Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Volto alla Persona, Padre in relazione
Mt 18,1-5.10.(12-14)
Il brano di Vangelo detta la linea di tutto il discorso ecclesiale di Mt (18,1-35).
Il termine chiave dei vv.1-5 è «paidìon» - diminutivo di «pàis» - che sta a indicare il garzone di bottega, il ragazzino fra 9-11 anni circa, che anche in casa doveva scattare dopo ogni ordine ricevuto.
Gesù tramortisce le ambizioni di grandezza dei suoi bramosi discepoli, che vorrebbero pignorarlo e mettergli il guinzaglio.
Modello del Regno non è il comandante, bensì il servitore; colui che non agisce con mentalità corrente, per spirito d’interesse o promozione.
Non è un peccato desiderare di dare significato alla propria vita, ma c’è un rovesciamento: ‘maggiore’ è il ‘minore’ - colui che non brama posti preminenti, resta umile di sentimento, condizione, e posizioni.
L’importanza palese è un inganno: i veri “grandi” della comunità ecclesiale non appartengono al mondo dei perfettamente installati, che si fanno avanti, che sanno a chi appoggiarsi, e così sanno imporsi.
Dal v.6 l’autore parla di «mikròi»: i senza voce. Sono coloro che non hanno peso alcuno.
Questi “piccoli” sono «minuscoli» che hanno sentito parlare dello spirito di comunione che vige tra sorelle e fratelli di Fede...
Vorrebbero sperimentare il beneficio di questa nuova Via senza pretese mortificanti, sollecita al recupero...
Provano a iniziare, ma talora se ne scostano. Affaticati da situazioni improprie.
Gesù ci spiazza: gli ‘esclusi’ sono gli unici che fanno gridare di gioia, e valgono più di tutto il gregge dei soliti abitudinari (vv.12-14).
Il Richiamo vale anche per noi: proprio nelle persone isolate, smarrite e apparentemente più insignificanti è particolarmente vivace la fioritura dei grandi contenuti spontanei.
In essi si annida la Linfa che rigenera il mondo, e si rivela la Novità di Dio [che anche oggi vuole guidarci nell’esodo vocazionale e sociale].
Insomma: le idee fisse condizionano la vita e non lasciano che l’organismo interiore - psichico e spirituale - possa nutrirsi di verità trasparenti (non pregiudicate) e sensazioni sincere, che vorrebbero donarci respiro.
Liberarsi da soliti modi di scendere in campo, sciogliere pregiudizi e convinzioni schematiche, consentirebbe di spezzare le catene che trattengono le facoltà, spalancando altre visuali.
Infatti, la soluzione delle complicazioni che soffocano l’anima e l’esperienza della pienezza di essere che cerchiamo non è esterna, bensì insita nella nostra stessa domanda.
Nel linguaggio biblico, la figura dell’Angelo (v.10) esprime Dio stesso in dialogo con l’anima personale; la Sua Presenza in noi, in situazione - e qui la nostra paradossale fecondità.
L’Angelo è il nostro stesso Sé eminente e totale, che sa recuperare gli opposti, che coglie i segreti, suggerisce, guida; conosce la nostra poliedricità unica, e in tal guisa sa dove andare.
Così, la vita autentica è avvolta di Mistero, perfino nel passo dopo passo.
L’esistenza che ci contraddistingue non è tutta nel circolo dei traguardi visibili, delle apparenti affermazioni, e delle cose materiali, banali, più o meno a portata di mano.
La Vita completa ci introduce nella Chiamata per Nome che sfocia nella realizzazione e fioritura, ci apre alla Relazione che vale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Secondo te perché Gesù parla di Angeli in cielo, e di Gioia in riferimento all’unica pecorella?
[Ss. Angeli Custodi, 2 ottobre 2024]
Volto alla persona, Padre in relazione
(Mt 18,1-5.10.12-14)
Il brano di Vangelo detta la linea di tutto il discorso ecclesiale di Mt (18,1-35). Il termine chiave dei vv.1-5 è paidìon - diminutivo di pàis - che sta a indicare il garzone di bottega, il ragazzino fra 9-11 anni circa, che anche in casa doveva scattare dopo ogni ordine ricevuto.
Gesù tramortisce le ambizioni di grandezza dei suoi bramosi apostoli, che vogliono sequestrarlo per se stessi. Sì, lo tallonano sempre, ma non lo seguono - anzi, vorrebbero pignorarlo e mettergli il guinzaglio.
Modello del Regno non è il comandante, bensì il servitore; colui che non agisce con mentalità corrente, per spirito d’interesse o promozione.
Non è un peccato desiderare di dare significato alla propria vita, ma c’è un rovesciamento: maggiore è il minore - colui che non brama posti preminenti, resta umile di sentimento, condizione e posizioni.
Anche nella vita spirituale, chi vuole subito arrivare o fa il buono (non per gratuità ma solo) per assicurarsi posizioni future, disperde la propria Perla. L’importanza palese è un inganno: i veri “grandi” della comunità ecclesiale non appartengono al mondo dei “migliori”, dei perfettamente installati in società - gli svelti che si fanno avanti e sanno imporsi.
Dal v.6 l’autore parla di mikròi: i senza voce. Sono coloro che non hanno peso alcuno, magari quelli che non riescono neppure a farsi accettare in qualche gruppo di pressione o cricca “spirituale” esclusiva.
Questi “piccoli” sono coloro che prima o poi - malgrado l’esclusione preventiva - trovano il modo di accostarsi alla comunità dei fedeli in Cristo. Hanno sentito parlare dello spirito di collaborazione, sinergia e comunione che vige tra sorelle e fratelli di Fede. Vorrebbero sperimentare il beneficio di questa nuova Via di convivenza senza pretese umilianti, e sollecita al recupero...
Provano a iniziare, ma talora se ne scostano. Affaticati dalla trafila, impossibilitati a un rapporto personale con il Signore (in quanto davanti e in ogni occasione si ritrovano la solita siepe di dirigenti cui dovrebbero pagare dazi e sottostare), spesso irritati dalla vuota vanità di coloro che non di rado si rivelano persone senza scrupoli e pericolosissime.
Gesù non ci va liscio: gli esclusi sono gli unici che fanno gridare di gioia, e valgono molto molto più di tutto il gregge dei soliti inclusi (vv.12-14).
Il Richiamo vale anche per noi: proprio nelle persone isolate, smarrite e apparentemente più insignificanti è particolarmente vivace la fioritura dei grandi contenuti spontanei.
In essi si annida la Linfa che rigenera il mondo, e si rivela la Novità di Dio (che anche oggi vuole guidarci nell’esodo vocazionale e sociale).
Semplicità e sconvolgimenti: Rinascita senza mortificazione
Non si tratta di trovare scuse per giustificare la pigrizia nella ricerca e nell’esodo spirituale: piccoli, spontanei e naturali - ma ricchi dentro - si diventa, abbassandosi (Mt 18,3-4 testo greco) dal proprio personaggio.
È l’arte di rendere densa e complessa la vita, poliedrica e vasta, semplificando poi, senza disperdere. Spesso basta solo osservare in maniera diversa o posare lo sguardo altrove, per trovare mille sbocchi inattesi e auto-rigeneranti.
Infatti, la soluzione delle complicazioni che soffocano l’anima e l’esperienza della pienezza di essere che cerchiamo, non è esterna, ma insita nella nostra stessa domanda. Non di rado appartiene alle precomprensioni più che alla realtà o alla marea che viene, la quale vuole semplicemente trascinarci sul territorio della crescita.
Siamo obnubilati dai pensieri. Ma esiste un sapere innato che veglia sulla nostra unicità e non intossica l’anima. C’è un tempo e uno spazio segreti, che ci abitano: essi risuonano in sintonia coi Vangeli. Non c’è da “rimettersi al passo” di sempre.
Se ci arrendiamo a tale istinto sapiente, confortato dalla Parola, il Nucleo dell’essere scenderà in campo con le sue energie primordiali - che ricreano la terra come il mitico Bimbo del mondo: un piccolo Gesù - dentro e fuori di noi. Così si annienta anche il disastro del Coronavirus, e si risorge: ciascuno a modo proprio (che non è “suo” nel senso dell’arbitrio).
E quando nei casi particolari saremo capaci di accogliere gli accadimenti come una Chiamata a uscire dalle gabbie affinché percepiamo l’altrove, troveremo un risultato intimo che sbroglia e rilancia la via personale e le possibilità di scambio di doni inediti, non stereotipi - senza neppure provare la stanchezza e le sottili insoddisfazioni che conosciamo.
Proiettati totalmente nei problemi esterni, sovraccarichiamo la mente e lo spirito di aspettative indotte dal paradigma culturale (un tempo) in voga, cui siamo abituati. Così l’esistenza ridiventa subito conformista, stagnante nei soliti mezzi e mète, priva di nuovi picchi, relazioni autentiche e vitalità impensate.
Il diktat dell’obbiettivo indotto dai ruoli che immaginavamo acquisiti ci sfibra, e l’idea istituita di perfezione sterilizza l’humus - c’impoverisce, mettendo fra parentesi le esigenze effettive; così facendo prevalere i modi di essere, i ruoli consolidati già espressi, inaridendo i rapporti (rendendo di nuovo torbidi gli ambienti).
Le idee fisse condizionano la vita e non lasciano che l’organismo interiore - psichico e spirituale - possa nutrirsi di verità trasparenti (non pregiudicate) e sensazioni sincere, che vorrebbero donarci respiro.
Liberarci da soliti modi di scendere in campo, dai giudizi e convinzioni apodittiche, consentirebbe di spezzare le catene che trattengono le facoltà luminose e arcobaleno, nonché la capacità di corrispondere all’irripetibile vocazione, spalancando altre visuali.
Il “vuoto” propugnato dal Tao somiglia solo a orecchio al “vuoto” di altre sapienze orientali (decisamente più spersonalizzanti) perché l’insegnamento della Via non smarrisce il senso di unicità ed eccezionalità del singolo seme. Anzi, ne rispetta appieno la vocazione propulsiva... rimanendo se stessi, non solo malgrado - ma a motivo - dell’abisso obbligatorio che abbiamo vissuto.
Minimizzando invece i propositi di riedizione dell’antico maquillage - e tutti i condizionamenti non epocali (che non ci chiamano, e neppure vorremmo) - sgombriamo l'anima dalle zavorre. Faremmo affiorare il suo peso specifico eccezionale e il carattere irripetibile, per alleggerirla e colmarla solo di quanto serve per attivare i nuovi sentieri che ci attendono.
Il rallentamento e il lasciar scorrere che Lao Tse propugna non guida all’insignificante appiattimento delle differenze, ma a dilatare i tempi sacri e naturali dell’azione sapiente, e apprezzarne il valore.
Tappe e traguardi che non ci corrispondono non daranno appagamento, costringendoci ad amplificare i rapporti solo per coprire il problema con se stessi, o addirittura di coppia, gruppo, movimento, comunità e ambiente di lavoro.
Mentre desideriamo rivestire (e non deporre) di senso di permanenza il personaggio di prima - cliché che non ci corrisponde - giriamo a vuoto, caricandoci di attese fuori scala e inutile stress (che non fa spazio all’amore con cui s’incontra se stessi, le cose, sorelle e fratelli, i tanti eventi).
La Sapienza naturale, gli accadimenti anche amareggianti, e la Bibbia, ci ricordano che il volto... ogni percorso, nome e ritmo sono solo nostri. Anche la sintesi lo è: ciascuno è chiamato a scrivere la sua irripetibile lieta notizia a favore della donna e dell’uomo di ogni tempo (Gv 20,30-31).
Nota bene: la Fraternità non è livellamento:
“Ma ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto, le quali se fossero scritte una per una, penso che neppure il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21,25).
Sarebbe la Felicità nella nuova Bellezza eminente, dal disagio.
Nel linguaggio biblico, la figura dell’Angelo (v.10) esprime Dio stesso in dialogo con l’anima personale; la Sua Presenza in noi, in situazione - e qui la nostra paradossale fecondità.
L’Angelo è il nostro stesso Sé eminente e totale, che sa recuperare gli opposti, che coglie i segreti, suggerisce, guida; conosce la nostra feconda poliedricità, e in tal guisa sa dove andare.
Insomma, la vita autentica è avvolta di Mistero, perfino nel passo dopo passo.
L’esistenza che ci contraddistingue non è tutta nel circolo dei traguardi visibili, delle apparenti affermazioni, e delle cose materiali, banali, più o meno a portata di mano.
La Vita completa ci introduce nella Chiamata per Nome che sfocia nella realizzazione e fioritura, ci apre alla Relazione che vale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Secondo te perché Gesù parla di Angeli in cielo, e di Gioia in riferimento all’unica pecorella?
Perché Gesù parla di Gioia in riferimento all’unica pecorella?
Valore dell'unicità imperfetta
(Mt 18,12-14)
Il cambiamento di rotta e di sorte del Regno. Un Dio in ricerca dei perduti e disuguali, per dilatarci la vita. Cristologia del Pallio, potenza delle carezze, energia gioiosa (nella dissociazione).
Dice il Tao Tê Ching (x): «Preserva l’Uno dimorando nelle due anime: sei capace di non farle separare?».
Anche nel cammino spirituale, Gesù si guarda bene dal proporre un universalismo dettato o pianificato, come se il suo fosse un modello ideale, «allo scopo di omogeneizzare» [Fratelli Tutti n.100].
Il tipo di Comunione che il Signore ci propone non mira a «un’uniformità unidimensionale che cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità».
Perché «il futuro non è “monocromatico” ma se ne abbiamo il coraggio è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» [da un Discorso ai giovani in Tokyo, novembre 2019].
Sebbene la pietà e la speranza dei rappresentanti della religiosità ufficiale fosse fondata su una struttura di sicurezze umane, etniche, culturali e una visione del Mistero consolidati da una grande tradizione, Gesù sgretola tutte le prevedibilità.
Nel Figlio, Dio viene rivelato non più come proprietà esclusiva, bensì Potenza d’Amore che perdona gli emarginati e smarriti: salva e crea, liberando. E mediante i discepoli dispiega il suo Volto che recupera, abbatte le barriere consuete, chiama moltitudini misere.
Sembra un’utopia impossibile da realizzare nel concreto (oggi della crisi sanitaria e globale) ma è il senso del passaggio di consegne alla Chiesa, chiamata a farsi incessante pungolo d’Infinito e fermento d’un mondo alternativo, per lo sviluppo umano integrale:
«Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» [FT n.8].
Attraverso una domanda assurda (formulata in modo retorico) Gesù vuole destare la coscienza dei “giusti”: c’è una controparte di noi che suppone di sé, molto pericolosa, perché porta all’esclusione, all’abbandono.
Invece l’Amore inesauribile cerca. E trova l’imperfetto e irrequieto.
La palude di energia stagnante che si genera accentuando i confini non fa crescere nessuno: blocca nelle solite posizioni e lascia che ciascuno si arrangi o si perda. Per disinteresse interessato - che impoverisce tutti.
Tutto ciò faceva cadere le virtù creative nella disperazione.
Fa cadere nella disperazione chi è fuori del giro degli eletti - anteposti che non avevano nulla di superiore. Infatti gli evangelisti li tratteggiano del tutto incapaci di trasalire di gioia umana per il progresso altrui.
Calcolatori, recitanti e conformi - i dirigenti fondamentalisti o troppo sofisticati e disincarnati usano la religione come un’arma.
Invece Dio è agli antipodi degli sterilizzati finti - o del pensiero disincarnato - e alla ricerca di colui che vaga malfermo, facilmente si disorienta, smarrisce la strada.
Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino. Per questo motivo il Padre è alla ricerca dell’insufficiente.
La persona così limpida e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro i lati apparentemente detestabili. Forse ch’egli stesso non apprezza.
Questo il principio di Redenzione che sbalordisce e rende interessante i nostri percorsi spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore” - nella Fede generando però autostima, credito, pienezza e gioia.
L’impegno del purificatore e l’impeto del riformatore sono “mestieri” che in apparenza si contrappongono, ma facili facili… e tipici di chi pensa che le cose da contestare e cambiare siano sempre fuori di sé.
Ad esempio nei meccanismi, nelle regole generali, nell’assetto giuridico, nelle visioni del mondo, negli aspetti formali (o istrionici) invece che nell’artigianato del bene particolare concreto; così via.
Sembrano scuse per non guardarsi dentro e mettersi in gioco, per non incontrare i propri stati profondi in tutti i versanti e non solo nelle linee guida. E recuperare o rallegrare individui concretamente smarriti, tristi, in tutti i lati oscuri e difficili.
Ma Dio è agli antipodi degli sterilizzati di maniera o degli idealisti finti, e alla ricerca dell’insufficiente: colui che vaga e smarrisce la strada. Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino.
La persona trasparente e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro gli aspetti apparentemente detestabili (forse ch’egli stesso non apprezza).
Chiediamo allora soluzione alle nuove energie interpersonali misteriose, imprevedibili, che entrano in gioco; da dentro le cose.
Senza interferire con idee di passato o di futuro che non vediamo, ovvero opponendosi ad esse. Piuttosto possedendone l’anima, il suo farmaco spontaneo.
Questo il principio della Salvezza che sbalordisce e rende interessante i nostri percorsi [spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore”] - generando infine autostima, credito e gioia.
L’idea che l’Altissimo sia un notaio o principe di un foro, e che operi netta distinzione fra giusti e trasgressori, è caricatura.
Del resto, una vita da salvati non è produzione propria, né possesso esclusivo o proprietà privata - che si capovolge in doppiezza.
Non è l’atteggiamento schizzinoso, né quello cerebrale, che unisce a Lui. Il Padre non blandisce amicizie supponenti, né ha interessi esterni.
Egli si rallegra con tutti, ed è il bisogno che lo attira a noi. Quindi non temiamo di farci trovare e lasciarci riportare (cf. Lc 15,5) in Casa sua, che è casa nostra.
Se c’è uno smarrimento, vi sarà un ritrovamento, e questo non è una perdita per nessuno - salvo per gli invidiosi nemici della libertà (v.10).
L’Eterno infatti non si compiace di emarginazioni, né intende spegnere il lucignolo fumigante.
Gesù non viene per puntare il dito sui momenti no, ma per recuperare, facendo leva sul coinvolgimento intimo. Forza invincibile di fedeltà.
Questo lo stile d’una Chiesa dal Cuore Sacro, amabile, elevato e benedetto.
[Ciò che attira a partecipare ed esprimersi è sentirsi capiti, restituiti a dignità piena - non condannati].
Diceva Carlo Carretto: «È sentendosi amato, non criticato, che l’uomo inizia il suo cammino di trasformazione».
Come sottolinea ancora l’enciclica Fratelli Tutti:
Gesù - nostro Motore e Motivo - «aveva un cuore aperto, che faceva propri i drammi degli altri» (n.84).
E aggiunge ad esempio della nostra grande Tradizione:
«Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti [...] bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione [...] Altrimenti avremo solo apparenza».
«San Bonaventura spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i comandamenti come Dio li intende» (n.91).
Nelle sètte o nei gruppi d’ispirazione unilaterale, per emarginazione saccente le ricchezze umane e spirituali vengono depositate in luogo appartato, così invecchiano e sviliscono.
Nelle assemblee dei figli sono invece condivise: si accrescono e comunicano; moltiplicandosi rinverdiscono, con beneficio universale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa ti attira della Chiesa? Nei confronti coi primi della classe, ti senti giudicato o adeguato?
Provi l’Amore che salva, anche se permani incerto?
Dicevo poco fa che quest’oggi la liturgia ci invita a ricordare i santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Ognuno di loro, come leggiamo nella Bibbia, ha svolto una peculiare missione nella storia della salvezza. Cari fratelli e sorelle, invochiamo con fiducia il loro aiuto, come pure la protezione degli Angeli custodi, la cui festa celebreremo fra qualche giorno, il 2 ottobre. L’invisibile presenza di questi Spiriti beati ci è di grande aiuto e conforto: essi camminano al nostro fianco e ci proteggono in ogni circostanza, ci difendono dai pericoli e ad essi possiamo ricorrere in ogni momento. Molti santi intrattenevano con gli Angeli un rapporto di vera amicizia, e numerosi sono gli episodi che testimoniano la loro assistenza in particolari occasioni. Gli Angeli vengono inviati da Dio “a servire coloro che erediteranno la salvezza”, come ricorda la Lettera agli Ebrei (1,14), e pertanto ci sono di valido ausilio nel pellegrinaggio terreno verso la Patria celeste.
[Papa Benedetto, Castel Gandolfo, saluto 29 settembre 2008]
5. Notiamo che la Sacra Scrittura e la Tradizione chiamano propriamente angeli quegli spiriti puri che nella fondamentale prova di libertà hanno scelto Dio, la sua gloria e il suo regno. Essi sono uniti a Dio mediante l’amore consumato che scaturisce dalla beatificante visione, faccia a faccia, della santissima Trinità. Lo dice Gesù stesso: “Gli angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18, 10). Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo, alla quale incessantemente si associa la terrena liturgia della Chiesa, specialmente nei suoi momenti culminanti. Basti qui ricordare l’atto col quale la Chiesa, ogni giorno e ogni ora, nel mondo intero, prima di dare inizio alla preghiera eucaristica nel cuore della santa Messa, si richiama “agli angeli e agli arcangeli” per cantare la gloria di Dio tre volte Santo, unendosi così a quei primi adoratori di Dio, nel culto e nell’amorosa conoscenza dell’ineffabile mistero della sua santità.
6. Sempre secondo la rivelazione, gli angeli, che partecipano alla vita della Trinità nella luce della gloria, sono anche chiamati ad avere la loro parte nella storia nella salvezza degli uomini, nei momenti stabiliti dal disegno della divina Provvidenza. “Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero inviati per servire coloro che devono entrare in possesso della salvezza?”, domanda l’autore della Lettera agli Ebrei (Eb 1, 14). E questo crede e insegna la Chiesa, in base alla Sacra Scrittura dalla quale apprendiamo che compito degli angeli buoni è la protezione degli uomini e la sollecitudine per la loro salvezza. Troviamo queste espressioni in diversi passi della Sacra Scrittura, come ad esempio nel Salmo 90 già più volte citato: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede” (Sal 90, 11-12). Gesù stesso, parlando dei bambini e ammonendo di non dar loro scandalo, si richiama ai “loro angeli” (Mt 18, 10); attribuisce inoltre agli angeli la funzione di testimoni nel supremo giudizio divino sulla sorte di chi ha riconosciuto o ha rinnegato il Cristo: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio” (Lc 12, 8-9). Queste parole sono significative perché se gli angeli prendono parte al giudizio di Dio, sono interessati alla vita dell’uomo. Interesse e partecipazione che sembrano ricevere una accentuazione nel discorso escatologico, nel quale Gesù fa intervenire gli angeli nella parusia, ossia nella definitiva venuta di Cristo alla fine della storia (cf. Mt 24, 31; 25, 31. 41).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 6 agosto 1986]
La riflessione del Papa ha preso spunto dalla prima lettura del giorno, tratta dal libro dell’Esodo (23, 20-23), nella quale «il Signore promette un aiuto molto particolare al suo popolo e a tutti noi che camminiamo sulla strada della vita». Si legge infatti: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e farti entrare nel luogo che ho preparato». E la Chiesa celebra appunto questi «nostri compagni di cammino, i nostri protettori nel cammino: gli angeli, che ci custodiscono e sono proprio con noi, nel cammino». Perché, ha aggiunto Francesco, «è vero: la vita è un cammino, e dobbiamo essere aiutati a camminare bene, perché nel cammino ci sono insidie, ci sono pericoli». Un percorso in cui l’uomo rischia facilmente di perdere le coordinate: «Abbiamo bisogno di una bussola: ma di una bussola umana, o una bussola che assomigli all’umano e che ci aiuti a guardare dove dobbiamo andare».
Innanzitutto l’uomo deve far fronte a un primo pericolo: quello «di non camminare». Infatti, «quanta gente si stabilisce e non cammina, e tutta la vita è ferma, senza muoversi, senza fare niente... È un pericolo». Si tratta, ha spiegato il Pontefice, di situazioni simili a quella descritta nei vangeli, dove si parla dell’uomo «che aveva paura di investire il talento». Dopo averlo sotterrato si ripeteva: «Io sono in pace, sono tranquillo. Non potrò fare uno sbaglio. Così non rischio». Ugualmente accade a tanta gente che «non sa come camminare o ha paura di rischiare e si ferma». Ma, ha detto il Papa, «noi sappiamo che la regola è che chi nella vita è fermo, finisce per corrompersi. Come l’acqua: quando l’acqua è ferma lì, vengono le zanzare, mettono le uova, e tutto si corrompe. Tutto». È proprio in simili circostanze, ha aggiunto, che «l’angelo ci aiuta, ci spinge a camminare».
Ma non è questo l’unico rischio nell’itinerario della vita. «C’è un altro pericolo», che è quello «di sbagliare strada». Anche qui Francesco ha richiamato esperienze comuni a tutte le persone: «Anche noi — diciamo la verità — quante volte abbiamo sbagliato strada, per non ascoltare l’ispirazione del nostro compagno di cammino o i consigli dei fratelli e le sorelle». Di nuovo, l’uomo è confortato da una certezza: «L’angelo è lì per aiutarci a non sbagliare strada. È con noi per questo: perché se tu sbagli strada, all’inizio è facile correggere, ma dopo tanti anni — tanti anni — te ne vai lontano, da un’altra parte rispetto a dove tu dovresti andare».
Continuando la riflessione, il Pontefice ha individuato un ulteriore atteggiamento pericoloso. Infatti, ha detto, «ci sono alcuni che camminano, ma non sulla strada: camminano nella piazza. Fanno la passeggiata della vita nella piazza. E vanno, vanno alla piazza, sempre così. E alcuni sono più creativi: entrano nella piazza, ma dentro la piazza vanno da una parte e dall’altra, come in un labirinto». Ancora una volta un’immagine concreta per richiamare e far comprendere meglio una realtà interiore, spirituale: «Il labirinto mai ti porta alla fine: rimani lì intrappolato». Accade perciò che l’uomo sia convinto: «Io non sono fermo, cammino», ma non si accorge che non sta camminando «sulla strada». Anche in questa situazione l’angelo viene ad «aiutarci a camminare per la strada».
Certo, ha spiegato il Papa, quella dell’angelo è una realtà che va riconosciuta: «Noi dobbiamo pregarlo: “Ma aiutami”». Anche nella Scrittura si legge: «Abbi rispetto della sua presenza». Perché «l’angelo è autorevole, ha autorità per guidarci», ma occorre «ascoltarlo», occorre «ascoltare le ispirazioni, che sono sempre dallo Spirito Santo, ma è l’angelo a ispirarcele».
A questo punto Francesco si è rivolto direttamente ai presenti: «Ma io vorrei fare a tutti voi una domanda: voi parlate con il vostro angelo? Voi sapete il nome che ha il vostro angelo? Voi ascoltate il vostro angelo? Vi lasciate portare per mano sulla strada o spingere per muovervi?». Si è trattato di una sollecitazione per portare tutti a una presa di coscienza importante, perché «la presenza dell’angelo nella nostra vita non solo è per aiutarci nella strada» ma anche per «farci vedere dove dobbiamo arrivare».
A tale riguardo il Pontefice ha richiamato anche il vangelo del giorno (Matteo, 18, 1-5.10) in cui Gesù, di fronte ai discepoli che si domandano: «Ma chi è il più grande nel regno dei cieli?», prende un bambino e dice «una cosa molto bella». Afferma infatti: «Questo è il più grande» e, proseguendo, invita a non disprezzare i bambini perché «i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli». È questo, un dettaglio importante: «Il nostro angelo — ha sottolineato il Papa — non solo è con noi, ma vede Dio Padre. È in rapporto con lui. È il ponte quotidiano, dall’ora che ci alziamo all’ora che andiamo a letto, che ci accompagna ed è in legame fra noi e Dio Padre». Quindi «l’angelo è la porta quotidiana alla trascendenza, all’incontro con il Padre»: egli cioè «mi aiuta ad andare perché guarda il Padre e conosce la strada».
Da qui l’esortazione finale di Francesco — «non dimentichiamo questi compagni di cammino» — e il consiglio: «Ognuno pensi: io prego il mio angelo? Ascolto le ispirazioni? Mi fermo quando sento che c’è qualcosa che mi sta dicendo? E so, sono sicuro che lui è un ponte per arrivare al Padre, perché lui sta guardando il Padre?». Questa la preghiera conclusiva del Papa: «Il Signore dia a tutti noi, in questa festa degli angeli custodi, la grazia di capire questo mistero della custodia dell’angelo, della compagnia nella strada, e della contemplazione dell’angelo. La contemplazione a Dio Padre».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 03/10/2018]
(Lc 9,51-56)
Gesù intende operare un bel graffio controcorrente - e per farlo deve battersi: non gli bastava fare carriera “pettinando” le pecore.
Comprende che sono i tornanti e le crisi senza stabilità che producono il Risultato di Dio - quando scende in campo la tenacia della Fede.
Il giovane Rabbi lascia la sua regione per confrontarsi severamente e senza compromessi con la realtà consolidata della città santa - eterno intreccio d’interessi.
Sarà una lotta all’ultimo sangue, perché la posta in gioco è la felicità della gente.
Indurisce il volto senza buonismi [v.51 cf. testo greco] e va, ben sapendo quale crudele impegno si accollava.
Nessuno con la “testa sulle spalle” avrebbe avuto il fegato di esporsi a quel mortale pericolo.
L’opposizione del potere che vuole perpetuarsi è feroce, ma il Figlio di Dio non si lascia schiacciare dalle prudenze.
Il clima con cui inizia il suo Esodo è già pesante, ma non desiste.
Il Signore ancora manda messaggeri [Angeli] «davanti al suo volto» (v.52). Non rinuncia a diffondere l’onda vitale della sua proposta.
Infatti Egli valutava le relazioni spirituali “stabili” del suo tempo assai ambigue: esse accendevano i conflitti interiori - sebbene come oggi spegnessero quelli esterni, smussandoli (solo per un po’).
E nella Persona del Cristo, ‘Apostolo’ è chi tira la situazione in direzione opposta a quella consuetudinaria o fascinosa, disincarnata, sofisticata; comunque esterna.
Creando lo scompiglio che risolve i veri problemi, il Maestro in primis si distacca dal qualunquismo.
Non perché il conflitto si potrà poi “ricondurre”, “gestire”, “aggiustare” - con un diverso vincitore (vv.54-55).
A viso aperto, proprio i bisticci che esplodono serviranno a diradare le nebbie, accendere le anime, generare differenti sentieri (v.56).
Quindi - anche d’improvviso - si creerà la possibilità di mettere insieme forze nuove, risorse inedite e consapevolezze antiche.
Il Padre si serve di vie traverse, che s’intersecano e sovrappongono. Per una Genesi di Felicità a tutti i costi, anche a muso duro.
Lasciando uscir fuori il nostro carattere grintoso - non solo nei casi estremi - il Timoniere dell’anima, l’Amico irriducibile, potrà guidare la rotta personale e il viaggio di tutti. Favorendo il raggiungimento di obbiettivi caparbi e liberanti.
Se viceversa la storia fosse già stata scritta e in tal guisa la via permanesse esteriore, le esperienze sarebbero sempre quelle.
La vita non partorirebbe altre forme; solo riduzioni.
E le domesticazioni forzate possono sottrarci la ricchezza celata, rubando il destino personale: questo il vero errore da evitare!
Altrimenti, smarrita l’energia-Persona che porta a destinazione, l’Unicità impallidirebbe nelle mediazioni che ci tengono in ostaggio.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è lo stile della tua testimonianza? Sei indignato, irascibile e furente, o semplicemente deciso?
[Martedì 26.a sett. T.O. 1 ottobre 2024]
Lc 9,51-56 (51-62)
Gesù intende operare un bel graffio controcorrente - e per farlo deve battersi: non gli bastava fare carriera “pettinando” le pecore.
Comprende che sono i tornanti e le crisi senza stabilità che producono il Risultato di Dio - quando scende in campo la tenacia della Fede.
Il giovane Rabbi lascia la sua regione per confrontarsi severamente e senza compromessi con la realtà consolidata della città santa - eterno intreccio d’interessi.
Sarà una lotta all’ultimo sangue, perché la posta in gioco è la felicità della gente.
Indurisce il volto senza buonismi [v.51 cf. testo greco] e va, ben sapendo quale crudele impegno si accollava.
Nessuno con la “testa sulle spalle” avrebbe avuto il fegato di esporsi a quel mortale pericolo.
L’opposizione del potere religioso e culturale che vuole perpetuare il mondo antico è feroce, ma il Figlio di Dio non si lascia schiacciare dal modo di concepire dominante e corrivo, né dalle prudenze.
Il clima con cui inizia il suo Esodo è già pesante, ma non desiste.
Ciò significa che anche noi dobbiamo amare i nostri lati spigolosi e irremovibili. Essi scenderanno in campo a momento opportuno, quando sarà necessario de-cidere.
Nella franchezza, non ci mancherà occasione di fare tagli seri - ad es. col malcostume “bancario” (o qualunquista) coperto di ostentazioni; con le buone maniere della devozione ufficiale [organiche a perpetuarne il sistema ambiguo], così via.
Il Signore ancora manda messaggeri [Angeli] «davanti al suo volto» (v.52). Non rinuncia a diffondere l’onda vitale della sua proposta.
Divino Volto, eccolo in parte ostile; più che risoluto, per uno scontro con quell’istituzione che degradava l'umanità.
Infatti Egli valutava le relazioni spirituali “stabili” del suo tempo assai ambigue: esse accendevano i conflitti interiori - sebbene (come oggi) spegnessero quelli esterni, smussandoli (solo per un po’).
Nella Persona del Cristo, Apostolo è chi tira la situazione in direzione opposta a quella consuetudinaria o fascinosa, disincarnata, sofisticata; comunque esterna.
Creando lo scompiglio che risolve i veri problemi, il Maestro in primis si distacca dal qualunquismo.
Non perché il conflitto si potrà poi “ricondurre”, “gestire”, “aggiustare” - con un diverso vincitore (vv.54-55).
Dio non ha bisogno di riaffermarsi, neppure attraverso un leader che faccia sfumare lo stile del vecchio Tempio, sostituendo un metodo di governo con un altro - più o meno purificato e convincente.
Gesù non si presenta al mondo e al cuore di ciascuno come semplice Profeta.
Non vuole rabberciare il ritorno al culto, né la pratica dell’antica religione. Neppure intende tenersi a distanza di sicurezza, lanciando narrazioni a effetto, ammodernate, futuribili, “à la page”.
Sa che solo a viso aperto, proprio i bisticci che esplodono serviranno a diradare le nebbie: accendere le anime, generare differenti sentieri (v.56).
Quindi - anche d’improvviso - si creerà la possibilità di mettere insieme forze nuove, risorse inedite, e - perché no - perfino consapevolezze antiche.
Insomma, le mistiche soporifere, da ignavia non militante (distaccate dal perdere e perdersi che ci rigenera) sono false.
Non corrispondono ai Vangeli e non preparano la Venuta del Signore, ossia altri territori da esplorare.
Chi continua a venerare sicurezze, punti di riferimento o nuovi manierismi [in sé pur plausibili (vv.57-62)] non fa che gestire un mondo di morti.
Chi accoglie Cristo deve aprirsi a una Novità che non sa, interna ed esterna; in grado di far emergere aspetti cui ancora non si è dato spazio.
Passando, Gesù viene rifiutato (v.53) proprio perché falsamente annunciato dai suoi. Ancora intimi senza respiro.
Il nuovo Maestro ha una Visione pratica che non riflette uno qualsiasi dei culti arcaici, ma li soppianta.
In tal guisa, Egli sconvolge tutta una impostazione falsamente identitaria: commemorativa e nostalgica, o senza spina dorsale.
È l’unico episodio di Lc in cui i samaritani (sinonimo di «eretici») dribblano il Figlio di Dio. Un fallimento completo.
Ciò proprio perché i “messaggeri” che aveva inviato a disporre i cuori lo avevano predicato come Messia nazionalista e trionfatore, non servitore.
Inoltre, in Lui c’è qualcosa di radicalmente insolito - che non si può discutere o combattere in modo ordinario, dottrinale, consueto.
Il Maestro non va in qualche cittadella “santa” a sterilizzare o perpetuare l’antica ideologia settaria e intollerante. Ma a rifiutarla.
Egli incenerisce (vv.54-55) e annienta le configurazioni acclamate, non i popoli allontanati dai recinti (venerandi, fondamentalisti, o ipocriti e scapicollo solo fantasiosi).
Il Signore non procede verso il grande Tempio per scansare le ostilità con una sua proposta perbene, che poi avrebbe fatto ingoiare tutto a tutti.
Il giovane Rabbi non ha mai amato quel tipo di elucubrazioni o attendismo e rimpianto di pii desideri e buone intenzioni che fa deperire l’anima (generazione dopo generazione).
Chi arando un terreno si volge indietro non traccia un solco diritto (v.62).
In modo assai deciso il Maestro si mette nei guai per denunciare quel mondo di schiavitù, deviante e ideologico; incapace di sviluppo.
Le nostre alternative al suo atteggiamento spericolato hanno portato ulteriore scollamento tra segni e vita.
Non facciamoci illusione di tappe o domicili intermedi, nidi accalorati e tranquilli (v.58) di pallida consolazione.
La Fede interpella il coraggio, sino alla violenza verso il proprio spontaneo lasciar correre i fastidi e le cose grandi, che tormenterebbero l’irenismo sociale [del posto fisso] con disagi e appelli contromano.
Seccature che però sorprendono e guidano la vita Altrove.
Sollecitazioni per l’Esodo; un nuovo inizio colmo di Desiderio; un differente sapere interno che accende l’esterno; una tolleranza nella diversità vitale dei caratteri.
Invece del solletico di besciamelle, maritozzi con panna, morbide caramelle e manufatti di pasticceria zucchero-e-miele, tutti piacevoli, Dio agisce attraverso convulsioni.
Il Padre si serve di vie traverse, che s’intersecano e sovrappongono. Per una Genesi di Felicità a tutti i costi, anche a muso duro.
Lasciando uscir fuori il nostro carattere grintoso - non solo nei casi estremi - il Timoniere dell’anima, l’Amico irriducibile, potrà guidare la rotta personale e il viaggio di tutti.
Favorendo il raggiungimento di obbiettivi caparbi e liberanti.
Per quanto si possa venire condizionati da aspettative circostanti, prima o poi ci si rende conto che il proprio cuore batte altrove, rispetto alle convenzioni.
Non vuole più sottostare; inizia a deviare dall’idea trasmessa d’integrità o cinismo sociale (ed ecclesiale) - che fa rima col perbenismo locale.
Questo capita ad es. anche ai preti, quando si accorgono di essere entrati in un ingranaggio che sacralizza le abitudini e non le fa crescere. O quando avvertono di essere divenuti il perno di pratiche effimere, e ansiogene, invece che liberanti.
Impiegato stagnante e non pastore, situazionalista opportuno e silente invece che missionario; corifeo d’una situazione ereditata col compito di tenere buono il campanile…
In provincia, collocato anche in trincea, ma solo per fare da filtro - a tutela di seccature e affari “centrali”, rispetto a esigenze o pressioni di periferia.
Coglie allora che sta smarrendo se stesso, la propria identità di carattere - il motivo per cui è al mondo.
Malgrado le sicurezze materiali, in coscienza sente giungere angosce e frustrazioni (crisi del “personaggio” a modo: segno inequivocabile che non è quella la strada).
Il tedio o l’avversione si affacciano nel suo cuore affinché riazzeri gli stessi malesseri, e si affidi a una solidità ben differente dall’eredità; dallo stallo e retorica delle forze in campo.
C’è un modo diverso di sentirsi vicino alle persone, come Gesù: essere se stessi, affinché anche gli altri siano; avviando tutti su sentieri di libertà interiore.
Libertà che sostiene l’essenza particolare, facendo argine alle modalità costituite, e alla realtà pressante - solo da confermare, anzi benedire (al massimo, riconfezionare).
La Comunione sarà qui una convivialità delle differenze, resa autentica da forze innate.
È lo spazio concesso al Mistero che ci rende indipendenti e fraterni - perché ora deriviamo la nostra attrazione dalla Fonte comune, nascosta ma abbondante.
E quanto avviene ci muove, ma non opprime più, né distrugge la Visione vivente dinanzi agli occhi di ciascuno.
L’obbedienza dell’anima sposa non manca, però diventa relazione immediata col Signore che chiama e guida alla vita piena. Aiutando a riconoscere ciò che istintivamente corrisponde, e distinguendo ciò che non è importante e va lasciato cadere.
Lo sguardo interiore e il Cristo dentro sosterrà, affinché diventiamo autonomi ed elaboriamo un cielo nuovo - i cui lineamenti abbiamo percepito sin dall’inizio. Essi che ci hanno portato a non agire per conservare il mondo antico.
La nostra Eco innata costituirà un tale Richiamo da assumere un potere decisivo su calcoli, timori, angherie, amarezze, persecuzioni.
Il risultato sarà felicemente educativo, anche in favore degli avversari, i quali inizieranno almeno a presumere il senso del nostro andare nel mondo.
A mani aperte - non piene.
«Guai a voi, pettinatori di pecore» - direbbe il Pontefice, che volentieri ha aggiunto nei confronti di alcuni responsabili: «Siate padri, non padroni, né prìncipi». E neppure «amministratori di cordate»!
Calcolo e buonsenso porterebbero verso la direzione più sicura e sperimentata, ma il Fuoco vocazionale dentro incessantemente potrà recuperare le istanze del Nucleo ideale.
Troppo disordine? Come ha ribadito Papa Francesco: «per lo Spirito, il disordine è un bel segno».
L’anima lacerata, che non si riconosce più, se troppo mortificata da banalità accomodanti e mezze scelte, poi ci attacca. Ed essa stessa estremizza le sofferenze.
Lo squilibrio che ne consegue è indizio del riemergere inconscio della voglia di recuperare l’autentica Chiamata; opposta al quietismo programmato.
In tale palude di sommarietà ci siamo forse lasciati trascinare per convenienza - e quest’ultima ci ha spostati da noi stessi, nonché dallo stupore della nostra Opera personale.
La somiglianza a moduli e costumi - anche di banale miglioramento concordato - diventa la prigione del disegno Creatore. Egli voleva condurci verso Lui, in noi stessi.
Viceversa, il ruolo ci ha addomesticati secondo matrici da assorbire acriticamente, sino a far ammalare la nostra essenza.
Lo sgomento allora è un allarme: siamo entrati nel “ruolo”. Il batticuore ci provoca; l’affanno viene per riaverci; il panico attacca affinché destiamo.
L’anima vuole così realizzare il nostro Sogno sopito e soffocato. Desiderio che ci cambierebbe la vita.
Esso in noi pretende che scardiniamo le porte serrate della “mansione” - la quale preclude l’unica Felicità: sentirsi stabiliti nel proprio Centro.
Ogni schema (acquisito o alla moda) infastidisce i mondi da scoprire, deforma l’immagine della nostra destinazione; violenta il viaggio verso la dimora ch’è nostra, per farla diventare “uguale”, quindi fittizia.
Allora un carattere squilibrato, introverso, irascibile e pauroso incontra forse meglio di altri i sogni che non sapeva, le immagini-guida che nascondono un compito altrove configurato, e il meglio di sé, del Mistero stesso.
Risanare, “mettere le cose a posto” e “ottimizzare” sono i tipici luoghi comuni di un mondo stagnante. Così il non confrontarsi; riparare ed equilibrare.
Bisogna invece Rinascere, non tornare come prima, nella comune resilienza.
L’attenzione deve andare sull’energia che ci partorisce di nuovo, sulla strada sconosciuta che si spalanca e non avevamo pensato.
Nessuno ci rovina, sebbene ne avesse l’intenzione.
Piuttosto, siamo sollecitati a tirar fuori le risorse celate, scoperchiando il mondo ancora nascosto.
Aprendo una storia tutta singolare, che cambierà l’esistenza abitudinaria.
Una mente tranquilla non proietta oltre, perché ama la ripetizione e le finte sicurezze d’un tempo.
L’idea non duale non ci lascia scoprire le forze interiori. L’anima invece vuol dare origine, esprimere la sua potenza creativa.
Le situazioni inaudite e le relazioni impreviste la pongono sotto assedio, ma in uno stato di gestazione - non prima “segnata”.
Chi non abbandona la strada già battuta, chi non se la mette alle spalle (anche cogliendo l’occasione di condizioni avverse come la crisi globale) si costringe in una catena causa-effetto la quale non fa balzi esponenziali.
Se la storia è già stata scritta e la via permane esteriore, le esperienze sono sempre quelle.
La vita non partorisce altre forme; solo riduzioni.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è lo stile della tua testimonianza?
Sei indignato, irascibile e furente, o semplicemente deciso?
Le Letture bibliche […] ci invitano a meditare su un tema affascinante, che si può riassumere così: libertà e sequela di Cristo. L'evangelista Luca narra che Gesù, "mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme" (Lc 9, 51). Nell'espressione "decisamente" possiamo intravedere la libertà di Cristo. Egli infatti sa che a Gerusalemme lo attende la morte di croce, ma in obbedienza alla volontà del Padre offre se stesso per amore. È in questa sua obbedienza al Padre che Gesù realizza la propria libertà come consapevole scelta motivata dall'amore. Chi è libero più di Lui che è l'Onnipotente? Egli però non ha vissuto la sua libertà come arbitrio o come dominio. L'ha vissuta come servizio. In questo modo ha "riempito" di contenuto la libertà, che altrimenti rimarrebbe "vuota" possibilità di fare o di non fare qualcosa. Come la vita stessa dell'uomo, la libertà trae senso dall'amore. Chi infatti è più libero? Chi si riserva tutte le possibilità per paura di perderle, oppure chi si spende "decisamente" nel servizio e così si ritrova pieno di vita per l'amore che ha donato e ricevuto?
L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani della Galazia, nell’attuale Turchia, dice: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" (Gal 5,13). Vivere secondo la carne significa seguire la tendenza egoistica della natura umana. Vivere secondo lo Spirito invece è lasciarsi guidare nelle intenzioni e nelle opere dall’amore di Dio, che Cristo ci ha donato. La libertà cristiana è dunque tutt’altro che arbitrarietà; è sequela di Cristo nel dono di sé sino al sacrificio della Croce. Può sembrare un paradosso, ma il culmine della sua libertà il Signore l’ha vissuto sulla croce, come vertice dell’amore. Quando sul Calvario gli gridavano: "Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!", egli dimostrò la sua libertà di Figlio proprio rimanendo su quel patibolo per compiere fino in fondo la volontà misericordiosa del Padre. Questa esperienza l’hanno condivisa tanti altri testimoni della verità: uomini e donne che hanno dimostrato di rimanere liberi anche in una cella di prigione e sotto le minacce della tortura. "La verità vi farà liberi". Chi appartiene alla verità, non sarà mai schiavo di nessun potere, ma saprà sempre liberamente farsi servo dei fratelli.
Guardiamo a Maria Santissima. Umile ancella del Signore, la Vergine è modello di persona spirituale, pienamente libera perché immacolata, immune dal peccato e tutta santa, dedita al servizio di Dio e del prossimo. Con la sua materna premura ci aiuti a seguire Gesù, per conoscere la verità e vivere la libertà nell’amore.
[Papa Benedetto, Angelus 1 luglio 2007]
La rivelazione cristiana parla di un compimento che l'uomo è chiamato a realizzare nel corso di un'unica esistenza sulla terra. Questo compimento del proprio destino l'uomo lo raggiunge nel dono sincero di sé, un dono che è reso possibile soltanto nell'incontro con Dio. È in Dio, pertanto, che l'uomo trova la piena realizzazione di sé: questa è la verità rivelata da Cristo. L'uomo compie se stesso in Dio, che gli è venuto incontro mediante l'eterno suo Figlio. Grazie alla venuta di Dio sulla terra, il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. « La pienezza del tempo », infatti, è soltanto l'eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella « pienezza del tempo » significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio.
[Papa Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente n.9]
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male (Papa Paolo VI)
People dragged by chaotic thrusts can also be wrong, but the man of Faith perceives external turmoil as opportunities
Un popolo trascinato da spinte caotiche può anche sbagliare, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità
O Lord, let my faith be full, without reservations, and let penetrate into my thought, in my way of judging divine things and human things (Pope Paul VI)
O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane (Papa Paolo VI)
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
don Giuseppe Nespeca
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