Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
L’odierno episodio evangelico (cfr Mc 12,38-44) chiude la serie di insegnamenti impartiti da Gesù nel tempio di Gerusalemme e pone in risalto due figure contrapposte: lo scriba e la vedova. Ma perché sono contrapposte? Lo scriba rappresenta le persone importanti, ricche, influenti; l’altra – la vedova – rappresenta gli ultimi, i poveri, i deboli. In realtà, il giudizio risoluto di Gesù nei confronti degli scribi non riguarda tutta la categoria, ma è riferito a quelli tra loro che ostentano la propria posizione sociale, si fregiano del titolo di “rabbi”, cioè maestro, amano essere riveriti e occupare i primi posti (cfr vv. 38-39). Quel che è peggio è che la loro ostentazione è soprattutto di natura religiosa, perché pregano – dice Gesù – «a lungo per farsi vedere» (v. 40) e si servono di Dio per accreditarsi come i difensori della sua legge. E questo atteggiamento di superiorità e di vanità li porta al disprezzo per coloro che contano poco o si trovano in una posizione economica svantaggiosa, come il caso delle vedove.
Gesù smaschera questo meccanismo perverso: denuncia l’oppressione dei deboli fatta strumentalmente sulla base di motivazioni religiose, dicendo chiaramente che Dio sta dalla parte degli ultimi. E per imprimere bene questa lezione nella mente dei discepoli offre loro un esempio vivente: una povera vedova, la cui posizione sociale era irrilevante perché priva di un marito che potesse difendere i suoi diritti, e che perciò diventava facile preda di qualche creditore senza scrupoli, perché questi creditori perseguitavano i deboli perché li pagassero. Questa donna, che va a deporre nel tesoro del tempio soltanto due monetine, tutto quello che le restava e fa la sua offerta cercando di passare inosservata, quasi vergognandosi. Ma, proprio in questa umiltà, ella compie un atto carico di grande significato religioso e spirituale. Quel gesto pieno di sacrificio non sfugge allo sguardo di Gesù, che anzi in esso vede brillare il dono totale di sé a cui vuole educare i suoi discepoli.
L’insegnamento che oggi Gesù ci offre ci aiuta a recuperare quello che è essenziale nella nostra vita e favorisce una concreta e quotidiana relazione con Dio. Fratelli e sorelle, le bilance del Signore sono diverse dalle nostre. Lui pesa diversamente le persone e i loro gesti: Dio non misura la quantità ma la qualità, scruta il cuore, guarda alla purezza delle intenzioni. Questo significa che il nostro “dare” a Dio nella preghiera e agli altri nella carità dovrebbe sempre rifuggire dal ritualismo e dal formalismo, come pure dalla logica del calcolo, e deve essere espressione di gratuità, come ha fatto Gesù con noi: ci ha salvato gratuitamente; non ci ha fatto pagare la redenzione. Ci ha salvato gratuitamente. E noi, dobbiamo fare le cose come espressione di gratuità. Ecco perché Gesù indica quella vedova povera e generosa come modello di vita cristiana da imitare. Di lei non sappiamo il nome, conosciamo però il suo cuore – la troveremo in Cielo e andremo a salutarla, sicuramente –; ed è quello che conta davanti a Dio. Quando siamo tentati dal desiderio di apparire e di contabilizzare i nostri gesti di altruismo, quando siamo troppo interessati allo sguardo altrui e – permettetemi la parola – quando facciamo “i pavoni”, pensiamo a questa donna. Ci farà bene: ci aiuterà a spogliarci del superfluo per andare a ciò che conta veramente, e a rimanere umili.
La Vergine Maria, donna povera che si è donata totalmente a Dio, ci sostenga nel proposito di dare al Signore e ai fratelli non qualcosa di noi, ma noi stessi, in una offerta umile e generosa.
[Papa Francesco, Angelus 11 novembre 2018]
Pietre vive e Liberazione dai mercanti: Segno e Anticipazione
(Gv 2,13-22)
Dove adorare l’Altissimo?
Già il cosmo è come una grande cattedrale, che tesse lodi divine; poi certamente hanno avuto un senso storico sia le alture che i templi.
Ma ora è Cristo il luogo in cui la donna e l’uomo incontrano Dio, il centro d’irruzione e dispiegamento dell’Amore del Padre, nel cosmo.
Il Signore viene volentieri, per fondersi con la vita del credente e dilatare le sue capacità, risorse qualitative, mondo di relazioni.
L’Eterno vive e agisce nell'Amico che - pur inconsapevolmente - ne accoglie le proposte.
Così, anche se i cieli non lo contengono, Egli si degna e diletta di stare tra noi e in noi.
Il grande Sovrano antico era relegato nel Tempio, e nelle vicende del quotidiano ci si dimenticava di Lui. Ora siamo noi i Santuari, veri e vivi.
Quindi, anche se la folla dei turisti si aggira per ammirarne l’arte, le Basiliche sono segno, non realtà.
Siamo noi le ‘chiese’ fuori delle chiese, ove abita la Fonte dell’essere che ‘si rivela’ e dobbiamo far incontrare agli altri.
Segno efficace e anticipazione di un cosmo più umano. In ognuno il Volto di Cristo.
Solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra» [Dante, Paradiso 31, 30-35].
«Era vicina la Pasqua»: tempo della liberazione dalla schiavitù - dai mercanti che avevano sequestrato il Dio dell’Esodo.
Il popolo riteneva di essere emancipato grazie all’acquisizione della ‘terra promessa’, e di praticare un culto gradito.
In realtà era ancora schiavo di una immagine pagana dell’Onnipotente.
Infatti, il complesso del Tempio era costituito da una serie di circuiti che via via scremavano i visitatori.
Gesù vuole smantellare le barriere che impediscono di accostarsi a Dio; tutti i pregiudizi e muri divisori.
La grande Novità è che in Lui ciascuno ha accesso al Padre.
Egli propone la comunione come convivialità delle differenze, non sinergia con scopi qualsiasi.
Poi, il timore inculcato dalla vecchia religiosità aveva trasformato i grandi luoghi di culto dell’oriente antico in banche.
La commistione di preghiera e denaro è davvero insopportabile.
Quando subentrano interessi economici, le conseguenze sulle persone senza peso [e sulla civiltà stessa] sono devastanti.
Così, il Maestro ci sbatte fuori dalla falsa immagine di Dio, per recuperarlo dentro ciascuno di noi.
Insomma, bisogna farla finita con le palizzate - pur “ideali” - in cui la gratuità e la preghiera hanno ben poco di somigliante al rapporto del Figlio col Padre.
Tutto ciò anche spingendoci a capire altrove, navigando verso impossibili territori.
Infine approdando sempre più alla densità del Mistero che vuole viaggiare con noi.
Faremo tutt’altro genere di acquisizioni.
Ormai il mercanteggiare è incompatibile con la nostra azione di ‘pietre vive’.
[Dedicazione della Basilica Lateranense, 9 novembre 2024]
Pietre vive e Liberazione dai mercanti:
Segno e Anticipazione di un nuovo cosmo, d’una nuova umanità
(Gv 2,13-22)
Dove adorare l’Altissimo? Già il cosmo è come una grande cattedrale, che tesse le lodi divine; poi certamente hanno avuto un senso storico sia le alture che i templi.
Ma ora è Cristo il luogo in cui la donna e l’uomo incontrano Dio, il centro d’irruzione e dispiegamento dell’Amore del Padre, nel cosmo.
Il Signore viene volentieri, per fondersi con la vita del credente e dilatare le sue capacità, risorse qualitative, mondo di relazioni.
L’Eterno vive e agisce nell'amico che - pur inconsapevolmente - ne accoglie le proposte. Così, anche se i cieli non lo contengono, Egli si degna e diletta di stare tra noi e in noi.
Il grande Sovrano antico era relegato nel Tempio, e nelle vicende del quotidiano ci si dimenticava di Lui. Ora siamo noi i santuari, veri e vivi.
Quindi, anche se la folla dei turisti si aggira per ammirarne l’arte, le Basiliche sono segno, non realtà.
Siamo noi le chiese fuori delle chiese, ove abita la Fonte dell’essere che si rivela e dobbiamo far incontrare agli altri.
Segno efficace e anticipazione di un cosmo più umano. In ognuno il Volto di Cristo.
Solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra» [Dante, Paradiso 31, 30-35].
«Era vicina la Pasqua»: tempo della liberazione dalla schiavitù - dai mercanti che avevano sequestrato il Dio dell’Esodo.
Il popolo riteneva di essere emancipato grazie all’acquisizione della “terra promessa”, e di praticare un culto gradito.
In realtà era ancora schiavo d’una immagine pagana dell’Onnipotente, e di una religiosità più volte rabberciata a uso e consumo dei professionisti del sacro.
Il Tempio di Gerusalemme era l’orgoglio dell’élite spiritualeggiante, eppure Gesù si comporta in modo da sconcertare il sistema culturale consolidato.
Non media, non cerca appoggi, non intende far carriera, non si fa problema a buttare all’aria il mercato tanto caro alla classe sacerdotale.
Ogni risvolto era fondato sopra un falso insegnamento, che faceva leva sul senso d’indegnità inculcato alla gente semplice. Quindi sul timore delle maledizioni celesti - sotto condizione, favorevoli solo ai protagonisti del commercio religioso.
Il complesso del Tempio era costituito da una serie di circuiti che via via scremavano i visitatori.
Nella spianata potevano entrare tutte le persone sane, anche pagani; poi iniziavano i muri di separazione.
Il primo, sotto minaccia di morte, bloccava i non israeliti. Il secondo le donne, il terzo anche i circoncisi.
Al santuario interno avevano accesso i soli addetti al rito: nessun profano poteva calcare le sacre pietre.
Nel Santo dei santi entrava unicamente il sommo sacerdote, una volta l’anno (giorno del kippur).
La caratteristica più evidente del complesso [logica dei suoi recinti chiusi] era la Separazione: l’esclusione delle persone.
Proprio i più bisognosi non erano ammessi: malati, paralitici, peccatori, pubblicani, pastori - neppure israeliti.
Gesù vuole smantellare le barriere che impediscono di accostarsi a Dio; tutti i pregiudizi e muri divisori.
La grande Novità è che in Lui ciascuno ha accesso al Padre, senza impedimento né imprimatur da implorare.
Egli propone la comunione come convivialità delle differenze, non sinergia con scopi qualsiasi.
Valorizza l’unicum delle risorse personali, non propone il solito totem - martellante qualsiasi nostra facoltà.
Chiunque lo desideri può entrare nel Santuario del nuovo Tempio-Persona, senza ostacolo [né dover prima ottenere autorizzazioni (come talora avviene) da gente pericolosa, poco trasparente, e insulsa].
Poi, il timore inculcato dalla vecchia religiosità aveva trasformato le grandi sedi di culto dell’oriente antico in banche - oltre che luoghi di ossessione.
La commistione di preghiera e denaro è davvero insopportabile. Quando subentrano interessi economici, le conseguenze sulla civiltà e sulle persone senza peso sono devastanti.
Ma il teatro del potere “santificante” e perbenista è tornato (a volte, quasi imperturbabile) anche sotto l’egida del povero Crocifisso.
Così Gesù nei suoi profeti, Viene - pure - a sottolineare l’incompatibilità fra commercio e vita di comunione col Padre.
Il che connota l’enorme differenza tra edificio materiale e luogo sacro personale.
Cristo in noi non si protende a rabberciare l’antica pratica pia, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo, soppiantarlo. E persino eliminarlo - perché esso tende a legittimare illusioni di perfezione, che disumanizzano cuori e assemblee.
Il Maestro ci sbatte fuori dalla falsa immagine di Dio presentata negli spazi di quanto appare inviolabile e celeste… per recuperarlo dentro ciascuno di noi e nella comunità che s’incontra davvero.
Insomma, bisogna farla finita con le palizzate - anche “ideali” - in cui la gratuità e la preghiera hanno ben poco di somigliante al rapporto del Figlio col Padre.
Informali e squilibrati d’amore come l’Eterno stesso, anche noi non sappiamo “stare al mondo” in modo fisso, tranquillo, rassicurante.
Per Fede non siamo più il prodotto di santuari di fredde e dure pietre.
Non di rado i templi sono immagini d’un sapere religioso astratto, e d’uno stile di vita standard che incaponisce, che non sa dare risposte a domande nuove, che non risolve i veri problemi.
Vorremmo sì imparare a tradurre i nostri balzi in avanti con la “nostalgia dell’infinito”, con il desiderio di tornare alla Sorgente, alla Bellezza, alle origini - ma che accompagnano il “pellegrino”.
Esse in Cristo non creano nessun «legame costante e ossessivo» [cf. Fratelli Tutti, n.44].
Certo non attendiamo neppure di finire nell’ideologia arrendevole e disincarnata delle élites: un pensiero talmente sofisticato da bloccare totalmente ogni scommessa impegnativa, per un rischio educativo e l’azione pastorale.
Non siamo qualunquisti.
Viceversa aneliamo andare sino in fondo, scoprire le Radici, e sbalordire dei caratteri inespressi; nella vita d’amore che approda ai lati in ombra, sottaciuti, profondi. Quei versanti cui ancora non abbiamo concesso spazio.
Senza appunto tacitare inquietudini, né rinnegare versanti oscuri, o le contraddizioni, i momenti sgradevoli, le fratture, i disagi che convivono nell’essenza. E ci completano.
Apprenderemo come tornare alla Casa che appartiene all’Eros fondante, senza sopire le sporgenze intime - appelli dell’anima, spesso costretta.
Allora conosceremo e insegneremo a recuperare le dimensioni amare, spiacevoli o “impure”, che il tempio di muro immagina di poter trascurare, allontanare, sterilizzare.
Esse configurano invece il terreno più fecondo della nostra evoluzione.
Tutto ciò forse non rassicura, ma attiva l’Esodo - spingendoci a capire altrove, navigando verso impossibili territori.
Infine approdando sempre più alla densità del Mistero che vuole viaggiare con noi.
E devozioni o meno, faremo tutt’altro genere di acquisizioni - non quella dei soci in affari con Dio - o di “separati”.
«Oggi la liturgia ricorda la Dedicazione della Basilica Lateranense, che è la cattedrale di Roma e che la tradizione definisce "madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". Con il termine "madre" ci si riferisce non tanto all’edificio sacro della Basilica, quanto all’opera dello Spirito Santo che in questo edificio si manifesta» [Papa Francesco, Angelus 9 novembre 2014].
Ribadiamo: solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra».
Spiacente per i dirigenti delle “news” che vogliono strapparci dai codici infiniti che ci abitano.
Il Sé Amico, eminente, prende il nostro passo - non intende relegarci a portaborse del mondo arruolato.
Ormai il mercanteggiare di contrabbando è incompatibile con la nostra azione di pietre vive.
Lo stesso vale nella relazione di Fede-Identità immediata: nessun commercio (cf. vv.23-25).
Con chi si accosta a Lui come facitore di miracoli, protettore materiale, o stendardo per sacralizzare visioni del mondo tutte piantate nella palude della cronaca, Gesù ha un atteggiamento distaccato.
La creduloneria nello straordinario dei prodigi o dei pensieri è fragile, passeggera - sottomessa al perdurare degli spettacoli esteriori, delle maniere e mode appariscenti, o dell’utile.
Non è qui che si accetta di diventare - come Lui - testimoni critici del mondo nuovo. Padri e madri d’una nuova umanità.
«Se l’uomo presta attenzione agli oggetti dei sensi, finisce per nascere in lui attaccamento per quelli; dall’attaccamento nasce il desiderio, dal desiderio scaturisce la collera; dalla collera si origina lo smarrimento, dallo smarrimento confusione nella memoria, dalla perdita della memoria la rovina dell’intelletto: con la rovina dell’intelletto l’uomo è perduto» (Bhagavad Gita, II, 62-63).
Liberazione e Personalizzazione: differenza tra religiosità e Fede
Piccola Casa di Dio o luogo di affari? Non si mercanteggia più
(Lc 19,45-48)
Gesù nota che attorno all’attività che si svolgeva nei perimetri del Tempio si era articolata tutta un’ambigua struttura di peccato.
La smania affaristica del Santuario non era neppure nascosta - anzi, addirittura lo fronteggiava.
Ma le prospettive sacerdotali del santo tributo e gli orizzonti di vita piena del popolo confliggevano.
Idem per gli scopi di giuristi e dottori, che volentieri si affollavano in specie sotto il portico di Salomone [dall’altra parte, verso est] a “concedere” consulenze.
L’esclusiva funzione di favorire l’incontro con la presenza di Dio veniva totalmente mortificata.
L’area sacra era divenuta covo di astuti mercanti, affaristi perennemente a caccia, sempre intenti a cambiar valuta.
Ciò col beneplacito della setta dei dominanti sadducei, che non sapevano resistere alla tentazione di tirare le fila dei lauti commerci.
Cacciando i falsi amici del Padre soccorrevole, parassiti della religiosità, il Signore non si orienta tanto a risarcire la purezza del Luogo, né a rabberciare e riproporre lo smalto del sobrio culto originario - come pur volevano i Profeti.
Rende un servizio santo non al Dio antico (come nelle religioni) bensì alla gente - da quel sistema [o groviglio] resa totalmente inconsapevole della propria dignità vocazionale: solo incatenata, munta, e tosata.
Infatti gli Zeloti puntavano a restaurare la purezza dei riti. Immaginavano in qualche modo di poterne recuperare la coerenza.
Gli Esseni avevano invece del tutto abbandonato il Tempio. Essi consideravano la vergognosa situazione ormai compromessa.
Giovanni il Battezzatore aveva operato il medesimo distacco.
Sebbene di stirpe sacerdotale, predicava al popolo il perdono dei peccati attraverso una conversione di vita, non mediante i sacrifici della liturgia [solo in Gerusalemme].
L’autentico Angelo dell’Alleanza era invece definitivamente intransigente, assai più radicale di tutti loro!
Infatti secondo i primissimi cristiani, che pur rifrequentavano il Tempio, il luogo dell’incontro con Dio, la terra dalla quale irradiava il suo Amore, non era più legata ad aspetti materiali.
Neppure in sé religiosi; tantomeno impregnata di osservanze dottrinali, codici moralisti, o visioni del mondo unilaterali.
In tal guisa, anche per noi la Presenza divina e la sua Comunione non si colgono nella mitica purità, nell’antica magnificenza, negli sforzi perfezionisti - o nell’adesione à la page.
Il servizio a Dio è onore della donna e dell’uomo così come e dove sono: il sacro rispetto parte da un Dono che già attraversa la nostra vita. Le opinioni non servono.
L’Amico sconosciuto vuole dimorare in noi non per appropriarsi, ma per fondersi e dilatare le capacità relazionali e qualitative. Quelle nostre, non altrui o a contorno.
In Cristo, dall’obbedienza a norme più o meno datate [fossero anche futuribili] passiamo allo stile di Somiglianza personale. Ciò che edifica Santuari viventi.
L’onore al Padre si realizza non nei dettagli o nello spirito di corpo già dettato, bensì nei figli e figlie, comunque - se vivono in fraternità.
Questo avviene in specie quando essi assimilano l’Insegnamento di Gesù [sulla Grazia] (v.47).
Così nel tempo, da Lui stesso imparano la convivialità, e insieme sono incoraggiati a dialogare con la loro eccezionale e irripetibile Vocazione, la quale avvince perché corrisponde davvero.
E l’intima convinzione è sola, incomparabile e preziosa energia di valenza trasformatrice - che porta a non recedere da se stessi, dalla propria eccezionalità, né soprassedere la realtà dei fratelli.
Piuttosto induce a fare Esodo, esplorare nuove condizioni dell’essere, trasfigurare la percezione in azione beata.
Solo da qui, deriva la coesistenza.
E Peccato resta sì deviazione, ma non più trasgressione alla legge - bensì incapacità a corrispondere alla Chiamata che caratterizza, che sprigiona e potenzia una sorprendente unicità di Relazione.
La prima Tenda di Dio è dunque l’umanità stessa, il suo cuore pulsante - non uno spazio di pietre e mattoni, fisso, delimitato, o fantasioso… da ornare con sovraggiunte.
Entrato in Gerusalemme, il Maestro prende possesso della Casa celeste - che non è il Tempio, bensì il Popolo.
Per questo Egli caccia fuori dall’immaginifico sacrale inculcato agli ingenui, proprio i tratti più diseducativi del festival - e specialmente insegna ai malfermi, a sentirsi già adeguati!
Incredibile: a ciascuno Cristo cambia l’atmosfera mentale.
Il Signore vero non insegna a entrare in armature abitudinarie o astratte e formali, accette al contorno ma distanti da noi stessi, dalle creature.
Piuttosto, stimola a non frenare la nostra vera natura con delle cappe di costume [datate o meno] secondo le quali “non è mai abbastanza”.
Dietro la nostra essenza caratteriale si cela una Chiamata feconda, irripetibile, singolare; dai risvolti visuali e sociali che non sappiamo.
Come siamo - proprio così - andiamo bene.
Non c’è bisogno di esorcizzare nulla del nostro essere profondo, che spontaneamente manifesta i suoi disagi compressi e le corrispondenze gioiose, anche nelle eccentricità esteriori.
Piuttosto, ogni domesticazione convenzionale epidermica, di adattamento, o astuta, soffoca il nucleo della Chiamata per Nome - autentica Guida, impulso dello Spirito.
Il nostro mondo interno non va istericamente considerato alla stregua di un pericoloso estraneo da riconfigurare.
Le radici innate e la nostra energia naturale hanno il diritto di fiorire e prevalere sulle maniere o idee comuni: sono traccia sperimentale del Divino.
In esse sussiste un legame Personale.
La rivendicazione del Signore è immediatamente contrastata dall’ostilità dei paludati, interessati al dare-avere di quel teatrino manierista.
Lo fanno passare per squilibrato, da eliminare subito: sognatore pericolosissimo, perché attiva e valorizza le anime, invece della struttura di mediazione.
Ecco la condanna impartita dai “grandi” in società: esito d’ogni operazione di verità.
Così si cerca di appannare qualsiasi tentativo d’emancipazione dei vessati nello spirito, nel nucleo di sé - sia per paura di Dio che per ossessione d’indegnità.
Ma nella realtà attuale, che ci tallona, il Risorto continua a demitizzare l’eccessiva preoccupazione per i luoghi identificati, le “alture” di carattere stanziale e materiale.
Coi loro risvolti che non nutrono in modo pieno e stabile - viceversa diventano un tarlo.
Insomma, bisogna cambiare approccio.
È Lui stesso il punto essenziale del culto all’Eterno.
In tale luce di Persona nella sua Persona, ciascuno può abbracciare proposte che non sono altrui e intruse; che non risulteranno zavorra.
E prestigio autentico della Chiesa sarà far echeggiare l’Annuncio che libera e piace davvero.
Provocando ovviamente le medesime tensioni mercantili; cartina al tornasole della nostra azione divina.
Per opera di apostoli impauriti dalle maniere spicce delle autorità, e forse essi stessi proni al compromesso - il magnifico santuario che Gesù aveva esplicitamente definito come una tana di marpioni ridiventerà il centro dell’assemblea ecclesiale [Lc 24,53; At 5,12].
Provvederà in modo più efficace… non la coscienza che brucia, bensì la tragica storia della città santa, a farne tramontare l’eccesso d’importanza.
Anche oggi: il fantasmagorico culmine antico sta diventando periferia, decade. E a ritrovarsi, facciamo difficoltà.
Occasione da non perdere per procedere in modo vivo e singolare, in sintonia con un sempre nuovo insegnamento sull’Amore inedito, che prende il nostro passo.
È l’Appello bruciante de «il Monte», che centra sulla passione: proprio sul Desiderio.
Non più un severo richiamo ai “no” delle grandi apparenze - ma finalmente Ascolto della Voce nell’anima, che stupisce (v.48).
Autentico sacro del tempio.
L’insegnamento di Gesù nel luogo venerando viene presentato da Lc 19,47 come duraturo: «stava insegnando ogni giorno» [testo greco].
Attraverso la Parola che non resta in alto ma partecipa della nostra umanità (finalmente spalancata) Egli ritrova anche oggi il suo Tempio.
Dimora sgombrata da vetusti e nuovi cacciatori.
Egli brama solo il suo Popolo - donne e uomini liberati dalla spelonca di briganti [Ger 7,11; Lc 19,46] che ancora tenta di penetrare la nostra qualità di relazione.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.226) volentieri ribadiamo con Papa Francesco: «non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà» (irritante) dei soci in affari con Dio.
La spazzatura va eliminata. La posta in palio è troppo alta e personale.
Con ciò che non corrisponde, anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, non si mercanteggia più.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai ancora bisogno di tempi stabiliti, luoghi ritagliati, gesti di espiazione e propiziazione, o con Dio senti una relazione vivente?
Qual è la tua Casa di Preghiera?
Chiese di servizio, non supermercato.
Il più importante tempio di Dio è il nostro cuore
«Chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”»: non ha usato giri di parole Papa Francesco nel riproporre l’attualità del gesto di Gesù di scacciare i mercanti dal tempio. E «vigilanza, servizio e gratuità» sono le tre parole chiave che ha rilanciato nella messa celebrata venerdì 24 novembre a Santa Marta.
«Ambedue le letture della liturgia di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano del tempio, anzi della purificazione del tempio». Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Maccabei (4, 36-37.52-59), il Papa ha fatto notare come «dopo la sconfitta della gente che Antioco Epìfane aveva inviato per paganizzare il popolo, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli vogliono purificare il tempio, quel tempio dove ci sono stati sacrifici pagani e ripristinare la bellezza spirituale del tempio, il sacro del tempio». Per questo «il popolo era gioioso». Si legge infatti nel testo biblico che «grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani». Dunque, ha aggiunto il Papa, «il popolo ritrova la propria legge, si ritrova con il proprio essere; il tempio diventa, un’altra volta, il posto dell’incontro con Dio».
«Lo stesso fa Gesù quando scaccia quelli che vendevano nel tempio: purifica il tempio» ha affermato Francesco, richiamandosi al passo evangelico di Luca (19, 45-48). Così facendo il Signore rende il tempio «come deve essere: puro, solo per Dio e per il popolo che va a pregare». Ma, da parte nostra, «come purificare il tempio di Dio?». La risposta, ha detto il Papa, sta in «tre parole che possono aiutarci a capire. Prima: vigilanza; seconda: servizio; terza: gratuità».
«Vigilanza», dunque, è la prima parola suggerita dal Pontefice: «Non solo il tempio fisico, i palazzi, i templi sono i templi di Dio: il più importante tempio di Dio è il nostro cuore, la nostra anima». Tanto che, ha fatto presente il Papa, san Paolo ci dice: «Voi siete tempio dello Spirito Santo». Dunque, ha rilanciato Francesco, «dentro di noi abita lo Spirito Santo».
E proprio «per questo la prima parola» proposta da Francesco è, appunto, «vigilanza». Da qui alcune domande per un esame di coscienza: «Cosa succede nel mio cuore? Cosa succede dentro di me? Come mi comporto con lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è uno in più dei tanti idoli che io ho dentro di me o ho cura dello Spirito Santo? Ho imparato a vigilare dentro di me, perché il tempio nel mio cuore sia solo per lo Spirito Santo?».
Ecco, allora, l'importanza di «purificare il tempio, il tempio interiore, e vigilare» ha affermato il Papa. Con un invito esplicito: «Stai attento, stai attenta: cosa succede nel tuo cuore? Chi viene, chi va... Quali sono i tuoi sentimenti, le tue idee? Tu parli con lo Spirito Santo? Ascolti lo Spirito Santo?». Si tratta, perciò, di «vigilare: stare attenti a cosa succede nel tempio nostro, dentro di noi».
La «seconda parola è servizio» ha proseguito il Pontefice. «Gesù — ha ricordato — ci fa capire che lui è presente in un modo speciale nel tempio di quelli che hanno bisogno». E «lo dice chiaramente: è presente negli ammalati, quelli che soffrono, negli affamati, nei carcerati, è presente lì». Anche per la parola «servizio» Francesco ha suggerito alcune domande da porre a se stessi: «So custodire quel tempio? Mi prendo cura del tempio con il mio servizio? Mi avvicino per aiutare, per vestire, per consolare quelli che hanno bisogno?».
«San Giovanni Crisostomo — ha fatto notare Francesco — rimproverava quelli che facevano tante offerte per ornare, per abbellire il tempio fisico e non prendevano cura dei bisognosi: rimproverava e diceva: “No, questo non va bene, prima il servizio poi le ornamentazioni”». Insomma, siamo chiamati a «purificare il tempio che sono gli altri». E per farlo bene, occorre domandarci: «Come io aiuto a purificare quel tempio?». La risposta è semplice: «Con il servizio, con il servizio ai bisognosi. Gesù stesso dice che lui è presente lì». E «lui è presente lì — ha spiegato il Papa — e quando noi ci avviciniamo a prestare un servizio, ad aiutare, assomigliamo a Gesù che è lì dentro».
Francesco, a questo proposito, ha confidato di aver «visto un’icona tanto bella del Cireneo che aiutava Gesù a portare la croce: guardando bene quell’icona, il Cireneo aveva la stessa faccia di Gesù». Dunque, «se tu custodisci quel tempio che è l’ammalato, il carcerato, il bisognoso e l’affamato, anche il tuo cuore sarà più simile a quello di Gesù». Proprio «per questo custodire il tempio significa servizio».
«La prima parola, vigilanza» ha riepilogato il Pontefice, esprime qualcosa che «succede dentro di noi». Mentre «la seconda parola» ci porta verso il «servizio ai bisognosi: quello è purificare il tempio». E «la terza parola che mi viene in mente — ha proseguito — leggendo il Vangelo è gratuità». Nel brano del Vangelo, Gesù dice: «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Proprio tenendo in mente queste parole del Signore, ha affermato il Papa, «quante volte con tristezza entriamo in un tempio — pensiamo a una parrocchia, un vescovado — e non sappiamo se siamo nella casa di Dio o in un supermercato: ci sono lì i commerci, anche c’è la lista dei prezzi per i sacramenti» e «manca la gratuità».
Ma «Dio ci ha salvato gratuitamente, non ci ha fatto pagare nulla» ha insistito il Pontefice, invitando a essere di aiuto «affinché le nostre chiese, le nostre parrocchie non siano un supermercato: che siano casa di preghiera, che non siano un covo di ladri, ma che siano servizio gratuito». Certo, ha aggiunto il Papa, qualcuno potrebbe obiettare che «dobbiamo avere dei soldi per mantenere la struttura e anche dobbiamo avere dei soldi per dare da mangiare ai preti, ai catechisti». La risposta del Pontefice è chiara: «Tu da’ con gratuità e Dio farà il resto, Dio farà quello che manca».
«Custodire il tempio — ha affermato, dunque, Francesco — significa questo: vigilanza, servizio e gratuità». Anzitutto «vigilanza nel tempio del nostro cuore: cosa succede lì, stare attenti perché è il tempio dello Spirito Santo». Poi «servizio ai bisognosi» ha ripetuto, suggerendo anche di leggere il capitolo 25 del vangelo di Matteo. Servizio anche «agli affamati, agli ammalati, ai carcerati, a quelli che hanno bisogno perché lì è Cristo», sempre con la certezza che «il bisognoso è il tempio di Cristo».
Infine, ha concluso il Papa, il «terzo» punto è la «gratuità nel servizio che si dà nelle nostre chiese: chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2017]
La liturgia ci fa celebrare oggi la Dedicazione della Basilica Lateranense, chiamata "madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". In effetti, questa Basilica fu la prima ad essere costruita dopo l’editto dell’imperatore Costantino che, nel 313, concesse ai cristiani la libertà di praticare la loro religione. Lo stesso imperatore donò al Papa Melchiade l’antico possedimento della famiglia dei Laterani e vi fece edificare la Basilica, il Battistero e il Patriarchio, cioè la residenza del Vescovo di Roma, dove i Papi abitarono fino al periodo avignonese. La dedicazione della Basilica fu celebrata dal Papa Silvestro verso il 324 e il tempio fu intitolato al Santissimo Salvatore; solo dopo il VI secolo vennero aggiunti i titoli dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, da cui la comune denominazione. Questa ricorrenza interessò dapprima la sola città di Roma; poi, a partire dal 1565, si estese a tutte le Chiese di rito romano. In tal modo, onorando l’edificio sacro, si intende esprimere amore e venerazione per la Chiesa romana che, come afferma sant’Ignazio di Antiochia, "presiede alla carità" dell’intera comunione cattolica (Ai Romani, 1, 1).
La Parola di Dio in questa solennità richiama una verità essenziale: il tempio di mattoni è simbolo della Chiesa viva, la comunità cristiana, che già gli Apostoli Pietro e Paolo, nelle loro lettere, intendevano come "edificio spirituale", costruito da Dio con le "pietre vive" che sono i cristiani, sopra l’unico fondamento che è Gesù Cristo, paragonato a sua volta alla "pietra angolare" (cfr 1 Cor 3,9-11.16-17; 1 Pt 2,4-8; Ef 2,20-22). "Fratelli, voi siete edificio di Dio", scrive san Paolo e aggiunge: "santo è il tempio di Dio, che siete voi" (1 Cor 3,9c.17). La bellezza e l’armonia delle chiese, destinate a rendere lode a Dio, invita anche noi esseri umani, limitati e peccatori, a convertirci per formare un "cosmo", una costruzione bene ordinata, in stretta comunione con Gesù, che è il vero Santo dei Santi. Ciò avviene in modo culminante nella liturgia eucaristica, in cui l’"ecclesìa", cioè la comunità dei battezzati, si ritrova unita per ascoltare la Parola di Dio e per nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo. Intorno a questa duplice mensa la Chiesa di pietre vive si edifica nella verità e nella carità e viene interiormente plasmata dallo Spirito Santo trasformandosi in ciò che riceve, conformandosi sempre più al suo Signore Gesù Cristo. Essa stessa, se vive nell’unità sincera e fraterna, diventa così sacrificio spirituale gradito a Dio.
Cari amici, la festa odierna celebra un mistero sempre attuale: che cioè Dio vuole edificarsi nel mondo un tempio spirituale, una comunità che lo adori in spirito e verità (cfr Gv 4,23-24). Ma questa ricorrenza ci ricorda anche l’importanza degli edifici materiali, in cui le comunità si raccolgono per celebrare le lodi di Dio. Ogni comunità ha pertanto il dovere di custodire con cura i propri edifici sacri, che costituiscono un prezioso patrimonio religioso e storico. Invochiamo perciò l’intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a diventare, come Lei, "casa di Dio", tempio vivo del suo amore.
[Papa Benedetto, Angelus 9 novembre 2008]
1. "Santo è il tempio di Dio, che siete voi" (1 Cor 3,17). Riascoltiamo queste parole dell’apostolo Paolo nell'odierna solenne liturgia della Festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, Cattedrale di Roma, Madre di tutte le chiese.
Ogni luogo riservato al culto divino è segno di quel tempio spirituale, che è la Chiesa, composto da pietre vive, cioè dai fedeli, uniti dall'unica fede, dalla partecipazione ai sacramenti e dal vincolo della carità. Pietre preziose di tale tempio spirituale sono particolarmente i Santi.
La santità, frutto dell’opera incessante dello Spirito di Dio, rifulge nei nuovi Beati: Juan Nepomuceno Zegrí y Moreno, presbitero; Valentin Paquay, presbitero; Luigi Maria Monti, religioso; Bonifacia Rodríguez Castro, vergine; Rosalie Rendu, vergine.
2. La visione del Santuario, che il profeta Ezechiele ci presenta nella liturgia odierna, descrive un torrente che sgorga dal tempio portando vita, vigore e speranza: "quelle acque, dove giungono, risanano" (Ez 47, 9). Questa immagine esprime l'infinita bontà di Dio e il suo disegno di salvezza, che valicano i muri del recinto sacro per essere la benedizione di tutta la terra.
Juan Nepomuceno Zegrí y Moreno, sacerdote integro, dalla profonda pietà eucaristica, ha compreso molto bene come l'annuncio del Vangelo debba diventare una realtà dinamica capace di trasformare la vita dell'apostolo. Essendo parroco, si è proposto di "essere la provvidenza visibile di tutti coloro che, gemendo nell'essere orfani, bevono il calice dell'amarezza e si nutrono con il pane della tribolazione" (19 giugno 1859).
Con questo proposito, egli ha sviluppato la sua spiritualità redentrice, nata dall'intimità con Cristo e orientata alla carità verso i più bisognosi. All'invocazione alla Vergine della Mercede, Madre del Redentore, si è ispirato per la fondazione delle Suore Mercedarie della Carità, al fine di rendere sempre presente l'amore di Dio laddove vi fosse "un solo dolore da curare, una sola disgrazia da consolare, una sola speranza da infondere nei cuori". Oggi, seguendo le orme del suo Fondatore, questo Istituto continua a dedicarsi alla testimonianza e alla promozione della carità redentrice.]
3. Padre Valentin Paquay è davvero un discepolo di Cristo e un sacerdote secondo il cuore di Dio. Apostolo della misericordia, trascorreva lunghe ore nel confessionale, con un dono particolare per rimettere i peccatori sulla retta via, ricordando agli uomini la grandezza del perdono divino. Ponendo al centro della sua vita di sacerdote la celebrazione del Mistero eucaristico, invitava i fedeli ad accostarsi spesso alla comunione del Pane di Vita.
Come tanti santi, Padre Valentin si era affidato sin da giovane alla protezione di Nostra Signora, invocata nella chiesa della sua infanzia, a Tongres, come Causa della nostra gioia. Seguendo il suo esempio, possiate voi servire i vostri fratelli per dare loro la gioia di incontrare Cristo nella verità!]
4. "Vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua... Quelle acque, dove giungono, risanano" (Ez 47,1.9). L'immagine dell’acqua, che tutto fa rivivere, ben illumina l’esistenza del beato Luigi Maria Monti, interamente dedito a risanare le piaghe del corpo e dell'anima dei malati e degli orfani. Amava chiamarli i "poverelli di Cristo", e li serviva animato da una fede viva, sostenuta da un'intensa e costante preghiera. Nella sua dedizione evangelica, si ispirò costantemente all'esempio della Vergine Santa e pose la Congregazione da lui fondata sotto il segno di Maria Immacolata.
Quanto attuale è il messaggio di questo nuovo Beato! Per i suoi figli spirituali e per tutti i credenti egli è un esempio di fedeltà alla chiamata di Dio e di annuncio del Vangelo della carità; un modello di solidarietà verso i bisognosi e di tenero affidamento alla Vergine Immacolata.
5. Le parole di Gesù nel Vangelo proclamato oggi: "non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato" (Gv 2, 16), interpellano la società attuale, tentata, talvolta, a convertire ogni cosa in mercanzia e guadagno, lasciando da parte i valori e la dignità, che non hanno prezzo. Essendo la persona immagine e dimora di Dio, occorre una purificazione che la difenda, a prescindere dalla sua condizione sociale o dalla sua attività lavorativa.
A questo si è dedicata interamente la beata Bonifacia Rodríguez de Castro, che, essendo ella stessa lavoratrice, ha compreso i rischi di questa condizione sociale nella sua epoca. Nella vita semplice e riparata della Sacra Famiglia di Nazareth ha trovato un modello di spiritualità del lavoro che nobilita la persona e rende ogni attività, per quanto umile possa sembrare, un'offerta a Dio e un mezzo di santificazione.
Questo è lo spirito che ella ha voluto infondere nelle donne lavoratrici, prima con l'Associazione Giuseppina, e poi con la fondazione delle Serve di San Giuseppe, che continuano la loro opera nel mondo con semplicità, gioia e abnegazione.]
6. In un'epoca sconvolta dai conflitti sociali, Rosalie Rendu si è gioiosamente fatta serva dei più poveri, per restituire a ciascuno la sua dignità, attraverso gli aiuti materiali, l'educazione e l'insegnamento del mistero cristiano, spingendo Frédéric Ozanam a porsi al servizio dei poveri.
La sua carità era inventiva. Da dove attingeva la forza per realizzare tante cose? Dalla sua intensa vita di orazione e dalla preghiera incessante del Rosario, che non l'abbandonava mai. Il suo segreto era semplice: vedere, da vera figlia di Vincenzo de' Paoli, come un'altra suora del suo tempo, santa Catherine Labouré, in ogni uomo il volto di Cristo. Rendiamo grazie per la testimonianza di carità che la famiglia vincenziana non cessa di donare al mondo!]
7. "Egli parlava del tempio del suo Corpo" (Gv 2,21). Queste parole evocano il mistero della morte e risurrezione di Cristo. A Gesù crocifisso e risorto devono conformarsi tutti i membri della Chiesa.
In questo impegnativo compito ci è di sostegno e guida Maria, Madre di Cristo e Madre nostra. Intercedono per noi i nuovi Beati, che oggi contempliamo nella gloria del cielo. Sia concesso anche a noi di ritrovarci tutti un giorno in Paradiso, per gustare insieme la gioia nella vita senza fine. Amen!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 9 novembre 2003]
Oggi la liturgia ricorda la Dedicazione della Basilica Lateranense, che è la cattedrale di Roma e che la tradizione definisce "madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". Con il termine "madre" ci si riferisce non tanto all’edificio sacro della Basilica, quanto all’opera dello Spirito Santo che in questo edificio si manifesta, fruttificando mediante il ministero del Vescovo di Roma, in tutte le comunità che permangono nell’unità con la Chiesa cui egli presiede.
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia, cioè di quel "tempio spirituale", come dice l’apostolo Pietro, di cui Cristo stesso è "pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio" (1 Pt 2,4-8). Gesù, nel Vangelo della liturgia d’oggi, parlando del tempio, ha rivelato una verità sconvolgente: che cioè il tempio di Dio non è soltanto l’edificio fatto di mattoni, ma è il suo corpo, fatto di pietre vive. In forza del Battesimo, ogni cristiano fa parte dell’"edificio di Dio" (1 Cor 3,9), anzi diventa la Chiesa di Dio. L’edificio spirituale, la Chiesa comunità degli uomini santificati dal sangue di Cristo e dallo Spirito del Signore risorto, chiede a ciascuno di noi di essere coerente con il dono della fede e di compiere un cammino di testimonianza cristiana. E non è facile, lo sappiamo tutti, la coerenza nella vita fra la fede e la testimonianza; ma noi dobbiamo andare avanti e fare nella nostra vita, questa coerenza quotidiana. "Questo è un cristiano!", non tanto per quello che dice, ma per quello che fa, per il modo in cui si comporta. Questa coerenza, che ci dà vita, è una grazia dello Spirito Santo che dobbiamo chiedere. La Chiesa, all’origine della sua vita e della sua missione nel mondo, non è stata altro che una comunità costituita per confessare la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e Redentore dell’uomo, una fede che opera per mezzo della carità. Vanno insieme! Anche oggi la Chiesa è chiamata ad essere nel mondo la comunità che, radicata in Cristo per mezzo del Battesimo, professa con umiltà e coraggio la fede in Lui, testimoniandola nella carità. A questa finalità essenziale devono essere ordinati anche gli elementi istituzionali, le strutture e gli organismi pastorali; a questa finalità essenziale: testimoniare la fede nella carità. La carità è proprio l’espressione della fede e anche la fede è la spiegazione e il fondamento della carità.
La festa d’oggi ci invita a meditare sulla comunione di tutte le Chiese, cioè di questa comunità cristiana, per analogia ci stimola a impegnarci perché l’umanità possa superare le frontiere dell’inimicizia e dell’indifferenza, a costruire ponti di comprensione e di dialogo, per fare del mondo intero una famiglia di popoli riconciliati tra di loro, fraterni e solidali. Di questa nuova umanità la Chiesa stessa è segno ed anticipazione, quando vive e diffonde con la sua testimonianza il Vangelo, messaggio di speranza e di riconciliazione per tutti gli uomini.
Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a diventare, come lei, "casa di Dio", tempio vivo del suo amore.
[Papa Francesco, Angelus 9 novembre 2014]
Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto
(Lc 16,1-8)
In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:
«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».
A maggior ragione dei privati, la società ecclesiale gestisce beni per se stessi comuni, sacri, non esclusivi.
Ma un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di approfittare della sua posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.
La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.
Malgrado ciò, di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.
Allora il “pizzicato” mette in campo la valutazione giusta: ricalcola e allinea la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.
Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’imbroglio delle quote in aggiunta, che non gli spettavano.
Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.
Viene dunque lodato (v.8) perché si accorge di un’altra possibilità. E lo fa con equa ‘scaltrezza’, stavolta non aleatoria.
La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.
Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.
Insomma, non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci ed evitare le cordate [cf. v.14].
Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte, di cui si possa sfumare il senso.
Ristabilita la verità, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.
Malgrado gli errori che si possono commettere - sempre possiamo dare una svolta decisiva.
Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’Incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (vv.9-13).
Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.
Essi sono chiamati a disporre delle risorse comuni in modo non allegro né spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.
[Venerdì 31.a sett. T.O. 8 novembre 2024]
Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto
(Lc 16,1-8)
Ci chiediamo: c’è un altro stile di vita, oltre il vezzo di farsi valere in qualsiasi circostanza? Cosa genera tanti attriti senza posa né criterio, anche in tempi di sottomissione? Qual è la soluzione per edificare una casa comune? E il primo passo concreto per il futuro?
Lc parla molto chiaro, cesellando una catechesi probabilmente tratta da un’esperienza viva che ha segnato l’ambiente dei credenti.
In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:
«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».
Ipotizziamo la situazione, probabilmente da riferire a un veterano della cerchia giudeo cristiana [considerata nei Vangeli quella dei “farisei” di ritorno nelle assemblee dei primi tempi] (cf. Lc 16,14).
Un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di profittare della posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.
La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.
Ma di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.
La percentuale di scremature dipendeva dalla capacità di scrutare i bisogni e alzare il tasso d’interesse - persino sul frumento, l’olio e il cibo base.
Anche il coordinatore di chiesa si era lasciato sedurre dal malcostume corrente, per un facile guadagno (sulla fame della gente).
Avendo fatto a lungo orecchie da mercante, lo scandalo emerge (fra dirigenti e gruppi che si fregiano del nome Cristiano!).
L’uomo di spicco viene messo alle strette per un rendiconto trasparente.
Allora il “pizzicato” sceglie di ricalcolare e allineare la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.
Tutto avrebbe dovuto essere messo a disposizione dei fedeli e del bene comune, senza intrallazzi (privi di controllo - soliti).
Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’inguaribile imbroglio delle quote in aggiunta che non gli spettavano.
I tesori (di Dio) sono da condividere, senza ricarico privato - quindi evita di arrampicarsi sugli specchi, piroettare, cercare l’appoggio di complici o di cordate [cf. v.14] e gruppi di ammanicati.
Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.
Le cose sono evidenti e non accampa quel genere di spiegazioni - come purtroppo capita - che cronicizzano e degenerano la situazione.
Viene dunque lodato (v.8) perché invece di tornare ad alimentare se stesso e il suo codazzo… si accorge di un’altra possibilità.
C’è un Altrove da percepire, qui; con previdente tensione interiore ed equa “scaltrezza”, stavolta non aleatoria.
La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.
Non più intimidazioni del tipo: «Tu non sai chi sono io»; «Voi non sapete chi e quanti siamo noi» - e tentativi appiccicati al tornaconto.
Non più imbrogli da celare e sotterfugi distruttivi, per un’allegra gestione amministrativa: meglio sfigurare personalmente che essere complici attivi e omertosi di un altro “dio” (quello che dà ordini opposti ai consigli del Padre).
Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.
Ecco la nostra Guida per il domani e la felicità, sempre.
Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte all’andare devoto, di cui si possa sfumare il senso - anche laddove le pertinenze comunitarie fossero appannaggio di chi ha mani e piedi dappertutto: cricche dalle buone maniere e pessime abitudini.
Esiste un’altra proficuità e funzionalità degli antichi profitti disinvolti: non quelli dell’economia liberale e della proprietà privata, ma dell’Amicizia libera, che non trattiene - capacità di ricreare equilibri dove non sono; coltivare uguaglianza e trasparenza, felicità e vita diffusa.
Non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci.
Ristabilita la verità e senza guardare in faccia a nessun primattore, né a “compagni di merende” o gruppi di pressione, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.
È l’unica valutazione giusta, che annienta il malcostume e le stranissime competizioni fra poveracci senza dote e a testa in giù, che paiono destinati solo a friggere.
Siamo chiamati a usare le “nostre” energie e risorse per dilatare l’esistere di tutti, invece di continuare a beccarsi e papparci per far vedere chi comanda.
Questo è - malgrado gli errori che si possono commettere - dare la svolta decisiva, per una vita bella.
Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (cf. vv.9-13).
Nell’enciclica Fratelli Tutti leggiamo al n.120:
«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione [...] Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica».
Tale diritto-base è senza frontiere, e altrettanto vale per il funzionamento della società ecclesiale - non cooptata, né occulta.
A maggior ragione dei privati, essa deve rendere conto senza trucchi: gestisce infatti beni per se stessi comuni, variegati, sacri e non esclusivi.
I responsabili di Chiesa sono i primi chiamati a vincere l’unilateralità del ruolo e delle risorse, tantomeno da gestire come fossero di proprietà selettiva o di club riservati.
Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.
Essi sono chiamati a disporre delle risorse da “spezzare” in modo non allegro e spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.
«Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura» [I Promessi Sposi, cap.3].
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua comunità l’amministrazione dei beni è pubblica, regolare e trasparente o cronico appannaggio d’individui e gruppi senza controllo?
Nelle passate domeniche, san Luca, l’evangelista che più degli altri si preoccupa di mostrare l’amore che Gesù ha per i poveri, ci ha offerto diversi spunti di riflessione circa i pericoli di un attaccamento eccessivo al denaro, ai beni materiali e a tutto ciò che ci impedisce di vivere in pienezza la nostra vocazione ad amare Dio e i fratelli. Anche quest’oggi, attraverso una parabola che provoca in noi una certa meraviglia perché si parla di un amministratore disonesto che viene lodato (cfr Lc 16,1-13), a ben vedere il Signore ci riserva un serio e quanto mai salutare insegnamento. Come sempre il Signore trae spunto da fatti di cronaca quotidiana: narra di un amministratore che sta sul punto di essere licenziato per disonesta gestione degli affari del suo padrone e, per assicurarsi il futuro, cerca con furbizia di accordarsi con i debitori. E’ certamente un disonesto, ma astuto: il Vangelo non ce lo presenta come modello da seguire nella sua disonestà, ma come esempio da imitare per la sua previdente scaltrezza. La breve parabola si conclude infatti con queste parole: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza” (Lc 16,8) […]
Potremmo allora dire, parafrasando una considerazione di sant’Agostino, che per mezzo delle ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale sempre aleatorio, quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra (cfr Discorsi 359,10). Ora, l’unica maniera di far fruttificare per l’eternità le nostre doti e capacità personali come pure le ricchezze che possediamo è di condividerle con i fratelli, mostrandoci in tal modo buoni amministratori di quanto Iddio ci affida.
[Papa Benedetto, omelia a Velletri 23 settembre 2007]
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male (Papa Paolo VI)
People dragged by chaotic thrusts can also be wrong, but the man of Faith perceives external turmoil as opportunities
Un popolo trascinato da spinte caotiche può anche sbagliare, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità
O Lord, let my faith be full, without reservations, and let penetrate into my thought, in my way of judging divine things and human things (Pope Paul VI)
O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane (Papa Paolo VI)
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
don Giuseppe Nespeca
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