Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto
(Lc 16,1-8)
Ci chiediamo: c’è un altro stile di vita, oltre il vezzo di farsi valere in qualsiasi circostanza? Cosa genera tanti attriti senza posa né criterio, anche in tempi di sottomissione? Qual è la soluzione per edificare una casa comune? E il primo passo concreto per il futuro?
Lc parla molto chiaro, cesellando una catechesi probabilmente tratta da un’esperienza viva che ha segnato l’ambiente dei credenti.
In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:
«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».
Ipotizziamo la situazione, probabilmente da riferire a un veterano della cerchia giudeo cristiana [considerata nei Vangeli quella dei “farisei” di ritorno nelle assemblee dei primi tempi] (cf. Lc 16,14).
Un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di profittare della posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.
La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.
Ma di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.
La percentuale di scremature dipendeva dalla capacità di scrutare i bisogni e alzare il tasso d’interesse - persino sul frumento, l’olio e il cibo base.
Anche il coordinatore di chiesa si era lasciato sedurre dal malcostume corrente, per un facile guadagno (sulla fame della gente).
Avendo fatto a lungo orecchie da mercante, lo scandalo emerge (fra dirigenti e gruppi che si fregiano del nome Cristiano!).
L’uomo di spicco viene messo alle strette per un rendiconto trasparente.
Allora il “pizzicato” sceglie di ricalcolare e allineare la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.
Tutto avrebbe dovuto essere messo a disposizione dei fedeli e del bene comune, senza intrallazzi (privi di controllo - soliti).
Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’inguaribile imbroglio delle quote in aggiunta che non gli spettavano.
I tesori (di Dio) sono da condividere, senza ricarico privato - quindi evita di arrampicarsi sugli specchi, piroettare, cercare l’appoggio di complici o di cordate [cf. v.14] e gruppi di ammanicati.
Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.
Le cose sono evidenti e non accampa quel genere di spiegazioni - come purtroppo capita - che cronicizzano e degenerano la situazione.
Viene dunque lodato (v.8) perché invece di tornare ad alimentare se stesso e il suo codazzo… si accorge di un’altra possibilità.
C’è un Altrove da percepire, qui; con previdente tensione interiore ed equa “scaltrezza”, stavolta non aleatoria.
La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.
Non più intimidazioni del tipo: «Tu non sai chi sono io»; «Voi non sapete chi e quanti siamo noi» - e tentativi appiccicati al tornaconto.
Non più imbrogli da celare e sotterfugi distruttivi, per un’allegra gestione amministrativa: meglio sfigurare personalmente che essere complici attivi e omertosi di un altro “dio” (quello che dà ordini opposti ai consigli del Padre).
Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.
Ecco la nostra Guida per il domani e la felicità, sempre.
Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte all’andare devoto, di cui si possa sfumare il senso - anche laddove le pertinenze comunitarie fossero appannaggio di chi ha mani e piedi dappertutto: cricche dalle buone maniere e pessime abitudini.
Esiste un’altra proficuità e funzionalità degli antichi profitti disinvolti: non quelli dell’economia liberale e della proprietà privata, ma dell’Amicizia libera, che non trattiene - capacità di ricreare equilibri dove non sono; coltivare uguaglianza e trasparenza, felicità e vita diffusa.
Non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci.
Ristabilita la verità e senza guardare in faccia a nessun primattore, né a “compagni di merende” o gruppi di pressione, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.
È l’unica valutazione giusta, che annienta il malcostume e le stranissime competizioni fra poveracci senza dote e a testa in giù, che paiono destinati solo a friggere.
Siamo chiamati a usare le “nostre” energie e risorse per dilatare l’esistere di tutti, invece di continuare a beccarsi e papparci per far vedere chi comanda.
Questo è - malgrado gli errori che si possono commettere - dare la svolta decisiva, per una vita bella.
Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (cf. vv.9-13).
Nell’enciclica Fratelli Tutti leggiamo al n.120:
«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione [...] Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica».
Tale diritto-base è senza frontiere, e altrettanto vale per il funzionamento della società ecclesiale - non cooptata, né occulta.
A maggior ragione dei privati, essa deve rendere conto senza trucchi: gestisce infatti beni per se stessi comuni, variegati, sacri e non esclusivi.
I responsabili di Chiesa sono i primi chiamati a vincere l’unilateralità del ruolo e delle risorse, tantomeno da gestire come fossero di proprietà selettiva o di club riservati.
Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.
Essi sono chiamati a disporre delle risorse da “spezzare” in modo non allegro e spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.
«Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura» [I Promessi Sposi, cap.3].
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua comunità l’amministrazione dei beni è pubblica, regolare e trasparente o cronico appannaggio d’individui e gruppi senza controllo?