Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
XXXIV Domenica Tempo Ordinario (anno B) [24 Novembre 2024]
Prima lettura Dn 7,13-14
*Una scena di incoronazione
Il profeta Daniele descrive una scena di incoronazione “nelle nubi del cielo”, ovvero nel mondo di Dio con un “figlio d’uomo” (in ebraico significa semplicemente un essere umano) che si avvicina al Vegliardo, che pochi versetti prima (v.9) descrive seduto su un trono: si comprende che è Dio. Il Figlio d’uomo avanza per essere consacrato re: “gli furono dati potere, gloria e regno…il suo è un potere eterno che non finirà mai”, regalità universale ed eterna che però non conquista con la forza e, come precisa Daniele, non si avvicina verso il trono di Dio di sua iniziativa. Questa domenica si ferma qui la lettura, ma per meglio capire occorre andare un po’ oltre e si comprende che questo “figlio d’uomo” non è un individuo bensì un popolo: “Io, Daniele, mi sentii agitato nell'animo..mi accostai a uno dei vicini e gli domandai il vero significato di tutte queste cose ed egli me ne diede questa spiegazione: "Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra; ma i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, in eterno"(vv15-18). In alcuni versetti più avanti ripete: “Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno" (v27). Questo figlio d’uomo è dunque “il popolo dei santi dell’Altissimo” che, nel linguaggio biblico, significa Israele e nell’epoca delle persecuzioni, è il piccolo resto fedele. Siamo nel momento più doloroso della persecuzione di Antioco Epifane intorno al 165 a.C. quando restò veramente solo un piccolo gruppo. Quando Daniele afferma che il popolo dei santi dell’Altissimo riceverà il regno, intende incoraggiarlo a resistere perché presto avverrà la liberazione definitiva e, dato che poco dopo Antioco Epifane fu cacciato, la sua profezia venne interpretata da alcuni Giudei riferita al Messia- Re atteso, che non sarebbe stato un individuo particolare, bensì un popolo. Quando secoli dopo nacque Gesù, pur se tutti in Israele attendevano il Messia, non tutti lo immaginavano allo stesso modo: alcuni attendevano un uomo, altri un Messia collettivo chiamato appunto “il piccolo Resto d’Israele” (espressione del profeta Amos 9.11-15), o “il figlio d’uomo” in riferimento al profeta Daniele. Gesù è il solo (nessun altro lo fa) a utilizzare più di 80 volte nei vangeli l’espressione “Figlio dell’uomo” che viene sulle nubi del cielo riferendola a sé stesso, ma i suoi contemporanei non potevano riconoscere nel Gesù di Nazareth, il carpentiere, il Messia cioè “il popolo dei santi dell’Altissimo”. Inoltre, Gesù modifica in maniera sostanziale la definizione perché rifacendosi a Daniele afferma: “Allora…si vedrà il Figlio dell’uomo venire, circondato da nubi, nella pienezza della potenza e della gloria” (Mc 13, 26), e sempre nel vangelo di Marco aggiunge:“Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno” (Mc 9, 31). Solo dopo la risurrezione i discepoli capiranno che il titolo di Figlio dell’uomo sulle nubi del cielo si attribuisce a Gesù, perché lui è insieme uomo e Dio, il primogenito della nuova umanità, il Capo che fa di noi un unico Corpo e, alla fine della storia, saremo come “un solo uomo, innestati in lui e quindi “il popolo dei santi dell’Altissimo”. Mentre Daniele diceva un “Figlio d’uomo” Gesù lo modifica in “Figlio dell’uomo””: figlio d’uomo significava “un uomo”, mentre figlio dell’uomo indica “l’Umanità” e dunque “Figlio dell’Uomo” significa l’Umanità. Attribuendo a sé stesso questo titolo, Cristo si rivela il portatore del destino di tutta l’umanità realizzando il progetto della creazione divina, fare cioè dell’umanità un solo popolo: “Dio creò l'uomo a sua immagine…maschio e femmina li creò… disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1, 27-28). Per san Paolo Gesù è il nuovo Adamo: ”Come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm5,12-21; 1Cor. 15,21-22, 45-49), mentre nel IV vangelo colpisce sempre la frase di Piato “Ecce homo, Ecco l’uomo” (19,5).
*Salmo responsoriale 92/93 (1,2,5)
*Noi proclamiamo Dio nostro Re
Proclamando Cristo Re affermiamo la nostra fede/speranza con il coraggio di realizzare il suo regno, certi che risorgendo ha sconfitto la morte e perdonando gli uccisori ha distrutto l’odio. Mentre però osiamo dire che Cristo è già re, tutto nel mondo sembra andare al contrario: la morte uccide, l’odio dilaga in tutte le sue forme di violenza e di ingiustizia. Il salmo 92/93 proclama la vittoria di Dio sul mondo malgrado le apparenze e anche gli Ebrei celebrano Dio Re avendo la stessa fede e speranza nell’attesa del “Giorno” di Dio. Nel proclamare però la sua vittoria sulle forze del Male si basano sull’esperienza dell’Esodo adorando Dio che liberando Israele ha offerto la sua Alleanza, mentre noi cristiani poggiandoci sulla risurrezione di Cristo. Per cantare la regalità di Dio questo salmo guarda al modello dell’incoronazione dei re: nella sala del trono il nuovo re, investito del mantello regale, sedeva sul trono e, firmata la carta d’intronizzazione, entrava in possesso del palazzo reale. A questo punto il popolo gridava “Viva il Re,” acclamazione che in ebraico si chiama «térouah» ed era all’origine un grido di vittoria contro il nemico. In questo salmo il re acclamato è Dio e più di altri merita la terouah perché ha sconfitto le forze del male: “Il Signore regna, si riveste di maestà, si cinge di forza”: questi sono gli abiti del Creatore. L’espressione ebraica: “Ha cinto la sua forza” evoca lil gesto di legarsi un vestito ai fianchi, come fa il vasaio con il grembiule per lavorare l’argilla”. Cantando che il suo trono “é stabile da sempre, dall’eternità tu sei “il salmo accenna per contrasto agli idoli che sono alla portata di tutti ed evoca la fragilità dei regni terreni, in particolare dei re di Israele, alcuni dei quali hanno regnato pochi anni, persino pochi giorni. Nell’intero salmo Dio è proclamato Re dal creato perché domina le forze delle acque spesso indomabili per l’uomo: “più del fragore di acque impetuose, più potente dei flutti del mare, potente nell’alto è il Signore” (v.4). I flutti del mare richiamano il Mar dei Giunchi (in ebraico Yam Suf, e suf significa canna o giunco)) identificato con il Mar Rosso, che Dio fece attraversare dal suo popolo. Da allora la fedeltà del Signore non si è mai spenta come ben esprime il versetto 5: “Degni di fede tutti i tuoi insegnamenti”. L’espressione: “degni di fede” in altre versioni viene resa con “immutabili”, parola che ha la stessa radice di Amen ed evoca fedeltà, stabilità, verità, immutabilità, fermezza. Questa é la fedeltà di Dio verso il suo popolo, di cui era simbolo il Tempio di Gerusalemme, icona della presenza di Dio e riflesso della sua santità: “La santità si addice alla tua casa”. Nabucodosonor II conquistò Gerusalemme e abbatté il Tempio di Salomone deportando gran parte della popolazione in Babilonia, e distrutto il regno di Giuda nel 586 a.C., non ci furono più re in Israele perché l’ultimo fu Sedecia catturato, accecato e portato in esilio. Da quel momento l’espressione: “La santità si addice alla tua casa” celebrava la sovranità di Dio nell’attesa del Re-Messia, immagine fedele di Dio. Ogni anno, durante la Festa delle Capanne (in autunno), questo salmo veniva ripreso per celebrare in anticipo il compimento di tutta la storia, l’Alleanza definitiva, le Nozze tra Dio e l’Umanità: infatti Israele con l’intera umanità condivideranno un giorno la regalità del Messia, come la Regina siede accanto al Re.
Seconda Lettura Ap. 1,5-8
*Colui che è, che era e che viene
“Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti, il sovrano dei re della terra”: le frasi di questo breve testo, che è l’inizio dell’Apocalisse, sono dense ed evocano tutto il mistero di Cristo e ogni parola ne rivela un aspetto. “Gesù” è il nome di un uomo di Nazaret e significa “Dio salva”; “Cristo” indica il Messia ricolmo dello Spirito di Dio; “il testimone fedele” si collega alle parole di Gesù a Pilato che oggi ascoltiamo nel vangelo: “Io sono nato e venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”. L’affermazione: “il primogenito dei morti” racchiude la fede dei primi cristiani che vedevano in Gesù, uomo mortale come tutti, il primogenito di una lunga serie, risuscitato da Dio per guidare tutti i suoi fratelli e la frase: “il lsovrano dei re della terra ”rafforza il concetto di Messia che ha posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, come canta il Salmo 109/110. Dato che nell’Apocalisse i numeri sono simbolici e le espressioni ternarie sono riservate a Dio, le tre qualifiche: “testimone fedele, primogenito dei morti, sovrano dei re della terra” attribuite a Gesù affermano che egli è Dio. La seconda frase riprende e amplifica la prima: “A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”. Ci sono qui i tradizionali principi della fede: l’amore di Cristo per tutti gli uomini; il dono della sua vita significato dall’espressione “sangue versato” per riscattarci dal male mentre l’affermazione: “Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” indica che in Cristo si è compiuta la promessa “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” contenuta nel libro dell’Esodo (19, 6). Nella terza frase: “Ecco, egli viene con le nubi” è il Figlio dell’uomo, di cui parla Daniele nella prima lettura, che avanza verso il trono di Dio per ricevere la regalità universale. La prima dimensione della sua regalità è il trionfo. La seconda dimensione è quella della sofferenza: ”Ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto ”, chiara allusione alla croce e al colpo di lancia del soldato (Gv.19,33-34). Qui san Giovanni fa riferimento alla profezia di Zaccaria: “io riverserò sulla casa di Davide e Gerusalemme uno spirito di benevolenza … volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto...faranno lutto per lui, come per un figlio unico…. lo piangeranno come un primogenito… una sorgente sgorgherà…come rimedio al peccato e all’impurità”. ( Zc 12, 10; 13, 1). Con lo spirito di benevolenza Dio trasformerà il cuore umano e volgendo lo sguardo verso colui che hanno trafitto, gli uomini vedranno un innocente ucciso ingiustamente in evidente contrasto con le autorità religiose dell’epoca. Osservando il Messia crocifisso d’improvviso gli occhi e i cuori si apriranno e, quando il cuore di tutti gli uomini sarà trasformato, Cristo sarà Re perché è l’apertura del cuore a introdurci nella grazia e nella pace dell’eternità in Dio: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi sin dalla creazione del mondo” (Mt 25, 34). Infine, l’’espressione finale della seconda lettura: “Colui che è, che era e che viene” (v. 8) è una delle traduzioni del nome di Dio (YHVH, Es 3, 14) nei commenti giudaici (Targum di Gerusalemme).
Vangelo Gv. 18, 33b-37
*Dunque tu sei re?
Il vangelo di Giovanni è l’unico a riferire il lungo dialogo tra Pilato e Gesù, un testo di notevole interesse per la Festa di Cristo Re perché rare sono nei vangeli le affermazioni sulla regalità di Cristo e soltanto durante la sua passione Gesù dichiara apertamente di essere re. Durante la vita pubblica ogni volta che volevano farlo re si ritirava, quando pubblicizzavano i suoi miracoli imponeva il silenzio e questo persino dopo la Trasfigurazione. Solo ora che è incatenato e condannato a morte afferma di essere re, ossia nel momento meno indicato secondo i calcoli umani. Indubbiamente ha un modo alternativo di concepire la regalità e lo ha spiegato ai discepoli: i capi dominano sulle nazioni, ma così non deve avvenire per voi; se qualcuno vuole essere grande sia vostro servitore, se vuole essere il primo sia il servo di tutti, imitando il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto (cioè liberazione) per la moltitudine (cf. Mc 10, 42-45). E’ durante l’interrogatorio di Pilato che egli si dichiara il re dell’umanità, proprio quindi nel momento in cui dà la sua vita per noi mostrando che sua unica ambizione regale è il servizio. A ben vedere nel dialogo tra Pilato, alto rappresentante dell’impero romano e un condannato a morte si capovolgono le parti: non è Pilato a giudicarlo ma è Cristo a giudicare il mondo e il potere romano finirà per riconoscere Cristo vero re. Gesù è stato catturato perché i capi religiosi, impauriti dal suo successo, agirono con menzogna paventando la loro distruzione con l’arrivo dei romani: “Se lo lasciamo fare verranno i romani e ci distruggeranno”. E’ un assassinio che nasce dalla volontà della regnante casta sacerdotale mentre per Pilato Gesù non rappresentava alcun pericolo. Oggi leggiamo nel vangelo di Giovanni il primo interrogatorio di Pilato: “Sei tu il re dei Giudei?” In questo processo non è il giudice a fare domande all’imputato ma l’inverso e la sentenza sarà emessa dall’imputato. Infatti Gesù non risponde, ma domanda. “Dici questo da te oppure altri ti hanno parlato di me?”. E Pilato: “Che cosa hai fatto? Gesù replica: “Il mio regno non è di questo mondo”. Pilato insiste: “Dunque tu sei re?” e Gesù: “Tu lo dici” nel senso che se tu lo stai affermando (su legeis) hai capito bene e quindi lo proclami. Si tratta però di un regno diverso da tutti quelli terreni difesi da soldati e basati sul potere, sul dominio e sulla menzogna. Il mio invece è il regno della verità che non conta su nessun’altra difesa che la verità: “Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” e aggiunge: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. E conclude: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Non dice: “Chi ha la verità”, ma “chi è dalla verità” poiché la verità non è una dottrina da possedere bensì lo stile di vita del credente. Nella seconda lettura tratta dall’Apocalisse, Giovanni afferma che Gesù è il “testimone fedele”, il “Figlio unigenito pieno di grazia e verità, come già leggiamo nel Prologo del suo Vangelo (Gv1,14). Se Pilato, figlio del mondo greco-romano, pone la domanda “Che cos’è la verità?” (Gv18,38), gli ebrei, invece, sapevano fin dall’inizio dell’Alleanza con Dio che la verità è Dio stesso. La verità nella Bibbia significa “salda fedeltà” di Dio ed ha in ebraico la stessa radice di “Amen” che significa stabile, fedele, vero, come appare oggi nel Salmo responsoriale 92/93. La Verità è Dio stesso per cui nessuno può pretendere di possederla ma è indispensabile ascoltarla e lasciarsi istruire da essa (cf. Gv 8, 47). Solo Dio può dirci “Ascolta”, come nella Torah ripete continuamente: “Shema Israël”.
Qualche a Testimonianza su Cristo Re dell’universo:
*Sant’Agostino, nel sermone sul Salmo 2, scrive: “Cristo non ha regno temporale, ma regna nei cuori degli uomini. Il suo trono è la croce, il suo scettro è l’amore, e la sua corona è fatta di spine. È un re che non conquista con le armi, ma con la verità e la giustizia.”
*A san Nicola Cabasilas ortodosso (XIV secolo) si attribuisce questa frase: “Cristo regna perché ha conquistato il nostro cuore, non con la violenza, ma con il sacrificio. La sua croce è il suo trono, e dalla croce egli giudica il mondo con amore, offrendo la vita eterna a chi si sottomette alla sua volontà divina.”
*Santa Caterina da Siena, nella sua opera “Il Dialogo della Divina Provvidenza” scrive:
“Cristo è dolce re, perché il suo regno non è fondato sull’orgoglio né sulla forza, ma sull’amore e sull’umiltà. Egli ha fatto della sua carne un ponte tra cielo e terra, perché l’uomo potesse attraversarlo e giungere al regno eterno. La sua corona è di spine, segno dell’amore con cui ha preso su di sé le pene dei suoi sudditi; il suo trono è la croce, da cui ha governato con misericordia e giustizia.”
*Dietrich Bonhoeffer pastore protestante nel suo libro “Discepolato” scrive: “Cristo è il Re che porta la croce, e il suo regno è il regno della croce. Chi lo segue entra nella sua signoria non con potenza o gloria, ma con l’umiltà di colui che accetta il peso del proprio giogo. Cristo regna su di noi perché ha scelto di morire per noi, e in questo è la nostra vera libertà.”
*G.K. Chesterton nel suo libro “Ortodossia” scrive: “Cristo non solo è un re, ma il re dei paradossi. La sua corona è fatta di spine, eppure è la più gloriosa; il suo trono è la croce, eppure è il più elevato; il suo potere si manifesta nella resa, eppure nessuno ha mai regnato con maggiore autorità. Egli è il re che trasforma il dolore in gioia e la morte in vita.”
Buona solennità di Cristo Re dell’universo a voi tutti !
+ Giovanni D’Ercole
Istanze del mondo, idea di ‘perfezione’, senso del Cristo
(Lc 21,5-11)
Nel suo Discorso Apocalittico Lc vuol farci meditare sul senso della storia e su ‘ciò che permane’... ma quante condizioni avverse e opposizioni!
Quindi mira a sostenere la speranza della gente povera e sotto persecuzione delle sue comunità.
Certo, la Fede volge al Dio che guida la storia. Egli ne è Signore; però l’oggi rimane oscuro e incerto, così restiamo come braccati da istanze che non ci corrispondono - ma sopravanzano.
Anche alcuni credenti iniziavano a dubitare: Dio ha davvero il controllo dei fatti e del cosmo? È la stessa domanda che ci poniamo oggi: in mezzo a tante sciagure, dove andremo a finire?
Per non farsi confondere e plagiare, deve subentrare una migliore consapevolezza, un affinamento della percezione, onde discernere il senso dei “regni” che si avvicendano e passano.
La Chiesa autentica ha una nuova Visione, che appunto caldeggia questi terremoti e calamità, ossia gli sconquassi delle concatenazioni del mondo antico.
D’altro canto i sommovimenti non disintegrano la creazione: ne preparano una radicalmente nuova.
Bisogna resistere dentro e applicarsi - forse avendo più cura del carattere del tempo, degli amici inconsueti dell’anima, e trascurando l’idea ereditata [o imposta] di ‘perfezione’.
Tanti mondi costruiti dalla mente e dalle mani dell’uomo s’immaginavano perpetui, addirittura il Fine di tutto.
Invece continuano a crollare, trascinando via antiche espressioni, convinzioni, costumi, egemonie, visioni delle cose.
Ogni era porta con sé lo sgretolamento delle umane edificazioni e dei suoi imperi - fragili e inconsistenti, nonostante le apparenze contrarie (e il senso di permanenza con cui li interpretavamo).
Le funzioni della terra non hanno altra legge che quella di perire: sono minate alla base, destinate a evaporare.
In un attimo passano dal controllo allo sfaldamento e dal predominio all’insignificanza.
Basta un rovesciamento.
Viceversa, il Regno nuovo si presenta intimo e sottovoce: per questo non rimane scheggiato da eventi esterni.
Ad alcuni sconvolgimenti non bisogna tanto resistere, quanto stare con essi.
L’obbiettivo è ‘ri-nascere’ - come figli, ancora rigenerati, che percorrono un altro Eros fondante [cui abbandonarsi, altrimenti non potrà svolgere la sua alta funzione].
Esso si stabilisce nei cuori e li trasforma; li cementa, senza clamore: con una potenza grandissima, sovversiva, che fa scattare nuove forme - ma con virtù segreta.
Ha un altro passo, accogliente, e un diverso tempo.
Così non perdiamo alcuna parte di noi, anzi facciamo crescere tutti i lati della personalità e delle relazioni.
È la Fede plurale che accoglie gli opposti, a solidificare le pietre.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi gli sconvolgimenti?
Appalti la tua libertà o accendi le tue potenze segrete più sfolgoranti (anche opposte)?
[Martedì 34.a sett. T.O. 26 novembre 2024]
Istanze del mondo, idea di ‘perfezione’, senso del Cristo
(Lc 21,5-11)
Nel suo Discorso Apocalittico Lc vuol farci meditare sul senso della storia e su ‘ciò che permane’... ma quante condizioni avverse e opposizioni!
Quindi mira a sostenere la speranza [non fittizia e tuttavia frustrata] della gente povera e sotto persecuzione delle sue comunità.
Certo, la Fede volge al Dio che guida la storia. Egli ne è Signore; però l’oggi rimane oscuro e incerto; in tal guisa restiamo come braccati da istanze che non ci corrispondono - ma sopravanzano.
Anche alcuni credenti iniziavano a dubitare: Dio ha davvero il controllo dei fatti e del cosmo? È la stessa domanda che ci poniamo oggi: in mezzo a tante sciagure, dove andremo a finire?
Come mordere la vita e realizzarsi pur nell’emergenza? In che modo vivere i conflitti e lo sconcerto, senza lasciarsi travolgere dagli eventi? Come mai affiorano tante oscurità, che non ci piacciono?
In tempi di mutamento, insicurezza globale e inquietudine politica, continuano a spuntare carie parassite, che accentuano il disorientamento, sentimenti d’inadeguatezza; forse i sensi di colpa.
Ecco gli astuti del quartierino che (pure nel sottobosco ecclesiale) vogliono trarre vantaggio dal turbamento e dalla confusione, ingannando le anime deboli e spaesate - perfino i giovani.
Per non farsi abbindolare, confondere e plagiare, deve subentrare una migliore consapevolezza, un affinamento della percezione, onde discernere il senso dei “regni” che si avvicendano e passano.
La sovranità di Dio propugna una maturazione della ‘messe’ con la luce e il calore dello Spirito, un più approfondito discernimento sul genio e i fatti del secolo.
Non escluse le brutture: anch’esse hanno il potere di attivarci, per cercare nuove armonie.
La Chiesa autentica ha una nuova Visione, che appunto caldeggia questi terremoti e calamità, ossia gli sconquassi del mondo antico - esso che, oggi come sempre, traballa e volge alla fine.
D’altro canto i sommovimenti non disintegrano la creazione: ne preparano una radicalmente nuova.
Bisogna resistere dentro e applicarsi - forse avendo più cura del carattere del tempo, degli amici inconsueti dell’anima, e trascurando l’idea ereditata [o imposta] di “perfezione”.
Tanti mondi costruiti dalla mente e dalle mani dell’uomo s’immaginavano perpetui, addirittura il Fine di tutto.
Invece continuano a crollare, trascinando via antiche espressioni, convinzioni, costumi, egemonie, visioni delle cose…
Ogni era porta con sé lo sgretolamento delle umane edificazioni e dei suoi imperi - fragili e inconsistenti, nonostante le apparenze contrarie (e il senso di permanenza con cui li interpretavamo).
Quindi anche il Tempio di mattoni e stucchi - centro della vita e dell’identità del popolo - è destinato all’agonia, alla frantumazione, alla più miserevole rovina, a essere raso al suolo... malgrado la sua imponente magnificenza.
Ci disorienta, certo. Ma se unilaterale, non più rende presente, bensì dissolve il Mistero - concentrazione di novità e amore.
Quando ad esempio si chiudono le frontiere culturali [e la ricerca di profondità] per timore dei “problemi”, e ci si fa intransigenti, il presente devoto diviene una pura realtà del mondo, che presto o tardi sarà smantellata.
Le funzioni della terra non hanno altra legge che quella di perire: sono minate alla base, destinate a evaporare. In un attimo passano dal controllo allo sfaldamento e dal predominio all’insignificanza.
Bellezza radiosa e “spessore” della città eterna e santa - coi suoi gelosi privilegi, nonché dottrine minute o generaliste (e terrificanti) - si tramutano in un sorpasso e rovesciamento: in un profilo di morte.
Basta un capovolgimento.
Futile immaginarla duratura e tenerla in piedi a tutti i costi.
Viceversa, il Regno nuovo si presenta intimo e sottovoce: per questo non rimane scheggiato da eventi esterni.
Ad alcuni sconvolgimenti non bisogna tanto resistere, quanto stare con essi.
L’obbiettivo è ‘ri-nascere’ - come figli, ancora rigenerati, che percorrono un altro Eros fondante [cui abbandonarsi, altrimenti non potrà svolgere la sua alta funzione].
Esso si stabilisce nei cuori e li trasforma; li cementa, senza clamore: con una potenza grandissima, sovversiva, che fa scattare nuove forme - ma con virtù segreta.
Ha un altro passo, accogliente, e un diverso tempo.
Così non perdiamo alcuna parte di noi, anzi facciamo crescere tutti i lati della personalità e delle relazioni.
È la Fede plurale che accoglie gli opposti, a solidificare le pietre.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi gli sconvolgimenti?
Appalti la tua libertà e insegui ciarlatani che fissano e peggiorano l’esistenza di tutti - o in Cristo li osteggi, accendendo Speranza e le tue potenze segrete più sfolgoranti (anche opposte)?
Il Roveto
Fede eccezionale, Conversione ardente
(Es 3,2-4)
Conversione in senso biblico non è tornare indietro, ma entrare dentro sé per non estraniarsi, e ritrovare la propria radice onde saper intervenire, liberando la vampa della propria Relazione essenziale.
La conversione non ha a che fare col tatticismo disinteressato di chi si chiude al mondo, evitando di farsi coinvolgere sino al momento in cui gli eventi non abbiano ripercussioni negative sui propri interessi.
Ma come prendere le misure della realtà, come comprenderla? Come capire se stessi? E da dove attingere orientamento, sapienza e forza per proporre soluzioni sagge e azioni efficaci?
Mosè è un fuoriuscito perché precipitoso. Il suo fare impulsivo lo ha costretto a fuggire nel deserto. Qui combina altri pasticci, ancora a causa del suo temperamento focoso. Così decide di darsi una calmata e una sistemazione.
Ma la soluzione non è quella di non immischiarsi in favore degli altri, scegliendo forzosamente una vita quieta. Quel suo Fuoco che gli brucia il petto e la mente non si estingue; anche sopito, lo porta sempre con sé.
Solo Dio capisce che proprio il suo lato oscuro e la sua carica irascibile - come nessun’altra energia - può renderlo protagonista d’’un disegno assurdo, in favore del popolo, e gli farà calcare situazioni e territori impervi.
Un compito rischioso, che obbligherà a tirar fuori la grinta, le pulsioni, la convinzione; ogni risorsa anche poco virtuosa. Una Missione unicamente sua, impossibile per altri animi più equilibrati e tranquilli.
Come spiegare la passione per la libertà degli umiliati?
Ce la troviamo dentro, come una fiamma che arde e non dà tregua. Essa risorge spontaneamente, malgrado i prudenti tentativi di soffocarla.
Per i suoi pazzeschi disegni di redenzione, Dio ha bisogno di qualcuno esattamente come noi, così come siamo. Con le nostre immense Risorse inespresse, celate persino dietro individuali puntigli sanguigni.
Qualità che sorgono spontanee e hanno un loro cammino di conversione, ma che prima o poi devono scendere in campo così come sono.
Esprimono noi stessi profondamente, e il Richiamo del Padre.
Diversi condizionamenti possono creare errori di percezione della nostra unicità personale; altrettanto, del suo sviluppo e destinazione.
Il grande rischio è quello di spendere la vita dissipando l’identità caratteriale alla ricerca d’illusioni indotte e riflessi condizionati: di ciò che non siamo e neanche vogliamo.
Non solo le distrazioni, ma anche il troppo ragionare può farci smarrire la via di quella dimora ch’è davvero nostra.
Continuare a insistere su ciò che danneggia lo sviluppo dell’anima e la sua piena fioritura, la rende indecisa o astuta e cocciuta - soprattutto se suggestionabile, timorosa, o anche ricettiva e indifesa.
Il nostro Eros fondante scende in campo quando si accorge che la realtà o il suo paradigma culturale (definito) possono farci perdere la strada.
La Vocazione allora si manifesta alla personale ‘visione’ in una sorta d’Immagine energetica, riservata e unica, che fa pensare coi sogni, ci fa da guida, trascina non si sa già perché e dove.
I credenti che sperimentano questo Fuoco interiore che non si estingue non sono introdotte in un mondo che vuole solo perdurare, tutto già cesellato e che ben conosce la mèta.
La Fiamma del Padre non si esprime attraverso artificiosità da recitare: vuole recuperare e condurre a casa tutte le risorse, la nostra essenza e i suoi monili - da esaltare invece che nascondere.
Gioielli tutti da estrarre dal mondo delle certezze disattente e rinchiuse. Fiori all’occhiello - non di rado celati dietro versanti e propensioni che (per l’occhio logorato da luoghi comuni) appaiono oscuri.
Spesso è proprio il nostro lato sconosciuto agli schemi la ‘scintilla’ che incalza e fa da terapia all’anima malata; la prende per mano, e con dovuta energia diventa guida alla scoperta rilevante di sé - e grande servizio altrui.
Il Roveto ardente nella carne - Rivelazione divina - si accende affinché realizziamo il Sogno dei nostri stessi sogni. Non perché l’anima diventi sempre più uguale e legata, o fondamentalista.
E solo il nostro Nucleo Fiaccola-che-non-si-consuma continuamente in atto, può evitare che chi nasce rivoluzionario dello spirito, poi [ma anche in fretta] sopravviva da poltronista.
Capita nella banalità delle ideologie come nel conformismo delle religioni, però non può succedere nella sfera della vita di Fede.
In tal guisa, la danza non è condotta da estraneità di controllo: fini, intenzioni, idee, progetti, o codici... bensì da potenze passionali e pulsive, che ogni giorno c’interrogano sulla marea che viene a trovarci.
La Provvidenza fa da regista, corteggia e dirige misteriosamente strategie irripetibili, che solcano la storia attraendo e trascinando, sbloccando meccanismi e potenziando energie - persino facendoci cambiare, rimodulare, o accentuare caratteri.
A tali linee personalissime ci si deve abbandonare. Non per bisogno, dovere, calcolo, né solo per capire qualcosa in più, bensì per goderne la Luce spirituale; i raggi d’Amore, vicini e lontani, creativi dell’interiore e di forze geniali [al contorno].
La Fiamma torna a speronarci per riaccendere il balsamo personale dell’istintività, le possibilità di realizzazione della nostra natura.
Il desiderio assurdo ch’esplode dentro vuole espandere le possibilità di Linfa - sia dell’albero che delle stesse radici - per farci diventare persone a tutto tondo.
Così non cercheremo più di assomigliare ai nostri “modelli”:
Il principio di tale trasmutazione che irrompe sullo scenario placido e convenzionale ha riproposto il motivo per cui siamo al mondo.
È il nostro compito che salva la vita... o l’aridità stessa dei “tipi” cui adeguarsi.
Eccoci allora ad azzerare e sorprendere il nostro lato nostalgico e morto, o il male oscuro di vivere - e lo sfiancarsi per una saggezza che non ha il di più della Sapienza.
Spento il fulgore e il bello della Fiaccola, la sua virtù energetica sulla nostra carne affievolisce, smorzando l’entusiasmo dell’anima - estinguendo l’agire (come in una posizione d’inedia).
Lo stato passionale è la forza del pensiero e dell’intelletto pratico.
Il coinvolgimento intimo fa volare la nostra identità-carattere, e ha ripercussioni significative sul prossimo.
È custodia dell’indipendenza. E ci integra, surclassando il senso d’imperfezione - o vuoto esistenziale.
L’Energia primordiale intelligente riconosce la nostra essenza; e riporta l’anima dalle vicende esterne al Nucleo: dalle vicissitudini, dalle cose, dalle ferite, al nostro essere intimo e più ricco.
Sa che dallo stimolo di tale centro sorgivo - legame intimo d’origine, primordiale - sprizzeranno eventi sbalorditivi, propensioni sconosciute, magie di accadimenti imprevisti.
Una nuova Creazione.
Da questa Casa della nuova vita e dei differenti inni, si sprigiona tutto un mondo di relazioni... nuovi impegni, intuizioni geniali; attitudini pratiche, che tessono la magia dell’anima sposa corrisposta.
È tale Fonte che subentra ancora, quando si accorge che non siamo compiuti, o che ci sentiamo da essa stessa traditi - ovvero per sorvolare le paure, il senso di desolazione, gli abbandoni amari. Come una potenza che richiama a noi stessi, ai nostri talenti inespressi, all’energia dello sguardo che coglie il senso di una storia, del genio del nostro territorio o tempo. E li varca, facendoci sporgere.
Diventa la bussola quotidiana della vita e delle trasformazioni. Ma sopporta male l’interferenza dei giudizi esterni, che non abitano nel profondo ma contribuiscono a creare l’atmosfera che circuisce attorno.
Sembra una forza che accade, un’energia che non può essere diretta né spiegata da un universo di significati pronti all’uso, da emozioni e simboli pianificanti, o manipolata per ottenere sottomissioni.
Pronta a risorgere come, quando e perché non ci aspettiamo; solo per rigenerare e rendere esponenziale l’inconsueta, autonoma semenza dell’anima. Così com’è: lo sforzo ascetico darebbe risultati scadenti.
La Sorgente nascosta si esprime in eventi impregnati di futuro, inzuppati da un’atmosfera di Presenza.
Accadimenti intrisi d’un intero versante della nostra personalità, e non solo di qualche propaggine del suo senso sociale [a nomenclatura].
Le Radici si manifestano in azioni che contengono saperi ancora inespressi ma fortemente potenziali, affettivamente vitali. Esse risolvono i problemi agendo a modo loro.
Proprio ciò che non conosciamo ancora di noi stessi (attitudini, desideri) può essere il segreto, la molla della nostra fioritura. Una scoperta che sgorga innata, non un strada insegnata e riconosciuta maestra.
La vera misura è più profonda.
Ci si smarrisce nelle banalità, se non si scopre il seme personale - e si presuppone di sapere già la direzione: cosa amare, come dire e fare secondo istruzioni.
Il mondo dei saperi acquisiti è viceversa spesso nemico del processo nascosto, il quale continua a voler svolgere il suo tema, e ripudiare ciò che non vuole assorbire, perché lo controbatterebbe.
Ed è questa tutta la partita: non affievolire, bensì intuire le attitudini e lasciare che siano, persino contraddittorie.
E danzino senza collocarle, identificarle, metterle in riga secondo costume o ideale - così inebetirle.
La caratteristica peculiare ha il sapore dell’Eterno.
Fa nascere incessantemente uno sguardo rinnovato, che si forma spontaneamente, strada facendo.
Preparando al Nuovo, che non sopporta le aspettative.
Quindi la scintilla imprevista del cuore [che mai combacia] non può essere umiliata, minacciata, frantumata, rimossa, o alienata.
È la nostra Inclinazione consistente, che libera un nitido fulgore d’Unicità.
Nell'odierna pagina evangelica, san Luca ripropone alla nostra riflessione la visione biblica della storia e riferisce le parole di Gesù, che invitano i discepoli a non avere paura, ma ad affrontare difficoltà, incomprensioni e persino persecuzioni con fiducia, perseverando nella fede in Lui. "Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni - dice il Signore -, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine" (Lc 21, 9). Memore di questo ammonimento, sin dall'inizio la Chiesa vive nell'attesa orante del ritorno del suo Signore, scrutando i segni dei tempi e mettendo in guardia i fedeli da ricorrenti messianismi, che di volta in volta annunciano come imminente la fine del mondo. In realtà, la storia deve fare il suo corso, che comporta anche drammi umani e calamità naturali. In essa si sviluppa un disegno di salvezza a cui Cristo ha già dato compimento nella sua incarnazione, morte e risurrezione. Questo mistero la Chiesa continua ad annunciare ed attuare con la predicazione, con la celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della carità.
Cari fratelli e sorelle, raccogliamo l'invito di Cristo ad affrontare gli eventi quotidiani confidando nel suo amore provvidente. Non temiamo per l'avvenire, anche quando esso ci può apparire a tinte fosche, perché il Dio di Gesù Cristo, che ha assunto la storia per aprirla al suo compimento trascendente, ne è l'alfa e l'omega, il principio e la fine (cfr Ap 1, 8). Egli ci garantisce che in ogni piccolo ma genuino atto di amore c'è tutto il senso dell'universo, e che chi non esita a perdere la propria vita per Lui, la ritrova in pienezza (cfr Mt 16, 25).
[Papa Benedetto, Angelus 18 novembre 2007]
1. Dopo aver meditato sul traguardo escatologico della nostra esistenza, cioè sulla vita eterna, vogliamo ora riflettere sul cammino che ad esso conduce. Sviluppiamo per questo la prospettiva presentata nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente: “Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il ‘figlio perduto’ (cfr Lc 15, 11-32). Tale pellegrinaggio coinvolge l’intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per raggiungere l’intera umanità” (n. 49).
In realtà, ciò che il cristiano vivrà un giorno in pienezza è già in qualche modo anticipato oggi. La Pasqua del Signore è infatti inaugurazione della vita del mondo che verrà.
2. L'Antico Testamento prepara l'annuncio di questa verità attraverso la complessa tematica dell'Esodo. Il cammino del popolo eletto verso la terra promessa (cfr Es 6, 6) è come una magnifica icona del cammino del cristiano verso la casa del Padre. Ovviamente la differenza è fondamentale: mentre nell’antico Esodo la liberazione era orientata al possesso della terra, dono provvisorio come tutte le realtà umane, il nuovo “Esodo” consiste nell'itinerario verso la casa del Padre, in prospettiva di definitività ed eternità, che trascende la storia umana e cosmica. La terra promessa dell’Antico Testamento fu perduta di fatto con la caduta dei due regni e con l’esilio babilonese, in seguito al quale si sviluppò l'idea di un ritorno come nuovo Esodo. Tuttavia questo cammino non si risolse unicamente in un altro insediamento di tipo geografico o politico, ma si aprì ad una visione “escatologica” che ormai preludeva alla piena rivelazione in Cristo. In questa direzione si muovono appunto le immagini universalistiche, che nel Libro di Isaia descrivono il cammino dei popoli e della storia verso una nuova Gerusalemme, centro del mondo (cfr Is 56-66).
3. Il Nuovo Testamento annuncia il compimento di questa grande attesa, additando in Cristo il Salvatore del mondo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4, 4-5). Alla luce di questo annuncio la vita presente è già sotto il segno della salvezza. Questa si realizza nell’evento di Gesù di Nazaret che culmina nella Pasqua, ma avrà la sua piena realizzazione nella “parusia”, nell’ultima venuta di Cristo.
Secondo l’apostolo Paolo questo itinerario di salvezza che collega il passato al presente proiettandolo nell'avvenire è frutto di un disegno di Dio, tutto incentrato nel mistero di Cristo. Si tratta del “mistero della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle sulla terra” (Ef 1, 9-10; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1042s).
In questo disegno divino, il presente è il tempo del “già e non ancora”, tempo della salvezza già realizzata e del cammino verso la sua perfetta attuazione: “Finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13).
4. La crescita verso una tale perfezione in Cristo, e perciò verso l’esperienza del mistero trinitario, implica che la Pasqua si realizzerà e celebrerà pienamente solo nel regno escatologico di Dio (cfr Lc 22, 16). Ma l’evento dell’incarnazione, della croce e della risurrezione costituisce già la rivelazione definitiva di Dio. L’offerta di redenzione che tale evento implica si inscrive nella storia della nostra libertà umana chiamata a rispondere all'appello di salvezza.
La vita cristiana è partecipazione al mistero pasquale, come cammino di croce e risurrezione. Cammino di croce, perché la nostra esistenza è continuamente sotto il vaglio purificatore che porta al superamento del vecchio mondo segnato dal peccato. Cammino di risurrezione, perché risuscitando Cristo, il Padre ha sconfitto il peccato, per cui nel credente il “giudizio della croce” diventa “giustizia di Dio”, vale a dire trionfo della sua Verità e del suo Amore sulla perversità del mondo.
5. La vita cristiana è in definitiva una crescita verso il mistero della Pasqua eterna. Essa esige pertanto di tenere fisso lo sguardo alla meta, alle realtà ultime, ma al tempo stesso di impegnarsi nelle realtà ‘penultime’: tra queste e il traguardo escatologico non vi è opposizione, ma al contrario un rapporto di mutua fecondazione. Se va affermato sempre il primato dell’Eterno, ciò non impedisce che viviamo rettamente alla luce di Dio, le realtà storiche (cfr CCC, 1048s).
Si tratta di purificare ogni espressione dell’umano e ogni attività terrena, perché in esse traspaia sempre più il Mistero della Pasqua del Signore. Come infatti ci ha ricordato il Concilio, l’attività umana, che porta sempre con sé il segno del peccato, è purificata ed elevata a perfezione dal mistero pasquale, cosicché “i beni quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale” (Gaudium et spes, 39).
Questa luce d’eternità illumina la vita e l’intera storia dell’uomo sulla terra.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 11 agosto 1999]
L’odierno brano evangelico (Lc 21,5-19) contiene la prima parte del discorso di Gesù sugli ultimi tempi, nella redazione di san Luca. Gesù lo pronuncia mentre si trova di fronte al tempio di Gerusalemme, e prende spunto dalle espressioni di ammirazione della gente per la bellezza del santuario e delle sue decorazioni (cfr v. 5). Allora Gesù dice: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (v. 6). Possiamo immaginare l’effetto di queste parole sui discepoli di Gesù! Lui però non vuole offendere il tempio, ma far capire, a loro e anche a noi oggi, che le costruzioni umane, anche le più sacre, sono passeggere e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza. Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati!
Gesù sa che c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze. Perciò dice: «Badate di non lasciarvi ingannare» (v. 8), e mette in guardia dai tanti falsi messia che si sarebbero presentati (v. 9). Anche oggi ce ne sono! E aggiunge di non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità, perché anch’esse fanno parte della realtà di questo mondo (cfr vv. 10-11). La storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! Questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai!
Rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta; è quanto la comunità cristiana è chiamata a fare per andare incontro al “giorno del Signore”. Proprio in questa prospettiva vogliamo collocare l’impegno che scaturisce da questi mesi in cui abbiamo vissuto con fede il Giubileo Straordinario della Misericordia, che oggi si conclude nelle Diocesi di tutto il mondo con la chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali. L’Anno Santo ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti.
Gesù nel Vangelo ci esorta a tenere ben salda nella mente e nel cuore la certezza che Dio conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi. Sotto lo sguardo misericordioso del Signore si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male. Ma tutto quello che succede è conservato in Lui; la nostra vita non si può perdere perché è nelle sue mani. Preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti, attraverso le vicende liete e tristi di questo mondo, a mantenere salda la speranza dell’eternità e del Regno di Dio. Preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti a capire in profondità questa verità: Dio mai abbandona i suoi figli!
[Papa Francesco, Angelus 13 novembre 2016]
Spiccioli e festival del Dio vorace, in apparenze solenni
(Lc 21,1-4)
Gesù fronteggia il tesoro del Tempio, vero “dio” di tutto il santuario. Il confronto è spietato: uno contrapposto all’altro [v.1; cf. Mc 12,41].
Enigma che non poteva risolversi con una semplice “purificazione” del luogo sacro, o un rabberciamento della devozione.
Sorprenderà, ma il brano di Vangelo non tesse lodi dell’umiltà individuale che per fede si priva di tutto: è piuttosto un richiamo radicale ai responsabili di chiesa e al senso dell’istituzione.
Il Signore si rattrista di ogni espropriazione condizionata dalla paura. Il timore infatti toglie vita a coloro che non godono pienezza.
Cristo piange la condizione subalterna dei miseri e trascurati: non la fa salire in cattedra. Non accredita la situazione. Non vuole che la donna già nuda di due centesimi si spogli tutta.
Sembra affranto per quell’unica figura silenziosa; a sottolineare la differenza tra esigenze voraci del Dio delle religioni antiche e quelle di tutt’altro segno - in nostro favore - del Padre nella Fede.
Mentre Gesù notava e piangeva il gesto minuto della piccola donna, gli Apostoli neppure si accorsero dell’irrilevante poverella, continuando a rimanere a bocca aperta di fronte alla magnificenza del Tempio.
Chissà cosa inseguivano sognando... sedotti dall’onore.
Per distoglierli dalla febbre di reputazione e considerazioni di cui desideravano fregiarsi, c’era bisogno di una presa di coscienza; ma per smuoverli dal loro posto e metro di giudizio non sarebbero stati sufficienti i miracoli.
Così Gesù cerca di trasmettere in coscienza la Lieta Notizia che il Padre è l’esatto contrario di come era stato loro dipinto dalle guide spirituali del tempo.
L’Eterno sconcerta: non prende, non si appropria, non ci scippa, né assorbe o debilita - ma è Lui che dona.
Non mette in castigo se non lo plachi con entrambe le monetine che hai, senza trattenerne neppure una - anche solo facendo a metà (v.2).
L’onore a Dio non è esclusivo, bensì inclusivo.
Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti, potremmo dire che nelle comunità autentiche [come nelle famiglie] «tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono» (n.230).
Il Figlio constata con amarezza che proprio i bei protagonisti «divorano le case delle vedove» (Lc 20,47) come vampiri. Tanto convincenti da rendere le anime semplici addirittura loro sostenitrici e vittime.
Cristo si rattrista di tale inconsapevole complicità, indotta dalla mancata conoscenza del Volto del Padre - predicato come un Dio sanguisuga.
Infatti nel cammino di Fede personale i veri credenti non sono ripetitori di ruoli esterni (Lc 20,45-47).
Collaboriamo all’opera creatrice e divinizzante dell’Eterno nel proporci al pari di alimento vitale in favore dell’umanità cui è stato tolto lo Sposo - qui nella figura della povera «vedova» che si dissangua.
Insomma, non ci si deve più macerare e sfiancare, a motivo della gloria dell’Onnipotente, bensì arricchire di Lui e pronunciare appieno!
Un Dio tutta sostanza, di scarsa apparenza epidermica.
Eppure l’antitesi ricchi-poveri si stava ripresentando nelle prime comunità… a discapito degli isolati.
Qui proprio il rovesciamento delle sorti doveva diventare caratteristica della Chiesa adorante, che s’immerge nello stesso ritmo della suprema Sorgente vitale.
Sarà dunque l’istituzione amabile a restare spoglia e pellegrina, anche nello spazio del piccolo e malfermo.
E l’azione delle assemblee di credenti, a poter attivare un mondo nuovo, conviviale, in grado di umanizzare le disarmonie.
Realtà che batte il ‘tempo’. Per un ‘Regno’ davvero non neutrale. Ma dove conta l’anima, non il curriculum.
[Lunedì 34. sett. T.O. 25 novembre 2024]
Spiccioli e festival del Dio vorace, in apparenze solenni
(Lc 21,1-4)
Gesù trasmette la Lieta Notizia che il Padre è l’esatto contrario di come è stato immaginato.
Non prende, non si appropria, non ci scippa né assorbe o debilita, ma è Lui che dona; non mette in castigo se non lo plachi con entrambe le monetine che hai, senza trattenerne neppure una (v.2).
L’onore a Dio non è esclusivo, bensì inclusivo.
Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti, potremmo dire che nelle comunità autentiche [come nelle famiglie] «tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono» (n.230).
In particolare, all’antitesi ricchi-poveri è annunciato il capovolgimento dello stile di vita, delle situazioni e delle sorti: caratteristica della Chiesa ideale, che resta pellegrina - anche nello spazio della Persona.
La sua buona ragione, le pratiche virtuose e le implicazioni pubbliche s’immergono nello stesso ritmo della suprema Sorgente vitale - che ama l’unicità, per la ricchezza comune.
Fatte salve le relazioni buone, l’istituzione può apparire poco seducente. Essa non s’impone a forza di condizioni sociali “favorevoli”, bensì è Presenza sul piano della Fede.
Amicizia che contempla un mondo nuovo, in grado di umanizzare le disarmonie.
Realtà che batte il tempo - perché ne è dentro e fuori, come l’Amore.
Conta l’anima, non il curriculum; neppure gli influssi condizionanti, che mettono solo in difficoltà.
Infatti la sensazione di essere scarsi o in ritardo inizia dal fare paragoni - e voler aggiungere, anticipare, pretendere un di più esterno.
Ma quel che vale nel rapporto con se stessi, con gli altri e con Dio è solo riuscire a esprimere la propria natura. Fare scelte in sintonia con l’essenza che caratterizza.
I calcoli sono devianti, non consoni; così le comparazioni. Il piccolo dettaglio fuggevole ma personale è decisivo.
È importante solo coincidere con ciò che siamo, in quel presente; in sincronia col proprio carattere.
Siamo ciò che siamo. Lo sviluppo andrà bene così.
Gesù fronteggia il tesoro del Tempio, vero “dio” di tutto il santuario. Il confronto è spietato: uno contrapposto all’altro [v.1; cf. Mc 12,41].
Enigma che non poteva risolversi con una semplice “purificazione” del luogo sacro, o un rabberciamento della devozione.
Il Figlio annuncia un Padre: non è colui che succhia le risorse e le energie delle creature, fino a spennarle.
I grandi luoghi di culto antichi erano delle vere e proprie banche, i cui proventi avrebbero dovuto in parte provvedere alle necessità dei poveri.
La paura dei castighi divini inculcati dalle false guide spirituali aveva pervertito la situazione: anche i bisognosi ritenevano di dover provvedere allo sfarzo, al culto, agli addobbi degli edifici sacri e al sostentamento dei professionisti del rito.
Gesù qui non loda l’austerità e l’umiltà di un’emarginata, ma guarda con tristezza la povera donna che si lascia imbrogliare i pensieri, diventando una paradossale complice del sistema diseducativo.
Poteva trattenere una monetina; le getta invano entrambe, e con esse «tutta la sua vita» (v.4 testo greco).
L’episodio originale e gesuano viene ripreso da Lc per una catechesi alle sue comunità, sulla base di eventi [cf. gli antichi scritti di Giacomo e Paolo] sotto gli occhi dei cristiani di seconda e terza generazione.
Le prime fraternità erano composte da gente semplice, ma con l’ingresso dei primi benestanti e le loro magnifiche offerte iniziarono a riproporsi i medesimi attriti sociali presenti nella vita dell’impero.
Le tensioni diventavano sempre più palesi in occasione sia di riunioni che dello spezzare il Pane.
L’insegnamento del gesto della vedova voleva essere un monito alla Comunione reale.
Insomma, il Regno di Dio è penetrazione nelle profondità della vita; con la dedizione che non si riduce a quantità materiali, né a porgere ciò che avanza - bensì ciò che si è.
Nel contesto della società plurale [dell’impero romano e odierno] dalla Fede responsabile e motivata sorge l’Appello elementare dei Vangeli.
Richiamo antico e attuale - per un’esperienza singolare e comune. Davvero non neutrale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali ritieni essere i personaggi di spicco della tua comunità?
E i tuoi due centesimi? Ne trattieni almeno uno?
Cosa invece metti più di tutti?
I problemi della gente possono essere risolti solo con molto denaro?
Le monete dei ragguardevoli sono davvero più utili dei tuoi pochi spiccioli?
Chiesa, e la Luce
Nella vedova che getta le sue due monetine nel tesoro nel tempio possiamo vedere l’«immagine della Chiesa» che deve essere povera, umile e fedele. Parte dal vangelo del giorno, tratto dal capitolo 21 di Luca (1-4), la riflessione di Papa Francesco durante la messa a Santa Marta lunedì 24 novembre. Nell’omelia viene richiamato il passo in cui Gesù, «dopo lunghe discussioni» con i sadducei e con i discepoli riguardo ai farisei e agli scribi che «si compiacciono di avere i primi posti, i primi seggi nelle sinagoghe, nei banchetti, di essere salutati», alzato lo sguardo «vede la vedova». Il «contrasto» è immediato e «forte» rispetto ai «ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio». Ed è proprio la vedova «la persona più forte qui, in questo brano».
Della vedova, ha spiegato il Pontefice, «si dice due volte che è povera: due volte. E che è nella miseria». È come se il Signore avesse voluto sottolineare ai dottori della legge: «Avete tante ricchezze di vanità, di apparenza o anche di superbia. Questa è povera. Voi, che mangiate le case delle vedove...». Ma «nella Bibbia l’orfano e la vedova sono le figure dei più emarginati» così come anche i lebbrosi, e «per questo ci sono tanti comandamenti per aiutare, per prendersi cura delle vedove, degli orfani». E Gesù «guarda questa donna sola, semplicemente vestita» e «che getta tutto quello che ha per vivere: due monetine». Il pensiero corre anche a un’altra vedova, quella di Sarepta, «che aveva ricevuto il profeta Elia e ha dato tutto quello che aveva prima di morire: un po’ di farina con l’olio...».
Il Pontefice ha ricomposto la scena narrata dal Vangelo: «Una povera donna in mezzo ai potenti, in mezzo ai dottori, ai sacerdoti, agli scribi... anche in mezzo a quei ricchi che gettavano le loro offerte, e anche alcuni per farsi vedere». A loro Gesù dice: «Questo è il cammino, questo è l’esempio. Questa è la strada per la quale voi dovete andare». Emerge forte il «gesto di questa donna che era tutta per Dio, come la vedova Anna che ha ricevuto Gesù nel Tempio: tutta per Dio. La sua speranza era solo nel Signore».
«Il Signore sottolinea la persona della vedova», ha detto Francesco, e ha continuato: «Mi piace vedere qui, in questa donna una immagine della Chiesa». Innanzitutto la «Chiesa povera, perché la Chiesa non deve avere altre ricchezze che il suo Sposo»; poi la «Chiesa umile, come lo erano le vedove di quel tempo, perché in quel tempo non c’era la pensione, non c’erano gli aiuti sociali, niente». In un certo senso la Chiesa «è un po’ vedova, perché aspetta il suo Sposo che tornerà». Certo, «ha il suo Sposo nell’Eucaristia, nella parola di Dio, nei poveri: ma aspetta che torni».
E cosa spinge il Papa a «vedere in questa donna la figura della Chiesa»? Il fatto che «non era importante: il nome di questa vedova non appariva nei giornali, nessuno la conosceva, non aveva lauree... niente. Niente. Non brillava di luce propria». E la «grande virtù della Chiesa» dev’essere appunto quella «di non brillare di luce propria», ma di riflettere «la luce che viene dal suo Sposo». Tanto più che «nei secoli, quando la Chiesa ha voluto avere luce propria, ha sbagliato». Lo dicevano anche «i primi Padri», la Chiesa è «un mistero come quello della luna. La chiamavano mysterium lunae: la luna non ha luce propria; sempre la riceve dal sole».
Certo, ha specificato il Papa, «è vero che alcune volte il Signore può chiedere alla sua Chiesa di avere, di prendersi un po’ di luce propria», come quando chiese «alla vedova Giuditta di deporre le vesti di vedova e indossare le vesti di festa per fare una missione». Ma, ha ribadito, «sempre rimane l’atteggiamento della Chiesa verso il suo Sposo, verso il Signore». La Chiesa «riceve la luce da là, dal Signore» e «tutti i servizi che noi facciamo» in essa servono a «ricevere quella luce». Quando un servizio manca di questa luce «non va bene», perché «fa che la Chiesa diventi o ricca, o potente, o che cerchi il potere, o che sbagli strada, come è accaduto tante volte, nella storia, e come accade nelle nostre vite quando noi vogliamo avere un’altra luce, che non è proprio quella del Signore: una luce propria».
Il Vangelo, ha notato il Papa, presenta l’immagine della vedova proprio nel momento in cui «Gesù incomincia a sentire le resistenze della classe dirigente del suo popolo: i sadducei, i farisei, gli scribi, i dottori della legge». Ed è come se egli dicesse: «Succede tutto questo, ma guardate lì!», verso quella vedova. Il confronto è fondamentale per riconoscere la vera realtà della Chiesa che «quando è fedele alla speranza e al suo Sposo, è gioiosa di ricevere la luce da lui, di essere — in questo senso — vedova: aspettando quel sole che verrà».
Del resto, «non a caso il primo confronto forte, dopo quello che ha avuto con Satana, che Gesù ha avuto a Nazareth, è stato per aver nominato una vedova e per aver nominato un lebbroso: due emarginati». C’erano «tante vedove, in Israele, a quel tempo, ma soltanto Elia è stato inviato da quella vedova di Sarepta. E loro si arrabbiarono e volevano ucciderlo».
Quando la Chiesa, ha concluso Francesco, è «umile» e «povera», e anche quando «confessa le sue miserie — poi tutti ne abbiamo — la Chiesa è fedele». È come se essa dicesse: «Io sono oscura, ma la luce mi viene da lì!». E questo, ha aggiunto il Pontefice, «ci fa tanto bene». Allora «preghiamo questa vedova che è in cielo, sicuro», affinché «ci insegni a essere Chiesa così», rinunciando a «tutto quello che abbiamo» e non tenendo «niente per noi» ma «tutto per il Signore e per il prossimo». Sempre «umili» e «senza vantarci di avere luce propria», ma «cercando sempre la luce che viene dal Signore».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2014]
Al centro della Liturgia della Parola […] troviamo il personaggio della vedova povera, o, più precisamente, troviamo il gesto che ella compie gettando nel tesoro del Tempio gli ultimi spiccioli che le rimangono. Un gesto che, grazie allo sguardo attento di Gesù, è diventato proverbiale: “l’obolo della vedova”, infatti, è sinonimo della generosità di chi dà senza riserve il poco che possiede. Prima ancora, però, vorrei sottolineare l’importanza dell’ambiente in cui si svolge tale episodio evangelico, cioè il Tempio di Gerusalemme, centro religioso del popolo d’Israele e il cuore di tutta la sua vita. Il Tempio è il luogo del culto pubblico e solenne, ma anche del pellegrinaggio, dei riti tradizionali, e delle dispute rabbiniche, come quelle riportate nel Vangelo tra Gesù e i rabbini di quel tempo, nelle quali, però, Gesù insegna con una singolare autorevolezza, quella del Figlio di Dio. Egli pronuncia giudizi severi - come abbiamo sentito - nei confronti degli scribi, a motivo della loro ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano. Gesù, insomma, si dimostra affezionato al Tempio come casa di preghiera, ma proprio per questo lo vuole purificare da usanze improprie, anzi, vuole rivelarne il significato più profondo, legato al compimento del suo stesso Mistero, il Mistero della Sua morte e risurrezione, nella quale Egli stesso diventa il nuovo e definitivo Tempio, il luogo dove si incontrano Dio e l’uomo, il Creatore e la Sua creatura.
L’episodio dell’obolo della vedova si inscrive in tale contesto e ci conduce, attraverso lo sguardo stesso di Gesù, a fissare l’attenzione su un particolare fuggevole ma decisivo: il gesto di una vedova, molto povera, che getta nel tesoro del Tempio due monetine. Anche a noi, come quel giorno ai discepoli, Gesù dice: Fate attenzione! Guardate bene che cosa fa quella vedova, perché il suo atto contiene un grande insegnamento; esso, infatti, esprime la caratteristica fondamentale di coloro che sono le “pietre vive” di questo nuovo Tempio, cioè il dono completo di sé al Signore e al prossimo; la vedova del Vangelo, come anche quella dell’Antico Testamento, dà tutto, dà se stessa, e si mette nelle mani di Dio, per gli altri. È questo il significato perenne dell’offerta della vedova povera, che Gesù esalta perché ha dato più dei ricchi, i quali offrono parte del loro superfluo, mentre lei ha dato tutto ciò che aveva per vivere (cfr Mc 12,44), e così ha dato se stessa.
A Dio è bastato il sacrificio di Gesù, offerto “una volta sola”, per salvare il mondo intero (cfr Eb 9,26.28), perché in quell’unica oblazione è condensato tutto l’Amore del Figlio di Dio fattosi uomo, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l’amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere. La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, dall’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo.
[Papa Benedetto, omelia Brescia 8 novembre 2009]
The evangelization of the world involves the profound transformation of the human person (Pope John Paul II)
L'opera evangelizzatrice del mondo comporta la profonda trasformazione delle persone (Papa Giovanni Paolo II)
The "widow" represents the soul of the People from whom God, the Bridegroom, has been stolen. The "poor" is such because she is the victim of a deviant teaching: a doctrine that arouses fear, more than humility or a spirit of totality. Jesus mourns the condition of she who should have been helped by the Temple instead of impoverished
La “vedova” raffigura l’anima del Popolo cui è stato sottratto Dio, lo Sposo. La “povera” è tale perché vittima di un insegnamento deviante: dottrina che suscita timore, più che umiltà o spirito di totalità. Gesù piange la condizione di colei che dal Tempio avrebbe dovuto essere aiutata, invece che impoverita
Jesus has forever interrupted the succession of ferocious empires. He turned the values upside down. And he proposes the singular work - truly priestly - of the journey of Faith: the invitation to question oneself. At the end of his earthly life, the Lord is Silent, because he waits for everyone to pronounce, and choose
Gesù ha interrotto per sempre il susseguirsi degli imperi feroci. Ha capovolto i valori. E propone l’opera singolare - davvero sacerdotale - del cammino di Fede: l’invito a interrogarsi. Al termine della sua vicenda terrena il Signore è Silenzioso, perché attende che ciascuno si pronunci, e scelga
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
Disclaimer
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.