don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 15 Dicembre 2025 05:47

Ardore profetico

Se si eccettua la Vergine Maria, il Battista è l’unico santo di cui la liturgia festeggia la nascita, e lo fa perché essa è strettamente connessa al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Fin dal grembo materno, infatti, Giovanni è precursore di Gesù: il suo prodigioso concepimento è annunciato dall’Angelo a Maria come segno che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), sei mesi prima del grande prodigio che ci dà salvezza, l’unione di Dio con l’uomo per opera dello Spirito Santo. I quattro Vangeli danno grande risalto alla figura di Giovanni il Battista, quale profeta che conclude l’Antico Testamento e inaugura il Nuovo, indicando in Gesù di Nazaret il Messia, il Consacrato del Signore. In effetti, sarà lo stesso Gesù a parlare di Giovanni in questi termini: «Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la via. In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,10-11).

Il padre di Giovanni, Zaccaria – marito di Elisabetta, parente di Maria –, era sacerdote del culto dell’Antico Testamento. Egli non credette subito all’annuncio di una paternità ormai insperata, e per questo rimase muto fino al giorno della circoncisione del bambino, al quale lui e la moglie dettero il nome indicato da Dio, cioè Giovanni, che significa «il Signore fa grazia». Animato dallo Spirito Santo, Zaccaria così parlò della missione del figlio: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo / perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, / per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza / nella remissione dei suoi peccati» (Lc 1,76-77). Tutto questo si manifestò trent’anni dopo, quando Giovanni si mise a battezzare nel fiume Giordano, chiamando la gente a prepararsi, con quel gesto di penitenza, all’imminente venuta del Messia, che Dio gli aveva rivelato durante la sua permanenza nel deserto della Giudea. Per questo egli venne chiamato «Battista», cioè «Battezzatore» (cfr Mt 3,1-6). Quando un giorno, da Nazaret, venne Gesù stesso a farsi battezzare, Giovanni dapprima rifiutò, ma poi acconsentì, e vide lo Spirito Santo posarsi su Gesù e udì la voce del Padre celeste che lo proclamava suo Figlio (cfr Mt 3,13-17). Ma la missione del Battista non era ancora compiuta: poco tempo dopo, gli fu chiesto di precedere Gesù anche nella morte violenta: Giovanni fu decapitato nel carcere del re Erode, e così rese piena testimonianza all’Agnello di Dio, che per primo aveva riconosciuto e indicato pubblicamente.

Cari amici, la Vergine Maria aiutò l’anziana parente Elisabetta a portare a termine la gravidanza di Giovanni. Ella aiuti tutti a seguire Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, che il Battista annunciò con grande umiltà e ardore profetico.

[Papa Benedetto, Angelus 24 giugno 2012]

Lunedì, 15 Dicembre 2025 05:43

Secondo quale immagine e somiglianza?

Il nostro sguardo va al quadro di Giulio Romano, sopra all’altare maggiore di questa Chiesa: esso presenta la Sacra Famiglia, con Giovanni il Battista ancora piccolo, l’Apostolo Giacomo e l’Evangelista Marco, questi ultimi già adulti.

Il Battista indica vivacemente con la sinistra il Bambino Gesù, rappresentato nella sua debolezza infantile. Alla domanda dei familiari e dei vicini di Elisabetta e di Zaccaria: “Cosa ne sarà di questo bambino?” il quadro sembra darci questa risposta: Giovanni il Battista indica con tutto il suo atteggiamento Gesù al visitatore Giacomo che gli è vicino; si inchina profondamente nella consapevolezza della sua piccolezza: Non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo a colui che viene dopo di me, ma che è prima di me. Questa parola non ha nulla a che vedere con una falsa umiltà. Il Battista è troppo retto, troppo sobrio per questo. Ha certamente riconosciuto l’impotenza umana meglio della maggior parte degli uomini.

Il predicatore della penitenza che interpella gli uomini nel loro intimo, che li scuote nelle loro certezze e li trasforma, li strappa dalla superficialità di un atteggiamento materialistico puramente terreno, appartiene ancora all’Antica Alleanza, è solo colui che indica la via verso il Regno di Dio; e questo Regno di Dio è vicino, si ode la voce di colui che chiama nel deserto. L’umiltà del Battista è autentica. Ma Dio ha esaltato la piccolezza del Battista con la grandezza del compito affidatogli, anzi, lo aveva già esaltato nel grembo di sua madre: prima ancora di nascere, era infatti già “rinato” dallo Spirito di Cristo. La grandezza umana è niente in confronto alla piccolezza che è chiamata a partecipare della grandezza e della santità di Dio.

Per noi sacerdoti, Giovanni è un modello. Non cerca niente per sé, ma tutto per colui che ora addita. Il bambino rappresenta già in certo qual modo la parola trasmessaci nel quarto Vangelo: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 30). Giovanni doveva condurre gli uomini a Gesù e rendere testimonianza […]

Giovanni e la storia della sua vita sono come una diapositiva sulla quale sono indicati un nome e una verità. Resta oscura finché una fonte luminosa non viene accesa dietro ad essa. Così dice il Vangelo di Giovanni: “Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce” (Gv 1, 8). La luce di Dio è determinante nella sua vita e nella sua missione. Per la sua luce noi diventiamo veggenti, per riconoscere la volontà di Dio. Questa è spesso contraria ai nostri desideri e alla nostra propria volontà. Quando si trattò di dare un nome al neonato Giovanni in occasione della sua circoncisione, era determinante la tradizione: avrebbe ricevuto il nome del padre. Ma Elisabetta decise altrimenti. Conosceva la volontà di Dio e diede al bambino il nome di “Giovanni”, che significa “Dio si dimostra misericordioso”.

Perché dovrebbe essere stato così solo allora?

Tutti possiamo sperimentare nella vita la potenza e la bontà di Dio, quando abbiamo fiducia in lui e ci sforziamo seriamente di compiere la sua volontà. Ma questo richiede da noi umiltà e la consapevolezza che l’uomo non possiede la misura di tutte le cose. Non possiamo considerarci come metro di ogni pensiero, di ogni morale e di ogni diritto. Cediamo troppo facilmente alla convinzione che tutto possa essere fatto, il cielo come la terra, anzi l’uomo stesso, sempre secondo la nostra propria immagine e somiglianza.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia s. Maria dell’Anima 24 giugno 1990]

Una Chiesa ispirata alla figura di Giovanni il Battista: che «esiste per proclamare, per essere voce di una parola, del suo sposo che è la parola» e «per proclamare questa parola fino al martirio» per mano «dei più superbi della terra». L’ha proposta Papa Francesco durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tutta la riflessione del Santo Padre è stata incentrata su questo parallelismo, perché «la Chiesa ha qualcosa di Giovanni», sebbene — ha messo subito in guardia — sia difficile delineare la sua figura. Del resto «Gesù dice che è l’uomo più grande che sia nato»; ma se poi «vediamo cosa fa» e «pensiamo alla sua vita», ha fatto notare Papa Francesco, ci si accorge che «è un profeta che è passato, un uomo che è stato grande», prima di finire tragicamente.

Ecco allora l’invito a domandarsi chi sia veramente Giovanni, lasciando la parola al protagonista stesso. Egli, infatti quando «gli scribi, i farisei, vanno a chiedergli di spiegare meglio chi fosse», risponde chiaramente: «Io non sono il Messia. Io sono una voce, una voce nel deserto». Di conseguenza la prima cosa che si capisce è che «il deserto» sono i suoi interlocutori; gente con «un cuore così, senza niente», li ha definiti il Pontefice. Mentre lui è «la voce, una voce senza parola, perché la parola non è lui, è un altro. Lui è quello che parla, ma non dice; quello che predica su un altro che verrà dopo». In tutto questo — ha spiegato il Papa — c’è «il mistero di Giovanni» che «mai si impadronisce della parola; la parola è un altro. E Giovanni è quello che indica, quello che insegna», utilizzando i termini «dietro di me... io non sono quello che voi pensate; ecco viene dopo di me uno al quale io non sono degno di allacciare i sandali». Dunque «la parola non c’è», c’è invece «una voce che indica un altro». Tutto il senso della sua vita «è indicare un altro».

Proseguendo nella sua omelia Papa Francesco ha poi evidenziato come la Chiesa scelga per la festa di san Giovanni «i giorni più lunghi dell’anno; i giorni che hanno più luce, perché nelle tenebre di quel tempo Giovanni era l’uomo della luce: non una luce propria, ma una luce riflessa. Come una luna. E quando Gesù cominciò a predicare», la luce di Giovanni iniziò ad affievolirsi, «a diminuire, ad andare giù». Egli stesso lo dice chiaramente parlando della propria missione: «È necessario che lui cresca e io venga meno».

Riassumendo, quindi: «Voce, non parola; luce, ma non propria, Giovanni sembra essere niente». Ecco svelata “la vocazione” del Battista, ha affermato il Pontefice: «Annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest’uomo tanto grande, tanto potente — tutti credevano che fosse il Messia — quando contempliamo come questa vita si annienta fino al buio di un carcere, contempliamo un mistero» enorme. Infatti, ha proseguito, «noi non sappiamo come sono stati» i suoi ultimi giorni. È noto solo che è stato ucciso e che la sua testa è finita «su un vassoio come grande regalo da una ballerina a un’adultera. Credo che più di così non si possa andare giù, annientarsi».

Però sappiamo quello che è successo prima, durante il tempo trascorso nel carcere: conosciamo «quei dubbi, quell’angoscia che lui aveva»; al punto da chiamare i suoi discepoli e mandarli «a fare la domanda alla parola: sei tu o dobbiamo aspettare un altro?». Perché non gli fu risparmiato nemmeno «il buio, il dolore sulla sua vita»: la mia vita ha un senso o ho sbagliato?

Insomma, ha detto il Papa, il Battista poteva vantarsi, sentirsi importante, ma non lo ha fatto: egli «indicava soltanto, si sentiva voce e non parola». Questo è per Papa Francesco «il segreto di Giovanni». Egli «non ha voluto essere un ideologo». È stato un «uomo che si è negato a se stesso, perché la parola» crescesse. Ecco allora l’attualità del suo insegnamento: «Noi come Chiesa possiamo chiedere oggi la grazia — ha auspicato il Santo Padre — di non diventare una Chiesa ideologizzata», per essere invece «soltanto la Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans», ha detto citando l’incipit della costituzione conciliare sulla divina rivelazione. Una «Chiesa che ascolta religiosamente la parola di Gesù e la proclama con coraggio»; una «Chiesa senza ideologie, senza vita propria»; una «Chiesa che è mysterium lunae, che ha luce dal suo sposo» e che deve affievolire la propria luce perché a risplendere sia la luce di Cristo. Non ha dubbi Papa Francesco: «Il modello che ci offre oggi Giovanni» è quello di «una Chiesa sempre al servizio della Parola; una Chiesa che mai prenda niente per se stessa». E poiché nella colletta e nella preghiera dei fedeli era stata invocata «la grazia della gioia», ed era stato «chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla parola, di essere voce di questa parola, di predicare questa parola», il Pontefice ha esortato a invocare «la grazia di imitare Giovanni: senza idee proprie, senza un vangelo preso come proprietà»; per essere «soltanto una Chiesa voce che indica la parola, fino al martirio».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/06/2013]

(Lc 1,46-55)

 

Il canto-insieme di Maria ed Elisabetta riassume e celebra la storia della salvezza. Esso riflette una lauda liturgica giudeo cristiana propria delle prime comunità di ‘anawim.

I piccoli e fedeli sperimentano il tracciato ideale della storia, della quale paradossalmente diventano motore.

Le due Donne porgono voce alle ‘chiese’ povere e minoritarie, spesso sfidate dalle forze del potere imperiale in duelli drammatici.

Raffigurano le primitive assemblee, fraternità minuscole; focolari di convivenza e vita intima.

In esse le anime credenti facevano esperienza di un Dio che non rimane impassibile nei confronti del grido dei minimi perseguitati.

In un quadro di visita famigliare e (appunto) di lode, si riflette tutta la destinazione del nuovo Popolo.

La diversità tra le due figure sottolinea lo scatto di Fede in Maria, rispetto alle attese della ‘parentela religiosa.

In Elisabetta il Primo Patto ha già percorso tutto il suo cammino, e non andrebbe molto oltre.

La storia degli uomini è arida, ma Dio la feconda di novità e letizia, che finalmente muta i confini.

Le vie previste sono giunte al termine; ancora cieche e sottomesse alle potenze della terra... Esse non rendono forte il debole.

 

La Fede trasmuta interamente i fondamenti della storia antidivina, perché consente allo Spirito d’impadronirsi della vita personale e permearla, rendendola capace di azione benedicente.

Nel modo di credere di Maria noi conosciamo ciò che non sappiamo - perché abbiamo una Visione che guida, un’immagine sacra che agisce dentro, come un istinto innato.

E possediamo già ciò che speriamo - perché la Fede è un colpo di mano, un’azione che si appropria, un atto-calamita (cf. Eb 11,1).

[Il suo vertice è scoprire stupori di recupero impossibile, a partire dai lati in ombra e perfino che detestiamo di noi - vicenda propria degli scartati].

L’Inno esprime dunque la traiettoria della vita del credente e la direzione della nostra esistenza, che ricompone l’essere malfermo nell’armonia nuova del progetto divino.

 

Tesi classica già del Primo Testamento: Dio solleva dalla polvere il misero e innalza il povero dalle immondizie.

Egli non s’indirizza a coloro che sono pieni di sé, ma a chi sa rivolgersi alle profondità, e come Maria le estende agli altri.

Entro tale vicenda del perdersi per ritrovarsi - incarnata sia dai discepoli che dalle chiese - si rintraccia l’esperienza del mattino di Pasqua.

Lc evangelista dei poveri celebra questo ribaltamento di situazioni in molti episodi di persone ed eventi ai margini.

Anche il Magnificat ribadisce: le scelte del Signore sono davvero estrose. Liberamente Egli passa per gli sconfitti e i derisi, che trovano guadagno nella perdita e vita dalla morte.

Maria in specie diventa figura espressiva della bassezza [ταπείνωσις (tapeínōsis, “abbassamento”), da ταπεινός (tapeinós, “basso”); v.48 testo greco] come ‘radice della trasformazione dell’essere - nell’Imprevedibile di Dio.

 

Egli è fedele.

 

 

[Feria propria del 22 dicembre]

Lunedì, 15 Dicembre 2025 05:01

L’Anima diversa di Maria

(Lc 1,39-45)

 

Incarnazione’: se lo sguardo non si fissa su alcune idee ma lievemente inizia a posarsi sulla condizione umana, ecco esordire un regno di pace.

La folla esitante nel paltò antico può esultare, perché giunge quella Presenza lieve ma decisiva che libera e ci dona respiro.

Opportunità inconsueta d’un riscatto a misura di donna e uomo, persino di bimbi.

Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione, malgrado la religione della mediocrità, dei soprusi - sguardi arcigni e paure.

Maria aiuta ciascuno a capire come sostituire la carezza d’un cuore di carne a tante estranee prescrizioni su fredde lastre di pietra.

 

La sua pace-Shalom non viene augurata al professionista del sacro. Egli omette l’unicità della Chiamata, della Sorpresa, della Persona.

Zaccaria non vive Beatitudini: è già identificato, quindi radicalmente incredulo.

Le grandi reminiscenze e il suo ruolo tipico lo rendono refrattario alla Novità dello Spirito.

Inutile persino rivolgergli la parola, benché padrone della Casa in cui si ‘ricordano’ le Promesse. Un’abitudine a fare memoria che oramai non attende più nulla.

L’Incontro decisivo? Forse ci sarà... ma chissà quando.

 

L’attesa mitica distrae, non coinvolge. Il riattualizzare idolatrico non rallegra; fissa, non fa danzare.

La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia; non sul set, sul serio. [Non è semplice comprenderlo nel tempo dell’esteriorità].

Maria non ambisce a essere e mostrarsi “vip”; si colloca spontaneamente fra gente normale, che soffre una condizione penosa.

Non rincorre progetti, le sue idee precedenti, qualche ticchio vincolato che gli rimbalza nel pensiero. Questa la purezza di Maria.

Chi le assomiglia non ha bisogno di mendicare o esibire un riconoscimento, traguardi, credenziali, titoli, benemerenze. Questa la sua incontaminatezza.

 

Non ha frainteso Dio scambiandolo con delle apparenze. Non si è lasciata ingabbiare da luoghi comuni, perché non ha ostacolato la sua identità irripetibile, pensando di essere sbagliata.

Con mente silenziosa e distacco da giudizi ha consentito al suo istinto vocazionale di rigenerarla, concepire, donare vita.

Non ha inseguito un’immagine ideale, priva di pesi (e di senso), come fosse calata in un personaggio - e conformista.

Se si è corretta non lo ha fatto ripiegando su se stessa, ma sorpassando e tirando dritto; così ha scoperto come regolarsi, ma per volare.

Non gli è andato tutto bene, come se già avesse il film della sua vita in testa. Ha avuto nascondigli e dubbi, travagli da superare.

Non pensava, non parlava, non agiva come fosse “infinita”; ma con decisione, sì.

Non aveva sempre successo, eppure non si ritraeva solo vereconda.

Affrontava i conflitti, tuttavia senza quei pesi mentali che c’imbrigliano di fissazioni [anche sacrali] che a Dio non interessano, e bloccano il cammino.

 

Negli eventi e dentro sé coglieva i momenti dell’insicurezza per ricordarsi della Perla da vagliare.

Ricerca appassionata che l’ha tenuta in Vita, sapendo che le cose dell’anima sono differenti.

Non era una santa buonista, conduceva battaglie - e con attività di denuncia spirituale.

Infatti non chiede autorizzazioni a intraprendere un viaggio azzardato.

Neppure ‘vede’ l’uomo dell’istituzione ufficiale: il sacerdote dalla ritualità scandita nei minimi dettagli.

Si riconosce invece in Elisabetta. Anche lei una dimenticata, ma che coltiva la promessa («Eli-shébet»: il Signore Mio-Personale ha ‘giurato’; come dire “Dio Mi è fedele”).

Zaccaria invece («zachar-Ja» il Signore sì ma non “mio” bensì d'Israele, ‘ricorda’) non riesce a passare dalla religiosità regolare alla Fede che coinvolge il suo Eros fondante.

 

Maria non voleva essere finta, non desiderava diventare artificiale - quindi inutile, e nel tempo frantumata.

Ambiva a piantarsi ancora e sempre meglio sulle proprie Radici.

Se non riusciva a capire qualcosa, utilizzava queste sospensioni per proiettarsi avanti, alla ricerca di tutto lo scrigno prezioso della sua destinazione.

Non dava spazio alle tossine della mente create dalla consuetudine senza sogno, dai paradigmi del suo luogo e tempo. Non ha immaginato di rimanere sempre la stessa.

Sceglie di non deporre il lato evolutivo: capisce che poteva essere stimolata proprio dalle amarezze, dagli abbandoni, dagli impatti, dalle ferite.

Arca dell’Alleanza dall’intimità visionaria e attuabile, senza (dentro) gelide tavole di legalismi; perché Dio non si esprime emanando norme, ma nell’Amore - che non demolisce.

 

Aveva col Cielo un rapporto d’Incarnazione; non esteriore e senz’Unicità [di pietra come per obbedienza intimidita]. Nel suo midollo: Assomigliante - da Pari a Pari.

 

Dalla religione dei molti subalterni alla Fede?

Non una Chiesa delle cunette: Maria è la nuova coscienza e il diverso orientamento dell’umanità.

 

 

Magnificat: parentela religiosa, e lo scatto della Fede

(Lc 1,46-55)

 

Sebbene il contesto in lingua greca dei primi codici alluda a un cantico proprio di Elisabetta (vv.42-46), la tradizione successiva ha voluto porre l’inno sulla bocca di Maria.

Il loro canto-insieme riassume e celebra la storia della salvezza. Esso riflette una lauda liturgica giudeo cristiana propria delle prime comunità di ‘anawim.

[Oggi come allora i piccoli e fedeli sperimentano il tracciato ideale della storia, della quale paradossalmente diventano motore].

Maria ed Elisabetta danno voce alle ‘chiese’ povere e minoritarie, spesso sfidate dalle forze del potere imperiale in duelli drammatici.

Fraternità che facevano esperienza di un Dio che non rimane impassibile nei confronti del grido dei minimi perseguitati.

In un quadro di visita famigliare e (appunto) di lode, si riflette tutta la destinazione del nuovo Popolo.

La diversità fra le due donne sottolinea lo scatto della Fede in Maria, rispetto alle attese della ‘parentela religiosa.

In Elisabetta il Primo Patto ha già percorso tutto il suo cammino, e non andrebbe molto oltre.

 

La storia degli uomini è arida, ma l’Eterno la feconda di novità e letizia, che finalmente muta i confini.

Le vie previste sono giunte al termine; ancora cieche e sottomesse alle potenze della terra - autodivinizzanti...

Ma qui si rivela che la sicurezza dei grandi è vana, inesistente; ricercatrice di soli profitti.

E malgrado i millenni, sono ancora troppi coloro che rivestono le loro posizioni di proclami apparentemente devoti - inconsistenti d’amore che aiuta e arricchisce i piccoli, che rendano forte il debole.

 

La Fede trasmuta interamente i fondamenti della storia antidivina, perché consente allo Spirito d’impadronirsi della vita personale e fecondarla, rendendola capace di azione benedicente.

Nel modo di credere di Maria noi conosciamo ciò che non sappiamo - perché abbiamo una Visione che guida, un’Immagine che agisce dentro come un istinto innato.

E possediamo già ciò che speriamo - perché la Fede è un colpo di mano, un’azione che si appropria, un atto-calamita (cf. Eb 11,1).

Il suo vertice sarà scoprire stupori di recupero impossibile, a partire dai lati in ombra e che detestiamo di noi [proprio degli scartati].

L’inno esprime dunque la traiettoria della vita del credente in Cristo e la direzione della nostra esistenza che poco a poco o d’improvviso ricompone l’essere malfermo, nell’armonia nuova del progetto divino.

 

Tesi classica già del Primo Testamento: Dio solleva dalla polvere il misero e innalza il povero - l’emarginato (con indifferenza) - dalle immondizie.

Egli non s’indirizza a coloro che sono pieni di sé e con ruoli identificati, bensì a chi sa rivolgersi alle profondità, e come Maria le estende agli altri.

Entro tale vicenda del perdersi per ritrovarsi - una logica incarnata sia dai discepoli che dalle chiese - si rintraccia l’esperienza del mattino di Pasqua, i cui Vangeli “descrivono” la Risurrezione come capacità di vedere aperte le tombe e scorgere vita persino fra segni di assenza, e nel luogo della morte.

 

Lc evangelista dei poveri celebra questo ribaltamento di situazioni in molti episodi: fariseo e pubblicano, figlio prodigo e primogenito, samaritano e sacerdote levita, Lazzaro e ricco epulone, primo e ultimo posto, Beatitudini e ‘guai’...

Anche il Magnificat ribadisce: le scelte del Signore sono davvero estrose per la mentalità religiosa da nomenclatura.

Liberamente Egli passa per gli sconfitti, i derisi, ritenuti stupidi, ignobili; i deboli, emarginati da cricche, rifiutati dal club degli acclamati.

Il cantico è un ‘tipo’ perfetto di questa predilezione, che trova guadagno nella perdita e vita dalla morte, in persone ed eventi ai margini.

Maria in specie diventa figura espressiva della bassezza [ταπείνωσις (tapeínōsis, “abbassamento”), da ταπεινός (tapeinós, “basso”); v.48 testo greco] come ‘radice della trasformazione dell’essere - nell’Imprevedibile di Dio.

 

In Maria ed Elisabetta gli ‘anawim contemplavano la festa del trionfo dei figli, delle creature che ripetono in sé la Pasqua del Cristo.

Accadimento e proposta che anche nel tempo dell’emergenza fa rifiorire la vita dal fallimento delle mitologie del potere e della forza.

Nel Risorto che mostra sempre le piaghe, ovunque i credenti si sono resi conto: la povertà del cuore e di vita vissuta dal Cristo e dalla (Chiesa) Madre è la vera forza dirompente della storia.

 

Dio è fedele.

 

«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha rivolto il suo sguardo alla bassezza della sua serva» (Lc 1,46b-48a).

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ritieni la munificenza divina una proprietà?

Come proclami le tue consapevolezze personali ed ecclesiali - di compimento in Cristo - delle Promesse dell’Alleanza?

Lunedì, 15 Dicembre 2025 04:55

Voce solista e movimento poetico spirituale

Cantico della Beata Vergine

1. Siamo giunti ormai all'approdo finale del lungo itinerario cominciato proprio cinque anni fa, nella primavera del 2001, dal mio amato Predecessore, l'indimenticabile Papa Giovanni Paolo II. Il grande Papa aveva voluto percorrere nelle sue catechesi l'intera sequenza dei Salmi e dei Cantici che costituiscono il tessuto orante fondamentale della Liturgia delle Lodi e dei Vespri. Pervenuti ormai alla fine di questo pellegrinaggio testuale, simile a un viaggio nel giardino fiorito della lode, dell'invocazione, della preghiera e della contemplazione, lasciamo ora spazio a quel Cantico che idealmente suggella ogni celebrazione dei Vespri, il Magnificat (Lc 1, 46-55).

È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano "poveri" non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat, che abbiamo sentito adesso dalla Cappella Sistina, è, infatti, marcato da questa "umiltà", in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.

2. Il primo movimento del cantico mariano (cfr Lc 1, 46-50) è una sorta di voce solista che si leva verso il cielo per raggiungere il Signore. Sentiamo proprio la voce della Madonna che parla così del suo Salvatore, che ha fatto grandi cose nella sua anima e nel suo corpo. Si noti, infatti, il risuonare costante della prima persona: "L'anima mia... il mio spirito... mio salvatore... mi chiameranno beata... grandi cose ha fatto in me...". L'anima della preghiera è, quindi, la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell'esistenza di Maria, rendendola la Madre del Signore.

L'intima struttura del suo canto orante è, allora, la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. Ma questa testimonianza personale non è solitaria e intimistica, puramente individualistica, perché la Vergine Madre è consapevole di avere una missione da compiere per l'umanità e la sua vicenda si inserisce all'interno della storia della salvezza. E così può dire: "Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (v. 50). La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo "Fiat", e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.

3. È a questo punto che si svolge il secondo movimento poetico e spirituale del Magnificat (cfr vv. 51-55). Esso ha una tonalità più corale, quasi che alla voce di Maria si associ quella dell'intera comunità dei fedeli che celebrano le scelte sorprendenti di Dio. Nell'originale greco del Vangelo di Luca abbiamo sette verbi all'aoristo, che indicano altrettante azioni che il Signore compie in modo permanente nella storia: "Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili... ha ricolmato di beni gli affamati... ha rimandato i ricchi... ha soccorso Israele".

In questo settenario di opere divine è evidente lo "stile" a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare "i superbi, i potenti e i ricchi". Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: "Coloro che lo temono", fedeli alla sua parola; "gli umili, gli affamati, Israele suo servo", ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono "poveri", puri e semplici di cuore. È quel "piccolo gregge" che è invitato a non temere perché al Padre è piaciuto dare ad esso il suo regno (cfr Lc 12, 32). E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell'amore di Dio.

4. Raccogliamo, allora, l'invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge sant'Ambrogio, dice il grande Dottore della Chiesa: "Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio... L'anima di Maria magnifica il Signore, e il suo spirito esulta in Dio, perché, consacrata con l'anima e con lo spirito al Padre e al Figlio, essa adora con devoto affetto un solo Dio, dal quale tutto proviene, e un solo Signore, in virtù del quale esistono tutte le cose" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 26-27: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 169).

In questo meraviglioso commento del Magnificat di sant'Ambrogio mi tocca sempre particolarmente la parola sorprendente: "Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio". Così il santo Dottore, interpretando le parole della Madonna stessa, ci invita a far sì che nella nostra anima e nella nostra vita il Signore trovi una dimora. Non dobbiamo solo portarlo nel cuore, ma dobbiamo portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a magnificarlo con lo spirito e l'anima di Maria e a portare di nuovo Cristo al nostro mondo.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 15 febbraio 2006]

1. Ispirandosi alla tradizione veterotestamentaria, col cantico del Magnificat Maria celebra le meraviglie compiute in lei da Dio. Il cantico è la risposta della Vergine al mistero dell’Annunciazione: l’angelo l’aveva invitata alla gioia, ora Maria esprime l’esultanza del suo spirito in Dio salvatore. La sua gioia nasce dall’aver fatto l’esperienza personale dello sguardo benevolo rivolto da Dio a lei, creatura povera e senza influsso nella storia.

Con l’espressione Magnificat, versione latina di un vocabolo greco dello stesso significato, viene celebrata la grandezza di Dio, che con l’annuncio dell’angelo rivela la sua onnipotenza, superando attese e speranze del popolo dell’Alleanza e anche i più nobili desideri dell’anima umana.

Di fronte al Signore, potente e misericordioso, Maria esprime il sentimento della propria piccolezza: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 47-48). Il termine greco “tapéinosis” è probabilmente mutuato dal cantico di Anna, madre di Samuele. In esso sono indicate l’“umiliazione” e la “miseria” di una donna sterile (cf. 1 Sam 1, 11), che affida la sua pena al Signore. Con simile espressione Maria rende nota la sua situazione di povertà e la consapevolezza di essere piccola davanti a Dio che, con decisione gratuita, ha posato lo sguardo su di Lei, umile ragazza di Nazaret, chiamandola a divenire la Madre del Messia.

2. Le parole “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 48) prendono avvio dal fatto che Elisabetta per prima abbia proclamato Maria “beata” (Lc 1, 45). Non senza audacia, il cantico predice che la stessa proclamazione si andrà estendendo ed ampliando con un dinamismo inarrestabile. Allo stesso tempo, esso testimonia la speciale venerazione per la Madre di Gesù, presente nella Comunità cristiana sin dal primo secolo. Il Magnificat costituisce la primizia delle varie espressioni di culto, trasmesse da una generazione all’altra, con cui la Chiesa manifesta il suo amore alla Vergine di Nazaret.

3. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono” (Lc 1, 49-50).

Che cosa sono le “grandi cose” operate in Maria dall’Onnipotente? L’espressione ricorre nell’Antico Testamento per indicare la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto o da Babilonia. Nel Magnificat essa si riferisce all’evento misterioso del concepimento verginale di Gesù, avvenuto a Nazaret dopo l’annuncio dell’angelo.

Nel Magnificat, cantico veramente teologico perché rivela l’esperienza del volto di Dio compiuta da Maria, Dio non è soltanto l’Onnipotente al quale nulla è impossibile, come aveva dichiarato Gabriele (cf. Lc 1, 37), ma anche il Misericordioso, capace di tenerezza e fedeltà verso ogni essere umano.

4. “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1, 51-53).

Con la sua lettura sapienziale della storia, Maria ci introduce a scoprire i criteri del misterioso agire di Dio. Egli, capovolgendo i giudizi del mondo, viene in soccorso dei poveri e dei piccoli, a scapito dei ricchi e dei potenti e, in modo sorprendente, colma di beni gli umili, che gli affidano la loro esistenza (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 37).

Queste parole del cantico, mentre ci mostrano in Maria un concreto e sublime modello, ci fanno capire che è soprattutto l’umiltà del cuore ad attrarre la benevolenza di Dio.

5. Infine, il cantico esalta il compimento delle promesse e la fedeltà di Dio verso il popolo eletto: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre” (Lc 1, 54-55).

Colmata di doni divini, Maria non ferma il suo sguardo al suo caso personale, ma capisce come questi doni siano una manifestazione della misericordia di Dio per tutto il suo popolo. In lei Dio compie le sue promesse con una fedeltà e generosità sovrabbondante.

Ispirato all’Antico Testamento ed alla spiritualità della figlia di Sion, il Magnificat supera i testi profetici che sono alla sua origine, rivelando nella “piena di grazia” l’inizio di un intervento divino che va ben oltre le speranze messianiche d’Israele: il mistero santo dell’Incarnazione del Verbo. 

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 6 novembre 1996]

Che cosa ci consiglia la nostra Madre? Oggi nel Vangelo la prima cosa che dice è: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46). Noi, abituati a sentire queste parole, forse non facciamo più caso al loro significato. Magnificare letteralmente significa “fare grande”, ingrandire. Maria “ingrandisce il Signore”: non i problemi, che pure non le mancavano in quel momento, ma il Signore. Quante volte, invece, noi ci lasciamo sovrastare dalle difficoltà e assorbire dalle paure! La Madonna no, perché mette Dio come prima grandezza della vita. Da qui scaturisce il Magnificat, da qui nasce la gioia: non dall’assenza dei problemi, che prima o poi arrivano, ma la gioia nasce dalla presenza di Dio che ci aiuta, che è vicino a noi. Perché Dio è grande. E soprattutto, Dio guarda ai piccoli. Noi siamo la sua debolezza di amore: Dio guarda e ama i piccoli.

Maria, infatti, si riconosce piccola ed esalta le «grandi cose» (v. 49) che il Signore ha fatto per lei. Quali? Anzitutto il dono inatteso della vita: Maria è vergine e rimane incinta; e pure Elisabetta, che era anziana, aspetta un figlio. Il Signore fa meraviglie con i piccoli, con chi non si crede grande ma dà grande spazio a Dio nella vita. Egli stende la sua misericordia su chi confida in Lui e innalza gli umili. Maria loda Dio per questo.

E noi – possiamo chiederci – ci ricordiamo di lodare Dio? Lo ringraziamo per le grandi cose che fa per noi? Per ogni giornata che ci dona, perché ci ama e ci perdona sempre, per la sua tenerezza? E ancora, per averci dato la sua Madre, per i fratelli e le sorelle che ci mette sul cammino, perché ci ha aperto il Cielo? Noi ringraziamo Dio, lodiamo Dio per queste cose? Se dimentichiamo il bene, il cuore si rimpicciolisce. Ma se, come Maria, ricordiamo le grandi cose che il Signore compie, se almeno una volta al giorno lo magnifichiamo, allora facciamo un grande passo in avanti. Una volta al giorno possiamo dire: “Io lodo il Signore”; “Benedetto il Signore”: è una piccola preghiera di lode. Questo è lodare Dio. Il cuore, con questa piccola preghiera, si dilaterà, la gioia aumenterà. Chiediamo alla Madonna, porta del Cielo, la grazia di iniziare ogni giorno alzando lo sguardo verso il cielo, verso Dio, per dirgli: “Grazie!”, come dicono i piccoli ai grandi.

[Papa Francesco, Angelus 15 agosto 2020]

Sabato, 13 Dicembre 2025 15:22

Natale: Pasqua. Respiro per me

(Mt 1,18-24)

 

«Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande» [Patris Corde n.2].

 

Incarnazione: il Padre si colloca a fianco dei suoi figli e figlie. Non solo non teme di rendersi impuro nel contatto con le cose che riguardano le dinamiche umane: addirittura si riconosce nella loro Condizione.

Per questo motivo, dall’imbarazzo di Giuseppe scaturisce addirittura il culmine dell’intera Storia di Salvezza.

Le fonti attestano che non era affatto un personaggio col giglio in mano, ma forse questo può interessarci sino a un certo punto.

La narrazione di Mt colpisce, perché il discrimine e le possibilità d’irruzione (della vetta stessa) del Disegno di Dio sull’umanità sembrano scaturiti non da una certezza, ma da un Dubbio.

Il punto interrogativo coinvolge. Il disagio semina dentro un nuovo Germe. Strappa e abbatte le pianticelle tutte uguali dell’erba infestante la vita piena - che era Legge cesellata sulle apparenze.

Il “problema” guida a sognare ben altri orizzonti da aprire, e in prima persona. L’esitazione conduce fuori dalle gabbie mentali che mortificano i rapporti, prima ridotti a casistiche.

La perplessità fa valicare l’opinione comune, che attenua e spegne la Novità di Dio.

L’esitazione cerca fenditure esistenziali, perché vuole introdurci in territori di vita - dove anche gli altri possono attingere esperienze differenti, percezioni variegate, e momenti in cui avere in dono intuizioni decisive.

La sua Energia sapiente trova brecce e piccoli varchi; agisce per farci evolvere come figli dell’Eternità - anche suscitando disagi, che inondano l’esistenza di sospensioni creative e nuova passione.

La sua lucida Azione s’introduce attraverso Sogni che scrollano di dosso i progetti consueti, o stati d’animo che mettono in bilico; e le strettoie di un pensiero emarginato che fa ritrovare il motivo per cui siamo nati, scoprire la nostra parte nel mondo.

Ogni oscillazione, ogni dolore, ogni pericolo, ogni trasloco, possono diventare un ‘parto’ verso l’Originalità - senza prima le identificazioni.

L’Unicità non fa smarrire la Fonte che ‘veglia’ in noi. Guai a sottrarsi: perderemmo la nostra destinazione.

Lo Spirito che s’infila nei pertugi delle mentalità standard trova un punto intimo che consente di fiorire diversamente adesso, in grado di far venir fuori l’essenza di chi siamo autenticamente, smettendo di copiare cliché.

Allora non continueremo a chiederci Ma di chi è la colpa? Come tamponare la situazione? A chi conviene appoggiarsi?. Bensì: Qual è la nuova ‘vita’ che devo esplorare? Cosa c’è ancora da scoprire?.

Infatti il morso dei dubbi non fa diventare credenti-spazzatura, come ipotizzato nelle religioni disciplinate, legaliste - nelle filosofie puritane dalla sapienza artificiosa - bensì amici, figli adottivi [ossia scelti] ed eredi.

Grazie alla Relazione di Fede, non siamo più persi nel deserto - perché le tante cose e gli azzardi diventano dialogo di peso specifico: siamo a Casa, nel rispetto del nostro misterioso carattere e Chiamata.

Iniziamo come Giuseppe a essere presenti a noi stessi. E cambiando sguardo, si godrà la Bellezza del Nuovo.

 

«San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine» [Patris Corde intr.].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

In quale occasione il ‘dubbio’ ti ha aperto orizzonti da sbalordire? Nei momenti belli e colorati della vita sei forse partito da una tua certezza?

 

 

[4.a Domenica Avvento (anno A), 21 dicembre 2025]

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Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
Luke the Evangelist of the Poor celebrates the reversals of the situation: pharisee and tax collector, prodigal son and firstborn, samaritan and priest-levite, Lazarus and rich man, first and last place, Beatitudes and “woe to you”... so in the anthem of the Magnificat
Luca evangelista dei poveri celebra i ribaltamenti di situazione: fariseo e pubblicano, figlio prodigo e primogenito, samaritano e sacerdote-levita, Lazzaro e ricco epulone, primo e ultimo posto, Beatitudini e “guai”... così nell’inno del Magnificat
In these words we find the core of biblical truth about St. Joseph; they refer to that moment in his life to which the Fathers of the Church make special reference (Redemtoris Custos n.2)
In queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si riferiscono i padri della Chiesa (Redemtoris Custos n.2)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situations
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses. He also teaches us that amid the tempests of life, we must never be afraid to let the Lord steer our course. At times, we want to be in complete control, yet God always sees the bigger picture» (Patris Corde, n.2)
«Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande» (Patris Corde, n.2)
Man is the surname of God: the Lord in fact takes his name from each of us - whether we are saints or sinners - to make him our surname (Pope Francis). God's fidelity to the Promise is realized not only through men, but with them (Pope Benedict).
L’uomo è il cognome di Dio: il Signore infatti prende il nome da ognuno di noi — sia che siamo santi, sia che siamo peccatori — per farlo diventare il proprio cognome (Papa Francesco). La fedeltà di Dio alla Promessa si attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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