Dic 28, 2024 Scritto da 

Ecco l’Agnello, negli agnelli. Rivoluzione della Tenerezza sana

Fratello, nei fratelli tutti

(Gv 1,29-34)

 

Nel quarto Vangelo il Battista non è «il precursore», bensì un «testimone» della Luce Agnello che suscita interrogativi di fondo.

Allarmate, le autorità lo mettono sotto inchiesta.

Ma non è lui che spazza via «il peccato» ossia l’umiliazione delle distanze incolmabili - e l’incapacità di corrispondere alla Vocazione personale, per la Vita senza limite.

Impaccio addirittura sottolineato dalla logica «del mondo»: dal falso insegnamento, dalla struttura stessa dell’istituzione ufficiale antica, così legata all’intreccio fra religione e potere.

Condannato a «mezzogiorno» [culmine e piena luce] della vigilia di Pasqua, Gesù incrocia il suo volgere terreno con l’ora in cui i sacerdoti del Tempio iniziavano a immolare gli agnelli della propiziazione [in origine, un sacrificio apotropaico che precedeva la transumanza].

Come per l’Agnello dei padri in terra estranea, che li aveva risparmiati dall’eccidio - il suo Sangue dona impulso per valicare il paese delle aride schiavitù.

“Egitto” dei faraoni, privo di tepore e intima consonanza (che ci guidano a morte anticipata).

 

Come noto, l’effigie dell’Agnello appartiene al filone teologico sacrificale, scaturito dal celebre testo di Isaia 53 e da tutto l’immaginario sacrale dell’oriente antico [che aveva elaborato una letteratura e un pensiero diffuso sul Re Messia].

Secondo la concezione biblica, il sovrano riuniva in sé e rappresentava l’intero popolo. L’Unto avrebbe avuto il compito ideale di trascinar via ed espiare le iniquità umane.

Ma Gesù non espia bensì «estirpa». Neppure propizia”: il Padre non rifiuta la condizione precaria delle sue creature, né istituisce un protettorato favorevole a una cerchia (come il Dio delle religioni arcaiche).

In Cristo che «sostiene e toglie» tutte le nostre vergogne e debolezze, l’Azione del Padre si fa intima - per questo decisiva.

Egli non annienta le trasgressioni con una sorta di amnistia, addirittura vicaria: non sarebbe autentica salvezza toccare solo le periferie e non il Nucleo, per riattivarci.

Un abito esterno non ci appartiene e non sarà mai nostro; non è assimilato, né diventa vita reale. Le sanatorie non educano, tutt’altro.

È vero che un agnellino in un mondo di lupi astuti non ha scampo. Presentarlo, significa vederlo perire, ma non come vittima designata: era l’unico modo affinché le belve che si credono persone capissero di essere ancora solo delle bestie.

Il Risorto introduce nel mondo una forza nuova, un dinamismo diverso, un modo d’istruire l’anima che si fa processo consapevole.

Solo educandoci, l’Altissimo-vicino annienta e vince l’istinto delle belve che si pappano a vicenda, credendosi esseri umani veri - addirittura spirituali.

 

Una terza allusione alla figura dell’Agnello insiste sull’icona votiva e categoria archetipa, associata al sacrificio di Abramo, ove Dio stesso provvede la vittima (Gn 22).

Certo che provvede: non ci ha creati angelici, bensì malfermi, transitori. Eppure, ogni Dono divino passa per la nostra condizione traballante - che non è peccato, né colpa, bensì dato; nutrimento, e risorsa.

Siamo Perfetti nella molteplicità dei nostri versanti creaturali, persino nel limite: una bestemmia per l’uomo religioso antico… una realtà per l’uomo di Fede.

L’Agnello autentico non è solo rimando (morale): la mansuetudine di chi è chiamato a donare tutto di sé, persino la pelle.

È immagine del confine palese di coloro che non ce la farebbero mai a rendere geniale la vita, quindi si lasciano trovare e caricare sulle spalle.

In tal guisa, nessun delirio decisionista.

Sarà l’Amico del nostro nucleo vocazionale a trasmettere forza e ideare la strada per farci tornare alla Casa ch’è davvero nostra: la Tenda che ricuce le vicende disperse.

Dimora che riannoda tutto l’essere che avremmo dovuto - e forse anche potuto - portare a frutto.

 

I diversi percorsi che conducono all’Eros fondante che ci appartiene, intimo e superiore, sono autentici e al contempo unici per ciascuno.

La Perfezione che affiorerà lungo la Via ci corrisponde già.

 

Allora il desiderio di migliorare secondo paradigma antico o altrui, non sarà più un tormento che snerva l’anima, attenuandone la completezza.

 

Incarnazione qui significa che l’Agnello è raffigurazione d’una globalità accolta - inusuale - del Volto divino negli uomini.

Totalità finalmente salda - paradossale, conciliata - che recupera il suo opposto innocente, naturale, spontaneo, incapace di miracolo.

Differenza tra religiosità e Fede.

 

Quello dell’Agnello non è un io già con una sua rotta; attrezzato, sicuro di sé e in grado di orientarsi nel mondo. Magari per farsi accettare, non essere da meno, stare sempre in primo piano.

Sono le virtù passive e i lati deboli - non quelli artificiosi e posti in vetrina - ad attivare le parti migliori di noi, più feconde, in grado di farci guardare dentro.

Tutto ciò, onde percorrere noi stessi e i fratelli, superando i lati segreti e le ansie; trasmettendo vita.

Agnello: non un voler esserci a tutti i costi e da protagonisti, sempre a proprio agio, con certezze esibite; troppo esposte a proiezioni, ad altri desideri di protagonismo - e non perdere posizioni.

Quando ci mettiamo in scena, restiamo del tutto esteriori e spostiamo le nostre facoltà, le altre capacità del cuore - come ad es. il bisogno di cedere, lasciar scorrere per preparare altro che non sappiamo. E volgere lo sguardo, scoprire nuovi orientamenti, o la simbiosi con il diverso.

 

Per questo si parla di «rivoluzione della tenerezza» [v. sotto] - che non può essere una maschera culturale guidata, o un condizionamento ch’espropria.

Alla fine ci si accorge delle persone artificiose: recitano la santità - alcuni solo per ottenere il sopravvento spirituale su ingenui e innocenti presi dallo sguardo autenticamente interiore e fraterno.

 

 

L’Agnello è immagine d’una stabilità nel bene anzitutto ricevuta in dono e forse neppure invocata, ma riconoscibile - che quindi fa scoprire sia il tacere innato che gli inattesi colori dell’anima, e delle vicende.

Passo dopo passo diventa conoscenza profonda di noi stessi, figura-orientamento e di solido dialogo cui affidarsi, attivando quella singolare speranza colma d’intensità che strappa dalle infatuazioni.

Pendiamo dalle sue labbra universali e semplici.

Esse aprono la coscienza - superando di slancio sia i nostri dèmoni che le risonanze stridule di coloro che si affiancano per sentirsi importanti (e governare le relazioni).

Incorporati all’Agnello, entriamo nello spirito giusto del viaggio interiore. Poi proseguiamo volentieri - mai soli e orfani; come Insieme - nella ricerca del proprio modo irripetibile di completarsi e farci Alimento.

 

Si chiede il Tao Tê Ching (xv):

«Chi è capace d’esser motoso per far illimpidire pian piano riposando? Chi è capace d’esser placido per far vivere pian piano, rimuovendo a lungo?».

Il maestro Wang Pi commenta:

«L’uomo dalla virtù somma è così: i suoi presagi non sono scrutabili, la direzione della sua virtù non è manifesta. Se perfeziona le creature restando oscuro, perviene a illuminarle; se fa riposare le creature essendo motoso, perviene a illimpidirle; se rimuove le creature mantenendosi placido, perviene a farle vivere».

 

È decisamente Cristo Agnello l’effigie terapeutica benefica dell’anima che cerca nutrimento - e della nostra sorte energetica, anche durante le normali occupazioni.

Allora sembreranno quasi un canto, che vibra attorno.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Che senso ha per te l’espressione «l'Agnello che toglie il peccato del mondo»?

 

 

Tenerezza sana: egoismo senza riduzioni

 

Il santo è colui che percorrendo la propria via nella scia del Risorto ha imparato a «identificarsi con l'altro, senza badare a dove [né] da dove [...] in definitiva sperimentando che gli altri sono sua stessa carne» (cf. FT 84).

 

Nessuna pianta vive solo alla luce: morirebbe. Nessun animale: perirebbe - se non avesse la sua tana in ombra.

L’uomo che nega il suo lato oscuro, mente. E non godrebbe mai Gioia, frutto di Allenza tra le nostre sfaccettature poliedriche.

 

La spiritualità biblica non è vuota; anzi, molto sobria e legata alla vita concreta e multiforme, talora opposta - per nulla incline a ripiegamenti sentimentalistici consolatori o unilaterali.

In Dt 6,4-5 [testo ebraico] l’amore dovuto al Signore investe «tutto il cuore» ossia tutte le decisioni, «tutta la vita» ossia ogni istante dell’esistenza, e «tutto il tuo molto». Ossia condivisione dei beni; che il Figlio di Dio intende in senso universale.

La proposta di Gesù evolve in modo decisivo verso il superamento degli steccati, la libertà, e la consapevolezza.

Essa tende a recuperare l’intero essere creaturale - e non è neppure incline alla liturgia degli adempimenti, né a valorizzare performances.

Il Figlio di Dio definisce le coordinate del vero Amore verso il Padre in termini che ci sorprendono, perché al criterio antico aggiunge il mettersi in discussione nell’intelligenza delle cose dell’uomo, di Dio e di Chiesa.

Rendersi conto, cercare di capire, dialogare per arricchirsi, aggiornarsi, vagliare tutto... non sono orpelli cerebrali e individuali, ma passi decisivi per la comunione con gli altri e col Padre [Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27].

 

Nelle religioni pagane non aveva senso parlare di amore per gli dèi.

Essi vivevano una vita capricciosa e decidevano a lotteria chi favorire tra gli uomini e chi invece dovesse sopportare una vita di stenti, insignificante.

I fortunati (materialmente benedetti) ringraziavano adempiendo prescrizioni, ad es. obblighi di culto; gli altri idem - almeno per tenersi buone le schiere celesti e non essere così oggetto di ritorsioni dall’alto.

Il timore crea piramidi gerarchiche. L’amore mette alla pari.

Ovvio che - con la cappa delle molte incombenze da osservare (per strapparne il favore) - fosse impossibile avere tanta passione per gli abitatori dell’Olimpo, o semidei, ninfe, eroi - insomma, per chiunque sovrastasse.

Agli invisibili e senza terra era ovviamente riservato il disprezzo personale e sociale - sacralizzato dall’indiscutibile volontà superna, identificata con la destinazione al ceto dei bassifondi; nel caso, punitiva. Comunque, paludosa.

[Altro che «viscere di Misericordia»: espressione materna, comune sin dal Primo Testamento!].

 

Poi l’idea arcaica di castigo o benedizione (addirittura senza fine) per meriti ammucchiati in vita ha costituito il tessuto della mentalità religiosa di tutti i tempi.

Ciò sino a poco tempo fa, anche nella civitas christiana in cui viviamo.

Quindi la «teologia della retribuzione» ha di fatto annientato ogni passione personale, con l’idea ipocrita di scambio. Nonché di meritocrazia proiettata addirittura al rango di Paradiso - peggiore degli egoismi.

Livellandoci tutti all’apporre “crocette”.

Sono note le complesse procedure della «pesatura del cuore» e del «Giudizio divino» sulle anime dei defunti, fin nei sarcofagi e nel Libro dei morti dell’antico Egitto.

Concatenazioni di stampo forense, che hanno umiliato l’idea di Giustizia divina, la quale pone condizioni e rapporti giusti dov’essi non sono. Ma opinioni e procedure divenute comuni a tutte le credenze del bacino mediterraneo e del medio oriente antico.

 

Ormai distaccati dall’invasione d’un tempo di catechesi ossessive sul terribile giudizio finale popolato d’accoliti armati con forcone, ci sentiamo finalmente capiti in modo personale; con criterio esclusivamente vocazionale, non massificato.

Per dato creaturale, siamo anime chiamate e attivate a un percorso che può dare frutto irripetibile - un contributo decisivo e non omologabile all’intera storia della salvezza. Ciascuno di noi.

Nella Visione-proposta di Gesù l’Agnello, il nostro essere non è onnipotente nel bene; questo non reca condanna alcuna, neanche agli incapaci.

Siamo conformati sulla necessità di ricevere amore - come fossimo dei bambini di fronte a Genitori che appunto fanno crescere sani i propri figli con una sovrabbondanza d’iniziative, le quali li portano a superarsi.

Ciò, malgrado i capricci; anzi, a motivo di essi: magma di energie contrapposte eppure plasmabili, che vedono più lontano delle facili identificazioni, e stanno preparando i successivi sviluppi.

 

L’esperienza della Tenerezza evangelica non deriva dal buon carattere e dalla mansuetudine sociale. Ma dall’aver sperimentato in prima persona il valore delle eccentricità - e aver sviluppato la comprensione dei propri lati oscuri, o rielaborato e fatto scendere in campo deviazioni che a un certo punto della vita sono diventate risorse stupefacenti.

Addirittura, medesima evoluzione e trasmutazione possiamo notare negli aspetti di noi stessi che non piacciono e vorremmo correggere… poi nell’andare dei giorni stupiscono, e scopriamo essere la parte migliore di noi stessi: la vera inclinazione e il motivo per cui siamo nati.

Il carattere deviante e sbilanciato di ciascuno contiene un segreto essenziale della Chiamata per Nome e del proprio destino.

Da ciò si parte per riconoscere il peso specifico delle differenze e le stesse dissonanze di sorelle e fratelli, ugualmente arricchenti.

Non è buonismo, quello degli Agnelli (oscillante in situazione, e collegato a modi artificiosi, subdoli interessi o partigianerie): il contrario!

Come ha detto Papa Francesco: «Agnelli, non stupidi; però agnelli».

 

Nella vita personale e di comunione, Tenerezza evangelica è reale comprensione e autentica inclusione del “diverso” - a partire non da una ideologia erratica, momentanea e di cerchia (volubile) ma dalla propria esperienza di vita intima e relazionale.

Ci porterà a sperimentare un Padre che ben provvede a noi, proprio mentre rallegriamo la vita altrui - arricchendo la nostra! - nella confluenza e riarmonizzazione dei nostri molti volti.

Tenerezza a tutto tondo, convinta sul serio; senza le maschere omologate dei soliti “punti saldi” della banale (recitata) “tenerezza” forse obbligata e che si attiva da un’identità conforme indebolita.

 

È questo il contagio sapiente che ci farà rinascere dalla grande crisi globale: l’indulgenza che non si fa indolenza isterica.

E che non rimane settoriale - perché parte non dalle maniere o dai nodi esterni, ma dall’essere se stessi e qui riconoscere il Tu.

Insieme fratelli tutti, semi del Logos.

 

Per una Tenerezza del Dialogo senza nevrosi.

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

It is He himself who comes to meet us, who lowers Heaven to stretch out his hand to us and raise us to his heights [Pope Benedict])
È Lui stesso che ci viene incontro, abbassa il cielo per tenderci la mano e portarci alla sua altezza [Papa Benedetto]
As said s. Augustine: «The Word of God which is explained to you every day and in a certain sense "broken" is also daily Bread». Complete food: basic and “compote” food - historical and ideal, in actuality
Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano». Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in atto
Yet Jesus started from there: not from the forecourt of the temple of Jerusalem, but from the opposite side of the country, from Galilee of the nations, from the border region. He started from a periphery. Here there is a message for us: the word of salvation does not go looking for untouched, clean and safe places. Instead, it enters the complex and obscure places in our lives. Now, as then, God wants to visit the very places we think he will never go (Pope Francis)
Eppure Gesù cominciò da lì: non dall’atrio del tempio di Gerusalemme, ma dalla parte opposta del Paese, dalla Galilea delle genti, da un luogo di confine. Cominciò da una periferia. Possiamo cogliervi un messaggio: la Parola che salva non va in cerca di luoghi preservati, sterilizzati, sicuri. Viene nelle nostre complessità, nelle nostre oscurità. Oggi come allora Dio desidera visitare quei luoghi dove pensiamo che Egli non arrivi (Papa Francesco)
“Lumen requirunt lumine”. These evocative words from a liturgical hymn for the Epiphany speak of the experience of the Magi: following a light, they were searching for the Light. The star appearing in the sky kindled in their minds and in their hearts a light that moved them to seek the great Light of Christ. The Magi followed faithfully that light which filled their hearts, and they encountered the Lord (Pope Francis)
«Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore (Papa Francesco)
John's Prologue is certainly the key text, in which the truth about Christ's divine sonship finds its full expression (John Paul II)
Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione (Giovanni Paolo II)
The lamb is not a ruler but docile, it is not aggressive but peaceful; it shows no claws or teeth in the face of any attack; rather, it bears it and is submissive. And so is Jesus! So is Jesus, like a lamb (Pope Francis)
L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello (Papa Francesco)
Innocence prepares, invokes, hastens Peace. But are these things of so much value and so precious? The answer is immediate, explicit: they are very precious gifts (Pope Paul VI)
L’innocenza prepara, invoca, affretta la Pace. Ma si tratta di cose di tanto valore e così preziose? La risposta è immediata, esplicita: sono doni preziosissimi (Papa Paolo VI)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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