione impensabile, trasmutandoci da rovi in alberi fecondi.
Senza più artificio e doppiezza, il nostro deserto incerto diventa giardino.
Addirittura iniziamo ad amare con la qualità d’amore stessa di Dio - talora senza neanche il proposito e la disciplina, o la stessa consapevolezza di volerlo fare.
Da quando lo Spirito prende dimora in qualsiasi donna o uomo, essi non hanno più bisogno di farsi ammaestrare dall’opinione altrui: possono finalmente essere se stessi.
«E questa è la Promessa che Egli ci ha fatto: la Vita dell’Eterno. Questo vi ho scritto riguardo a coloro che cercano d’ingannarvi. E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca . Ma come la sua unzione v’insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così ora rimanete in Lui com’essa vi ha istruito» (1Gv 2,25-27).
Tutto quanto resta esterno o lontano, svapora, e senza fatica perde consistenza.
Ciò perché non c’è più legge o pensiero cerebrale che tenga, né obblighi di contorno alcuno.
Diventiamo «incapaci di peccato»: siamo passati dal senso religioso che intimidiva e rendeva proni, alla dignità piena della Fede.
«Chiunque è nato da Dio non commette peccato perché in lui dimora un germe divino e non può peccare, perché è nato da Dio» (1Gv 3,9).