(Mc 8,22-26)
L’enciclica Fratelli Tutti invita a uno sguardo prospettico, che suscita la decisione e l’azione: un occhio nuovo, colmo di Speranza.
Essa «ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive. Ci parla di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore. [...] La speranza è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa» [n.55; da un Saluto ai giovani de L’Avana, settembre 2015].
In questa sezione di Mc è descritta l’iniziazione della Fede; in filigrana, l’istradamento alla relazione con Cristo che ci toglie le difficoltà di “vista”, e i passi tipici delle prime liturgie battesimali.
Il contesto generale del brano fa comprendere che l’episodio prelude una lunga istruzione di Gesù.
Egli per tre volte annuncia la sua Passione a Pietro e ai discepoli, riottosi nell’impegno della Croce.
Il Maestro insiste - non per rincarare la dose e logorare i suoi intimi.
[Come anche riconosce il Tao Tê Ching (xxxiii): «Ha vita perenne ciò che muore però non perisce»].
Quando Mc scrive, la situazione delle comunità non era facile. Si sperimentava molta sofferenza: non risultava così semplice comprendere tante pene.
Nel 64 Nerone decretò la prima grande persecuzione, che produsse molte vittime fra i credenti.
L’anno successivo scoppiava la rivolta giudaica, che aveva fatto scattare la riconquista sanguinosa della Palestina a partire dalla Galilea.
Nel frattempo, a Roma i torbidi della sanguinosa guerra civile (68-69) stavano sgretolando l’idea dell’età dell’oro e recando piuttosto molte angustie.
Infine la città santa, Gerusalemme, veniva rasa al suolo (70).
E malgrado Tito fosse tornato a Roma, la guerra si stava protraendo in altri focolai, sino alla caduta di Masada (74).
In tale quadro, fuori dalla Palestina sorgevano forti tensioni tra giudei convertiti al Signore e giudei osservanti, e la maggiore difficoltà era sulla interpretazione della Croce di Gesù.
Per i tradizionalisti - e in un primo tempo per gli stessi apostoli - uno sconfitto e umiliato non poteva essere il Messia atteso.
La stessa Torah affermava che tutti i crocifissi dovevano essere considerati “maledetti da Dio” [cf. Dt 21,22-23: «l’appeso è una maledizione di Dio»].
Proprio in detto contesto, Mc sembra alludere che… i veri ciechi sono Pietro e gli apostoli stessi, condizionati dalla propaganda del Messia Re glorioso, nonché i giudaizzanti.
Tutti volevano un Monarca trionfatore. Ma erano come non-vedenti che non capivano nulla, se non la propaganda facile e appariscente - nonché il mondo organizzato sulla base dell’egoismo.
Per guarire la cecità dei suoi “dirigenti” o dei semplici membri di comunità ancora incertissimi, il Figlio doveva condurli «fuori dal villaggio» - luogo delle solite, antiche credenze illusorie.
E proibire ai suoi intimi di rientrarvi: lì nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere il valore del dono di sé nella vita ordinaria o nella convivenza di assemblea, testimonianze di Dio (vv.23.26).
Sin dalle origini l’avviamento alla Fede comprendeva rito e Parola nuova.
Quest’ultima rivelava appieno il significato delle prime liturgie - protese verso una trasformazione che toccasse in concreto tutto l’uomo.
Erano coinvolti mente e cuore, spirito e sensi, individuo e comunità - per una visione chiara del senso della vita.
Nella lingua del Primo Testamento, Parola ed evento attivo si esprimono in un solo termine: «Dabar».
Qui visione e ascolto coincidono in un solo processo di percezione, assimilazione, interiorizzazione e sintonia, quindi azione.
Tutto in Cristo e in noi si offre ai sensi e all’intelligenza.
Pare appunto di vedere un catecumeno che viene - come si diceva - «illuminato», ossia strappato dal disorientamento d’una vita paganeggiante.
Il candidato era introdotto nella nuova solarità della Fede: progressivamente “iniziato” alla Persona di Cristo, alle esigenze della Comunione e della Missione.
Lo stesso del «cieco di Betsaida» è capitato pressoché a tutti.
Lanciati i primi contatti informali con Gesù, anche noi abbiamo esordito percependo qualcosa, forse in modo dapprima confuso…
Come da bambini, tracciavamo “disegni” - e sulle prime non sapevamo ben delineare le differenze, neppure i profili di massima dei volumi circostanti.
Solo quando il rapporto si è interiorizzato e consolidato siamo passati dai barlumi a una maggiore chiarezza, imparando a capire persone, tematiche, realtà.
È stato e continua ad essere un “prodigio” tutto da assimilare, che si adatta poco a poco al corso naturale.
Ciò sebbene non si limiti a un aggiornamento di formule culturali, ma giunga infine a “compromettere” il testimone.
Un «segno» (direbbe Gv) di realtà maggiori, un segnale di cose mirabili - se vogliamo.
Un’opera potente, ma che si dispiega in un processo evolutivo di conoscenza di sé e degli altri, di apprendimento esistenziale, e fioritura nelle facoltà.
[Non si parla di scienza infusa; né di «mirabilia Dei» in senso antico, ossia d’una meraviglia vistosamente immediata. Come fosse un’impresa incredibile, eccezionale, irripetibile, clamorosa (e fortuita - o estremamente difficoltosa e stentata). Per convincere solo qualcuno e in modo perentorio].
Elemento di Rivelazione essenziale delle sacre Scritture - comparate ad altri testi religiosi del mondo antico - è il cosmo demitizzato, a misura umana.
I problemi sono ricondotti alla dialettica della nostra scelta fra morte e vita, nonché alla capacità di accogliere una Vocazione nella Vocazione.
Passaggi e metamorfosi servono a non pietrificare la vita. Partoriscono novità provvidenziali alla donna e all’uomo, alla storia e sensibilità.
Aprendo lo sguardo, sgretoliamo convincimenti inutili; spalanchiamo l’attitudine all’ascolto del rinnovamento proposto.
Anzi, vedere ciò che prima non si era mai notato fa parte del processo che conduce dall’oscurità alla Fede.
Per essere infine illuminati abbiamo dovuto accettare che il dono di Dio venisse introdotto attraverso l'identità di vita nel Figlio, che spinge ad altre nascite.
Il Signore ha sanato lo sguardo facendoci crescere nel tempo. Un “portento” che si è fatto recupero anche naturale.
Il contatto col Signore che apre gli occhi e fa scrutare sempre meglio avviene a tappe - un evento scaturigine non puntuale; espresso anche attraverso il linguaggio tattile dei Sacramenti.
E passo passo Egli lascia che avanziamo nell’acutezza dell’intuizione, nella comprensione del mondo circostante.
Prospettiva che ha suscitato la decisione e l’azione, che ora si misurano perfino con cose grandi. A partire da un punto di osservazione nuovo, colmo di Speranza.
Ciò vale anche nella percezione dei disagi, che via via rigenerano l’essere - perché stenti e inquietudini sono semplici voci di un’energia che vuole allontanare nebbie e zavorre, e farci fiorire altrimenti.
Ecco gli accadimenti-testimonianza della Venuta del Messia nella nostra vita.
Eventi e immagini intime guida, che i Vangeli non inquadrano in una cornice cristologica o ecclesiologica trionfalistica, bensì quasi sommaria e dai tratti spontanei - umanissima e relazionale.
Per dire che la persona nuova è forse ancora immersa nell’ombra, ma via via pone sullo sfondo l’uomo vecchio.
E nella metamorfosi del suo sguardo prospettico, in Cristo avvicina la persona futura.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quale acume di vista ti ha concesso la Persona di Cristo? Quale icona intima e coinvolgente?
Quale salto di relazioni, in termini di umanizzazione?