(Lc 1,39-45)
‘Incarnazione’: se lo sguardo non si fissa su alcune idee ma lievemente inizia a posarsi sulla condizione umana, ecco esordire un regno di pace.
La folla esitante nel paltò antico può esultare, perché giunge quella Presenza lieve ma decisiva che libera e ci dona respiro.
Opportunità inconsueta d’un riscatto a misura di donna e uomo, persino di bimbi.
Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione, malgrado la religione della mediocrità, dei soprusi - sguardi arcigni e paure.
Maria aiuta ciascuno a capire come sostituire la carezza d’un cuore di carne a tante estranee prescrizioni su fredde lastre di pietra.
La sua pace-Shalom non viene augurata al professionista del sacro. Egli omette l’unicità della Chiamata, della Sorpresa, della Persona.
Zaccaria non vive Beatitudini: è già identificato, quindi radicalmente incredulo.
Le grandi reminiscenze e il suo ruolo tipico lo rendono refrattario alla Novità dello Spirito.
Inutile persino rivolgergli la parola, benché padrone della Casa in cui si ‘ricordano’ le Promesse. Un’abitudine a fare memoria che oramai non attende più nulla.
L’Incontro decisivo? Forse ci sarà... ma chissà quando.
L’attesa mitica distrae, non coinvolge. Il riattualizzare idolatrico non rallegra; fissa, non fa danzare.
La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia; non sul set, sul serio. [Non è semplice comprenderlo nel tempo dell’esteriorità].
Maria non ambisce a essere e mostrarsi “vip”; si colloca spontaneamente fra gente normale, che soffre una condizione penosa.
Non rincorre progetti, le sue idee precedenti, qualche ticchio vincolato che gli rimbalza nel pensiero. Questa la purezza di Maria.
Chi le assomiglia non ha bisogno di mendicare o esibire un riconoscimento, traguardi, credenziali, titoli, benemerenze. Questa la sua incontaminatezza.
Non ha frainteso Dio scambiandolo con delle apparenze. Non si è lasciata ingabbiare da luoghi comuni, perché non ha ostacolato la sua identità irripetibile, pensando di essere sbagliata.
Con mente silenziosa e distacco da giudizi ha consentito al suo istinto vocazionale di rigenerarla, concepire, donare vita.
Non ha inseguito un’immagine ideale, priva di pesi (e di senso), come fosse calata in un personaggio - e conformista.
Se si è corretta non lo ha fatto ripiegando su se stessa, ma sorpassando e tirando dritto; così ha scoperto come regolarsi, ma per volare.
Non gli è andato tutto bene, come se già avesse il film della sua vita in testa. Ha avuto nascondigli e dubbi, travagli da superare.
Non pensava, non parlava, non agiva come fosse “infinita”; ma con decisione, sì.
Non aveva sempre successo, eppure non si ritraeva solo vereconda.
Affrontava i conflitti, tuttavia senza quei pesi mentali che c’imbrigliano di fissazioni [anche sacrali] che a Dio non interessano, e bloccano il cammino.
Negli eventi e dentro sé coglieva i momenti dell’insicurezza per ricordarsi della Perla da vagliare.
Ricerca appassionata che l’ha tenuta in Vita, sapendo che le cose dell’anima sono differenti.
Non era una santa buonista, conduceva battaglie - e con attività di denuncia spirituale.
Infatti non chiede autorizzazioni a intraprendere un viaggio azzardato.
Neppure ‘vede’ l’uomo dell’istituzione ufficiale: il sacerdote dalla ritualità scandita nei minimi dettagli.
Si riconosce invece in Elisabetta. Anche lei una dimenticata, ma che coltiva la promessa («Eli-shébet»: il Signore Mio-Personale ha ‘giurato’; come dire “Dio Mi è fedele”).
Zaccaria invece («zachar-Ja» il Signore sì ma non “mio” bensì d'Israele, ‘ricorda’) non riesce a passare dalla religiosità regolare alla Fede che coinvolge il suo Eros fondante.
Maria non voleva essere finta, non desiderava diventare artificiale - quindi inutile, e nel tempo frantumata.
Ambiva a piantarsi ancora e sempre meglio sulle proprie Radici.
Se non riusciva a capire qualcosa, utilizzava queste sospensioni per proiettarsi avanti, alla ricerca di tutto lo scrigno prezioso della sua destinazione.
Non dava spazio alle tossine della mente create dalla consuetudine senza sogno, dai paradigmi del suo luogo e tempo. Non ha immaginato di rimanere sempre la stessa.
Sceglie di non deporre il lato evolutivo: capisce che poteva essere stimolata proprio dalle amarezze, dagli abbandoni, dagli impatti, dalle ferite.
Arca dell’Alleanza dall’intimità visionaria e attuabile, senza (dentro) gelide tavole di legalismi; perché Dio non si esprime emanando norme, ma nell’Amore - che non demolisce.
Aveva col Cielo un rapporto d’Incarnazione; non esteriore e senz’Unicità [di pietra come per obbedienza intimidita]. Nel suo midollo: Assomigliante - da Pari a Pari.
Dalla religione dei molti subalterni alla Fede?
Non una Chiesa delle cunette: Maria è la nuova coscienza e il diverso orientamento dell’umanità.
Magnificat: parentela religiosa, e lo scatto della Fede
(Lc 1,46-55)
Sebbene il contesto in lingua greca dei primi codici alluda a un cantico proprio di Elisabetta (vv.42-46), la tradizione successiva ha voluto porre l’inno sulla bocca di Maria.
Il loro canto-insieme riassume e celebra la storia della salvezza. Esso riflette una lauda liturgica giudeo cristiana propria delle prime comunità di ‘anawim.
[Oggi come allora i piccoli e fedeli sperimentano il tracciato ideale della storia, della quale paradossalmente diventano motore].
Maria ed Elisabetta danno voce alle ‘chiese’ povere e minoritarie, spesso sfidate dalle forze del potere imperiale in duelli drammatici.
Fraternità che facevano esperienza di un Dio che non rimane impassibile nei confronti del grido dei minimi perseguitati.
In un quadro di visita famigliare e (appunto) di lode, si riflette tutta la destinazione del nuovo Popolo.
La diversità fra le due donne sottolinea lo scatto della Fede in Maria, rispetto alle attese della ‘parentela’ religiosa.
In Elisabetta il Primo Patto ha già percorso tutto il suo cammino, e non andrebbe molto oltre.
La storia degli uomini è arida, ma l’Eterno la feconda di novità e letizia, che finalmente muta i confini.
Le vie previste sono giunte al termine; ancora cieche e sottomesse alle potenze della terra - autodivinizzanti...
Ma qui si rivela che la sicurezza dei grandi è vana, inesistente; ricercatrice di soli profitti.
E malgrado i millenni, sono ancora troppi coloro che rivestono le loro posizioni di proclami apparentemente devoti - inconsistenti d’amore che aiuta e arricchisce i piccoli, che rendano forte il debole.
La Fede trasmuta interamente i fondamenti della storia antidivina, perché consente allo Spirito d’impadronirsi della vita personale e fecondarla, rendendola capace di azione benedicente.
Nel modo di credere di Maria noi conosciamo ciò che non sappiamo - perché abbiamo una Visione che guida, un’Immagine che agisce dentro come un istinto innato.
E possediamo già ciò che speriamo - perché la Fede è un colpo di mano, un’azione che si appropria, un atto-calamita (cf. Eb 11,1).
Il suo vertice sarà scoprire stupori di recupero impossibile, a partire dai lati in ombra e che detestiamo di noi [proprio degli scartati].
L’inno esprime dunque la traiettoria della vita del credente in Cristo e la direzione della nostra esistenza che poco a poco o d’improvviso ricompone l’essere malfermo, nell’armonia nuova del progetto divino.
Tesi classica già del Primo Testamento: Dio solleva dalla polvere il misero e innalza il povero - l’emarginato (con indifferenza) - dalle immondizie.
Egli non s’indirizza a coloro che sono pieni di sé e con ruoli identificati, bensì a chi sa rivolgersi alle profondità, e come Maria le estende agli altri.
Entro tale vicenda del perdersi per ritrovarsi - una logica incarnata sia dai discepoli che dalle chiese - si rintraccia l’esperienza del mattino di Pasqua, i cui Vangeli “descrivono” la Risurrezione come capacità di vedere aperte le tombe e scorgere vita persino fra segni di assenza, e nel luogo della morte.
Lc evangelista dei poveri celebra questo ribaltamento di situazioni in molti episodi: fariseo e pubblicano, figlio prodigo e primogenito, samaritano e sacerdote levita, Lazzaro e ricco epulone, primo e ultimo posto, Beatitudini e ‘guai’...
Anche il Magnificat ribadisce: le scelte del Signore sono davvero estrose per la mentalità religiosa da nomenclatura.
Liberamente Egli passa per gli sconfitti, i derisi, ritenuti stupidi, ignobili; i deboli, emarginati da cricche, rifiutati dal club degli acclamati.
Il cantico è un ‘tipo’ perfetto di questa predilezione, che trova guadagno nella perdita e vita dalla morte, in persone ed eventi ai margini.
Maria in specie diventa figura espressiva della bassezza [ταπείνωσις (tapeínōsis, “abbassamento”), da ταπεινός (tapeinós, “basso”); v.48 testo greco] come ‘radice’ della trasformazione dell’essere - nell’Imprevedibile di Dio.
In Maria ed Elisabetta gli ‘anawim contemplavano la festa del trionfo dei figli, delle creature che ripetono in sé la Pasqua del Cristo.
Accadimento e proposta che anche nel tempo dell’emergenza fa rifiorire la vita dal fallimento delle mitologie del potere e della forza.
Nel Risorto che mostra sempre le piaghe, ovunque i credenti si sono resi conto: la povertà del cuore e di vita vissuta dal Cristo e dalla (Chiesa) Madre è la vera forza dirompente della storia.
Dio è fedele.
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha rivolto il suo sguardo alla bassezza della sua serva» (Lc 1,46b-48a).
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ritieni la munificenza divina una proprietà?
Come proclami le tue consapevolezze personali ed ecclesiali - di compimento in Cristo - delle Promesse dell’Alleanza?