don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo di questa Domenica (Mc 10, 46-52) leggiamo che, mentre il Signore passa per le vie di Gerico, un cieco di nome Bartimeo si rivolge verso di Lui gridando forte: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Questa preghiera tocca il cuore di Cristo, che si ferma, lo fa chiamare e lo guarisce. Il momento decisivo è stato l'incontro personale, diretto, tra il Signore e quell'uomo sofferente. Si trovano l'uno di fronte all'altro: Dio con la sua volontà di guarire e l'uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti: "Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore. "Che io riabbia la vista!", risponde il cieco. "Va', la tua fede ti ha salvato". Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell'uomo. E Bartimeo, venuto alla luce - narra il Vangelo - "prese a seguirlo per la strada": diventa cioè un suo discepolo e sale col Maestro a Gerusalemme, per partecipare con Lui al grande mistero della salvezza. Questo racconto, nell'essenzialità dei suoi passaggi, evoca l'itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche "Illuminazione".

La fede è un cammino di illuminazione: parte dall'umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all'incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell'amore. Su questo modello sono impostati nella Chiesa gli itinerari di iniziazione cristiana, che preparano ai sacramenti del Battesimo, della Confermazione (o Cresima) e dell'Eucaristia. Nei luoghi di antica evangelizzazione, dove è diffuso il Battesimo dei bambini, vengono proposte ai giovani e agli adulti esperienze di catechesi e di spiritualità che permettono di percorrere un cammino di riscoperta della fede in modo maturo e consapevole, per assumere poi un coerente impegno di testimonianza. Quanto è importante il lavoro che i Pastori e i catechisti compiono in questo campo! La riscoperta del valore del proprio Battesimo è alla base dell'impegno missionario di ogni cristiano, perché vediamo nel Vangelo che chi si lascia affascinare da Cristo non può fare a meno di testimoniare la gioia di seguire le sue orme. In questo mese di ottobre, particolarmente dedicato alla missione, comprendiamo ancor più che, proprio in forza del Battesimo, possediamo una connaturale vocazione missionaria.

Invochiamo l'intercessione della Vergine Maria, affinché si moltiplichino i missionari del Vangelo. Intimamente unito al Signore, possa ogni battezzato sentire di essere chiamato ad annunciare a tutti l'amore di Dio, con la testimonianza della propria vita.

[Papa Benedetto, Angelus 29 ottobre 2006]

Ott 15, 2024

Luce vera

Pubblicato in Angolo dell'ottimista

3. Ciò che fa più impressione oggi, nella società moderna in cui viviamo, è forse la perdita in molti del vero senso della vita. In un vasto settore dell’odierna società si è oscurato o talvolta è stato smarrito il significato trascendente dell’esistenza. E, non conoscendo più perché e per chi si vive, è facile essere travolti dall’impeto delle passioni, dall’egoismo, dalla crudeltà, dall’anarchia dei sensi, dalla distruzione della droga, dalla disperazione.

Dobbiamo rivolgere lo sguardo a Cristo: solo Lui “è la luce che splende nelle tenebre; Egli è la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,5.9).

Gesù è il Verbo incarnato, il Rivelatore e il Redentore, che annunzia con parola assoluta e definitiva, perché divina, il senso autentico della vita, dono prezioso dato da Dio, che è l’Amore misterioso e misericordioso, che dobbiamo accettare e far fruttificare, in funzione e nella prospettiva della felicità eterna. “lo sono la luce del mondo – disse Gesù – chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). È di questa luce fondamentale ed essenziale che hanno vivo bisogno gli uomini, sempre, ma particolarmente oggi. Come il cieco di Gerico, ricordato dal Vangelo, l’uomo moderno deve rivolgersi a Gesù, con totale fiducia. “Che cosa vuoi che io faccia per te?” – gli domandò il Divino Maestro; il cieco rispose: “Signore, che io possa di nuovo vedere!”. E Gesù lo guarì, dicendogli: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato!” (cf. Lc 18,35-43).

Solo Cristo può illuminarci in modo pieno sul problema della vita e della storia: siatene sempre convinti e testimoniate con coerenza e coraggio questa vostra fede!

[Papa Giovanni Paolo II, Todi 22 novembre 1981]

Oggi iniziamo un nuovo ciclo di catechesi sul tema della preghiera. La preghiera è il respiro della fede, è la sua espressione più propria. Come un grido che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio.

Pensiamo alla storia di Bartimeo, un personaggio del Vangelo (cfr Mc 10,46-52 e par.) e, vi confesso, per me il più simpatico di tutti. Era cieco, stava seduto a mendicare sul bordo della strada alla periferia della sua città, Gerico. Non è un personaggio anonimo, ha un volto, un nome: Bartimeo, cioè “figlio di Timeo”. Un giorno sente dire che Gesù sarebbe passato di là. In effetti, Gerico era un crocevia di gente, continuamente attraversata da pellegrini e mercanti. Allora Bartimeo si apposta: avrebbe fatto tutto il possibile per incontrare Gesù. Tanta gente faceva lo stesso: ricordiamo Zaccheo, che salì sull’albero. Tanti volevano vedere Gesù, anche lui.

Così quest’uomo entra nei Vangeli come una voce che grida a squarciagola. Lui non ci vede; non sa se Gesù sia vicino o lontano, ma lo sente, lo capisce dalla folla, che a un certo punto aumenta e si avvicina… Ma lui è completamente solo, e nessuno se ne preoccupa. E Bartimeo cosa fa? Grida. E grida, e continua a gridare. Usa l’unica arma in suo possesso: la voce. Comincia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47). E così continua, gridando.

Le sue urla ripetute danno fastidio, non sembrano educate, e molti lo rimproverano, gli dicono di tacere: “Ma sii educato, non fare così!”. Ma Bartimeo non tace, anzi, grida ancora più forte: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47). Quella testardaggine tanto bella di coloro che cercano una grazia e bussano, bussano alla porta del cuore di Dio. Lui grida, bussa. Quella espressione: “Figlio di Davide”, è molto importante; vuol dire “il Messia” – confessa il Messia –, è una professione di fede che esce dalla bocca di quell’uomo disprezzato da tutti.

E Gesù ascolta il suo grido. La preghiera di Bartimeo tocca il suo cuore, il cuore di Dio, e si aprono per lui le porte della salvezza. Gesù lo fa chiamare. Lui balza in piedi e quelli che prima gli dicevano di tacere, ora lo conducono dal Maestro. Gesù gli parla, gli chiede di esprimere il suo desiderio – questo è importante – e allora il grido diventa domanda: “Che io veda di nuovo, Signore!” (cfr v. 51).

Gesù gli dice: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (v. 52). Riconosce a quell’uomo povero, inerme, disprezzato, tutta la potenza della sua fede, che attira la misericordia e la potenza di Dio. La fede è avere due mani alzate, una voce che grida per implorare il dono della salvezza. Il Catechismo afferma che «l’umiltà è il fondamento della preghiera» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2559). La preghiera nasce dalla terra, dall’humus – da cui deriva “umile”, “umiltà” –; viene dal nostro stato di precarietà, dalla nostra continua sete di Dio (cfr ibid., 2560-2561).

La fede, lo abbiamo visto in Bartimeo, è grido; la non-fede è soffocare quel grido. Quell’atteggiamento che aveva la gente, nel farlo tacere: non era gente di fede, lui invece sì. Soffocare quel grido è una specie di “omertà”. La fede è protesta contro una condizione penosa di cui non capiamo il motivo; la non-fede è limitarsi a subire una situazione a cui ci siamo adattati. La fede è speranza di essere salvati; la non-fede è abituarsi al male che ci opprime e continuare così.

Cari fratelli e sorelle, cominciamo questa serie di catechesi con il grido di Bartimeo, perché forse in una figura come la sua c’è già scritto tutto. Bartimeo è un uomo perseverante. Intorno a lui c’era gente che spiegava che implorare era inutile, che era un vociare senza risposta, che era chiasso che disturbava e basta, che per favore smettesse di gridare: ma lui non è rimasto in silenzio. E alla fine ha ottenuto quello che voleva.

Più forte di qualsiasi argomentazione contraria, nel cuore dell’uomo c’è una voce che invoca. Tutti abbiamo questa voce, dentro. Una voce che esce spontanea, senza che nessuno la comandi, una voce che s’interroga sul senso del nostro cammino quaggiù, soprattutto quando ci troviamo nel buio: “Gesù, abbi pietà di me! Gesù, abbi pietà di me!”. Bella preghiera, questa.

Ma forse, queste parole, non sono scolpite nell’intero creato? Tutto invoca e supplica perché il mistero della misericordia trovi il suo compimento definitivo. Non pregano solo i cristiani: essi condividono il grido della preghiera con tutti gli uomini e le donne. Ma l’orizzonte può essere ancora allargato: Paolo afferma che l’intera creazione «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Gli artisti si fanno spesso interpreti di questo grido silenzioso del creato, che preme in ogni creatura ed emerge soprattutto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è un “mendicante di Dio” (cfr CCC, 2559). Bella definizione dell’uomo: “mendicante di Dio”. Grazie.

[Papa Francesco, Udienza Generale 6 maggio 2020]

XXVIII Domenica Tempo Ordinario (B) 13 ottobre 2024

1. “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Così si rivolge un tale sicuramente animato da buona volontà e da sincera intenzione a Gesù che gli risponde: se vuoi entrare nella vita eterna devi osservare i comandamenti cioè non uccidere, non rubare, non essere falso, non trattare male gli altri, onorare tuo padre e tua madre, e l’interlocutore replica che i comandamenti li conosce tutti e bene, li ha anche messi in pratica sin dalla sua giovinezza. Sicuramente si aspetta un plauso per questo, un giusto riconoscimento, cosa del resto ovvia se veramente è così fedele osservante della legge mosaica. Gesù però non è un dottore della legge, un rabbino maestro di dottrina e non si accontenta di spiegare che cosa bisogna fare per essere in regola con Dio. La fedele osservanza dei comandamenti costituisce solo una tappa e non il fine della vita. Come succede sempre quando s’incontra Dio, questa persona sta per incrociare la più grande occasione della sua esistenza: Gesù fissa lo sguardo su di lui, lo ama e in questo gesto c’è tutto. Qui siamo al centro del racconto ma anche della vita di quest’uomo, il momento in cui si può decidere il proprio destino lasciandosi fissare da uno sguardo d’amore che è proposta e richiesta, offerta e provocazione. In questi casi è rischioso e liberante fidarsi totalmente. Lasciarsi prendere o rifiutare l’amore di Dio è il problema stesso della vita eterna. Di questo incontro l’evangelista sembra offrire un dettaglio che solo l’interessato potrebbe riferire con tale finezza. Qualcuno pensa addirittura che san Marco stia raccontando ciò che ha vissuto da protagonista. Potrebbe essere infatti proprio lui, il giovane che nel racconto della passione (Mc14,51 s; 16,5 s) segue Gesù da lontano fino a quando nell’orto del Getsemani fugge nudo e abbandona tutto: diventerà poi fedele discepolo di Pietro e scriverà il secondo vangelo dove s’intravvedono tratti dal sapore autobiografico. Lo sguardo d’amore di Cristo continua ad essere fonte di tristezza fino a quando uno non si arrende e l’inquietudine che lascia nell’animo non può che essere feconda. Una sola cosa ti manca, gli dice Cristo! Non è un consiglio, è un invito ad aprire gli occhi, a svegliarsi dal sonno dell’incertezza, a capire di cosa abbiamo veramente bisogno per ereditare la vita eterna, per entrare nel Regno. Che cosa manca? Va', vendi tutto ciò che possiedi e donalo ai poveri. Non c’è qui una maniera diversa di esprimere il comandamento dell’amore per il prossimo? Il ricco ama il povero quando distribuisce tutto ciò che possiede a chi non ha nulla e nulla può rendergli in cambio. E l’amore per Dio va sempre unito a quest’amore concreto per gli altri: non si ama Dio che non si vede se non si ama il prossimo che invece ci attraversa la strada.  Vendi tutto, poi seguimi! Solo se sei libero puoi abbracciare il vangelo: la proposta della sequela è immediata e chiara. Qui però si tocca con mano il lato fragile dell’esistenza di quest’uomo che la tradizione talora identifica come il giovane ricco: ha capito che per seguire il Cristo e far parte del gruppo dei suoi discepoli, occorre essere libero di tutto e si è reso conto che le sue ricchezze lo rendono schiavo, come un tossico dipende dalla droga. Il risultato è che se ne va veramente triste e la sua tristezza appare come la confessione del suo egoismo. Il fatto che diventi triste è comunque un segno positivo perché sta prendendo coscienza e quando finirà di pensare che il cielo non si guadagna ma è offerta d’amore di Dio, sarà pronto per accogliere la salvezza, dono gratuito del Padre celeste e non conquista dell’uomo. Gesù lo ha provocato a privarsi di tutto, ha invertito la prospettiva: la salvezza non si può meritare, ma si riceve in ginocchio con animo riconoscente. Per poter giungere a fare questo non esiste altra strada che la libertà del cuore: occorre cioè essere pronti a distaccarsi da tutto ciò che in qualsiasi modo ci tiene legati e c’impedisce di amare sul serio. A questo punto, san Marco sembra prendersi il gusto di mostrare che anche gli apostoli non sono in sintonia con il pensiero di Gesù perché pure loro ragionano con la logica del merito. Siamo in fondo tutti, in un modo o l’altro, sotto molti aspetti schiavi di noi stessi!

2. Cosa può fare Gesù se non costatare la realtà?  Il Figlio dell’uomo, che è senza casa e non possiede nemmeno una pietra come cuscino, è venuto nel mondo per mostrare la strada della libertà che conduce alla felicità, e deve ammettere che anche persone buone come questo ricco personaggio e persino i suoi discepoli preferiscono il conto in banca al dono d’amore che egli propone. Narra il vangelo che alle parole di Gesù gli apostoli restano meravigliati, anzi sconcertati: nemmeno loro dunque sono in sintonia con il loro Maestro. Possiamo tuttavia capirli perché le ricchezze, come appare in alcuni testi dell’Antico Testamento, erano considerate un dono del cielo; colui pertanto che ne possedeva in abbondanza veniva considerato fortunato e benedetto. Gesù però, come in altre situazioni, non addolcisce il suo modo di esprimersi, non fa sconti perché non è venuto ad abolire la legge mosaica ma a portarla a pieno compimento e insiste: ”E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Ognuno di noi rassomiglia al cammello che pretende entrare attraverso la cruna di un ago. E’ un’immagine paradossale che sorprende sempre, anche se Gesù non è né il primo né l’unico a utilizzarla per indicare la quasi impossibilità di realizzare qualcosa. Esiste ad esempio un altro detto ebraico della stessa epoca, che troviamo nel Talmud di Babilonia, che parla di un elefante che passa per la cruna di un ago. Sicuramente l’immagine colpisce, anzi è shoccante, ma Gesù l’utilizza per mettere in guardia: è veramente difficile per chi ha il cuore appesantito da preoccupazioni materiali entrare nella logica del regno di Dio. L’attaccamento al benessere materiale, a ciò che possediamo finisce per farci sentire autosufficienti e facilmente ne diventiamo posseduti, perdendo l’opportunità di scoprire la bellezza della vita come dono. Tuttavia ciò che per gli uomini è impossibile diventa possibile a Dio e se lui può tutto, possiede anche ogni mezzo per salvarci: solo lui può e vuole salvarci perché salvarsi non è né facile né difficile: è assolutamente impossibile all’uomo. La salvezza non si acquista, è dono.

3. A questo punto Pietro prende la parola a nome di tutti: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Il passo necessario per. entrare nel Regno dei cieli lo abbiamo compiuto e ci siamo liberati di tutto, quindi meritiamo certamente qualcosa. Gesù li prende in parola e annuncia che hanno diritto alla ricompensa, ma questa ricompensa costa dolore e fatica: è la persecuzione seguendo le orme del Maestro perché la missione del discepolo conoscerà lo stesso mistero della croce, unico cammino di liberazione e di salvezza. Non vuole scoraggiarli e promette molto più di quanto hanno abbandonato per seguirlo: il centuplo di tutto, eccetto che per quanto riguarda il padre perché chi lascia tutto per seguire Gesù scopre il volto dell’unico Padre che è nei cieli. Il Padre ci attende nella vita eterna come dono e non come ricompensa. In definitiva staccarsi da tutto pone nel cuore umano le radici più profonde della speranza che spalanca le porte del cielo. Mi torna in mente in proposito una frase di Georges Bernanos, tratta dal celebre romanzo “Diario di un parroco di campagna” in cui esplora i temi della fede, della sofferenza e della speranza. Egli scrive: “credo proprio che il mondo sarà salvato dai poveri. Questi poveri ci sono solo che li conosciamo male perché si conoscono male anche tra di loro. Non hanno fatto alcun voto di povertà: è il buon Dio che glielo ha fatto, a loro insaputa. I poveri hanno il segreto della speranza”. Gesù è modello della povertà che incoraggia ad abbracciare, a servire e amare i poveri che diventano, come insegna san Vincenzo de Paoli “i nostri padroni” e san Luigi Orione aggiunge: “e noi i loro servitori” perché essi vivono concretamente, senza spesso rendersene conto, il dono della speranza e, oppressi dalle fatiche di questa vita terrena, attendono con fiducia il paradiso. “Tale povero – scrive Bernanos – mangia ogni giorno nella mano di Dio”.

+ Giovanni D’Ercole

XXVII Domenica del tempo ordinario (B) 6 ottobre 2024

1. Capita spesso, come in questa domenica, che il vangelo e la prima lettura si richiamino a vicenda quasi a completare il messaggio che Dio vuole comunicarci. Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, leggiamo: “Il Signore Dio disse: “Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gn2,18- 24). E’ meglio subito precisare che la Genesi non è un libro di storia, ma un testo sapienziale che risale al X secolo A.C., quando un teologo, probabilmente alla corte del re Salomone, ha voluto riflettere sulle inquietudini esistenziali dell’essere umano, chiedendosi, ad esempio “Perché la morte? Perché la sofferenza? Perché tanti problemi e difficoltà nella nostra vita? E per cercare una risposta, sviluppa un racconto simbolico analogo alle parabole di Gesù. L’autore del libro della Genesi non è quindi uno scienziato che vuole spiegarci il perché e il quando della creazione, bensì un credente che intende aiutarci a capire il progetto di Dio riguardo all’essere umano, con elementi simbolici da ben interpretare perché non si sta parlando di un’ipotetica prima coppia dell’umanità – Adamo ed Eva - , ma in generale dell’origine dell’umanità e infatti in ebraico la parola Adamo non è il nome di qualcuno, significa invece “terreno” cioè fatto di terra polverosa (adamah). Par la creazione della donna l’autore del testo sacro usa l’immagine del sonno e della costola tratta dall’uomo. Cosa vuole dirci la Parola di Dio? In primo luogo la donna è parte della creazione sin dall’origine e se questo per noi è un dato del tutto ovvio, in quell’epoca affermarlo costituiva una novità assoluta. In Mesopotamia, patria di Abramo, si pensava che la donna non era stata creata sin dall’inizio e che prima l’uomo viveva benissimo da solo.  La Bibbia invece pone la creazione della donna subito all’inizio e soprattutto la introduce come dono di Dio; senza di essa l’uomo non potrebbe essere felice e l’umanità risulterebbe incompleta. Le divinità delle popolazioni dell’epoca, spesso rivali tra di loro, creavano gli uomini per tenerli come schiavi; al contrario nella Bibbia Dio è Uno solo e creando l’uomo lo pone nel giardino del paradiso per essere felice insieme a lui. La frase “Non è bene che l'uomo sia solo” mostra che egli tiene molto alla nostra felicità e ciò costituisce una novità assoluta e importante: cioè la sessualità umana, intesa come relazione d’amore, è bella e buona, parte integrante del disegno originario della creazione, voluta da Diocome elemento unito al godimento relazionale tra uomo e donna.  L’idea della costola tratta da Adamo, evidenzia che il disegno del Creatore non è il dominio dell’uomo sulla donna, ma la loro uguaglianza nel dialogo, che implica al tempo stesso intimità e distanza in un clima di dono reciproco. L’ebraico ci aiuta a meglio percepire perché uomo si dice “Ish” e donna “isha”, due termini vicini che indicano appartenenza alla stessa famiglia, pur nella diversità dell’uno rispetto all’altra.

2. C’è un particolare su cui focalizziamo la nostra attenzione. Nel secondo capitolo della Genesi si legge che il Signore chiese all’uomo di dare il nome a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, affidandogli potere sull’intero creato. Adamo però “non trovò un aiuto che gli corrispondesse” (Gn2,20); solo davanti alla donna il suo grido è pieno di emozione e di riconoscenza nel senso che la riconosce come parte di sé stesso e per questo la considera il suo “alter ego”. Nello stupore di questo momento assumono risonanza le parole di Yahweh: ”voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”, perché sia la sua “interfaccia”. E quando precisa che “non è bene che l’uomo sia solo” non è da intendersi che è male per l’uomo restare celibe, ma che l’umanità è completa nella sua dualità di uomo e donna, in una relazione di dialogo che armonizza l’intimità col rispetto della reciproca alterità. Sta qui  la vocazione della coppia: essere immagine di Dio Uno e Comunione Trinitaria. Un altro libro sapienziale dell’Antico Testamento, Il Cantico dei Cantici, un poetico dialogo tra due amanti, rivela il mistero dell’intimità divina ricorrendo agli slanci, alla tenerezza e all’intimità d’una coppia di innamorati. Nella tradizione ebraica viene proclamato a Pasqua/Pesach, che cade sempre in primavera, un periodo di rinnovamento e fioritura, che ben si lega ai temi d’amore e fertilità espressi nel Cantico. Ancor più interessante è il fatto che gli ebrei proclamano il Cantico dei Cantici nella celebrazione pasquale, la festa dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo assumendo così un significato spirituale profondo: non si tratta solo di un inno all’amore umano, ma di una celebrazione della salvezza e della rinascita spirituale. Come gli ebrei furono liberati dalla schiavitù fisica, così l’amore divino dona alla vita degli uomini un nuovo inizio. E’ stato Il peccato originale a ferire l’incanto della relazione con Dio, e ciò si riflette sul rapporto coniugale diventato faticoso e difficile perché, scrive in proposito sant’Agostino: “il matrimonio è un bene del quale non si può spezzare l’unione senza peccato” (De bono conjugali,24)

3. Nel vangelo i farisei pongono a Gesù una domanda provocatoria sul divorzio, e lui, come sempre, non risponde in maniera diretta, li aiuta invece a cercare essi stessi gli elementi della risposta.  Il divorzio esisteva nell’Antico Testamento insieme all’atto di ripudio, non però codificato in maniera sistematica nella Torah, bensì soltanto citato nel Deuteronomio in un contesto specifico senza stabilire norme dettagliate (Dt 24,1-4). Ai tempi di Gesù era diventato una pratica relativamente diffusa ed esistevano interpretazioni e applicazioni pratiche diverse. Per Gesù non è importante la casistica, ma tornare al progetto originario di Dio che ha creato gli esseri umani a sua immagine - uomo e donna – affinché l’uomo staccatosi dalla sua famiglia si unisca alla donna in modo da formare una sola cosa (Gn 2, 24). Se la coppia riflette l’immagine di Dio la sua vocazione non può che essere l’indivisibilità, l’indissolubilità per cui diventa logica la conclusione: ”Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” . Facile a dirsi e complicato a realizzarsi come l’esperienza dimostra. Questo perché il matrimonio non è invenzione umana ma progetto di Dio, e diviene possibile portarlo a pieno compimento soltanto con il suo sostegno. Non bastano cioè la buona volontà e le risorse umane per conservare l’unità d’una coppia e della famiglia. Solo quando si prega e si vivere uniti a Dio, con il soccorso della sua misericordia ciò che impossibile umanamente diventa realtà possibile e sorgente di pacifica convivenza.  E’ l’eroismo delle coppie che abbracciano il vangelo sino al martirio dell’amore nonostante tutto: coppie di coniugi canonizzate e molte altre nascoste nella semplicità della fedeltà quotidiana. Esse superano con coraggio ostacoli e accettano che le inevitabili incomprensioni quotidiane non spezzino mai la loro unità che il Signore ha saldato con la consacrazione matrimoniale. Se questo è l’ideale che mai va nascosto né ridotto per paura di chiedere troppo a coloro che sono chiamati al matrimonio cristiano, una domanda interpella spesso le nostre comunità: che fare con le coppie che si sono perse per strada o che preferiscono al matrimonio la convivenza? Ogni pastore ha il dovere di accompagnare tutti con pazienza e apertura d’animo specialmente quando ferite laceranti ne segnato l’esistenza. Tuttavia, pur consapevoli delle problematiche esistenti, sarebbe un errore smettere di credere che soltanto l’amore di Dio può salvare l’unità della coppia e della famiglia dal naufragio del divorzio. Nel vangelo Gesù aggiunge: “per la durezza del vostro cuore” Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio facendo comprendere che la legge è solo una tappa della pedagogia divina, mentre l’obbiettivo resta sempre la suprema legge dell’amore. Il rischio è dunque “l’indurimento del cuore”, cioè la pretesa di poter contare soltanto sulle proprie forze. Facendo riferimento ai bambini, Gesù insegna che se si vuole conservare l’unità nella famiglia occorre conservare l’umile semplicità del bambino pieno di fiducia verso chi lo ama. Il segreto dunque è sperimentare l’amore misericordioso di Dio.

Buona domenica a tutti.

+Giovanni D’Ercole

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Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
People have a dream: to guess identity and mission. The feast is a sign that the Lord has come to the family
Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione. La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia
“By the Holy Spirit was incarnate of the Virgin Mary”. At this sentence we kneel, for the veil that concealed God is lifted, as it were, and his unfathomable and inaccessible mystery touches us: God becomes the Emmanuel, “God-with-us” (Pope Benedict)
«Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi” (Papa Benedetto)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situationsi
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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