Feb 27, 2025 Scritto da 

Perché al digiuno? Perché il digiuno?

1. “Proclamate il digiuno!” (Gal 1,14). Sono le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura del Mercoledì delle Ceneri. Le ha scritte il profeta Gioele e la Chiesa conformemente ad esse stabilisce la pratica di Quaresima, ordinando il digiuno. Oggi la pratica della Quaresima, definita da Paolo VI nella Costituzione Paenitemini, è notevolmente mitigata rispetto a quelle di una volta. In questa materia il Papa ha lasciato molto alla decisione delle Conferenze Episcopali dei singoli paesi, alle quali, pertanto, spetta il compito di adattare le esigenze del digiuno secondo le circostanze in cui si trovano le rispettive società. Egli ha ricordato pure che l’essenza della penitenza quaresimale è costituita non soltanto dal digiuno, ma anche dalla preghiera e dall’elemosina (opera di misericordia). Bisogna quindi decidere secondo le circostanze, in quanto lo stesso digiuno può essere “sostituito” da opere di misericordia e dalla preghiera. Lo scopo di questo particolare periodo nella vita della Chiesa è sempre e dappertutto la penitenza, cioè la conversione a Dio. La penitenza, infatti, intesa come conversione, cioè “metànoia”, forma un insieme, che la tradizione del Popolo di Dio già nell’antica alleanza e poi Cristo stesso hanno legato, in un certo modo, alla preghiera, all’elemosina e al digiuno.

Perché al digiuno?

In questo momento ci vengono forse in mente le parole con cui Gesù ha risposto ai discepoli di Giovanni Battista quando lo interrogavano: “Perché i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù rispose: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto, mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno” (Mt 9,15). Difatti il tempo di Quaresima ci ricorda che lo sposo ci è stato tolto. Tolto, arrestato, imprigionato, schiaffeggiato, flagellato, incoronato di spine, crocifisso... Il digiuno nel tempo di Quaresima è l’espressione della nostra solidarietà con Cristo. Tale è stato il significato della Quaresima attraverso i secoli e così rimane oggi.

“L’amore mio è stato crocifisso e non c’è più in me la fiamma che desidera le cose materiali”, come scrive il Vescovo di Antiochia Ignazio nella lettera ai Romani (S. Ignazio di Antiochia, Ad Romanos, VII, 2).

2. Perché il digiuno?

A questa domanda bisogna dare una risposta più ampia e profonda, perché diventi chiaro il rapporto tra il digiuno e la “metànoia”, cioè quella trasformazione spirituale, che avvicina l’uomo a Dio. Cercheremo quindi di concentrarci non soltanto sulla pratica dell’astensione dal cibo o dalle bevande – ciò infatti significa “il digiuno” nel senso comune – ma sul significato più profondo di questa pratica che, del resto, può e deve alle volte essere “sostituita” da qualche altra. Il cibo e le bevande sono indispensabili all’uomo per vivere, egli se ne serve e deve servirsene, tuttavia non gli è lecito abusarne sotto qualsiasi forma. La tradizionale astensione dal cibo e dalle bevande ha come fine di introdurre nell’esistenza dell’uomo non soltanto l’equilibrio necessario, ma anche il distacco da quello che si potrebbe definire “atteggiamento consumistico”. Tale atteggiamento è divenuto nei nostri tempi una delle caratteristiche della civiltà e in particolare della civiltà occidentale. L’atteggiamento consumistico! L’uomo orientato verso i beni materiali, molteplici beni materiali, molto spesso ne abusa. Non si tratta qui unicamente del cibo e delle bevande. Quando l’uomo è orientato esclusivamente verso il possesso e l’uso di beni materiali, cioè delle cose, allora anche tutta la civiltà viene misurata secondo la quantità e la qualità delle cose che è in grado di fornire all’uomo, e non si misura con il metro adeguato all’uomo. Questa civilizzazione infatti fornisce i beni materiali non soltanto perché servano all’uomo a svolgere le attività creative e utili, ma sempre di più... per soddisfare i sensi, l’eccitazione che ne deriva, il piacere momentaneo, una sempre maggiore molteplicità di sensazioni.

Alle volte si sente dire che l’incremento eccessivo dei mezzi audio-visivi nei paesi ricchi non sempre giova allo sviluppo dell’intelligenza, particolarmente nei bambini; al contrario, talvolta contribuisce a frenarne lo sviluppo. Il bambino vive solo di sensazioni, cerca delle sensazioni sempre nuove... E diventa così, senza rendersene conto, schiavo di questa passione odierna. Saziandosi di sensazioni, rimane spesso intellettualmente passivo; l’intelletto non si apre alla ricerca della verità; la volontà resta vincolata dall’abitudine, alla quale non sa opporsi.

Da ciò risulta che l’uomo contemporaneo deve digiunare, cioè astenersi non soltanto dal cibo o dalle bevande, ma da molti altri mezzi di consumo, di stimolazione, di soddisfazione dei sensi. Digiunare significa astenersi, rinunciare a qualcosa.

3. Perché rinunciare a qualcosa? Perché privarsene? Abbiamo già in parte risposto a questo quesito. Tuttavia la risposta non sarà completa, se non ci rendiamo conto che l’uomo è se stesso anche perché riesce a privarsi di qualcosa, perché è capace di dire a se stesso: “no”. L’uomo è un essere composto di corpo e di anima. Alcuni scrittori contemporanei presentano questa struttura composta dell’uomo sotto la forma di strati e parlano, ad esempio, di strati esteriori in superficie della nostra personalità, contrapponendoli agli strati in profondità. La nostra vita sembra esser divisa in tali strati e si svolge attraverso di essi. Mentre gli strati superficiali sono legati alla nostra sensualità, gli strati profondi sono espressione invece della spiritualità dell’uomo, cioè: della volontà cosciente, della riflessione, della coscienza, della capacità di vivere i valori superiori.

Questa immagine della struttura della personalità umana può servire a comprendere il significato del digiuno per l’uomo. Non si tratta qui solamente del significato religioso, ma di un significato che si esprime attraverso la cosiddetta “organizzazione” dell’uomo come soggetto-persona. L’uomo si sviluppa regolarmente, quando gli strati più profondi della sua personalità trovano una sufficiente espressione, quando l’ambito dei suoi interessi e delle sue aspirazioni non si limita soltanto agli strati esteriori e superficiali, connessi con la sensualità umana. Per agevolare un tale sviluppo, dobbiamo alle volte consapevolmente distaccarci da ciò che serve a soddisfare la sensualità, vale a dire, da quegli strati esteriori superficiali. Quindi dobbiamo rinunciare a tutto ciò che li “alimenta”.

Ecco, in breve, l’interpretazione del digiuno al giorno d’oggi. La rinuncia alle sensazioni, agli stimoli, ai piaceri e anche al cibo o alle bevande, non è fine a se stessa. Essa deve soltanto, per così dire, spianare la strada per contenuti più profondi, di cui “si alimenta” l’uomo interiore. Tale rinuncia, tale mortificazione deve servire a creare nell’uomo le condizioni per poter vivere i valori superiori, di cui egli è, a suo modo, “affamato”.

Ecco, il “pieno” significato del digiuno nel linguaggio di oggi. Tuttavia, quando leggiamo gli autori cristiani dell’antichità o i Padri della Chiesa, troviamo in loro la stessa verità, spesso espressa con linguaggio così “attuale” che ci sorprende. Dice, per esempio, San Pietro Crisologo: “Il digiuno è pace del corpo, forza delle menti, vigore delle anime” (S. Pietro Crisologo, Sermo VII: “De Jejunio”, 3), e ancora: “Il digiuno è il timone della vita umana e regge l’intera nave del nostro corpo” (Ivi, 1).

E Sant’Ambrogio risponde così alle eventuali obiezioni contro il digiuno: “La carne, per la sua condizione mortale, ha alcune sue concupiscenze proprie: nei loro confronti ti è stato concesso il diritto di freno. La tua carne è sotto di te: non seguire le sollecitazioni della carne fino alle cose illecite, ma frenale alquanto anche per quanto riguarda quelle lecite. Infatti, chi non si astiene da nessuna delle cose lecite, è prossimo pure a quelle illecite” (S. Ambrogio, Sermo de utilitate jejunii, III. V. VII). Anche scrittori non appartenenti al cristianesimo dichiarano la stessa verità. Questa verità è di portata universale. Fa parte della saggezza universale della vita.

4. È ora certamente più facile per noi comprendere il perché Cristo Signore e la Chiesa uniscano il richiamo al digiuno con la penitenza, cioè con la conversione. Per convertirci a Dio, è necessario scoprire in noi stessi quello che ci rende sensibili a quanto appartiene a Dio, dunque: i contenuti spirituali, i valori superiori, che parlano al nostro intelletto, alla nostra coscienza, al nostro “cuore” (secondo il linguaggio biblico). Per aprirsi a questi contenuti spirituali, a questi valori, bisogna distaccarsi da quanto serve soltanto al consumismo, alla soddisfazione dei sensi. Nell’apertura della nostra personalità umana a Dio, il digiuno – inteso sia nel modo “tradizionale” che “attuale” – deve andare di pari passo con la preghiera perché essa ci dirige direttamente verso lui.

D’altronde il digiuno, cioè la mortificazione dei sensi, il dominio del corpo, conferiscono alla preghiera una maggiore efficacia, che l’uomo scopre in se stesso. Scopre infatti che è “diverso”, che è più “padrone di se stesso”, che è divenuto interiormente libero. E se ne rende conto in quanto la conversione e l’incontro con Dio, attraverso la preghiera, fruttificano in lui.

Da queste nostre riflessioni odierne risulta chiaro che il digiuno non è solo il “residuo” di una pratica religiosa dei secoli passati, ma che è anche indispensabile all’uomo di oggi, ai cristiani del nostro tempo.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 21 marzo 1979]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Only through Christ can we converse with God the Father as children, otherwise it is not possible, but in communion with the Son we can also say, as he did, “Abba”. In communion with Christ we can know God as our true Father. For this reason Christian prayer consists in looking constantly at Christ and in an ever new way, speaking to him, being with him in silence, listening to him, acting and suffering with him (Pope Benedict)
Solo in Cristo possiamo dialogare con Dio Padre come figli, altrimenti non è possibile, ma in comunione col Figlio possiamo anche dire noi come ha detto Lui: «Abbà». In comunione con Cristo possiamo conoscere Dio come Padre vero. Per questo la preghiera cristiana consiste nel guardare costantemente e in maniera sempre nuova a Cristo, parlare con Lui, stare in silenzio con Lui, ascoltarlo, agire e soffrire con Lui (Papa Benedetto)
In today’s Gospel passage, Jesus identifies himself not only with the king-shepherd, but also with the lost sheep, we can speak of a “double identity”: the king-shepherd, Jesus identifies also with the sheep: that is, with the least and most needy of his brothers and sisters […] And let us return home only with this phrase: “I was present there. Thank you!”. Or: “You forgot about me” (Pope Francis)
Nella pagina evangelica di oggi, Gesù si identifica non solo col re-pastore, ma anche con le pecore perdute. Potremmo parlare come di una “doppia identità”: il re-pastore, Gesù, si identifica anche con le pecore, cioè con i fratelli più piccoli e bisognosi […] E torniamo a casa soltanto con questa frase: “Io ero presente lì. Grazie!” oppure: “Ti sei scordato di me” (Papa Francesco)
Lent is like a long "retreat" in which to re-enter oneself and listen to God's voice in order to overcome the temptations of the Evil One and to find the truth of our existence. It is a time, we may say, of spiritual "training" in order to live alongside Jesus not with pride and presumption but rather by using the weapons of faith: namely prayer, listening to the Word of God and penance (Pope Benedict)
La Quaresima è come un lungo “ritiro”, durante il quale rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni del Maligno e trovare la verità del nostro essere. Un tempo, possiamo dire, di “agonismo” spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza (Papa Benedetto)
Thus, in the figure of Matthew, the Gospels present to us a true and proper paradox: those who seem to be the farthest from holiness can even become a model of the acceptance of God's mercy and offer a glimpse of its marvellous effects in their own lives (Pope Benedict)
Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza (Papa Benedetto)
Man is involved in penance in his totality of body and spirit: the man who has a body in need of food and rest and the man who thinks, plans and prays; the man who appropriates and feeds on things and the man who makes a gift of them; the man who tends to the possession and enjoyment of goods and the man who feels the need for solidarity that binds him to all other men [CEI pastoral note]
Nella penitenza è coinvolto l'uomo nella sua totalità di corpo e di spirito: l'uomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e l'uomo che pensa, progetta e prega; l'uomo che si appropria e si nutre delle cose e l'uomo che fa dono di esse; l'uomo che tende al possesso e al godimento dei beni e l'uomo che avverte l'esigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini [nota pastorale CEI]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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don Giuseppe Nespeca

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