Ma può partecipare al rito?
(Lc 5,27-32)
«Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza».
[Papa Benedetto, Udienza Generale 30 agosto 2006]
Nell’epoca in cui Lc redige il suo Vangelo (subito dopo metà anni 80) la comunità di pagani convertiti a Cristo di Efeso era pervasa da vive tentazioni e segnata da defezioni.
In aggiunta, nel dibattito interno di chiesa sorge un interrogativo sul genere di partecipazione ammissibile alle riunioni, e lo Spezzare il Pane.
L’evangelista narra l’episodio di «Levi», evitando di chiamarlo semplicemente Matteo - quasi ad accentuare la sua derivazione, semitica e paradossalmente cultuale.
Così Lc vuole descrivere come Gesù stesso aveva affrontato il medesimo conflitto: senz’alcuna attenzione rituale o sacrale, se non all’uomo.
Insomma, secondo il Maestro, nel cammino di Fede il rapporto coi lontani e diversi, e i nostri stessi disagi o abissi reconditi, hanno qualcosa da dirci.
Il Padre è Presenza amica. La sua iniziativa di vita salvata è per tutti, anche per chi non sa far altro che badare ai suoi registri.
Ciò sminuisce e supera l’ossessione di peccato che le religioni ritenevano barriera insuperabile per la comunione con Dio - marchiando la vita.
La Lieta Notizia di tale pericope è che la Comunione non è gratificazione, né un riconoscimento.
L’Eucaristia (v.29) non è un premio per i meriti (v.30), né un discrimine a favore di emarginazioni sacrali o adultoidi.
Mangiare insieme era segno di condivisione preziosa, anche sul piano religioso. Così, nei conviti gli osservanti evitavano il contatto con i membri ritenuti peccatori.
Tutti invece sono chiamati e ciascuno può rinascere, addirittura superando i puri.
Quindi mettersi fra i peccatori non è una disfatta, bensì verità. E il peccato stesso non è più solo una deviazione da correggere.
Per questo la figura del nuovo Maestro toccava il cuore della gente: portava il segno della Grazia; la comunione ai perduti e colpevoli.
Ma con tali gesti il Figlio sembrava si mettesse al posto di Dio (v.30).
Insomma, il Padre ci coglie senza steccati, nel punto in cui siamo: non bada alla condizione sociale e alla provenienza.
Fra i discepoli è probabile che ci fossero non pochi membri della resistenza palestinese, che avversavano gli occupanti romani.
Per contro, qui Gesù chiama un collaborazionista, e che si lasciava guidare dal vantaggio.
Come dire: la Comunità nuova dei figli e fratelli non coltiva privilegi, separazioni, oppressioni, odi.
Il Maestro si è sempre tenuto al di sopra degli urti politici, delle distinzioni ideologiche e delle dispute corrive del suo tempo.
Nella sua Chiesa c’è un segno forte di discontinuità con le religioni: la proibizione dev’essere sostituita dall’amicizia.
Gli stessi apostoli non furono chiamati alla medesima e rigorosa prassi di segregazione e divisione tipica delle credenze etnico-puriste, che vigeva attorno a loro [e si credeva rispecchiasse l’ordine stabilito da Dio sulla terra].
Ancora oggi il Signore non invita alla sequela i migliori o i peggiori, ma gli opposti. Principio che vale anche per la vita intima.
Il recupero di lati contrapposti anche della nostra personalità, ci dispone «a conversione» (v.32): non a riassestare il mondo del Tempio, ma a farci cambiare punto di vista, mentalità, princìpi, modo di essere.
Non è la perfezione religiosa che fa amare l’esodo.
Insomma, la proibizione dev’essere sostituita dall’amicizia. L’intransigenza va soppiantata dall’indulgenza; la durezza dalla condiscendenza.
In tale avventura non siamo chiamati a forme di dissociazione: si parte da se stessi.
Così giungiamo senza isterismi alle microrelazioni - e senza cariche ideologiche, alla mentalità corrente anche devota.
Mai più mète fasulle, obbiettivi superficiali, ossessioni e ragionamenti inutili, né abitudini meccaniche, antiche o altrui, mai rielaborate in sé.
Con a monte tale esperienza di scavo e immedesimazione interiore, donne e uomini di Fede devono condividere la vita con chiunque - persino coi noti trasgressori come il pubblicano, rivedendosi in loro.
E deponendo gli artifici: senza prima pretendere patente alcuna, né lunghe discipline dell’arcano o pie pratiche che celebrino distacchi [come le abluzioni che precedevano il pasto].
Nel testo parallelo di Mt 9,9-13 l’esattore è chiamato esplicitamente per nome: Matteo, a sottolineare i medesimi contenuti e l’identico richiamo verso le assemblee di credenti.
Matathiah significa «uomo di Dio», «dato da Dio»; precisamente «Dono di Dio» (Matath-Yah) [malgrado la rabbia delle autorità ufficiali].
Secondo l’insegnamento diretto dello stesso Gesù - persino nei confronti di uno degli apostoli - l’unica impurità è quella di non dare spazio a chi lo chiede perché non ne ha.
Il Signore vuole comunione integrale coi peccatori, e che li si tratti da fratelli - membri a pieno titolo della stessa Famiglia di Dio - non a motivo d’una banalità buonista: è l’invito a riconoscersi.
Non per sottometterci a qualche paternalismo umiliante, ma perché lasciarsi trasformare da poveri o ricchi in signori, è una risorsa.
«E Levi fece un gran banchetto per lui nella sua casa; e c’era molta folla di pubblicani e di altri che erano adagiati [a mensa] con loro» (Lc 5,29 testo greco).
«Erano adagiati»: secondo il modo di celebrare i banchetti solenni, da parte degli uomini liberi - ormai tutti liberi.
Che meraviglia, un ostensorio del genere! Un Corpo vivo di Cristo che profuma di concreta Unione, convivialità delle differenze - non di respingimenti artificiosi, per trasgressione!
È questa tutta empatica e regale la bella consapevolezza che spiana e rende credibile il contenuto dell’Annuncio (v.31) - sebbene urti la suscettibilità dei maestri ufficiali.
D’ora in poi, la ripartizione fra credenti o meno sarà assai più umanizzante che fra “rinati” e non, o puri e impuri.
Tutta un’altra caratura - principio di una vita da salvati che si dispiega e straripa oltre i vari club [all’antica o patinati che siano].
Cristo chiama, accoglie e redime anche il Levi in noi, ossia il lato più rubricista - o logoro - della nostra personalità.
Anche il nostro carattere insopportabile o giustamente odiato: quello rigido e quello - altrettanto nostro - da gabelliere.
Reintegrando i versanti opposti, li farà addirittura fiorire: diverranno aspetti inclusivi, irrinunciabili, alleati e intimamente vincenti della futura testimonianza, potenziata d’amore genuino.
Essere considerati forti, capaci di comandare, osservanti, eccellenti, incontaminati, magnifici, performanti, straordinari, gloriosi, indefettibili… danneggia le persone.
Ci mette una maschera, rende unilaterali; toglie la comprensione.
Fa galleggiare il personaggio in cui siamo seduti, al di sopra della realtà.
Per la crescita e fioritura di ciascuno, più importante di vincere sempre è imparare ad accogliere, cedere fino a capitolare; farsi considerare manchevoli, inadeguati.
Dice il Tao Tê Ching [XLV]: «La grande dirittura è come sinuosità, la grande abilità è come inettitudine, la grande eloquenza è come balbettio».
La norma artificiosa (purtroppo, talora anche la guida poco accorta) ci fa vivere in funzione del successo e della gloria esterna, ottenuta attraverso compartimenti.
Gesù inaugura un nuovo tipo di relazioni, e “patti” di feconde divergenze - un’Alleanza Nuova, anche dentro noi.
Qui Crea tutto la sola Parola «Segui Me» (v.14) [non “altri”].
Pertanto, in questa Quaresima possiamo mettere fra parentesi l’idea scontata di purità, e le appartenenze.
Tutto ciò per contare solo su Dio, rompere le barriere, metterci al banchetto degli emarginati (dall’ordine “adeguato” stabilito sulla terra).
E fare festa.
La Sapienza del Maestro e l’arte poliedrica della Natura [appena esemplificata nella saggezza cristallina del Tao] conducono tutti a essere incisivi e umani.
Non è la perfezione che ci fa amare l’esodo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è il tuo punto di forza spirituale e umana? Come si è generato?