Ott 4, 2025 Scritto da 

Prossimità di Dio, corporeità della Fede

Gloria straniera (o cultura religiosa che partorisce modelli e schiavi)

(Lc 17,11-19)

 

L’impuro doveva stare fuori dai piedi: tutto ciò che era diverso dal pensiero dominante veniva scalzato.

Secondo lo schema religioso antico, i luoghi degli “infetti” erano considerati pari a cimiteri.

Le malattie erano immaginate come castighi per le inadempienze.

Ma la lebbra - morbo che corrode dentro - era il simbolo stesso del peccato [tuttavia qui sembrano proprio gli osservanti l’immagine ambulante della morte].

L’eventuale guarigione era valutata al pari d’una miracolosa risuscitazione.

E prima d’essere riammessi in società bisognava espiare tutte le colpe (supposte).

Gesù sostituisce la globalità snervante di queste trafile arcano-superstiziose con un semplicissimo percorso in uscita.

Così distrugge la devozione idolatrica arcaica, scaramantica, soppiantandola con una proposta di vita reale.

 

Il passo è esclusivo di Lc ma in tutti i Vangeli il termine «villaggio» ha connotati fortemente negativi.

«Villaggi» sono i luoghi in cui il Signore non viene accolto. Lì non c’è posto per il nuovo, e se attecchisce diventa tradizione obbligante.

Sono territori e paludi della riduzione, della conferma cocciuta, del voler riprodurre pensieri consolidati e imporre costumi più o meno serafici a chicchessia. Li conosciamo.

Nella Chiesa la mentalità del «villaggio» è quella della certezza a tutti i costi.

Convinzione ipica di chi si ritiene sacralmente corretto e abilitato a emarginare, scacciare, rifiutare, tenere lontano, non prendere in considerazione.

 

Il brano ha diversi livelli di lettura.

Il Maestro cammina con gli Apostoli e si rivolge loro (Lc 17,1-11) ma d’improvviso sembra trovarsi solo (v.12). Come se i “lebbrosi del villaggio” non fossero che i suoi [a quel tempo nessun affetto dalla malattia poteva dimorare in luoghi residenziali].

L’impurità contratta dai discepoli conclamati e anche da noi oggi dipende proprio dalla condizione guasta, di scadimento e corruzione dell’ambiente ridotto e infetto.

Quest’ultimo rende impossibile la rigenerazione - perché in esso gli stessi seguaci (che paiono intimi) talora si chiudono, tutti raggruppati.

I dieci lebbrosi ci rappresentano.

Lo stesso numero indica una totalità (come le dita).

Ma proprio qui, se veniamo almeno resi coscienti della separazione dalla realizzazione del nostro volto, ecco il primo passo per un coinvolgimento personale col Signore.

 

Tutti abbiamo segni di non-vita.

Chi si ritiene arrivato e indenne da patologie alza steccati per proteggere sé e il proprio mondo, ma resta lì, impacciato.

Quando viceversa tocca con mano che lo sviluppo non è ancora fiorito, scatta un senso di tolleranza verso il prossimo, e la molla personale che sorvola adesioni vuote, intimiste, o coartate.

Anche nelle prime assemblee dei chiamati a essere figli e fratelli, talora si manifestava una mentalità autocompiaciuta e isolazionista nei confronti dei pagani che si presentavano alla soglia delle comunità.

I nuovi - passati ai raggi x dai veterani che non sopportavano differenti specificità - gridavano appellandosi direttamente al Cristo stesso.

Scattava la domanda - tutta attuale:

«Tu che stai a capo [v.13 testo greco], Tu che comandi la chiesa, cosa pensi dei tuoi? Cosa dici di questa mentalità da villaggio?»

«I primi che si credono in diritto di scansare gli altri, davvero hanno titolo per farlo?»

«Il Padre che annunciavi è ridiventato esattamente come il Dio arcigno delle religioni?».

 

Infatti i “lebbrosi” non chiedono guarigione, bensì compassione.

Insomma, il Richiamo è “interno”.

Ciò significa che sono proprio i fenomeni del ruolo o ministero acquisito - forse colonialista - che dovrebbero farsi sanare.

Condizionati da false guide, non di rado anche noi approcciamo Cristo in modo astruso, sbagliato: chiedendogli «Pietà».

All’Amico o a un Padre non si chiede «Pietà».

Per questo Gesù è netto. Chi si ritiene immondo o vuol essere commiserato deve andare altrove, rivolgersi alla religione ufficiale.

Ognuno è completo, e lo si vede nella scelta dello straniero che da solo capisce e torna a Cristo.

Nessuno ha bisogno di mettersi in castigo, sottomettendosi a protocolli conformisti.

Ma allora erano i sacerdoti del Tempio a verificare e decidere se il già guarito (!) potesse venire riammesso in società.

 

Insomma, tutti noi peccatori siamo resi puri non da miracoli che scendono come fulmini, ma nell’Esodo.

Tragitto che smuove dall’ambiente putrido e ammalorato - ben prima che qualcuno controlli, faccia raccomandazioni banali, e detti il ritmo di praticucce a postilla.

È solo il «villaggio» che ci fa - e considera - impuri… perché non gli assomigliamo!

Basta uscire da pensieri e costumanze ghettizzanti per acquistare serenità e motivazioni: non ci sentiremo più dei rifiutati e additati.

Scopriremo noi stessi e il Dio-con.

Egli ci ha fatti così per una Missione speciale; non ricalcata su prototipi da copiare come fossimo idioti: bensì figli sommamente amabili.

Il Padre ci vede perfetti, e a suo tempo farà sorgere perle sbalorditive proprio dalle nostre supposte o intruse indegnità.

Inadeguatezze al “villaggio”, che compongono e completano il bagaglio della nostra preziosa personalità, e irripetibile Vocazione.

 

Guarda caso, ci realizziamo spiritualmente solo valicando gli steccati “culturali” locali.

Anche non obbedendo a ordini, ma trasgredendoli (vv.14ss.)!

In tal guisa, Gesù non contempla inquisitori.

Dobbiamo lasciarci controllare unicamente dallo Spirito, che già ci anima.

È questione risolutiva. Infatti: il senso del testo non riguarda i ringraziamenti da fare!

Gesù non si rattrista perché verifica una mancanza di riconoscenza e buone maniere, bensì per il fatto che solo uno straniero dà «gloria a Dio» (v.15).

Ossia: lo riconosce suo Signore personale - in un rapporto, appunto, senza mediazioni.

Quel personale «fare-Eucaristia» […] «e cadde sulla faccia presso i suoi piedi» (v.16 testo greco) ha un significato forte, sponsale, di perfetta reciprocità nel Cammino.

Tutto nell’orizzonte di una scelta cruciale - non paciosa, né pacata e buonista, ma dirimente - fra vita di qualità esclusiva, o morte.

 

Pur emarginati dai “recinti sacri” del Tempio nella Città Santa - proprio i lontani e rifiutati (considerati bastardi e nemici) capiscono immediatamente ciò che non sfigura il volto della loro umanità.

Qui Lc cita il termine alloghenès (v.18) scolpito a caratteri cubitali nelle tavolette affisse sul primo dei parapetti interni del Santuario di Gerusalemme [quello che sotto pena di morte impediva la partecipazione dei pagani al sacrificio cultuale ebraico].

Ma a ben guardare, nel terzo Vangelo i modelli della Fede sono tutti “estranei”: centurione, prostituta, emorroissa, cieco, così via.

Essi percepiscono subito i segni della Vita, segni di Dio!

Altri più insediati o attratti dalle normalità si accontentano di farsi reintegrare nella pratica religiosa vetusta e comune, tornando alle solite cose impersonali, e al culto di massa.

 

Eppure, chi si riadatta all’andazzo di tutti, si fa asservire; perde traccia di sé e del Cristo (v.17).

Costui ridiventa schiavo della mentalità allineata, convenzionalista; non vagliata - e succube della ‘permanenza’.

Secondo l’enciclica Fratelli Tutti la custodia delle differenze è il criterio della vera fraternità, che non annienta i picchi estroversi.

Infatti perfino in un rapporto d’amore profondo e coesistenza «c’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali» [Amoris Laetitia, n.139].

Ancora Papa Francesco:

«Mentre la Solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la Fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse» [Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, 24/04/2017].

 

Insomma, percorrendo con ottimismo e speranza la nostra personalissima Via, giungiamo incontro al Cristo vivo; non al vociare del Tempio [antico o alla moda].

Esso non manda più messaggi preziosi; solo annota. Batte in testa, ma non tocca dentro.

C’intrappolerà in una rete di pensieri prevedibili, sorveglianze nemiche, costumi indotti; così via.

Domesticazioni prive d’affinità con vicende di peso specifico - senza il passo alleato delle persone d’una cultura e sensibilità particolari.

Coloro che stanno sanando il mondo.

 

Malgrado l’appartenenza esibita, dietro sacre quinte ufficiali, i rapporti spesso si allentano; non rigenerano.

In quei territori spesso vengono partoriti modelli e prototipi, codici e brevetti, ottusità di meschini primattori - figurini della ristrettezza.

Invece, se riconosciuta [come ad es. nel caso del samaritano] una Presenza a nostro favore ci fa ritrovare, scoprire, e capire.

Essa procede impareggiabile attraversando tutti i nostri stati d’animo - senza più rimorsi verso i doveri che non ci appartengono.

Tale Amicizia fa recuperare i punti fermi dei codici umani davvero intimi, potenziando - fuori le righe - sia il sistema di riconoscimento di noi stessi che il modo autentico e irripetibile di onorare Dio nei fratelli.

Non più privilegio esclusivo di eletti e migliori… tutti non decisivi.

 

Circa l’essenziale disponibilità divina a cogliere le differenze come ricchezza, ricordiamo l’insegnamento del maestro sufi Ibn Ata Allah, che sosteneva l’immediatezza senza eguali del Colloquio personale - dove sapienza dell’analisi ed esperienza dell’ebbrezza si congiungono:

«Egli fa giungere su di te l’illuminazione perché per mezzo di essa tu giunga a Lui; la fa giungere su di te per toglierti dalla mano degli altri; la fa giungere su di te per liberarti dalla schiavitù delle creature; la fa giungere su di te per farti uscire dalla prigione della tua esistenza verso il cielo della contemplazione di Lui».

 

Vita nuova, piena, definitiva.

Le persone di Fede staccano dall’identità religiosa esterna: sognano, amano e inventano strade; deviano e non seguono un percorso già tracciato.

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Those living beside us, who may be scorned and sidelined because they are foreigners, can instead teach us how to walk on the path that the Lord wishes (Pope Francis)
Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole (Papa Francesco)
Many saints experienced the night of faith and God’s silence — when we knock and God does not respond — and these saints were persevering (Pope Francis)
Tanti santi e sante hanno sperimentato la notte della fede e il silenzio di Dio – quando noi bussiamo e Dio non risponde – e questi santi sono stati perseveranti (Papa Francesco)
In some passages of Scripture it seems to be first and foremost Jesus’ prayer, his intimacy with the Father, that governs everything (Pope Francis)
In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto (Papa Francesco)
It is necessary to know how to be silent, to create spaces of solitude or, better still, of meeting reserved for intimacy with the Lord. It is necessary to know how to contemplate. Today's man feels a great need not to limit himself to pure material concerns, and instead to supplement his technical culture with superior and detoxifying inputs from the world of the spirit [John Paul II]
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito [Giovanni Paolo II]
This can only take place on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings (Pope Benedict)
Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento (Papa Benedetto)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
We are faced with the «drama of the resistance to become saved persons» (Pope Francis)
Siamo davanti al «dramma della resistenza a essere salvati» (Papa Francesco)
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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