Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
XXXIV Domenica Tempo Ordinario (anno B) [24 Novembre 2024]
Prima lettura Dn 7,13-14
*Una scena di incoronazione
Il profeta Daniele descrive una scena di incoronazione “nelle nubi del cielo”, ovvero nel mondo di Dio con un “figlio d’uomo” (in ebraico significa semplicemente un essere umano) che si avvicina al Vegliardo, che pochi versetti prima (v.9) descrive seduto su un trono: si comprende che è Dio. Il Figlio d’uomo avanza per essere consacrato re: “gli furono dati potere, gloria e regno…il suo è un potere eterno che non finirà mai”, regalità universale ed eterna che però non conquista con la forza e, come precisa Daniele, non si avvicina verso il trono di Dio di sua iniziativa. Questa domenica si ferma qui la lettura, ma per meglio capire occorre andare un po’ oltre e si comprende che questo “figlio d’uomo” non è un individuo bensì un popolo: “Io, Daniele, mi sentii agitato nell'animo..mi accostai a uno dei vicini e gli domandai il vero significato di tutte queste cose ed egli me ne diede questa spiegazione: "Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra; ma i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, in eterno"(vv15-18). In alcuni versetti più avanti ripete: “Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno" (v27). Questo figlio d’uomo è dunque “il popolo dei santi dell’Altissimo” che, nel linguaggio biblico, significa Israele e nell’epoca delle persecuzioni, è il piccolo resto fedele. Siamo nel momento più doloroso della persecuzione di Antioco Epifane intorno al 165 a.C. quando restò veramente solo un piccolo gruppo. Quando Daniele afferma che il popolo dei santi dell’Altissimo riceverà il regno, intende incoraggiarlo a resistere perché presto avverrà la liberazione definitiva e, dato che poco dopo Antioco Epifane fu cacciato, la sua profezia venne interpretata da alcuni Giudei riferita al Messia- Re atteso, che non sarebbe stato un individuo particolare, bensì un popolo. Quando secoli dopo nacque Gesù, pur se tutti in Israele attendevano il Messia, non tutti lo immaginavano allo stesso modo: alcuni attendevano un uomo, altri un Messia collettivo chiamato appunto “il piccolo Resto d’Israele” (espressione del profeta Amos 9.11-15), o “il figlio d’uomo” in riferimento al profeta Daniele. Gesù è il solo (nessun altro lo fa) a utilizzare più di 80 volte nei vangeli l’espressione “Figlio dell’uomo” che viene sulle nubi del cielo riferendola a sé stesso, ma i suoi contemporanei non potevano riconoscere nel Gesù di Nazareth, il carpentiere, il Messia cioè “il popolo dei santi dell’Altissimo”. Inoltre, Gesù modifica in maniera sostanziale la definizione perché rifacendosi a Daniele afferma: “Allora…si vedrà il Figlio dell’uomo venire, circondato da nubi, nella pienezza della potenza e della gloria” (Mc 13, 26), e sempre nel vangelo di Marco aggiunge:“Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno” (Mc 9, 31). Solo dopo la risurrezione i discepoli capiranno che il titolo di Figlio dell’uomo sulle nubi del cielo si attribuisce a Gesù, perché lui è insieme uomo e Dio, il primogenito della nuova umanità, il Capo che fa di noi un unico Corpo e, alla fine della storia, saremo come “un solo uomo, innestati in lui e quindi “il popolo dei santi dell’Altissimo”. Mentre Daniele diceva un “Figlio d’uomo” Gesù lo modifica in “Figlio dell’uomo””: figlio d’uomo significava “un uomo”, mentre figlio dell’uomo indica “l’Umanità” e dunque “Figlio dell’Uomo” significa l’Umanità. Attribuendo a sé stesso questo titolo, Cristo si rivela il portatore del destino di tutta l’umanità realizzando il progetto della creazione divina, fare cioè dell’umanità un solo popolo: “Dio creò l'uomo a sua immagine…maschio e femmina li creò… disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1, 27-28). Per san Paolo Gesù è il nuovo Adamo: ”Come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm5,12-21; 1Cor. 15,21-22, 45-49), mentre nel IV vangelo colpisce sempre la frase di Piato “Ecce homo, Ecco l’uomo” (19,5).
*Salmo responsoriale 92/93 (1,2,5)
*Noi proclamiamo Dio nostro Re
Proclamando Cristo Re affermiamo la nostra fede/speranza con il coraggio di realizzare il suo regno, certi che risorgendo ha sconfitto la morte e perdonando gli uccisori ha distrutto l’odio. Mentre però osiamo dire che Cristo è già re, tutto nel mondo sembra andare al contrario: la morte uccide, l’odio dilaga in tutte le sue forme di violenza e di ingiustizia. Il salmo 92/93 proclama la vittoria di Dio sul mondo malgrado le apparenze e anche gli Ebrei celebrano Dio Re avendo la stessa fede e speranza nell’attesa del “Giorno” di Dio. Nel proclamare però la sua vittoria sulle forze del Male si basano sull’esperienza dell’Esodo adorando Dio che liberando Israele ha offerto la sua Alleanza, mentre noi cristiani poggiandoci sulla risurrezione di Cristo. Per cantare la regalità di Dio questo salmo guarda al modello dell’incoronazione dei re: nella sala del trono il nuovo re, investito del mantello regale, sedeva sul trono e, firmata la carta d’intronizzazione, entrava in possesso del palazzo reale. A questo punto il popolo gridava “Viva il Re,” acclamazione che in ebraico si chiama «térouah» ed era all’origine un grido di vittoria contro il nemico. In questo salmo il re acclamato è Dio e più di altri merita la terouah perché ha sconfitto le forze del male: “Il Signore regna, si riveste di maestà, si cinge di forza”: questi sono gli abiti del Creatore. L’espressione ebraica: “Ha cinto la sua forza” evoca lil gesto di legarsi un vestito ai fianchi, come fa il vasaio con il grembiule per lavorare l’argilla”. Cantando che il suo trono “é stabile da sempre, dall’eternità tu sei “il salmo accenna per contrasto agli idoli che sono alla portata di tutti ed evoca la fragilità dei regni terreni, in particolare dei re di Israele, alcuni dei quali hanno regnato pochi anni, persino pochi giorni. Nell’intero salmo Dio è proclamato Re dal creato perché domina le forze delle acque spesso indomabili per l’uomo: “più del fragore di acque impetuose, più potente dei flutti del mare, potente nell’alto è il Signore” (v.4). I flutti del mare richiamano il Mar dei Giunchi (in ebraico Yam Suf, e suf significa canna o giunco)) identificato con il Mar Rosso, che Dio fece attraversare dal suo popolo. Da allora la fedeltà del Signore non si è mai spenta come ben esprime il versetto 5: “Degni di fede tutti i tuoi insegnamenti”. L’espressione: “degni di fede” in altre versioni viene resa con “immutabili”, parola che ha la stessa radice di Amen ed evoca fedeltà, stabilità, verità, immutabilità, fermezza. Questa é la fedeltà di Dio verso il suo popolo, di cui era simbolo il Tempio di Gerusalemme, icona della presenza di Dio e riflesso della sua santità: “La santità si addice alla tua casa”. Nabucodosonor II conquistò Gerusalemme e abbatté il Tempio di Salomone deportando gran parte della popolazione in Babilonia, e distrutto il regno di Giuda nel 586 a.C., non ci furono più re in Israele perché l’ultimo fu Sedecia catturato, accecato e portato in esilio. Da quel momento l’espressione: “La santità si addice alla tua casa” celebrava la sovranità di Dio nell’attesa del Re-Messia, immagine fedele di Dio. Ogni anno, durante la Festa delle Capanne (in autunno), questo salmo veniva ripreso per celebrare in anticipo il compimento di tutta la storia, l’Alleanza definitiva, le Nozze tra Dio e l’Umanità: infatti Israele con l’intera umanità condivideranno un giorno la regalità del Messia, come la Regina siede accanto al Re.
Seconda Lettura Ap. 1,5-8
*Colui che è, che era e che viene
“Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti, il sovrano dei re della terra”: le frasi di questo breve testo, che è l’inizio dell’Apocalisse, sono dense ed evocano tutto il mistero di Cristo e ogni parola ne rivela un aspetto. “Gesù” è il nome di un uomo di Nazaret e significa “Dio salva”; “Cristo” indica il Messia ricolmo dello Spirito di Dio; “il testimone fedele” si collega alle parole di Gesù a Pilato che oggi ascoltiamo nel vangelo: “Io sono nato e venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”. L’affermazione: “il primogenito dei morti” racchiude la fede dei primi cristiani che vedevano in Gesù, uomo mortale come tutti, il primogenito di una lunga serie, risuscitato da Dio per guidare tutti i suoi fratelli e la frase: “il lsovrano dei re della terra ”rafforza il concetto di Messia che ha posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, come canta il Salmo 109/110. Dato che nell’Apocalisse i numeri sono simbolici e le espressioni ternarie sono riservate a Dio, le tre qualifiche: “testimone fedele, primogenito dei morti, sovrano dei re della terra” attribuite a Gesù affermano che egli è Dio. La seconda frase riprende e amplifica la prima: “A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”. Ci sono qui i tradizionali principi della fede: l’amore di Cristo per tutti gli uomini; il dono della sua vita significato dall’espressione “sangue versato” per riscattarci dal male mentre l’affermazione: “Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” indica che in Cristo si è compiuta la promessa “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” contenuta nel libro dell’Esodo (19, 6). Nella terza frase: “Ecco, egli viene con le nubi” è il Figlio dell’uomo, di cui parla Daniele nella prima lettura, che avanza verso il trono di Dio per ricevere la regalità universale. La prima dimensione della sua regalità è il trionfo. La seconda dimensione è quella della sofferenza: ”Ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto ”, chiara allusione alla croce e al colpo di lancia del soldato (Gv.19,33-34). Qui san Giovanni fa riferimento alla profezia di Zaccaria: “io riverserò sulla casa di Davide e Gerusalemme uno spirito di benevolenza … volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto...faranno lutto per lui, come per un figlio unico…. lo piangeranno come un primogenito… una sorgente sgorgherà…come rimedio al peccato e all’impurità”. ( Zc 12, 10; 13, 1). Con lo spirito di benevolenza Dio trasformerà il cuore umano e volgendo lo sguardo verso colui che hanno trafitto, gli uomini vedranno un innocente ucciso ingiustamente in evidente contrasto con le autorità religiose dell’epoca. Osservando il Messia crocifisso d’improvviso gli occhi e i cuori si apriranno e, quando il cuore di tutti gli uomini sarà trasformato, Cristo sarà Re perché è l’apertura del cuore a introdurci nella grazia e nella pace dell’eternità in Dio: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi sin dalla creazione del mondo” (Mt 25, 34). Infine, l’’espressione finale della seconda lettura: “Colui che è, che era e che viene” (v. 8) è una delle traduzioni del nome di Dio (YHVH, Es 3, 14) nei commenti giudaici (Targum di Gerusalemme).
Vangelo Gv. 18, 33b-37
*Dunque tu sei re?
Il vangelo di Giovanni è l’unico a riferire il lungo dialogo tra Pilato e Gesù, un testo di notevole interesse per la Festa di Cristo Re perché rare sono nei vangeli le affermazioni sulla regalità di Cristo e soltanto durante la sua passione Gesù dichiara apertamente di essere re. Durante la vita pubblica ogni volta che volevano farlo re si ritirava, quando pubblicizzavano i suoi miracoli imponeva il silenzio e questo persino dopo la Trasfigurazione. Solo ora che è incatenato e condannato a morte afferma di essere re, ossia nel momento meno indicato secondo i calcoli umani. Indubbiamente ha un modo alternativo di concepire la regalità e lo ha spiegato ai discepoli: i capi dominano sulle nazioni, ma così non deve avvenire per voi; se qualcuno vuole essere grande sia vostro servitore, se vuole essere il primo sia il servo di tutti, imitando il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto (cioè liberazione) per la moltitudine (cf. Mc 10, 42-45). E’ durante l’interrogatorio di Pilato che egli si dichiara il re dell’umanità, proprio quindi nel momento in cui dà la sua vita per noi mostrando che sua unica ambizione regale è il servizio. A ben vedere nel dialogo tra Pilato, alto rappresentante dell’impero romano e un condannato a morte si capovolgono le parti: non è Pilato a giudicarlo ma è Cristo a giudicare il mondo e il potere romano finirà per riconoscere Cristo vero re. Gesù è stato catturato perché i capi religiosi, impauriti dal suo successo, agirono con menzogna paventando la loro distruzione con l’arrivo dei romani: “Se lo lasciamo fare verranno i romani e ci distruggeranno”. E’ un assassinio che nasce dalla volontà della regnante casta sacerdotale mentre per Pilato Gesù non rappresentava alcun pericolo. Oggi leggiamo nel vangelo di Giovanni il primo interrogatorio di Pilato: “Sei tu il re dei Giudei?” In questo processo non è il giudice a fare domande all’imputato ma l’inverso e la sentenza sarà emessa dall’imputato. Infatti Gesù non risponde, ma domanda. “Dici questo da te oppure altri ti hanno parlato di me?”. E Pilato: “Che cosa hai fatto? Gesù replica: “Il mio regno non è di questo mondo”. Pilato insiste: “Dunque tu sei re?” e Gesù: “Tu lo dici” nel senso che se tu lo stai affermando (su legeis) hai capito bene e quindi lo proclami. Si tratta però di un regno diverso da tutti quelli terreni difesi da soldati e basati sul potere, sul dominio e sulla menzogna. Il mio invece è il regno della verità che non conta su nessun’altra difesa che la verità: “Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” e aggiunge: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. E conclude: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Non dice: “Chi ha la verità”, ma “chi è dalla verità” poiché la verità non è una dottrina da possedere bensì lo stile di vita del credente. Nella seconda lettura tratta dall’Apocalisse, Giovanni afferma che Gesù è il “testimone fedele”, il “Figlio unigenito pieno di grazia e verità, come già leggiamo nel Prologo del suo Vangelo (Gv1,14). Se Pilato, figlio del mondo greco-romano, pone la domanda “Che cos’è la verità?” (Gv18,38), gli ebrei, invece, sapevano fin dall’inizio dell’Alleanza con Dio che la verità è Dio stesso. La verità nella Bibbia significa “salda fedeltà” di Dio ed ha in ebraico la stessa radice di “Amen” che significa stabile, fedele, vero, come appare oggi nel Salmo responsoriale 92/93. La Verità è Dio stesso per cui nessuno può pretendere di possederla ma è indispensabile ascoltarla e lasciarsi istruire da essa (cf. Gv 8, 47). Solo Dio può dirci “Ascolta”, come nella Torah ripete continuamente: “Shema Israël”.
Qualche a Testimonianza su Cristo Re dell’universo:
*Sant’Agostino, nel sermone sul Salmo 2, scrive: “Cristo non ha regno temporale, ma regna nei cuori degli uomini. Il suo trono è la croce, il suo scettro è l’amore, e la sua corona è fatta di spine. È un re che non conquista con le armi, ma con la verità e la giustizia.”
*A san Nicola Cabasilas ortodosso (XIV secolo) si attribuisce questa frase: “Cristo regna perché ha conquistato il nostro cuore, non con la violenza, ma con il sacrificio. La sua croce è il suo trono, e dalla croce egli giudica il mondo con amore, offrendo la vita eterna a chi si sottomette alla sua volontà divina.”
*Santa Caterina da Siena, nella sua opera “Il Dialogo della Divina Provvidenza” scrive:
“Cristo è dolce re, perché il suo regno non è fondato sull’orgoglio né sulla forza, ma sull’amore e sull’umiltà. Egli ha fatto della sua carne un ponte tra cielo e terra, perché l’uomo potesse attraversarlo e giungere al regno eterno. La sua corona è di spine, segno dell’amore con cui ha preso su di sé le pene dei suoi sudditi; il suo trono è la croce, da cui ha governato con misericordia e giustizia.”
*Dietrich Bonhoeffer pastore protestante nel suo libro “Discepolato” scrive: “Cristo è il Re che porta la croce, e il suo regno è il regno della croce. Chi lo segue entra nella sua signoria non con potenza o gloria, ma con l’umiltà di colui che accetta il peso del proprio giogo. Cristo regna su di noi perché ha scelto di morire per noi, e in questo è la nostra vera libertà.”
*G.K. Chesterton nel suo libro “Ortodossia” scrive: “Cristo non solo è un re, ma il re dei paradossi. La sua corona è fatta di spine, eppure è la più gloriosa; il suo trono è la croce, eppure è il più elevato; il suo potere si manifesta nella resa, eppure nessuno ha mai regnato con maggiore autorità. Egli è il re che trasforma il dolore in gioia e la morte in vita.”
Buona solennità di Cristo Re dell’universo a voi tutti !
+ Giovanni D’Ercole
Dio ti benedica! Da qualche settimana ho scelto di offrire non un’omelia ma un servizio a coloro che desiderano: presento le letture bibliche della domenica per aiutare la comprensione del testo biblico con breve commento a partire sempre dalla parola di Dio. Spero possa esserti utile: se lo desideri fammelo sapere e ti ringrazio per l’attenzione. « La Parola di Dio è un sentiero in salita, più ci si impegna, più si avanza verso la luce » (parafrasi da san Giovanni della Croce) « Ogni versetto della Bibbia è come un gradino: leggerlo è facile, viverlo è la vera sfida della fede (parafrasi da «la Scala del Paradiso » di san Giovanni Climaco). Ogni settimana manderò il testo il mercoledìì sera o il giovedì mattina per aver il tempo di leggere e meditare.
Ecco quello di domenica prossima.
XXXIII Domenica Tempo Ordinario (anno B)
Commento delle letture [17 Novembre 2024]
*Prima Lettura dal Libro del Profeta Daniele 12, 1-3
*Nella tormenta della persecuzione nasce la fede nella risurrezione
Il libro di Daniele prende il nome non dall’autore ma dal protagonista, il profeta Daniele vissuto in Babilonia durante gli anni degli ultimi re dell’impero neobabilonese ed è stato scritto durante la rivoluzione dei Maccabei (II secolo a.C.). Nel testo odierno ci sono almeno due importanti affermazioni. Prima di tutto, Daniele conforta i suoi contemporanei che attraversavano un periodo difficile. Quando dice: “Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai”, parla al futuro, ma è solo in apparenza perché si era sotto occupazione e persecuzione. Non potevano circolare libri di opposizione e quindi finge di parlare del passato o del futuro, ma in verità del presente e i lettori capiscono e traggono il conforto di cui hanno bisogno. A regnare, dopo le conquiste di Alessandro Magno e i primi successori piuttosto tolleranti, è Antioco Epifane, tristemente celebre per la terribile persecuzione contro gli ebrei. Si pose al centro del Tempio come un dio e gli ebrei dovevano scegliere: sottomettersi o restare fedeli alla propria fede, affrontando la tortura e la morte. Alcuni si piegarono, ma molti rimasero fedeli e furono uccisi. Daniele dice loro che Michele, il capo degli Angeli, veglia su di loro e se ora stanno vivendo la sconfitta e l’orrore del terrore, sono però vincitori in una battaglia che si svolge sia sulla terra che in cielo: l’esercito celeste ha già vinto. La storia umana è una gigantesca lotta di cui già si conosce il vincitore, e questo concerne in particolare il popolo dell’Alleanza.
Al messaggio di conforto per i vivi Daniele unisce un riferimento a chi si è sacrificato per non tradire il Dio vivente. Siccome Dio non abbandona chi muore per lui, chi muore così risorgerà. La parola “resurrezione”, che oggi fa parte del nostro vocabolario, allora era praticamente sconosciuta. Per secoli, la questione della resurrezione individuale non si poneva essendo l’interesse rivolto al popolo e non all’individuo, al presente e al futuro del popolo e non al destino dell’individuo. Nella storia d’Israele l’interesse per il destino della persona è emerso come conquista e progresso durante l’esilio collegato all’idea di responsabilità individuale. Occorre sempre ricordare che la fede nel Dio fedele matura con gli eventi della storia e Israele comprende sempre più che Dio desidera il bene dell’uomo e mai lo abbandona. L’esperienza dell’Alleanza ha dunque alimentato la fede d’Israele e si è compreso che, se Dio vuole l’uomo libero da ogni schiavitù, non può lasciarlo nelle catene della morte. Verità esplosa quando alcuni credenti hanno sacrificato la vita per Dio e la loro morte è diventata fonte di fede nella vita eterna. Si comprese così che i martiri risorgeranno per la vita eterna: “Molti di coloro che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni per la vita eterna e gi altri alla vergogna e per l’infamia eterna”. Il libro di Daniele considera la resurrezione solo per i giusti, ma in seguito si giungerà a capire che la resurrezione è promessa a tutta l’umanità composta di essere umani buoni e cattivi e anzi nessuno è totalmente buono o cattivo. Infine solo quando ci si lascia illuminare dalla certezza che Dio ci ama, possiamo capire che vivremo per sempre.
Salmo responsoriale 15 (16), 5.8, 9-10, 11
*Il grande impegno a immagine del levita
Nel salmo 15(16), di cui oggi meditiamo solo alcuni versetti, appare tutto semplice quando ci si rifugia in Dio perché solo in lui è il nostro bene. Al versetto 5 leggiamo: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” e continua “la mia eredità è stupenda” (v.6) per poi affermare che “per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa sicuro perché non abbandonerai la mia vita negli inferi né lascerai che il tuo fedele vedrà la fossa” (v.8,9,10). In realtà, sotto apparenze assai semplici, il salmo 15/16 traduce la lotta terribile della fedeltà alla vera fede: esattamente lo stesso invito di Daniele a non rinnegare la fede nonostante la persecuzione del re Antioco Epifane. La lotta per la fedeltà segna Israele fin dall’inizio, da quando Mosè durante l’esodo percepì il rischio dell’idolatria: si pensi all’episodio del vitello d’oro quando il popolo convinse Aronne a costruirlo (Es. 32). Entrati poi nella terra di Canaan (tra il XV e il XIII secolo a.C.), restò il pericolo dell’idolatria nel vedere che tutto andava male. La guerra, la carestia, l’epidemia suscitarono la voglia di contare su due sicurezze: Il Signore e Baal perché, nelle difficoltà si è tentati di ricorrere a ogni dio possibile e immaginabile. Lo fece il re Acaz, nell’VIII secolo sacrificando suo figlio agli idoli, e suo nipote Manasse cinquant’anni dopo. Per questo i profeti hanno lottano contro l’idolatria che è la peggiore delle schiavitù. Questo salmo traduce dunque sotto forma di preghiera la predicazione dei profeti: vi risuona l’invito ai credenti a seguire la predicazione, e nel contempo è supplica a Dio affinché aiuti tutti a resistere nel tempo della prova. Utile sarebbe leggere anche i versetti non presenti in questa domenica (vv.1-4) dove tra l’altro si dice che “agli idoli del paese, agli dei potenti andava tutto il mio favore. Moltiplicarono le loro pene quelli che corrono dietro a un dio straniero” per poi affermare “Io non spanderò le loro libagioni di sangue, né pronuncerò con le mie labbra i loro nomi”. Insomma, occorre rivolgersi solo al Dio dell’Alleanza essendo l’unico in grado di guidare il suo popolo nel difficile cammino della libertà. Con i secoli si è compreso che il Dio d’Israele è l’unico Dio per l’intera umanità. Se c’è un’esclusività per Israele è perché egli l’ha scelto gratuitamente e gli si è rivelato come l’unico vero Signore. Tocca a Israele rispondere a questa vocazione legandosi esclusivamente a lui e, così facendo, adempirà la sua missione di testimone dell’unico Dio di fronte alle altre nazioni. Per esprimere tale missione, Israele in questo salmo si paragona a un levita: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice, nelle tue mani è la mia vita” (v.5). Si allude alla singolare condizione dei leviti che, al tempo della spartizione della Terra Promessa tra le tribù dei discendenti di Giacobbe, i membri della tribù di Levi non avevano ricevuto parte del territorio e quindi la loro parte era la Casa di Dio (il Tempio), il servizio di Dio. Tutta la loro vita era consacrata al servizio del culto; il loro sostentamento era garantito dalle decime e da una parte dei raccolti e delle carni offerte in sacrificio. Israele è nel cuore dell’umanità come i leviti sono il cuore d’Israele, entrambi chiamati al diretto servizio del Signore, fonte di gioia. Tenendo presente la prima lettura che parla della risurrezione dei corpi (Dn 12), si comprende che l’eternità di cui si parla in questo salmo non riguarda la risurrezione individuale perché il vero soggetto di tutti i salmi non è mai un individuo ma l’intero Israele sicuro di sopravvivere essendo l’eletto del Dio vivente. E il versetto 10: “Tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né lascerai che il tuo fedele veda la fossa” non esprime la fede nella risurrezione individuale, ma è un appello alla sopravvivenza del popolo. Certamente quando il profeta Daniele (prima lettura) annunciava la fede nella risurrezione dei morti, questo versetto aveva tale senso; in seguito Gesù ed ora tutti noi possiamo dire fiduciosi che il nostro cuore esulta e l’anima è in festa perché il Signore non ci abbandona alla morte, ma anzi alla sua destra, ci attende un’eternità di gioia.
*Seconda Lettura dalla Lettera agli Ebrei 10, 11-14. 18
Gesù libera l’umanità dalla fatalità del peccato
La lettera agli Ebrei, come e più degli altri testi del Nuovo Testamento, mira a far capire che Gesù è l’atteso Messia-sacerdote per cui di conseguenza il sacerdozio ebraico è superato. Terminato il ruolo dei sacerdoti dell’Antica Alleanza, nella Nuova Alleanza l’unico sacerdote è Cristo. Ma quali sono le caratteristiche dei sacerdoti dell’A.T. confrontandole con Cristo? L’autore focalizza due punti: la liturgia dei sacerdoti dell’Antico Testamento era quotidiana e offrivano sempre gli stessi sacrifici; Gesù, invece, ha offerto un sacrificio unico. Il culto dei sacerdoti ebrei era inefficace, poiché i sacrifici non avevano il potere di eliminare i peccati, mentre, con l’unico suo sacrificio, Gesù ha eliminato una volta per tutte il peccato del mondo. Ci sono qui affermazioni che per l’ambiente giudaico-cristiano dell’epoca erano importanti come ad esempio l’espressione “eliminare i peccati” perché la parola “peccato” torna più volte in questo testo. L’esperienza dice che dopo la morte/risurrezione di Cristo continuano a esistere i peccati nel mondo per cui affermare che Gesù ha tolto il peccato del mondo significa far rimarcare che il peccato non costituisce più una fatalità perché, grazie al dono dello Spirito Santo, possiamo vincerlo. Inoltre leggendo che “con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” occorre capire che il termine “perfetto” non riveste un significato morale, ma esprime compimento, completamento. Siamo stati cioè condotti da Cristo al nostro compimento; grazie a lui siamo diventati uomini e donne liberi: liberi di non ricadere nell’odio, nella violenza, nella gelosia; liberi di vivere come figli e figlie di Dio e come fratelli e sorelle. Nella celebrazione eucaristica continuiamo a dire “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Questo fa pensare al profeta Geremia (31, 31-33) che profetizza: “Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore – nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova… porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore”, oppure a Ezechiele (36, 26-27): “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi”. I primi cristiani sapevano che bisogna lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, ma condizione essenziale è restare uniti a Cristo come i tralci alla vite. Leggiamo ancora nel testo: “Cristo…si è assiso per sempre alla destra di Dio e attende ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi” (vv12-14). L’espressione “assiso alla destra di Dio” in Israele era da secoli un titolo regale. Il giorno dell’incoronazione, quando prendeva possesso del suo trono, il nuovo re si sedeva alla destra di Dio e in questo contesto dire che “Gesù Cristo si è assiso per sempre alla destra di Dio” vuol dire che Gesù è il vero Re-Messia atteso. Tale concetto è rafforzato da ciò che segue: “Egli attende ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi”. La tradizione era che sui gradini dei troni dei re s’incidevano o scolpivano figure di uomini incatenati che rappresentavano i nemici del regno e il re salendo i gradini del trono li calpestava, schiacciando simbolicamente i suoi nemici e questo non era gratuita crudeltà bensì garanzia di sicurezza per i sudditi. Si trovano segni di queste figure nei troni di Tutankhamon (scoperti nel 1922 dall’archeologo Howard Carter nella Valle dei Re in Egitto) mentre in Israele, resta, come sola traccia citata nel Salmo 109/110, ciò che il profeta pronunciava da parte di Dio per il re nel rito dell’incoronazione: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi”. Se Cristo è davvero il Messia, l’atteso re eterno discendente di Davide, il vecchio mondo è ormai finito. Un’ultima precisazione: perché si dice: “il sacrificio della messa”? Nella Lettera agli Ebrei leggiamo: “Ora, dove c’è il perdono non c’è più offerta (il sacrificio) per il peccato”. Il termine sacrificio resta anche se, con Cristo, il suo significato è cambiato: per lui, “sacrificare” (sacrum facere, compiere un atto sacro) non significa uccidere uno o mille animali, ma vivere nell’amore e dare la vita per i fratelli, come già nell’VIII secolo a.C. affermava il profeta Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.» (6, 6).
*Vangelo secondo san Marco (13, 24-32)
Gesù usa qui lo stile apocalittico
Nel vangelo di Marco Gesù ora cambia stile e si avvicina nei suoi discorsi alla letteratura della divinazione che allora era molto in voga. Tutte le religioni si ponevano gli stessi interrogativi: L’umanità andrà irrimediabilmente in rovina oppure trionferà il Bene? Come sarà la fine del mondo e chi sarà il vincitore? Si utilizzavano le stesse immagini di sconvolgimenti cosmici, eclissi di sole o di luna, personaggi celesti, angeli o demoni. Gli ebrei prima e poi i cristiani presero in prestito questo stile inserendovi però il messaggio evangelico, cioè la rivelazione divina. Per questo, nella Bibbia, questo stile letterario viene chiamato “apocalittico” perché porta una “rivelazione” da parte di Dio: letteralmente il verbo greco apocaliptõ significa rivelare, nel senso di “sollevare il velo che copre la storia dell’umanità”. All’epoca era come un linguaggio cifrato, in codice: si parla di sole, stelle, luna e di come tutto ciò sarà sconvolto anche se poi si vuol dire tutt’altro. E’ la vittoria di Dio e dei suoi figli nel grande combattimento contro il male che portano avanti fin dall’origine del mondo. Ecco la specificità della fede giudeo-cristiana per cui è un errore usare il termine apocalisse per parlare di eventi spaventosi perché nel linguaggio della fede ebraica e cristiana è esattamente il contrario. Rivelare il mistero di Dio non tende a spaventare l’umanità, bensì a incoraggiare gli uomini ad affrontare ogni crisi della storia sollevando l’angolo del velo che copre la storia per tenere salda la speranza. Già i profeti nell’A.T., per annunciare il giorno della vittoria definitiva di Dio contro ogni forza del male, utilizzavano le medesime immagini. Troviamo in Gioele (2, 10-11): “La terra trema, il cielo si scuote, il sole e la luna si oscurano e le stelle cessano di brillare. Il Signore fa udire la sua voce dinanzi alla sua schiera. Molto grande è il suo esercito, potente nell’eseguire i suoi ordini. Grande è il giorno del Signore, davvero terribile: chi potrà sostenerlo?”. Consiglio di leggere anche questi altri del profeta Gioele (3, 1-5 e 4, 15-16) e di Isaia (12, 1-2). Non sono racconti per incutere terrore, ma per annunciare la vittoria del Dio che ci ama. Il messaggio è sempre questo: Dio avrà l’ultima parola perché, come scrive Isaia, il male sarà distrutto e il Signore punirà i malvagi per i loro crimini (cf.13, 10); è lo stesso Isaia che, qualche versetto prima (cap.12,2), annunciava la salvezza dei figli di Dio: “Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza.” Queste parole, nelle quali risuona lode e fede in Dio come Salvatore insieme a un profondo senso di sicurezza e fiducia nella protezione divina, fanno parte di un canto di ringraziamento che celebra la liberazione e il sostegno che Dio offre al suo popolo. Nello stile apocalittico, annunciare la fede è assicurare che Dio è il padrone della storia e un giorno il male scomparirà. Per questo, più che “fine del mondo”, sarebbe meglio “trasformazione del mondo” o meglio “rinnovamento del mondo”. Tutto questo emerge nel vangelo di Marco di questa domenica con una precisazione: la vittoria definitiva di Dio contro il male, avviene solo in Gesù Cristo. Nel vangelo si è a pochi giorni dalla Pasqua e Gesù ricorre a questo linguaggio perché il combattimento tra lui e le forze del male è ormai al suo culmine. Per capire il messaggio di Gesù, possiamo ricorrere al vangelo di Giovanni, quando alla conclusione del suo lungo discorso agli apostoli afferma: ”Vi ho detto queste parole perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16, 33). E la parabola del fico che mette le foglie, ben s’inserisce in questo messaggio, tenendo presente che la chiave per capire è l’aggettivo “vicino”, “vicina”: i segni preannunciano solo la vicinanza della fine, quindi attenti ai falsi profeti che vedono ora la fine del mondo. Occorre invece vigilare e pregare perché la vicinanza della fine è per ogni generazione - e quest’invito è presente in tutto il Vangelo.
Buona Domenica a tutti!
+Giovanni D’Ercole
Piccola Casa di Dio? Non si mercanteggia più
(Lc 19,45-48)
L’insegnamento di Gesù nel luogo sacro viene presentato da Lc come duraturo: «stava insegnando ogni giorno» (v.47). Argomento preponderante: la Grazia.
Così nel tempo impariamo la convivialità: incoraggiati a dialogare con la nostra personale, irripetibile Vocazione, che avvince perché corrisponde davvero.
E l’intima convinzione è sola, incomparabile, preziosa energia di valenza trasformatrice - che porta a non recedere da se stessi, né soprassedere la realtà dei fratelli.
Piuttosto induce a fare Esodo, esplorare nuove condizioni dell’essere, trasfigurare la percezione in azione beata.
Cacciando i falsi amici della religiosità, il Signore non si orienta tanto a risarcire la purezza del Luogo, né a rabberciare e riproporre lo smalto del sobrio culto originario - come pur volevano i Profeti.
Rende un servizio santo non al Dio antico, bensì alla gente - da quel sistema [o groviglio] resa totalmente inconsapevole della propria dignità vocazionale: solo incatenata, munta, e tosata.
La prima Tenda di Dio è dunque l’umanità stessa, il suo cuore pulsante - non uno spazio delimitato:
Entrato in Gerusalemme, il Maestro prende possesso della Casa celeste - che non è il Tempio, bensì il Popolo.
Non insegna a entrare in armature abitudinarie e formali accette al contorno, ma distanti dalle persone.
Piuttosto, stimola a non frenare la nostra vera natura con delle cappe di costume, secondo le quali “non è mai abbastanza”.
Il nostro mondo interno non va istericamente considerato alla stregua di un pericoloso estraneo.
Le radici innate e la nostra energia naturale hanno il diritto di fiorire e prevalere sulle maniere o idee comuni: sono traccia sperimentale del Divino.
In esse sussiste un legame Personale, che vince ogni tarlo.
Bisogna dunque cambiare approccio. È Lui stesso il punto essenziale del culto all’Eterno.
In tale luce di Persona nella sua Persona, ciascuno può abbracciare proposte che non sono altrui e intruse; che non risulteranno zavorra.
Il fantasmagorico culmine antico sta diventando periferia, sta decadendo. E a ritrovarsi, facciamo difficoltà.
Occasione da non perdere per procedere in modo vivo e singolare, in sintonia con un sempre nuovo insegnamento sull’Amore inedito, che prende il nostro passo.
È l’Appello bruciante de «il Monte», che centra sulla ‘passione’: proprio sul Desiderio.
Non più un severo richiamo ai “no” delle grandi apparenze - ma finalmente Ascolto della Voce nell’anima, che stupisce (v.48).
Autentico sacro del tempio.
Con ciò che non corrisponde, anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, non si mercanteggia più.
[Venerdì 33.a sett. T.O. 22 novembre 2024]
Piccola Casa di Dio o luogo di affari? Non si mercanteggia più
(Lc 19,45-48)
Gesù nota che attorno all’attività che si svolgeva nei perimetri del Tempio si era articolata tutta un’ambigua struttura di peccato.
La smania affaristica del Santuario non era neppure nascosta - anzi, addirittura lo fronteggiava.
Ma le prospettive sacerdotali del santo tributo e gli orizzonti di vita piena del popolo confliggevano.
Idem per gli scopi di giuristi e dottori, che volentieri si affollavano in specie sotto il portico di Salomone [dall’altra parte, verso est] a “concedere” consulenze.
L’esclusiva funzione di favorire l’incontro con la presenza di Dio veniva totalmente mortificata.
L’area sacra era divenuta covo di astuti mercanti, affaristi perennemente a caccia, sempre intenti a cambiar valuta.
Ciò col beneplacito della setta dei dominanti sadducei, che non sapevano resistere alla tentazione di tirare le fila dei lauti commerci.
Cacciando i falsi amici del Padre soccorrevole, parassiti della religiosità, il Signore non si orienta tanto a risarcire la purezza del Luogo, né a rabberciare e riproporre lo smalto del sobrio culto originario - come pur volevano i Profeti.
Rende un servizio santo non al Dio antico (come nelle religioni) bensì alla gente - da quel sistema [o groviglio] resa totalmente inconsapevole della propria dignità vocazionale: solo incatenata, munta, e tosata.
Infatti gli Zeloti puntavano a restaurare la purezza dei riti. Immaginavano in qualche modo di poterne recuperare la coerenza.
Gli Esseni avevano invece del tutto abbandonato il Tempio. Essi consideravano la vergognosa situazione ormai compromessa.
Giovanni il Battezzatore aveva operato il medesimo distacco.
Sebbene di stirpe sacerdotale, predicava al popolo il perdono dei peccati attraverso una conversione di vita, non mediante i sacrifici della liturgia [solo in Gerusalemme].
L’autentico Angelo dell’Alleanza era invece definitivamente intransigente, assai più radicale di tutti loro!
Infatti secondo i primissimi cristiani, che pur rifrequentavano il Tempio, il luogo dell’incontro con Dio, la terra dalla quale irradiava il suo Amore, non era più legata ad aspetti materiali.
Neppure in sé religiosi; tantomeno impregnata di osservanze dottrinali, codici moralisti, o visioni del mondo unilaterali.
In tal guisa, anche per noi la Presenza divina e la sua Comunione non si colgono nella mitica purità, nell’antica magnificenza, negli sforzi perfezionisti - o nell’adesione à la page.
Il servizio a Dio è onore della donna e dell’uomo così come e dove sono: il sacro rispetto parte da un Dono che già attraversa la nostra vita. Le opinioni non servono.
L’Amico sconosciuto vuole dimorare in noi non per appropriarsi, ma per fondersi e dilatare le capacità relazionali e qualitative. Quelle nostre, non altrui o a contorno.
In Cristo, dall’obbedienza a norme più o meno datate [fossero anche futuribili] passiamo allo stile di Somiglianza personale. Ciò che edifica Santuari viventi.
L’onore al Padre si realizza non nei dettagli o nello spirito di corpo già dettato, bensì nei figli e figlie, comunque - se vivono in fraternità.
Questo avviene in specie quando essi assimilano l’Insegnamento di Gesù [sulla Grazia] (v.47).
Così nel tempo, da Lui stesso imparano la convivialità, e insieme sono incoraggiati a dialogare con la loro eccezionale e irripetibile Vocazione, la quale avvince perché corrisponde davvero.
E l’intima convinzione è sola, incomparabile e preziosa energia di valenza trasformatrice - che porta a non recedere da se stessi, dalla propria eccezionalità, né soprassedere la realtà dei fratelli.
Piuttosto induce a fare Esodo, esplorare nuove condizioni dell’essere, trasfigurare la percezione in azione beata.
Solo da qui, deriva la coesistenza.
E Peccato resta sì deviazione, ma non più trasgressione alla legge - bensì incapacità a corrispondere alla Chiamata che caratterizza, che sprigiona e potenzia una sorprendente unicità di Relazione.
La prima Tenda di Dio è dunque l’umanità stessa, il suo cuore pulsante - non uno spazio di pietre e mattoni, fisso, delimitato, o fantasioso… da ornare con sovraggiunte.
Entrato in Gerusalemme, il Maestro prende possesso della Casa celeste - che non è il Tempio, bensì il Popolo.
Per questo Egli caccia fuori dall’immaginifico sacrale inculcato agli ingenui, proprio i tratti più diseducativi del festival - e specialmente insegna ai malfermi, a sentirsi già adeguati!
Incredibile: a ciascuno Cristo cambia l’atmosfera mentale.
Il Signore vero non insegna a entrare in armature abitudinarie o astratte e formali, accette al contorno ma distanti da noi stessi, dalle creature.
Piuttosto, stimola a non frenare la nostra vera natura con delle cappe di costume [datate o meno] secondo le quali “non è mai abbastanza”.
Dietro la nostra essenza caratteriale si cela una Chiamata feconda, irripetibile, singolare; dai risvolti visuali e sociali che non sappiamo.
Come siamo - proprio così - andiamo bene.
Non c’è bisogno di esorcizzare nulla del nostro essere profondo, che spontaneamente manifesta i suoi disagi compressi e le corrispondenze gioiose, anche nelle eccentricità esteriori.
Piuttosto, ogni domesticazione convenzionale epidermica, di adattamento, o astuta, soffoca il nucleo della Chiamata per Nome - autentica Guida, impulso dello Spirito.
Il nostro mondo interno non va istericamente considerato alla stregua di un pericoloso estraneo da riconfigurare.
Le radici innate e la nostra energia naturale hanno il diritto di fiorire e prevalere sulle maniere o idee comuni: sono traccia sperimentale del Divino.
In esse sussiste un legame Personale.
La rivendicazione del Signore è immediatamente contrastata dall’ostilità dei paludati, interessati al dare-avere di quel teatrino manierista.
Lo fanno passare per squilibrato, da eliminare subito: sognatore pericolosissimo, perché attiva e valorizza le anime, invece della struttura di mediazione.
Ecco la condanna impartita dai “grandi” in società: esito d’ogni operazione di verità.
Così si cerca di appannare qualsiasi tentativo d’emancipazione dei vessati nello spirito, nel nucleo di sé - sia per paura di Dio che per ossessione d’indegnità.
Ma nella realtà attuale, che ci tallona, il Risorto continua a demitizzare l’eccessiva preoccupazione per i luoghi identificati, le “alture” di carattere stanziale e materiale.
Coi loro risvolti che non nutrono in modo pieno e stabile - viceversa diventano un tarlo.
Insomma, bisogna cambiare approccio.
È Lui stesso il punto essenziale del culto all’Eterno.
In tale luce di Persona nella sua Persona, ciascuno può abbracciare proposte che non sono altrui e intruse; che non risulteranno zavorra.
E prestigio autentico della Chiesa sarà far echeggiare l’Annuncio che libera e piace davvero.
Provocando ovviamente le medesime tensioni mercantili; cartina al tornasole della nostra azione divina.
Per opera di apostoli impauriti dalle maniere spicce delle autorità, e forse essi stessi proni al compromesso - il magnifico santuario che Gesù aveva esplicitamente definito come una tana di marpioni ridiventerà il centro dell’assemblea ecclesiale [Lc 24,53; At 5,12].
Provvederà in modo più efficace… non la coscienza che brucia, bensì la tragica storia della città santa, a farne tramontare l’eccesso d’importanza.
Anche oggi: il fantasmagorico culmine antico sta diventando periferia, decade. E a ritrovarsi, facciamo difficoltà.
Occasione da non perdere per procedere in modo vivo e singolare, in sintonia con un sempre nuovo insegnamento sull’Amore inedito, che prende il nostro passo.
È l’Appello bruciante de «il Monte», che centra sulla passione: proprio sul Desiderio.
Non più un severo richiamo ai “no” delle grandi apparenze - ma finalmente Ascolto della Voce nell’anima, che stupisce (v.48).
Autentico sacro del tempio.
L’insegnamento di Gesù nel luogo venerando viene presentato da Lc 19,47 come duraturo: «stava insegnando ogni giorno» [testo greco].
Attraverso la Parola che non resta in alto ma partecipa della nostra umanità (finalmente spalancata) Egli ritrova anche oggi il suo Tempio.
Dimora sgombrata da vetusti e nuovi cacciatori.
Egli brama solo il suo Popolo - donne e uomini liberati dalla spelonca di briganti [Ger 7,11; Lc 19,46] che ancora tenta di penetrare la nostra qualità di relazione.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.226) volentieri ribadiamo con Papa Francesco: «non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà» (irritante) dei soci in affari con Dio.
La spazzatura va eliminata. La posta in palio è troppo alta e personale.
Con ciò che non corrisponde, anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, non si mercanteggia più.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai ancora bisogno di tempi stabiliti, luoghi ritagliati, gesti di espiazione e propiziazione, o con Dio senti una relazione vivente?
Qual è la tua Casa di Preghiera?
Chiese di servizio, non supermercato.
Il più importante tempio di Dio è il nostro cuore
«Chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”»: non ha usato giri di parole Papa Francesco nel riproporre l’attualità del gesto di Gesù di scacciare i mercanti dal tempio. E «vigilanza, servizio e gratuità» sono le tre parole chiave che ha rilanciato nella messa celebrata venerdì 24 novembre a Santa Marta.
«Ambedue le letture della liturgia di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano del tempio, anzi della purificazione del tempio». Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Maccabei (4, 36-37.52-59), il Papa ha fatto notare come «dopo la sconfitta della gente che Antioco Epìfane aveva inviato per paganizzare il popolo, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli vogliono purificare il tempio, quel tempio dove ci sono stati sacrifici pagani e ripristinare la bellezza spirituale del tempio, il sacro del tempio». Per questo «il popolo era gioioso». Si legge infatti nel testo biblico che «grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani». Dunque, ha aggiunto il Papa, «il popolo ritrova la propria legge, si ritrova con il proprio essere; il tempio diventa, un’altra volta, il posto dell’incontro con Dio».
«Lo stesso fa Gesù quando scaccia quelli che vendevano nel tempio: purifica il tempio» ha affermato Francesco, richiamandosi al passo evangelico di Luca (19, 45-48). Così facendo il Signore rende il tempio «come deve essere: puro, solo per Dio e per il popolo che va a pregare». Ma, da parte nostra, «come purificare il tempio di Dio?». La risposta, ha detto il Papa, sta in «tre parole che possono aiutarci a capire. Prima: vigilanza; seconda: servizio; terza: gratuità».
«Vigilanza», dunque, è la prima parola suggerita dal Pontefice: «Non solo il tempio fisico, i palazzi, i templi sono i templi di Dio: il più importante tempio di Dio è il nostro cuore, la nostra anima». Tanto che, ha fatto presente il Papa, san Paolo ci dice: «Voi siete tempio dello Spirito Santo». Dunque, ha rilanciato Francesco, «dentro di noi abita lo Spirito Santo».
E proprio «per questo la prima parola» proposta da Francesco è, appunto, «vigilanza». Da qui alcune domande per un esame di coscienza: «Cosa succede nel mio cuore? Cosa succede dentro di me? Come mi comporto con lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è uno in più dei tanti idoli che io ho dentro di me o ho cura dello Spirito Santo? Ho imparato a vigilare dentro di me, perché il tempio nel mio cuore sia solo per lo Spirito Santo?».
Ecco, allora, l'importanza di «purificare il tempio, il tempio interiore, e vigilare» ha affermato il Papa. Con un invito esplicito: «Stai attento, stai attenta: cosa succede nel tuo cuore? Chi viene, chi va... Quali sono i tuoi sentimenti, le tue idee? Tu parli con lo Spirito Santo? Ascolti lo Spirito Santo?». Si tratta, perciò, di «vigilare: stare attenti a cosa succede nel tempio nostro, dentro di noi».
La «seconda parola è servizio» ha proseguito il Pontefice. «Gesù — ha ricordato — ci fa capire che lui è presente in un modo speciale nel tempio di quelli che hanno bisogno». E «lo dice chiaramente: è presente negli ammalati, quelli che soffrono, negli affamati, nei carcerati, è presente lì». Anche per la parola «servizio» Francesco ha suggerito alcune domande da porre a se stessi: «So custodire quel tempio? Mi prendo cura del tempio con il mio servizio? Mi avvicino per aiutare, per vestire, per consolare quelli che hanno bisogno?».
«San Giovanni Crisostomo — ha fatto notare Francesco — rimproverava quelli che facevano tante offerte per ornare, per abbellire il tempio fisico e non prendevano cura dei bisognosi: rimproverava e diceva: “No, questo non va bene, prima il servizio poi le ornamentazioni”». Insomma, siamo chiamati a «purificare il tempio che sono gli altri». E per farlo bene, occorre domandarci: «Come io aiuto a purificare quel tempio?». La risposta è semplice: «Con il servizio, con il servizio ai bisognosi. Gesù stesso dice che lui è presente lì». E «lui è presente lì — ha spiegato il Papa — e quando noi ci avviciniamo a prestare un servizio, ad aiutare, assomigliamo a Gesù che è lì dentro».
Francesco, a questo proposito, ha confidato di aver «visto un’icona tanto bella del Cireneo che aiutava Gesù a portare la croce: guardando bene quell’icona, il Cireneo aveva la stessa faccia di Gesù». Dunque, «se tu custodisci quel tempio che è l’ammalato, il carcerato, il bisognoso e l’affamato, anche il tuo cuore sarà più simile a quello di Gesù». Proprio «per questo custodire il tempio significa servizio».
«La prima parola, vigilanza» ha riepilogato il Pontefice, esprime qualcosa che «succede dentro di noi». Mentre «la seconda parola» ci porta verso il «servizio ai bisognosi: quello è purificare il tempio». E «la terza parola che mi viene in mente — ha proseguito — leggendo il Vangelo è gratuità». Nel brano del Vangelo, Gesù dice: «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Proprio tenendo in mente queste parole del Signore, ha affermato il Papa, «quante volte con tristezza entriamo in un tempio — pensiamo a una parrocchia, un vescovado — e non sappiamo se siamo nella casa di Dio o in un supermercato: ci sono lì i commerci, anche c’è la lista dei prezzi per i sacramenti» e «manca la gratuità».
Ma «Dio ci ha salvato gratuitamente, non ci ha fatto pagare nulla» ha insistito il Pontefice, invitando a essere di aiuto «affinché le nostre chiese, le nostre parrocchie non siano un supermercato: che siano casa di preghiera, che non siano un covo di ladri, ma che siano servizio gratuito». Certo, ha aggiunto il Papa, qualcuno potrebbe obiettare che «dobbiamo avere dei soldi per mantenere la struttura e anche dobbiamo avere dei soldi per dare da mangiare ai preti, ai catechisti». La risposta del Pontefice è chiara: «Tu da’ con gratuità e Dio farà il resto, Dio farà quello che manca».
«Custodire il tempio — ha affermato, dunque, Francesco — significa questo: vigilanza, servizio e gratuità». Anzitutto «vigilanza nel tempio del nostro cuore: cosa succede lì, stare attenti perché è il tempio dello Spirito Santo». Poi «servizio ai bisognosi» ha ripetuto, suggerendo anche di leggere il capitolo 25 del vangelo di Matteo. Servizio anche «agli affamati, agli ammalati, ai carcerati, a quelli che hanno bisogno perché lì è Cristo», sempre con la certezza che «il bisognoso è il tempio di Cristo».
Infine, ha concluso il Papa, il «terzo» punto è la «gratuità nel servizio che si dà nelle nostre chiese: chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2017]
Tutto ciò deve oggi far pensare anche noi come cristiani: è la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i "pagani", le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? La consapevolezza che l’avidità è idolatria raggiunge anche il nostro cuore e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario?
Nella purificazione del tempio, però, si tratta di più che della lotta agli abusi. È preconizzata una nuova ora della storia. Adesso sta cominciando ciò che Gesù aveva annunciato alla Samaritana riguardo alla sua domanda circa la vera adorazione: "È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori" (Gv 4, 23). È finito il tempo in cui venivano immolati a Dio degli animali. Già da sempre i sacrifici di animali erano stati una miserevole sostituzione, un gesto di nostalgia del vero modo di adorare Dio. La Lettera agli Ebrei, sulla vita e sull’operare di Gesù ha posto come motto una frase del Salmo 40 [39]: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato" (Ebr 10, 5). Al posto dei sacrifici cruenti e delle offerte di vivande subentra il corpo di Cristo, subentra Lui stesso. Solo "l’amore sino alla fine", solo l’amore che per gli uomini si dona totalmente a Dio, è il vero culto, il vero sacrificio. Adorare in spirito e verità significa adorare in comunione con Colui che è la verità; adorare nella comunione col suo Corpo, nel quale lo Spirito Santo ci riunisce.
Gli evangelisti ci raccontano che, nel processo contro Gesù, si presentarono falsi testimoni e affermarono che Gesù aveva detto: "Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni" (Mt 26, 61). Davanti a Cristo pendente dalla Croce alcuni schernitori fanno riferimento alla stessa parola, gridando: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!" (Mt 27, 40). La giusta versione della parola, come uscì dalla bocca di Gesù stesso, ce l’ha tramandata Giovanni nel suo racconto della purificazione del tempio. Di fronte alla richiesta di un segno con cui Gesù doveva legittimarsi per una tale azione, il Signore rispose: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2, 18s). Giovanni aggiunge che, ripensando a quell’evento dopo la Risurrezione, i discepoli capirono che Gesù aveva parlato del Tempio del suo Corpo (cfr 2, 21s). Non è Gesù che distrugge il tempio; esso viene abbandonato alla distruzione dall’atteggiamento di coloro che, da luogo d’incontro di tutti i popoli con Dio, l’hanno trasformato in una "spelonca di ladri", in un luogo dei loro affari. Ma, come sempre a partire dalla caduta di Adamo, il fallimento degli uomini diventa l’occasione per un impegno ancora più grande dell’amore di Dio nei nostri confronti. L’ora del tempio di pietra, l’ora dei sacrifici di animali era superata: il fatto che ora il Signore scacci fuori i mercanti non solo impedisce un abuso, ma indica il nuovo agire di Dio. Si forma il nuovo Tempio: Gesù Cristo stesso, nel quale l’amore di Dio si china sugli uomini. Egli, nella sua vita, è il Tempio nuovo e vivente. Egli, che è passato attraverso la Croce ed è risorto, è lo spazio vivente di spirito e vita, nel quale si realizza la giusta adorazione. Così la purificazione del tempio, come culmine dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme, è insieme il segno della incombente rovina dell’edificio e della promessa del nuovo Tempio; promessa del regno della riconciliazione e dell’amore che, nella comunione con Cristo, viene instaurato oltre ogni frontiera.
[Papa Benedetto, omelia delle Palme 16 marzo 2008]
5. «Egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2, 21).
Nel Vangelo abbiamo riletto l’episodio della cacciata dei venditori dal tempio. La descrizione di san Giovanni è viva ed eloquente: da una parte c’è Gesù, che «fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi» (Gv 2, 14-15) e dall’altra ci sono i Giudei, in particolare i Farisei. Il contrasto è forte, al punto che alcuni dei presenti domandano a Gesù: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» (Gv 2, 18).
«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2, 19), risponde il Cristo. Al che replica la gente: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?» (Gv 2, 20). Non avevano compreso - osserva san Giovanni - che il Signore stava parlando del tempio vivo del suo corpo, che, nel corso degli eventi pasquali, sarebbe stato distrutto nella morte in croce, ma che sarebbe risorto il terzo giorno. «Quando poi fu risuscitato dai morti, - scrive l’Evangelista - i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv 2, 22).
È l’evento pasquale che dà significato autentico a tutti i vari elementi presenti nelle odierne letture. Nella Pasqua si rivela in pienezza la potenza del Verbo incarnato, potenza dell’eterno Figlio di Dio, fattosi uomo per noi e per la nostra salvezza.
«Signore, tu hai parole di vita eterna».
Noi crediamo che Tu sei veramente il Figlio di Dio.
E Ti ringraziamo per averci fatti partecipi della tua stessa vita divina.
Amen.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 2 marzo 1997]
«Chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”»: non ha usato giri di parole Papa Francesco nel riproporre l’attualità del gesto di Gesù di scacciare i mercanti dal tempio. E «vigilanza, servizio e gratuità» sono le tre parole chiave che ha rilanciato nella messa celebrata venerdì 24 novembre a Santa Marta.
«Ambedue le letture della liturgia di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano del tempio, anzi della purificazione del tempio». Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Maccabei (4, 36-37.52-59), il Papa ha fatto notare come «dopo la sconfitta della gente che Antioco Epìfane aveva inviato per paganizzare il popolo, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli vogliono purificare il tempio, quel tempio dove ci sono stati sacrifici pagani e ripristinare la bellezza spirituale del tempio, il sacro del tempio». Per questo «il popolo era gioioso». Si legge infatti nel testo biblico che «grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani». Dunque, ha aggiunto il Papa, «il popolo ritrova la propria legge, si ritrova con il proprio essere; il tempio diventa, un’altra volta, il posto dell’incontro con Dio».
«Lo stesso fa Gesù quando scaccia quelli che vendevano nel tempio: purifica il tempio» ha affermato Francesco, richiamandosi al passo evangelico di Luca (19, 45-48). Così facendo il Signore rende il tempio «come deve essere: puro, solo per Dio e per il popolo che va a pregare». Ma, da parte nostra, «come purificare il tempio di Dio?». La risposta, ha detto il Papa, sta in «tre parole che possono aiutarci a capire. Prima: vigilanza; seconda: servizio; terza: gratuità».
«Vigilanza», dunque, è la prima parola suggerita dal Pontefice: «Non solo il tempio fisico, i palazzi, i templi sono i templi di Dio: il più importante tempio di Dio è il nostro cuore, la nostra anima». Tanto che, ha fatto presente il Papa, san Paolo ci dice: «Voi siete tempio dello Spirito Santo». Dunque, ha rilanciato Francesco, «dentro di noi abita lo Spirito Santo».
E proprio «per questo la prima parola» proposta da Francesco è, appunto, «vigilanza». Da qui alcune domande per un esame di coscienza: «Cosa succede nel mio cuore? Cosa succede dentro di me? Come mi comporto con lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è uno in più dei tanti idoli che io ho dentro di me o ho cura dello Spirito Santo? Ho imparato a vigilare dentro di me, perché il tempio nel mio cuore sia solo per lo Spirito Santo?».
Ecco, allora, l'importanza di «purificare il tempio, il tempio interiore, e vigilare» ha affermato il Papa. Con un invito esplicito: «Stai attento, stai attenta: cosa succede nel tuo cuore? Chi viene, chi va... Quali sono i tuoi sentimenti, le tue idee? Tu parli con lo Spirito Santo? Ascolti lo Spirito Santo?». Si tratta, perciò, di «vigilare: stare attenti a cosa succede nel tempio nostro, dentro di noi».
La «seconda parola è servizio» ha proseguito il Pontefice. «Gesù — ha ricordato — ci fa capire che lui è presente in un modo speciale nel tempio di quelli che hanno bisogno». E «lo dice chiaramente: è presente negli ammalati, quelli che soffrono, negli affamati, nei carcerati, è presente lì». Anche per la parola «servizio» Francesco ha suggerito alcune domande da porre a se stessi: «So custodire quel tempio? Mi prendo cura del tempio con il mio servizio? Mi avvicino per aiutare, per vestire, per consolare quelli che hanno bisogno?».
«San Giovanni Crisostomo — ha fatto notare Francesco — rimproverava quelli che facevano tante offerte per ornare, per abbellire il tempio fisico e non prendevano cura dei bisognosi: rimproverava e diceva: “No, questo non va bene, prima il servizio poi le ornamentazioni”». Insomma, siamo chiamati a «purificare il tempio che sono gli altri». E per farlo bene, occorre domandarci: «Come io aiuto a purificare quel tempio?». La risposta è semplice: «Con il servizio, con il servizio ai bisognosi. Gesù stesso dice che lui è presente lì». E «lui è presente lì — ha spiegato il Papa — e quando noi ci avviciniamo a prestare un servizio, ad aiutare, assomigliamo a Gesù che è lì dentro».
Francesco, a questo proposito, ha confidato di aver «visto un’icona tanto bella del Cireneo che aiutava Gesù a portare la croce: guardando bene quell’icona, il Cireneo aveva la stessa faccia di Gesù». Dunque, «se tu custodisci quel tempio che è l’ammalato, il carcerato, il bisognoso e l’affamato, anche il tuo cuore sarà più simile a quello di Gesù». Proprio «per questo custodire il tempio significa servizio».
«La prima parola, vigilanza» ha riepilogato il Pontefice, esprime qualcosa che «succede dentro di noi». Mentre «la seconda parola» ci porta verso il «servizio ai bisognosi: quello è purificare il tempio». E «la terza parola che mi viene in mente — ha proseguito — leggendo il Vangelo è gratuità». Nel brano del Vangelo, Gesù dice: «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Proprio tenendo in mente queste parole del Signore, ha affermato il Papa, «quante volte con tristezza entriamo in un tempio — pensiamo a una parrocchia, un vescovado — e non sappiamo se siamo nella casa di Dio o in un supermercato: ci sono lì i commerci, anche c’è la lista dei prezzi per i sacramenti» e «manca la gratuità».
Ma «Dio ci ha salvato gratuitamente, non ci ha fatto pagare nulla» ha insistito il Pontefice, invitando a essere di aiuto «affinché le nostre chiese, le nostre parrocchie non siano un supermercato: che siano casa di preghiera, che non siano un covo di ladri, ma che siano servizio gratuito». Certo, ha aggiunto il Papa, qualcuno potrebbe obiettare che «dobbiamo avere dei soldi per mantenere la struttura e anche dobbiamo avere dei soldi per dare da mangiare ai preti, ai catechisti». La risposta del Pontefice è chiara: «Tu da’ con gratuità e Dio farà il resto, Dio farà quello che manca».
«Custodire il tempio — ha affermato, dunque, Francesco — significa questo: vigilanza, servizio e gratuità». Anzitutto «vigilanza nel tempio del nostro cuore: cosa succede lì, stare attenti perché è il tempio dello Spirito Santo». Poi «servizio ai bisognosi» ha ripetuto, suggerendo anche di leggere il capitolo 25 del vangelo di Matteo. Servizio anche «agli affamati, agli ammalati, ai carcerati, a quelli che hanno bisogno perché lì è Cristo», sempre con la certezza che «il bisognoso è il tempio di Cristo».
Infine, ha concluso il Papa, il «terzo» punto è la «gratuità nel servizio che si dà nelle nostre chiese: chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2017]
Il pianto sulla città eterna, con lacrime di padre, di madre, di figlio
(Lc 19,41-44)
Ci piace essere sulla scia della moda o dell’opportunismo, ma respingere la Chiamata del Signore è grande responsabilità.
Bisogna riconoscere la Sua Visita, in Presenza, nell’ispirazione che emerge.
E scrutare i segni, cogliere i momenti di grazia invece di chiudersi ostilmente; non voltare le spalle.
Tutto questo cambia la vita in radice - guida al cuore della storia [anche nei suoi luoghi di rottura].
Gesù vuole espugnare le porte chiuse di ogni cittadella; anzitutto dell’osso più duro: Gerusalemme.
Talora ricerca del divino e tensione umana sono rese vane, a causa di un mondo del sacro che sembra sotto il segno di tutt’altra ‘divinità’.
Infatti, la scelta di una ideologia di potere pasce d’illusioni - ma conduce al disastro l’intero popolo.
Offuscando lo sguardo, essa non consente di liberarsi degli idoli più insidiosi, e travia il cammino verso lo Shalôm.
Un tempo, ecco trincee, uccisioni e distruzione delle mura e delle case da parte di Nabucodonosor; poi quella romana del 70 cui allude più direttamente il testo.
Ma la previsione lugubre si estende, e forse l’immagine del mucchio di rovine ci riguarda. Fondo storico, meditazione ecclesiale e pastorale.
Purtroppo si continua a condannare Gesù-Pace come un malfattore da espellere. Situazione che trascina i problemi.
Così in filigrana il Cristo si staglia nella posizione di Re, che a malincuore pronuncia una sentenza definitiva.
Dove la salvezza è preparata, offerta e riproposta in modo così intenso ma invano, il rifiuto diventa certo più doloroso - per noi e per questo Figlio appassionato, commovente.
Eppure il ceto degli eletti sceglie ugualmente di cadere e rovinare, autodistruggendo la propria gente.
Rigettando il Messia servitore e misconoscendo anche nel tempo l’opera di Bene dei suoi testimoni autentici, il centro religioso continuerà a perdere il suo speciale carattere di segno salvatore.
Anche oggi è tempo di Visita del Maestro, che bussa e chiede il permesso di entrare, per aprire i sigilli dei grandi interrogativi della storia e della vita.
Il monito è globale, comunitario e personale; di nuovo con lacrime di padre, di madre e di figlio.
L’enciclica Fratelli Tutti denuncia appunto il regresso di un mondo stravagante che - con un senso del “qui e ora” rattrappito - sembra aver imparato poco dalle tragedie del Novecento, sino a riaccendere conflitti anacronistici (nn.11.13).
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa ritieni sia nascosto ai tuoi occhi, ma precedentemente annunziato - e che piange amaro?
Con quale orientamento sei disposto a vivere nell’«artigianato della Pace», anche famigliare o sociale, mettendo da parte le inimicizie e l’effimero [cf. FT nn. 57. 100. 127. 176. 192. 197. 216-217. 225-236. 240-243. 254-262. 271-272. 278-285]?
[Giovedì 33.a sett. T.O. 21 novembre 2024]
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male (Papa Paolo VI)
People dragged by chaotic thrusts can also be wrong, but the man of Faith perceives external turmoil as opportunities
Un popolo trascinato da spinte caotiche può anche sbagliare, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità
O Lord, let my faith be full, without reservations, and let penetrate into my thought, in my way of judging divine things and human things (Pope Paul VI)
O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane (Papa Paolo VI)
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
don Giuseppe Nespeca
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