Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Un solo “personaggio”, o il Figlio dell’uomo
(Lc 7,31-35)
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e Fede.
Ci emancipano ribaltando posizioni: chi si sentiva difeso e sicuro ora sembra un bambolotto che non capisce nulla dell’agire di Dio in noi.
D’altro canto, i “grandi” riformatori senza storia e senza spina dorsale elaborano straordinarie proiezioni disincarnate, e si trastullano in esse.
Pur cercando la gioia di vivere, si mettono sempre a distanza di sicurezza da ogni crudo coinvolgimento - che (con Papa Francesco) potremmo definire «artigianale».
Mentre si fa strada la provvidenza dei nuovi assetti, coloro che sono legati a forme stagnanti o eccessivamente fantasiose cercano cocciutamente di riaggrapparsi ad esse.
Entrambe le posizioni sembrano fatte apposta per non dare frutti, né crescere insieme. Esse arginano le autenticità, che pur qua e là fioriscono e dilagano.
I dirigenti del popolo e i veterani si sentono smarriti, perché iniziano a misurare la vacuità della loro supponenza, la futilità del loro prestigio, l’infantile incoerenza dei loro patetici pretesti.
In epigrafe al commento sul Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung scrive: «L’eterno Nome vuol essere come l’infante che ancora non ha parlato, come il pulcino che ancora non s’è sgusciato».
I bambini capricciosi invece reclamano sempre, quando non ottengono un posto di rilievo nei giochi, o quando altri non fanno quel che dicono loro.
Il Battista era un araldo eminente, chiamato alla realizzazione del piano di Dio [noto a motivo della sua figura particolare, forse più incline alla rinuncia].
Ma il preconcetto della mortificazione non andava bene: dunque, un rompiscatole da rigettare.
Cristo era più simpatico, espressivo e accogliente; non si faceva problemi di purità [quindi pure lui doveva essere un esagerato]: da ingiuriare e condannare.
L’austero e penitente veniva giudicato al pari d’un indemoniato; il giovane Rabbi che invitava alla gioia, un lassista.
Per i beccamorti della città santa Giovanni era troppo esigente, Gesù sembrava esageratamente largo d’idee e comportamenti.
I ragazzini viziati non si accordano neppure nel gioco, e stanno caparbiamente fermi sulle loro posizioni.
I bimbi incontentabili rifiutano ogni proposta: hanno sempre da ridire.
Ma la stessa Rivelazione va al di là di ogni Attesa [cf. Tertio Millennio Adveniente, n.6].
Certo, il modo austero del deserto sembrava irragionevole.
Il Signore invece viveva in mezzo alla gente, accettava inviti e non cercava di apparire diverso dagli altri - ma il suo stile affabile e semplice era considerato troppo ordinario e accessibile per un inviato da Dio.
«Eppure la Sapienza è stata giustificata da tutti i suoi figli» (v.35 testo greco) ossia i piccoli leggono il segno dei tempi.
I figli riconoscono la divina Sapienza, vedono il suo disegno.
Colgono il progetto di Salvezza nella predicazione del Battista e del Cristo.
Non hanno troppo “controllo” sulle cose; ne sono amici.
Sono coscienti dei limiti e dei punti di forza; apprendono perfino da posizioni subalterne e dai lati oscuri, imparano dagli stessi timori.
Vincono l’immobilismo spirituale dei grandi esperti, criticoni d’ogni brezza di cambiamento, o troppo astratti e sofisticati.
Entrambi i quali s’installano e signoreggiano - generando un’umanità radicalmente impoverita.
Costoro sono come figure puerili e incontentabili, ma che non si alzano né smuovono: «seduti» (v.32).
Essi calpestano, violano, inceppano tutto.
Ovunque, gli “eletti” rimangono indifferenti o indispettiti, perché sono, colgono e comprendono “una cosa sola”.
Mai chiudono il loro “personaggio” per aprirne un altro, o per esplorare diversi lati di sé e del mondo.
In una omelia a s. Marta [sul rifiuto del profeta Giona] Papa Francesco ha suggerito di «guardare come agisce il Signore», contrario dei «malati di rigidità» che hanno «l’anima inamidata».
I testardi infantili conoscono bene solo come disturbare donne e uomini franchi, i quali spontaneamente si esprimono in poliedriche fattezze perché non hanno un «piccolo cuore chiuso», ma lo «sanno allargare».
Proprio gli audaci che sono se stessi completamente - non patinati e glamour - invece di ribadire luoghi comuni isterici e sentenziare, accarezzano i fratelli diversi e dilatano la vita.
In tal guisa, stanno cogliendo il proprio volto eterno.
Gli autentici donne e uomini di Fede anticipano la Venuta d’un nuovo Regno.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Chi ti ha aiutato e chi ti ha frenato a comprendere il tuo desiderio profondo? Semplici, o dotti ben introdotti?
Amici che si smuovono e hanno cura, o dirigenti qualificati e specialisti che neanche si mettono d’accordo nei loro “giochi” - gente testarda, che s’installa, signoreggia, frena, inceppa gli altri?
Figlio dell’uomo
«Figlio dell’uomo» (v.34) designa già dall’AT il carattere d’una santità che supera la fiction antica dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione.
La massa permaneva a bocca asciutta: qualsiasi fosse il sovrano che s’impadroniva del potere, la folla minuta restava sottomessa e soffocata.
Identica norma vigeva nelle religioni, i cui capi elargivano al popolo una forte pulsione da orda e il contentino dei gregari.
Invece nel Regno di Gesù devono mancare i ranghi - per questo la sua proposta non collima con le ambizioni delle autorità religiose, e con le stesse aspettative degli Apostoli.
Anch’essi volevano “contare”. Ma appunto «Figlio dell’uomo» è la persona secondo un criterio di umanizzazione, non una belva che prevale perché più forte delle altre [cf. Dan 7].
Ciascun uomo col cuore di carne - non di bestia, né di pietra - è persona comprensiva, capace di ascolto, sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.
Allude alla dimensione larga della santità; trasmissibile a chiunque, ma creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire! Ma questo fa problema, in specie (sembra assurdo) negli ambienti devoti.
Nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato dai frequentatori dei luoghi di malaffare, ma dagli habitué dei recinti sacri.
La crescita e umanizzazione del popolo non è contrastata da peccatori, bensì proprio da coloro che avrebbero il ministero di far conoscere a tutti il Volto di Dio!
In Mc 9,36-37 (cf. Mt 18,2-5; Lc 9,47-48) Gesù abbraccia un ragazzino di 8-12 anni che a quel tempo non contava nulla - appunto, un valletto di casa, un inserviente di bottega [«paidìon»].
È l’unica identificazione che Gesù ama e desidera consegnarci: quella con colui che non può permettersi di non riconoscere le esigenze altrui.
Dimensione di santità senza aureole distintive: condivisibile, perché legata all’empatia, alla spontanea amicizia verso tutti - donna e uomo di ogni tempo.
Ovvio: non si tratta d’una proposta compromessa con la religione dottrina-e-disciplina che ricaccia indietro le eccentricità: assai più simpatica e amabile.
Quella del Figlio dell’uomo è quel tipo di Santità che ci rende unici, non che sta sempre ad aborrire ed esorcizzare il pericolo dell’inconsueto.
Aristotele affermava che - al di là di petizioni di principio artificiali o proclami apparenti - si ama davvero solo se stessi. Siamo dunque come ragazzini capricciosi? È un punto di domanda non da poco.
Ammesso e non concesso, la crescita, promozione e fioritura delle nostre qualità si colloca all’interno d’una Via sapiente, d’un sentiero che sa concedersi d’incontrare nuovi stati dell’essere.
L’amore genuino e maturo dilata i confini dell’ego amante del primato, della visibilità e del tornaconto, comprendendo il Tu nell’io.
Itinerario e Vettore che poi espande le capacità e la vita. Altrimenti in ogni circostanza e purtroppo a qualsiasi età rimarremo nel gioco puerile di chi sgomita sui gradini, per prevalere.
Come ha detto Papa Francesco circa i fenomeni mafiosi: «C’è bisogno di uomini e donne di Amore, non di onore!».
Leggiamo nel Tao Tê Ching (XL): «La debolezza è quel che adopra il Tao». E il maestro Wang Pi commenta: «L’alto ha per basamento il basso, il nobile ha per fondamento il vile».
Senza sforzi alienanti il personale sfocia nel plurale e globale, valicando e vincendo spontaneamente la frammentazione e dispersione:
«Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come “Figlio di Davide”, ma come “figlio dell’uomo”. Il titolo di “Figlio dell’uomo”, nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione»
[papa Benedetto, Concistoro 24 novembre 2012].
Ancora sul Figlio dell’uomo (Papa Giovanni Paolo II):
1. Gesù Cristo, Figlio dell’uomo e di Dio: è il tema culminante delle nostre catechesi sull’identità del Messia. È la verità fondamentale della rivelazione cristiana e della fede: l’umanità e la divinità di Cristo sulla quale dovremo riflettere in seguito in modo più completo. Per ora ci preme completare l’analisi dei titoli messianici già in qualche modo presenti nell’Antico Testamento e vedere in quale senso Gesù li attribuisce a sè.
Quanto al titolo di “Figlio dell’uomo”, è significativo che Gesù ne abbia fatto un uso frequente parlando di se stesso, mentre sono gli altri che lo chiamano “Figlio di Dio”, come vedremo nella prossima catechesi. Invece egli si autodefinisce “Figlio dell’uomo”, mentre nessun altro lo chiamava così, se si eccettuano il diacono Stefano prima della lapidazione (At 7, 56) e l’autore dell’Apocalisse in due testi (At 1, 13; 14, 14).
2. Il titolo “Figlio dell’uomo” proviene dall’Antico Testamento dal Libro del profeta Daniele. Ecco il testo che descrive una visione notturna del profeta: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”(Dn 7, 13-14).
E quando il profeta chiede la spiegazione di questa visione, riceve la risposta seguente: “I santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli . . . allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo, saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Dn 7, 18.27). Il testo di Daniele riguarda una persona singola e il popolo. Notiamo subito che ciò che si riferisce alla persona del Figlio dell’uomo si ritrova nelle parole dell’angelo nell’annunciazione a Maria: “regnerà per sempre . . . e il suo regno non avrà fine” (Lc 1, 33).
3. Quando Gesù chiama se stesso “Figlio dell’uomo” usa un’espressione proveniente dalla tradizione canonica dell’Antico Testamento e presente anche negli apocrifi giudaici. Occorre però notare che l’espressione “Figlio dell’uomo” (ben-adam) era diventata nell’aramaico dei tempi di Gesù un’espressione indicante semplicemente “uomo” (“bar-enas”). Gesù, perciò, chiamando se stesso “figlio dell’uomo”, riuscì quasi a nascondere dietro il velo del significato comune il significato messianico che la parola aveva nell’insegnamento profetico. Non a caso, tuttavia, se enunciazioni sul “Figlio dell’uomo” appaiono specialmente nel contesto della vita terrena e della passione di Cristo, non ne mancano anche in riferimento alla sua elevazione escatologica.
4. Nel contesto della vita terrena di Gesù di Nazaret troviamo testi quali: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20); o anche: “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11, 19). Altre volte la parola di Gesù assume un valore più fortemente indicativo del suo potere. Così quando dice: “Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 2, 28). In occasione della guarigione del paralitico calato attraverso un’apertura praticata nel tetto egli afferma in tono quasi di sfida: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2, 10-11). Altrove Gesù dichiara: “Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11, 30). In altra occasione si tratta di una visione avvolta nel mistero: “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete” (Lc 17, 22).
5. Alcuni teologi notano un parallelismo interessante tra la profezia di Ezechiele e le enunciazioni di Gesù. Scrive il profeta: “(Dio) Mi disse: “Figlio dell’uomo, io ti mando agli Israeliti . . . che si sono rivoltati contro di me . . . Tu dirai loro: Dice il Signore Dio”” (Ez 2, 3-4). “Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono . . .” (Ez 12, 2) “Tu, figlio dell’uomo . . . tieni fisso lo sguardo su di essa (Gerusalemme) che sarà assediata . . . e profeterai contro di essa” (Ez 4, 1-7). “Figlio dell’uomo, proponi un enigma che racconta una parabola agli Israeliti” (Ez 17, 2).
Facendo eco alle parole del profeta, Gesù insegna: “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10). “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; cf. anche Mt 20, 28). Il “Figlio dell’uomo” . . . “quando verrà nella gloria del Padre”, si vergognerà di chi si vergognava di lui e delle sue parole davanti agli uomini (cf. Mc 8, 38).
6. L’identità del Figlio dell’uomo appare nel duplice aspetto di rappresentante di Dio, annunciatore del regno di Dio, profeta che richiama alla conversione. Dall’altra egli è “rappresentante” degli uomini, dei quali condivide la condizione terrena e le sofferenze per riscattarli e salvarli secondo il disegno del Padre. Come dice egli stesso nel colloquio con Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15).
È un chiaro annuncio della passione, che Gesù ripete: “E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8, 31). Per ben tre volte proviamo a fare preannuncio nel Vangelo di Marco (cf. Mc 9, 31; 10, 33-34) e in ciascuna di esse Gesù parla di se stesso come “Figlio dell’uomo”.
7. Con lo stesso appellativo Gesù si autodefinisce dinanzi al tribunale di Caifa, quando alla domanda: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, risponde: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (Mc 14, 62). In queste poche parole risuona l’eco della profezia di Daniele sul “Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo” (Dn 7, 13) e del salmo 110 che vede il Signore assiso alla destra di Dio (cf. Sal 110, 1).
8. Ripetutamente Gesù parla della elevazione del “Figlio dell’uomo”, ma non nasconde ai suoi ascoltatori che essa include l’umiliazione della croce. Alle obiezioni e alla incredulità della gente e dei discepoli, che ben comprendevano la magicità delle sue allusioni e che pure gli chiedevano: “Come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo?” (Gv 12, 34), Gesù asserisce: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre” (Gv 8, 28). Gesù afferma che la sua “elevazione” per mezzo della croce costituirà la sua glorificazione. Poco dopo aggiungerà: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12, 23). È significativo che alla partenza di Giuda dal Cenacolo, Gesù dica “ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui”(Gv 13, 31).
9. Ciò costituisce il contenuto di vita, di passione, di morte e di gloria di cui il profeta Daniele aveva offerto un pallido abbozzo. Gesù non esita ad applicare a sé anche il carattere di regno eterno e intramontabile che Daniele aveva assegnato all’opera del Figlio dell’uomo, quando nel mondo proclama: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13,26; cf. Mt 24, 30). In questa prospettiva escatologica deve svolgersi l’opera di evangelizzazione della Chiesa. Egli avverte: “Non avrete finito di percorrere la città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo” (Mt 10, 23). E si chiede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).
10. Se come “Figlio dell’uomo” Gesù ha realizzato con la sua vita, passione, morte e resurrezione, il piano messianico, delineato nell’Antico Testamento, nello stesso tempo egli assume con quello stesso nome il suo posto tra gli uomini come uomo vero, come figlio di una donna, Maria di Nazaret. Per mezzo di questa donna, sua Madre, lui, il “Figlio di Dio”, è contemporaneamente “Figlio dell’uomo”, uomo vero, come attesta la Lettera agli Ebrei: “Si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Eb 4, 5; cf. Gaudium et Spes, 22).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 29 aprile 1987]
“Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto”.
Dio non esclude nessuno, né poveri né ricchi. Dio non si lascia condizionare dai nostri pregiudizi umani, ma vede in ognuno un’anima da salvare ed è attratto specialmente da quelle che sono giudicate perdute e che si considerano esse stesse tali. Gesù Cristo, incarnazione di Dio, ha dimostrato questa immensa misericordia, che non toglie nulla alla gravità del peccato, ma mira sempre a salvare il peccatore, ad offrirgli la possibilità di riscattarsi, di ricominciare da capo, di convertirsi […]
Preghiamo la Vergine Maria, modello perfetto di comunione con Gesù, affinché anche noi possiamo sperimentare la gioia di essere visitati dal Figlio di Dio, di essere rinnovati dal suo amore, e trasmettere agli altri la sua misericordia.
[Papa Benedetto, Angelus 31 ottobre 2010]
Le particolari circostanze della nascita di Giovanni ci sono state tramandate dall’evangelista Luca. Secondo un’antica tradizione, essa avvenne ad Ain-Karim, davanti alle porte di Gerusalemme. Le circostanze che accompagnarono questa nascita erano tanto inconsuete, che già a quell’epoca la gente si domandava: “Che sarà mai questo bambino?” (Lc 1, 66). Per i suoi genitori credenti, per i vicini e per i parenti era evidente, che la sua nascita fosse un segno di Dio. Essi vedevano chiaramente che la “mano del Signore” era su di lui. Lo dimostrava già l’annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, mentre questi provvedeva al servizio sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. La madre, Elisabetta, era già avanti negli anni e si riteneva fosse sterile. Anche il nome “Giovanni” che gli fu dato era inconsueto per il suo ambiente. Il padre stesso dovette dare ordine che fosse chiamato “Giovanni” e non, come tutti gli altri volevano,“Zaccaria” (cf. Lc 1, 59-63).
Il nome Giovanni significa, in lingua ebraica “Dio è misericordioso”. Così già nel nome si esprime il fatto che il neonato un giorno annuncerà il piano di salvezza di Dio.
Il futuro avrebbe pienamente confermato le predizioni e gli avvenimenti che circondarono la sua nascita: Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, divenne la “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3, 3), che sulle rive del Giordano chiamava la gente alla penitenza e preparava la via a Cristo.
Cristo stesso ha detto di Giovanni il Battista che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande” (cf. Mt 11, 11). Per questo anche la Chiesa ha riservato a questo grande messaggero di Dio una venerazione particolare, fin dall’inizio. Espressione di questa venerazione è la festa odierna.
4. Cari fratelli e sorelle! Questa celebrazione, con i suoi testi liturgici, ci invita a riflettere sulla questione del divenire dell’uomo, delle sue origini e della sua destinazione. È vero, ci sembra di sapere già molto su questo argomento, sia per la lunga esperienza dell’umanità, sia per le sempre più approfondite ricerche biomediche. Ma è la parola di Dio che ristabilisce sempre di nuovo la dimensione essenziale della verità sull’uomo: l’uomo è creato da Dio e da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Nessuna scienza puramente umana può dimostrare questa verità. Al massimo essa può avvicinarsi a questa verità o supporre intuitivamente la verità su questo “essere sconosciuto” che è l’uomo fin dal momento del suo concepimento nel grembo materno.
Allo stesso tempo però ci troviamo ad essere testimoni di come, in nome di una presunta scienza, l’uomo venga “ridotto” in un drammatico processo e rappresentato in una triste semplificazione; e così accade che si adombrino anche quei diritti che si fondano sulla dignità della sua persona, che lo distingue da tutte le altre creature del mondo visibile. Quelle parole del libro della Genesi, che parlano dell’uomo come della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, mettono in rilievo, in modo conciso e al tempo stesso profondo, la piena verità su di lui.
5. Questa verità sull’uomo possiamo apprenderla anche dalla liturgia odierna, in cui la Chiesa prega Dio, il creatore, con le parole del salmista:
“Signore, tu mi scruti e mi conosci . . .
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre . . .
tu mi conosci fino in fondo.
Quando venivo formato nel segreto . . .
non ti erano nascoste le mie ossa . . .
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 139 [138], 1. 13-15).
L’uomo quindi è consapevole di ciò che è - di ciò che è fin dall’inizio, fin dal grembo materno. Egli sa di essere una creatura che Dio vuole incontrare e con la quale vuole dialogare. Di più: nell’uomo vorrebbe incontrare l’intero creato.
Per Dio, l’uomo è un “qualcuno”: unico ed irripetibile. Egli, come dice il Concilio Vaticano II, “in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (cf. Gaudium et Spes, 24).
“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1); come il nome del bambino che è nato in Ain-Karim: “Giovanni”. L’uomo è quell’essere, che Dio chiama per nome. Per Iddio egli è il “tu” creato, Tra tutte le creature egli è quell’“io” personale, che può rivolgersi a Dio e chiamarlo per nome. Dio vuole nell’uomo quel partner che si rivolga a lui come al proprio creatore e Padre: “Tu, mio Signore e mio Dio”. Al “tu” divino.
7. Dio ha chiamato Giovanni il Battista già “nel grembo materno” perché divenisse “la voce di uno che grida nel deserto” e preparasse quindi la via a suo Figlio. In modo molto simile, Dio ha “posto la sua mano” anche su ciascuno di noi. Per ciascuno di noi ha una chiamata particolare, a ciascuno di noi viene affidato un compito pensato da lui per noi.
In ciascuna chiamata, che può giungerci nel modo più diverso, si avverte quella voce divina, che allora parlò attraverso Giovanni: “Preparate la via del Signore!” (Mt 3, 3).
Ogni uomo dovrebbe domandarsi in che modo può contribuire nell’ambito del proprio lavoro e della propria posizione, ad aprire a Dio la via in questo mondo. Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Eisenstaedt 24 giugno 1988]
Ci sono cristiani che hanno «una certa allergia per i predicatori della parola»: accettano «la verità della rivelazione» ma non «il predicatore», preferendo «una vita ingabbiata». È accaduto ai tempi di Gesù e purtroppo continua ad accadere ancora oggi in coloro che vivono chiusi in se stessi, perché hanno paura della libertà che viene dallo Spirito Santo.
È questo per Papa Francesco l’insegnamento che viene dalle letture della liturgia celebrata venerdì mattina, 13 dicembre, nella cappella di Santa Marta. Il Pontefice si è soffermato soprattutto sul brano del vangelo di Matteo (11, 16-19) in cui Gesù paragona la generazione dei suoi contemporanei «a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto».
In proposito il vescovo di Roma ha ricordato che Cristo nei Vangeli «parla sempre bene dei bambini», offrendoli come «modello della vita cristiana» e invitando a «essere come loro per entrare nel regno dei cieli». Invece — ha fatto notare — nel brano in questione «è l’unica volta che non parla tanto bene di loro». Per il Papa si tratta di un’immagine di fanciulli «un po’ speciali: maleducati, malcontenti, screanzati pure»; bambini che non sanno essere felici mentre giocano e che «rifiutano sempre l’invito degli altri: nessuna cosa va loro bene». In particolare Gesù usa questa immagine per descrivere «i dirigenti del suo popolo», definiti dal Pontefice «gente che non era aperta alla parola di Dio».
Per il Santo Padre c’è un aspetto interessante in questo atteggiamento: il loro rifiuto, appunto, «non è per il messaggio, è per il messaggero». Basta proseguire nella lettura del brano evangelico per averne conferma. «È venuto Giovanni, che non mangia e non beve — ha fatto notare il Papa — e hanno detto: ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori». In pratica, da sempre gli uomini trovano motivi per delegittimare il predicatore. Basti pensare alla gente di quel tempo, che preferiva «rifugiarsi in una religione un po’ elaborata: nei precetti morali, come i farisei; nel compromesso politico, come i sadducei; nella rivoluzione sociale, come gli zeloti; nella spiritualità gnostica, come gli esseni». Tutti, ha aggiunto, «con il loro sistema ben pulito, ben fatto», ma che non accetta «il predicatore». Ecco perché Gesù rinfresca loro la memoria ricordando i profeti, che sono stati perseguitati e uccisi.
Accettare «la verità della rivelazione» e non «il predicatore» rivela per il Pontefice una mentalità frutto di «una vita ingabbiata nei precetti, nei compromessi, nei piani rivoluzionari, nella spiritualità senza carne». Papa Francesco ha fatto riferimento in particolare a quei cristiani «che si permettono di non ballare quando il predicatore ti dà una bella notizia di gioia, e si permettono di non piangere quando il predicatore ti dà una notizia triste». A quei cristiani, cioè, «che sono chiusi, ingabbiati, che non sono liberi». E il motivo è la «paura della libertà dello Spirito Santo, che viene tramite la predicazione».
Del resto, «questo è lo scandalo della predicazione del quale parlava san Paolo; lo scandalo della predicazione che finisce nello scandalo della croce». Infatti «scandalizza che Dio ci parli tramite uomini con limiti, uomini peccatori; e scandalizza di più che Dio ci parli e ci salvi tramite un uomo che dice di essere il figlio di Dio, ma finisce come un criminale». Così per Papa Francesco si finisce per coprire «la libertà che viene dallo Spirito Santo», perché in ultima analisi «questi cristiani tristi non credono nello Spirito Santo; non credono in quella libertà che viene dalla predicazione, che ti ammonisce, ti insegna, ti schiaffeggia pure, ma è proprio la libertà che fa crescere la Chiesa».
Dunque l’immagine del Vangelo, con «i bambini che hanno paura di ballare, di piangere», che hanno «paura di tutto, che chiedono sicurezza in tutto», fa pensare «a questi cristiani tristi, che criticano sempre i predicatori della verità, perché hanno paura di aprire la porta allo Spirito Santo». Da qui l’esortazione del Pontefice a pregare per loro e a pregare anche per noi stessi, affinché «non diventiamo cristiani tristi», di quelli che tolgono «allo Spirito Santo la libertà di venire a noi tramite lo scandalo della predicazione».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 14/12/2013]
L’aspetto oscuro, alleato
(Lc 7,11-17)
Na’im significa Delizioso: simbolo di tutti i luoghi ameni e ridenti, dove la vita scorre tranquilla sino al giorno in cui la spensieratezza finisce: i sorrisi tramutano in lacrime e i canti in lamento.
Ci sono sempre due cortei, e due guide. La processione della morte giunge a prelevare tutti: essa è appunto preceduta da un cadavere.
Destino che abbatte e tentiamo di esorcizzare, ma - oltre le distrazioni - ci angoscia immaginare che la fine fisica sia una via senza ritorno.
Chi può bloccare la marcia dell’umanità diretta alla tomba?
Ecco in direzione opposta sopraggiungere un altro corteo, preceduto dal Signore della Vita, che ha la meglio.
Nell’opinione comune delle religioni, l’impurità è contagiosa, si trasmette immediatamente per contatto, e addirittura prevale sulla santità.
Secondo gli stessi rabbini, se ad es. un oggetto fosse venuto in contatto con il lembo di un mantello sacerdotale, non sarebbe stato santificato, malgrado avesse toccato una persona santa.
Ma se il medesimo oggetto avesse sfiorato un cadavere sarebbe diventato immondo.
Fissazioni sconclusionate e idoli stravaganti, tipici delle superstizioni.
Cristo infrange volutamente, in modo palese, sia la legge di purità che la consuetudine del pensiero comune.
Nel cammino di Fede che propone, non solo la vita ha la meglio sulla morte, ma la stessa morte non ha nulla d’immondo.
La realtà che sconcerta tutti noi non è più una frontiera oscura, bensì una ‘foce’.
Essa c’introduce nella pienezza, nell’espressione e fioritura completa delle nostre potenzialità.
[In tal guisa, l’Annuncio Pasquale risuona come sorgente d’attesa di Colui che rende pura ogni morte, e la trasforma in Grembo di Vita].
La “vedova” Israele era stata privata dell’affettuosità dello Sposo per l’opera deleteria delle false guide ufficiali.
Quella Nazione si era così ritrovata a generare figli spiritualmente moribondi, sin da giovani.
Infeconda, sterile, destinata alla solitudine [in ebraico il termine Israel è di genere femminile]. Ovvero: senza il vero Figlio di Dio.
Un popolo privato del Messia, quindi senza futuro.
Accanto a questo messaggio centrale, Lc - evangelista dei bisognosi - vuole richiamare l'attenzione delle sue comunità su chi è rimasto solo.
«E Gesù lo diede a sua Madre» (Lc 7,15b).
La Chiesa ha il compito di restituire figli o famiglia, a coloro che li hanno perduti.
La fraternità deve rispettare e accudire chi piange solitudine.
Al pari di Gesù, essa si distingue da tutte le altre forme devote competitive perché rianima, rende gli affetti, ridona equilibrio e voglia di farcela.
Segna sempre un trionfo della vita sulla caligine delle tombe.
Papa Francesco ha affermato: «Dio per donarsi a noi sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte».
Insomma, nei nostri tentativi ed errori, [accanto] dobbiamo tenere tutti gli aspetti - che nel corso del tempo abbiamo imparato a conoscere, e ci siamo resi conto che sono parte di noi.
Questo cambierà la solidità di rapporto con noi stessi, gli altri, la natura, la storia, e il mondo.
Qui l’aspetto oscuro si fa corroborante, Alleato.
[Martedì 24.a sett. T.O. 16 settembre 2025]
L’aspetto oscuro, alleato
(Lc 7,11-17)
Na’im significa Delizioso: simbolo di tutti i luoghi ameni e ridenti, dove la vita scorre tranquilla sino al giorno in cui la spensieratezza finisce: i sorrisi tramutano in lacrime e i canti in lamento.
Ci sono sempre due cortei, e due guide. La processione della morte giunge a prelevare tutti: essa è appunto preceduta da un cadavere.
Destino che abbatte e tentiamo di esorcizzare, ma - oltre le distrazioni - ci angoscia immaginare che la fine fisica sia una via senza ritorno.
Chi può bloccare la marcia dell’umanità diretta alla tomba?
Ecco in direzione opposta sopraggiungere un altro corteo, preceduto dal Signore della Vita, che ha la meglio.
Nell’opinione comune delle religioni, l’impurità è contagiosa, si trasmette immediatamente per contatto, e addirittura prevale sulla santità.
Secondo gli stessi rabbini, se ad es. un oggetto fosse venuto in contatto con il lembo di un mantello sacerdotale, non sarebbe stato santificato, malgrado avesse toccato una persona santa.
Ma se il medesimo oggetto avesse sfiorato un cadavere sarebbe diventato immondo.
Fissazioni sconclusionate e idoli stravaganti, tipici delle superstizioni.
Cristo infrange volutamente, in modo palese, sia la legge di purità che la consuetudine del pensiero comune.
Nel cammino di Fede che propone, non solo la vita ha la meglio sulla morte, ma la stessa morte non ha nulla d’immondo.
La realtà che sconcerta tutti noi non è più una frontiera oscura, bensì una foce.
Essa c’introduce nella pienezza, nell’espressione e fioritura completa delle nostre potenzialità.
[In tal guisa, l’Annuncio Pasquale risuona come sorgente d’attesa di Colui che rende pura ogni morte, e la trasforma in Grembo di Vita].
La “vedova” Israele era stata privata dell’affettuosità dello Sposo per l’opera deleteria delle false guide ufficiali.
Quella Nazione si era così ritrovata a generare figli spiritualmente moribondi, sin da giovani.
Infeconda, sterile, destinata alla solitudine [in ebraico il termine Israel è di genere femminile]. Ovvero: senza il vero Figlio di Dio.
Un popolo privato del Messia, quindi senza futuro.
Accanto a questo messaggio centrale, Lc - evangelista dei bisognosi - vuole richiamare l'attenzione delle sue comunità su chi è rimasto solo.
«E Gesù lo diede a sua Madre» (Lc 7,15b).
La Chiesa ha il compito di restituire figli o famiglia, a coloro che li hanno perduti.
La fraternità deve rispettare e accudire chi piange solitudine.
Al pari di Gesù, essa si distingue da tutte le altre forme devote competitive perché rianima, rende gli affetti, ridona equilibrio e voglia di farcela.
Segna sempre un trionfo della vita sulla caligine delle tombe.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come hai sperimentato l’iniezione di vita che il Risorto ti ha fornito passando dal corteo della religione supinamente diretto al camposanto alla compagnia di Fede e all’orizzonte del Padre e del Figlio nello Spirito?
Hai sperimentato la vicinanza vivificante dei fratelli di fede in occasione di un lutto? (Come) hai vissuto Cristo in essi che ridona vita e affetti?
L’aspetto oscuro
Papa Francesco ha affermato: «Dio per donarsi a noi sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte».
Il Richiamo del Signore non è manicheo, bensì profondo.
Il nostro comportamento ha radici affascinanti. Luci e ombre del nostro essere permangono in relazione dinamica.
Talora però i nostri disagi o storture sono il frutto di un eccesso di “luce” - disancorato dal suo opposto.
Tale eccesso si associa volentieri alla pretesa di esorcizzare l’aspetto buio in noi, che vorremmo celare per motivi sociali.
Ci sembra che il biglietto da visita debba essere riflesso solo del nostro aspetto brillante, sciolto, serio, e performante.
Magari, uno stile morale tutto d’un pezzo - almeno a prima vista.
Chi si affeziona al suo lato luminoso e addirittura tenta di promuoverlo per motivi di look (anche ecclesiale), di cultura affermata, di abitudine (anche religiosa) , rischia però di potenziare la controparte.
Attenzione: in ciascun uomo c’è sempre un versante che fa cilecca, che non ce la fa; e non unilaterale.
Forse proprio in chi predica il bene esiste il pericolo più accentuato di trascurare il suo opposto compresente - che prima o poi irromperà, troverà il suo spazio.
Facendo saltare tutto il castello di carte. Ma per realizzare qualcosa di alternativo e assolutamente non artificioso.
Per chi intraprende un cammino di “perfezione”, la sua stessa controparte sembra solo un pericolo.
E condizionati dai modelli, continuiamo a recitare [la “nostra” parte già identificata].
Eppure nel lato oscuro si celano risorse che il lato in sola luce non ha.
Nel lato oscuro leggiamo il nostro seme caratteriale.
Qui c’è la terapia e la guarigione dai disagi che ci affrettiamo a celare (in famiglia, con gli amici, in comunità, sul lavoro).
Gli aspetti oscuri [egoismo, freddezza, chiusura, introversione, tristezza] si annidano dentro; inutile negarlo.
Vale la pena piuttosto considerarli fonte di energie primordiali caratterizzanti.
È infatti il nascondimento - talora la depressione stessa - che ci fa pescare soluzioni inimmaginabili.
Come fossimo un grano piantato in terra, che vuole la sua esistenza. E vuole infine vita naturale, che sviluppi le sue capacità.
Proprio le emozioni che non piacciono e noi stessi detestiamo - come la terra infangata e buia - ci riconnettono con la nostra essenza profonda.
Insomma, gli stati emotivi poco simpatici saranno il pozzo dal quale giungono a noi altre idee, altre “immagini” guida, nuove intuizioni; diversa linfa. E i cambiamenti.
La luce non possiede tutte le possibilità, tutte le dinamicità. Anzi, non di rado sembra declinata [dalle stesse tradizioni, o mode culturali] in modo fittizio, riduttivo.
Nel chiaroscuro, viceversa, non fingiamo più. Perché è il fondamento della casa dell’anima.
Tutto ciò consideriamo, per un’armonia solida, che nasca dal di dentro.
Paradossi della Vocazione personale: se non la seguissimo a tutto tondo, continueremmo a ricalcare idee sbagliate, o stili altrui.
E ci ammaleremmo. Il male prenderà il sopravvento.
Se strutturati su una identità astratta, locale, o fasulla, qui sì che la bufera potrebbe distruggere tutto.
Nei nostri tentativi ed errori, [accanto] dobbiamo tenere tutti gli aspetti - che nel corso del tempo abbiamo imparato a conoscere, e ci siamo resi conto che sono parte di noi.
Questo cambierà la solidità di rapporto con noi stessi, gli altri, la natura, la storia, e il mondo.
Qui l’aspetto oscuro si fa alleato.
La sintonia tra condotta e intenzione del cuore supera l'ipocrisia, ma la conformità tra Parola e vita non si allestisce esercitandosi negli automatismi, né consegnandosi a convinzioni altrui.
Nel post-lockdown ce ne stiamo accorgendo nitidamente.
Il Gaslini è nato dal cuore di un generoso benefattore, l’industriale e Senatore Gerolamo Gaslini, che dedicò quest’opera a sua figlia deceduta a soli 12 anni, e fa parte della storia di carità che fa di Genova una "città della carità cristiana". Anche oggi la fede suggerisce a tante persone di buona volontà gesti di amore e di sostegno concreto a questo Istituto, che con giusto orgoglio è sentito dai Genovesi come un patrimonio prezioso. Ringrazio e incoraggio tutti a continuare. In particolare mi rallegro per il nuovo complesso, del quale è stata recentemente posta la prima pietra, e che ha trovato un munifico donatore. Anche l'attenzione fattiva e cordiale delle pubbliche Amministrazioni è segno di riconoscimento del valore sociale che il Gaslini rappresenta per i bambini della Città e oltre. Quando un bene, infatti, è per tutti, merita il concorso di tutti nel giusto rispetto dei ruoli e delle competenze.
Mi rivolgo ora a voi, cari medici, ricercatori, personale paramedico e amministrativo; a voi, cari cappellani, volontari e quanti vi occupate dell’assistenza spirituale dei piccoli ospiti e dei loro familiari. So che è vostro corale impegno far sì che l’Istituto Gaslini sia un autentico "santuario della vita" e un "santuario della famiglia", dove alla professionalità gli operatori di ogni settore uniscano amorevolezza e attenzione per la persona. La decisione del Fondatore, per cui il Presidente della Fondazione deve essere l’Arcivescovo pro tempore di Genova, manifesta la volontà che l’ispirazione cristiana dell’Istituto non venga mai meno e tutti siano sempre sorretti dai valori evangelici.
Nel 1931, ponendo le basi della struttura, il Senatore Gerolamo Gaslini preconizzava "l’opera perenne di bene che dall’Istituto stesso dovrà irraggiare". Irraggiare il bene attraverso l’amorevole cura dei piccoli ammalati è dunque lo scopo di questo vostro Ospedale. Per questo, mentre ringrazio tutto il personale – dirigente, amministrativo e sanitario – per la professionalità e la dedizione del loro servizio, auspico che questo eccellente Istituto Pediatrico continui a svilupparsi nelle tecnologie, nelle cure e nei servizi; ma anche ad allargare sempre più gli orizzonti in quell'ottica di positiva globalizzazione per cui si riconoscono le risorse, i servizi e i bisogni creando e rafforzando una rete di solidarietà oggi tanto urgente e necessaria. Tutto questo senza mai venir meno a quel supplemento di affetto che dai piccoli degenti è avvertito come la prima e indispensabile terapia. L’Ospedale allora diventerà sempre più luogo di speranza.
La speranza qui al Gaslini prende il volto della cura di pazienti in età pediatrica, ai quali si cerca di provvedere mediante la formazione continua degli operatori sanitari. Di fatto, il vostro Ospedale, quale stimato Istituto di Ricerca e Cura a carattere scientifico, si distingue per essere monotematico e polifunzionale, coprendo quasi tutte le specialità in campo pediatrico. La speranza che qui si coltiva ha dunque buoni fondamenti. Tuttavia, per affrontare efficacemente il futuro, è indispensabile che questa speranza sia sostenuta da una visione più alta della vita, che permetta allo scienziato, al medico, al professionista, all’assistente, ai genitori stessi di impegnare tutte le loro capacità, senza risparmiare sforzi per ottenere i migliori risultati che la scienza e la tecnica possono oggi offrire, sul piano della prevenzione e della cura. Ecco allora affacciarsi il pensiero della silenziosa presenza di Dio, che accompagna quasi impercettibilmente l’uomo nel suo lungo cammino nella storia. La vera speranza "affidabile" è solo Dio, che in Gesù Cristo e nel suo Vangelo ha spalancato sul futuro la porta oscura del tempo. "Sono risorto e ora sono sempre con te" - ci ripete Gesù, specialmente nei momenti più difficili – "la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai tra le mie braccia. Sono presente anche alla porta della morte".
Qui, al Gaslini, vengono curati i bambini. Come non pensare alla predilezione che Gesù ebbe per i fanciulli? Li volle accanto a sé, li additò agli apostoli come modelli da seguire nella loro fede spontanea e generosa, nella loro innocenza. Con parole dure mise in guardia dal disprezzarli e dallo scandalizzarli. Si commosse dinanzi alla vedova di Nain, una mamma che aveva perso il figlio, il suo unico figlio. Scrive l’evangelista san Luca che il Signore la rassicurò e le disse: "Non piangere!" (cfr Lc 7,14). Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà.
Mi rivolgo, infine, a voi, carissimi bambini, per ripetervi che il Papa vi vuole bene. Accanto a voi vedo i vostri familiari, che condividono con voi momenti di trepidazione e di speranza. Siatene tutti certi: Dio non ci abbandona mai. Restate uniti a Lui e non perderete mai la serenità, nemmeno nei momenti più bui e complessi. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e vi affido a Maria Santissima, che come mamma ha sofferto per i dolori del suo divin Figlio, ma ora vive con Lui nella gloria. Un grazie ancora a ciascuno di voi per quest’incontro, che rimarrà impresso nel mio cuore. Con affetto tutti vi benedico.
[Papa Benedetto, discorso al Gaslini di Genova 18 maggio 2008]
Padre misericordioso,
Signore della vita e della morte,
il nostro destino è nelle tue mani.
Guarda con bontà
l’afflizione di coloro
che piangono la morte di persone care:
figli, padri, fratelli, parenti, amici.
Sentano essi la presenza di Cristo
che consolò la vedova di Naim
e le sorelle di Lazzaro,
perché Egli è la risurrezione e la vita.
Aiutaci a imparare
dal mistero del dolore
che siamo pellegrini sulla terra.
(Giovanni Paolo II)
Papa Francesco, nell’omelia oggi alla Messa a casa Santa Marta, ha commentato il vangelo del giorno che narra della vedova di Naim, cui Gesù resuscitò il figlio. Ma Cristo fece di più, ha osservato il Papa: si mostra vicino, partecipe del dramma vissuto dalla donna. «Era vicino alla gente», ha detto Bergoglio. «Dio vicino che riesce a capire il cuore della gente, il cuore del suo popolo. Poi vede quel corteo, e il Signore si avvicina. Dio visita il suo popolo, in mezzo al suo popolo, e avvicinandosi. Vicinanza. È la modalità di Dio. E poi c’è un’espressione che si ripete nella Bibbia, tante volte: “Il Signore fu preso da grande compassione”. La stessa compassione che, dice il Vangelo, aveva quando ha visto tanta gente come pecore senza pastore. Quando Dio visita il suo popolo, gli è vicino, gli si avvicina e sente compassione: si commuove. Il Signore è profondamente commosso, come lo è stato davanti alla tomba di Lazzaro», come è commosso quel Padre «quando ha visto tornare a casa il figlio prodigo». Cristo ci mostra la strada da seguire: «Vicinanza e compassione». Non stare lontani e predicare, come «i dottori della legge, gli scribi, i farisei», ma avvicinarsi, «patire con il popolo».
Papa Francesco ha voluto sottolineare un altro passo del Vangelo: «”Il morto si mise seduto e incominciò a parlare, ed egli – Gesù – lo restituì a sua madre”. Quando Dio visita il suo popolo, restituisce al popolo la speranza. Sempre. Si può predicare la Parola di Dio brillantemente: ci sono stati nella storia tanti bravi predicatori. Ma se questi predicatori non sono riusciti a seminare speranza, quella predica non serve. È vanità». Per questo, ha concluso il Pontefice rivolgendo un invito ai fedeli, dobbiamo «chiedere la grazia che la nostra testimonianza di cristiani sia testimonianza portatrice della visita di Dio al suo popolo, cioè di vicinanza che semina la speranza».
[Redazione “Tempi”, 16.9.2014.
Maria nella Chiesa, che genera i figli
(Gv 19,25-27)
Il breve passo di Vangelo ai vv.25-27 è forse il vertice artistico del racconto della Passione.
Nel quarto Vangelo la Madre appare due volte, alle nozze di Cana e ai piedi della Croce - entrambi episodi presenti solo in Gv.
Sia a Cana che ai piedi della Croce, la Madre è figura del resto d’Israele autenticamente sensibile e fedele.
Il popolo-sposa del Primo Testamento è come in attesa della reale Rivelazione: percepisce tutto il limite dell’idea antica di Dio, che ha ridotto e spento la gioia della festa nuziale tra il Padre e i suoi figli.
L’Israele autenticamente adorante ha suscitato il passaggio dalla religiosità alla Fede che opera, dalla legge antica al Nuovo Testamento.
Ai piedi della Croce viene generato un Regno alternativo.
Si formano padri e madri di un’umanità diversa, che proclamano la Lieta Notizia di Dio - stavolta in favore esclusivo di ogni uomo, in qualsiasi condizione si trovi.
Nell'intento teologico di Gv, le Parole di Gesù «Donna, ecco tuo figlio» ed «Ecco, la tua Madre» volevano aiutare a dirimere e armonizzare le forti tensioni che a fine primo secolo già contrapponevano diverse correnti di pensiero sul Cristo.
Tra esse: Giudaizzanti; sostenitori del primato della fede sulle opere; Lassisti, che consideravano ormai Gesù anatema, intendendo soppiantarlo con una generica libertà di spirito senza storia.
A inizio secondo secolo Marcione rifiutò tutto il Primo Testamento e sembra apprezzasse solo una parte del Nuovo.
A coloro che ormai volevano prescindere dall’insegnamento dei ‘padri’, Gesù propone di far camminare insieme passato e novità.
Il discepolo amato, icona dell’autentico figlio di Dio [Parola-evento diffusa del Nuovo Testamento] deve ricevere la Madre, la cultura del popolo del Patto, a ‘casa sua’ - ossia nella Chiesa nascente.
Eppure, anche se è nella comunità cristiana che si scopre il senso pieno di tutta la Scrittura… la Persona, la vicenda e la Parola di Cristo stesso non si comprendono né porteranno frutto concreto coi tanti sogni in avanti, senza la radice antica che lo ha generato.
Non bastano le sole proiezioni, che pur scuotono le prigioni mentali, spesso edifici di false certezze: il Seme non è nemico da combattere, ma virtù che viene dal profondo.
L’Alleanza è preziosa, dà l’autentica scossa alla vita. Così fioriscono nuovi rapporti famigliari: allora nasce la Chiesa.
E la Chiesa suscitata dal suo Signore rivelerà qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
In Maria e nelle icone fedeli generate dal petto di Cristo - inscindibili nella Missione - l’intima cooperazione s’intensifica dei momenti di un’esistenza comunitaria umile e silenziosa.
Nel perfetto adorare l’identità-carattere del Crocifisso e nel movimento del dono di sé, incede la libertà del calarsi.
Se qualcuno si deposita, il nuovo avanzerà.
E anche il vecchio potrà riemergere, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà lo spirito umano dei credenti all’opera materna dello Spirito senza barriere.
In tal guisa, nel silenzio non ci opporremo ai disagi. Il corpo offeso parlerà, manifestando l’anima e colmando la vita, in un crescendo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In che modo entri nel ritmo di questo passo di Vangelo? In quale personaggio ti riconosci, o perché ti rivedi in tutti? Qual è in ciascuno di loro la tua misura, che doni al mondo?
[Beata Maria Vergine Addolorata, 15 settembre]
Simon, a Pharisee and rich 'notable' of the city, holds a banquet in his house in honour of Jesus. Unexpectedly from the back of the room enters a guest who was neither invited nor expected […] (Pope Benedict)
Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista […] (Papa Benedetto)
«The Russian mystics of the first centuries of the Church gave advice to their disciples, the young monks: in the moment of spiritual turmoil take refuge under the mantle of the holy Mother of God». Then «the West took this advice and made the first Marian antiphon “Sub tuum Praesidium”: under your cloak, in your custody, O Mother, we are sure there» (Pope Francis)
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa Madre di Dio». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana “Sub tuum praesidium”: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri» (Papa Francesco)
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
The basis of Christian construction is listening to and the fulfilment of the word of Christ (Pope John Paul II)
Alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
don Giuseppe Nespeca
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