Lc 13,22-30 (18-30)
Inizi modesti, Prodigio che non stordisce
Dal di dentro e nel domestico
(Lc 13,18-21)
Le due parabole sono state esposte in un momento di dubbio circa la proposta del Maestro e la missione dei suoi. Un piccolo gruppetto di fedeli privi di aggancio sociale, poteva dire qualcosa al mondo?
Malgrado l’impegno, donne e uomini si arrovellano in tutti i loro antichi problemi, sentono il peso di sofferenze e angosce: a prima vista tutto sembra come prima, sconnesso, caotico, frammentario.
Che senso ha per il concerto culturale e civico - oggi globale - la piccola speranza di pochi credenti privi d’un patrimonio appariscente?
Sembra che nella realtà del cosmo nulla cambi… ma il Granello è stato gettato nel solco della terra. Pare che la pasta umana sia quella di sempre, ma un Lievito la sta rinnovando tutta, dal di dentro.
Gesù è stato come un semino piantato nell’oscurità, nulla di clamoroso. E gettato come nell’orto di casa (v.19 testo greco), dove non si coltivano parate strepitose, ma semplici patate, insalata, melanzane, cetrioli, pomodori - cose normali, niente di che.
Il chicco di senape ha però una incredibile e intrinseca forza evolutiva.
Certo, il momento della crescita si conclude con un semplicissimo alberetto - un arbusto come tanti, sottoposto alle intemperie... eppure in grado di dare riposo e riparo a chiunque passi (v.19).
Questo reca il miracolo finale: «una forma di vita dal sapore di Vangelo […] che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui [s. Francesco] dichiara beato colui che ama l’altro quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui».
Sebbene ripresa da espressioni del Primo Testamento, nei tratti descritti da Lc la figura evangelica degli uccelli del cielo illustra «l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» (cf. enciclica Fratelli Tutti, n.1).
L’esperienza del Santo di Assisi dal «cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze» introduce in una logica di dialogo che evita «ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna sottomissione» - senza mai imporre una «guerra dialettica» o le «dottrine» (FT, 3-4).
Quindi è sufficiente mettere un pizzico di lievito nella massa per farla completamente fermentare.
Il lievito non risalta, è nascosto: sparisce dentro. E a quel tempo tutto si conservava in una semplice madia casalinga.
Approfondendo la vita nello Spirito, ripetutamente ci rendiamo conto che abbiamo visto solo in parte: c’è ancora molto (più) da scoprire, sebbene intuiamo sia a portata di mano - in relazione allo sviluppo della vita ordinaria.
Malgrado i megalomani, le dimensioni del Regno di Dio, dell’universo dell’anima e della Missione non sono cosa verificabile immediatamente e completamente.
Bisogna introdursi in un processo, personale e tutto celato - per questo autenticamente sorgivo, convinto e spalancato.
Infatti, persino «ad opera compiuta, ritrarsi è la Via del Cielo» (Tao Tê Ching, ix).
All’orizzonte di ogni cammino c’è sempre una nuova pianta, un’altra genesi, una differente fioritura nel tempo delle stagioni; un’inedita effervescenza, da introdurre nell’antico assetto già capitalizzato.
Questo splendore (e vitalità nascoste dell’anima intuitiva e missionaria) non appartiene ai rituali culturali collettivi, a doveri di contorno.
I lasciapassare artificiosi ci rendono prigionieri di condizionamenti che attenuano la percezione e smorzano la missione per cui siamo nati.
Anzi, uscire dal branco che partorisce i soliti pallidi (solo drogati) modelli interpretativi sarà un'opportunità per scoprire qualcosa di nuovo.
Sbalordiremo anche delle nostre stesse intime capacità propulsive - accompagnati solo dall’Amico che vede nel segreto.
Seme e fermento lavorano ignoti. Mancanza di riflettori, situazione povera, piccolezza... non sono ostacoli alla crescita, bensì la condizione.
Ciò che sembra niente diventa quel che la Creazione attende: si vede appena o affatto - ma dando tempo senza forzare e affrettare, ottiene l’evoluzione (cordiale e domestica) che non stona con Dio e i minimi.
La Chiesa che verrà non sarà invadente: non pretenderà l’adesione (pena esclusioni).
Per questo motivo il dinamismo di crescita avrà un esito fuori scala, ma solo dal punto di vista umano e delle capacità ospitali (v.19), non per grandiosità concitate.
Priva di magnificenze clamorose, eclatanti e ricercate, la nuova Sposa divina si coglierà nell’attitudine alla pienezza, perché corrisponderà al progetto di vita completa che ci abita il cuore, e misteriosamente intuiamo nostro. Capiremo: farà star bene tutti.
L’insicuro diventerà deciso, il perdente si tramuterà per Grazia in sapiente. Capiremo che accogliere la Parola e corrispondere alla propria Vocazione personale non sarà terrificante, ma rigenerante.
Chi non s’incarta ma sposterà i suoi pensieri, punterà tutto, farà venir fuori la propria essenza.
Capiremo che il nostro essere è già calibrato su trame innate, sommesse, personalmente-socialmente corrispondenti.
Nello Spirito e nella vita reale scopriremo il Magnifico qualitativo e speciale che i più conformisti e precipitosi, meno dialogici o capaci di ascolto, nemmeno lontanamente immaginano possa eccellere.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quale astuzia sensazionale ha tentato di distruggere la tua terra?
Quale conformismo (anche di gruppo) ti ha fatto impallidire?
Quale Parola sommessa e calibrata su di te non ha prodotto trambusti ma ha rigenerato la tua passione e ti ha dilatato la vita?
Primi ultimi. Il recupero degli opposti
Porta stretta: non perché oppressiva
(Lc 13,22-30)
Il senso della prima domanda è: «La Salvezza è esclusiva?» (v.23). Certo che no - e neppure oppressiva.
Ma non basta dichiararsi “Amici” [qua e là proclamazione di maniera, divenuta patente d’immunità per condurre una doppia vita].
A mezzo secolo dalla crocifissione di Gesù nelle comunità iniziano a manifestarsi i primi segni di rilassamento, vezzo e confusione.
Infatti, proprio i lontani, nuovi e respinti dai veterani, manifestano di essere credenti che riconoscono il Signore più degli abitudinari di comunità (v.25).
Taluni di essi, praticanti ormai inautentici della sua Mensa e della Parola (v.26).
Come mai il Figlio indulgente di Lc finisce per sbattere la porta in faccia ai suoi vecchi devoti?
Perché sono diventati manieristi fasulli, teatranti come quelli della religione antica, manipolatori dell’immagine di Dio dell’Esodo.
Ormai incapaci [v.24 testo greco] di orientarsi secondo il disegno del Padre, e dispotici, solo perché rivestiti di lunghe pratiche di rito. Stilemi esterni, adempiuti per usanza e a scapito della vita piena - ossia, messa a disposizione dei fratelli.
I privilegiati sono già fuori Casa [vv.25ss].
La loro vicenda mette in guardia dall’illusione di sentirsi “eletti”, ed essere a posto, sulla strada giusta.
Insomma, bisogna evitare di atteggiarsi a fenomeni (cristologici) per routine - a buon mercato - invece che a servizio dell’umanizzazione.
Un’occasione per capire se siamo sui passi che davvero ci appartengono è la revisione costante del rapporto con la Persona “inadeguata” - del Cristo (la «Porta stretta»: v.24).
Secondo il Maestro non si diventa “migliori” ricalcando cliché abitudinari ostentati, scarsamente convinti e adempiuti per tran tran.
C’è dunque un punto critico nella sua clemenza? Di che genere è la sua inflessibilità? Perché il discrimine è nella sua cerchia?
Chi opera molte cose per Dio (v.26) e non per i fratelli - o neppure si accorge che esistono - in realtà non rende onore al Padre.
Coloro che non si “sgonfiano”, non solo mancano di umiltà per farsi servitori, ma neppure attraversano gli interstizi dei muri di pietra (o di gomma, più diplomatici) in cui s’incunea lo Spirito.
Ci chiediamo però ancora sorpresi come può il Padre trascurare proprio i suoi che hanno tanto creduto in Lui, e prediligere addirittura i lontani, provenienti non si sa bene da dove.
Forse hanno amato come Lui.
Hanno spontaneamente operato quel cambiamento di rotta e di sorte che la Chiesa istituzione [riflesso del Regno] è chiamata da sempre a incarnare.
E come sono riusciti a trovare il modo per passare?
Non hanno avuto una “corretta” relazione con Dio - probabilmente - ma una giusta relazione con gli altri, sì.
È nel loro intimo che hanno conosciuto il Signore. Personalmente - anche quelli che neppure ne hanno sentito parlare direttamente.
E trasmigrando, hanno compiuto il loro Esodo.
Andando direttamente all’obiettivo, si sono interessati del frutto: ascolto, compassione, condivisione generosa dei beni - invece delle molte foglie (di stendardo, rito e formula).
Con gli occhi dell’anima, in queste persone del tutto prive di supponenza spirituale, la percezione degli orientamenti interiori ha vinto i pensieri e gl’idoli del costume a portata di mano.
Essi sono coloro che non si sono mai considerati troppo grandi.
Il non sentirsi eccellenti e il non avere pretese è e sarà valutato assai più della giusta osservanza e dell’esatto stendardo.
Caratteristiche fatue, addirittura (!) - che il nuovo Rabbi attribuisce proprio agli habitué che sembrano avere le carte in regola.
Li definisce «facitori di cose vane, facitori di cose morte» [Lc 13,27; il testo greco ha un sottofondo semita del genere: Sal 6,9 testo ebraico].
Si riferisce ai tiepidi che vanno avanti per inerzia e ancora oggi partecipano alle manifestazioni esteriori con estrema superficialità.
Fanno corpo, ma personalmente non mettono in moto nulla.
Il Signore non vuole umiliare, ma invitarci a ripensare i motivi e le modalità della nostra sequela.
Ricevere il suo Pane significa accettare di diventare alimento in favore della vita del mondo.
Accogliere la sua Parola è gesto che denota il desiderio ardente di viverla, non un’abitudine, né modo per lasciarsi apprezzare e fare slalom.
Eppure Cristo si vede costretto a dire: «Non so “da” dove voi siete» (vv.25-27).
Mentre alcuni che neppure hanno conosciuto il Signore, sono misteriosamente passati per la «Porta stretta» che è appunto Gesù stesso - senz’accorgersi.
Privi dell’ipocrisia di reputarsi grandi Apostoli, ovvero coloro che sanno stare al mondo.
Il loro segreto è quello di un’esperienza convinta e di una pratica fraterna che ha diradato l’inganno spirituale delle parentesi (teatrali) in società.
Non hanno partecipato a passerelle (sacre) per poi trascorrere la vita additando, mortificando, rendendo inferma l’esistenza di tutti ed in specie dei malfermi.
Gente che si è dedicata al bene - quindi non è affogata nell’angoscia stantia delle culture devote e moraliste locali. Magari bloccati per timore di contaminarsi.
Anime le quali non sono vissute sotto una cappa di morbose ossessioni, tipiche di chi si fissa sui comportamenti altrui [e in modo inespresso li coltiva dentro].
I veri discepoli partecipano del Banchetto perché non hanno fuggito il mondo, hanno lottato (v. 24) per farsi capaci di amare.
Si sono compromessi coi vili limiti delle periferie esistenziali, proprie e dei fratelli.
Hanno dedicato l’esistenza all’inclusione sociale e all’accoglienza dei sentimenti, a riconoscere il legittimo desiderio di vita di ciascuno.
Si sono sradicati dall’idea che l’appartenenza religiosa porgesse una patente d’immunità (o addirittura di sacralizzazione) alla tiepidezza.
Con tutte le loro imperfezioni, hanno desiderato Felicità, non la banale allegria che copre il niente delle scelte.
Sono già persone complete, che hanno colmato anche la nostra esistenza, e per questo “entrate” sotto la luce di Dio.
Hanno avuto rispetto del loro Nucleo infallibile e della natura delle cose del mondo, che chiamano a Comunione.
Se sono state donne e uomini di preghiera, hanno ascoltato la voce della propria essenza.
Hanno saputo accogliere come ospite di riguardo qualsiasi stato d’animo (e intuizione) di partenza. Si sono accorti.
Hanno percepito ed espresso, non solo pensato e soffocato.
E scavando, si sono chiesti: cosa significa questa gioia o questa tristezza per me? Perché le mie calme e le mie angosce?
In tal modo hanno imparato a incontrare se stessi in tutto, e ad accompagnare le eccentricità altrui, recuperandone gli opposti (v.30).
Angeli rimasti in sintonia col Mistero di Dio che si annida nelle pieghe della storia personale e dell’altrui vicenda, giorno per giorno - nel genio del tempo.
Hanno colto il Segreto di Dio perché non hanno trascurato nulla come fosse un inganno, né tacitato le inquietudini.
L’insegnamento del Signore ha trasformato la loro esistenza: la conoscenza di Dio è diventata compassione ed empatia.
Così non hanno scambiato per pace l’indifferenza, per quiete l’opportunismo, per tranquillità il fallimento dei “meticci”.
Non sono stati tanto presuntuosi da ritenersi in diritto. Non hanno chiamato vittoria la subordinazione degli ultimi e degli esclusi.
«Porta stretta»: non perché oppressiva.