7. Continuando nell’esame del colloquio di Cristo col giovane, entriamo ora in un’altra fase. Essa è nuova e decisiva. Il giovane ha ricevuto la risposta essenziale e fondamentale alla domanda: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?», e questa risposta coincide con tutta la strada della sua vita, finora percorsa: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Quanto ardentemente auguro a ciascuno di voi che la strada della vostra vita, finora percorsa, coincida similmente con la risposta di Cristo! Auguro, anzi, che la giovinezza vi fornisca una robusta base di sani principi, che la vostra coscienza raggiunga già in questi anni della giovinezza quella trasparenza matura che nella vita permetterà a ciascuno di voi di rimanere sempre «persona di coscienza», «persona di principi», «persona che ispira fiducia», cioè che è credibile. La personalità morale, così formata, costituisce insieme il più importante contributo che voi potete portare nella vita comunitaria, nella famiglia, nella società, nell’attività professionale e anche nell’attività culturale o politica e, finalmente, nella comunità stessa della Chiesa, con la quale già siete o sarete un giorno legati.
Si tratta qui insieme di una piena e profonda autenticità dell’umanità e di un’eguale autenticità dello sviluppo della personalità umana, femminile o maschile, con tutte le caratteristiche che costituiscono il tratto irripetibile di questa personalità e, al tempo stesso, provocano una molteplice risonanza nella vita della comunità e degli ambienti, iniziando già dalla famiglia. Ognuno di voi deve in qualche modo contribuire alla ricchezza di queste comunità prima di tutto, per mezzo di ciò che è. Non si schiude in questa direzione quella giovinezza, che è la ricchezza «personale» di ciascuno di voi? L’uomo legge se stesso, la propria umanità sia come il proprio mondo interiore, sia come il terreno specifico dell’essere «con gli altri», «per gli altri».
Proprio qui assumono un significato decisivo i comandamenti del Decalogo e del Vangelo, specialmente il comandamento della carità, che apre l’uomo verso Dio e verso il prossimo. La carità, infatti, è «il vincolo della perfezione». Per mezzo di essa maturano più pienamente l’uomo e la fratellanza interumana.
Perciò, la carità è più grande, è il primo tra tutti i comandamenti, come insegna il Cristo; in esso anche tutti gli altri si racchiudono e si unificano.
Vi auguro, dunque, che le strade della vostra giovinezza si incontrino col Cristo, affinché possiate confermare davanti a lui, con la testimonianza della coscienza, questo codice evangelico della morale, ai cui valori, nel corso delle generazioni, si sono avvicinati in qualche modo tanti uomini grandi di spirito.
Non è qui il luogo di citare le conferme che percorrono l’intera storia dell’umanità. Certo è che fin dai tempi più antichi il dettame della coscienza indirizza ogni soggetto umano verso una norma morale oggettiva, che trova espressione concreta nel rispetto della persona dell’altro e nel principio di non fare a lui quello che non si vuole sia fatto a sé.
In questo vediamo già emergere chiaramente quella morale oggettiva, della quale san Paolo afferma che è «scritta nei cuori» e riceve la «testimonianza della coscienza». Il cristiano vi scorge facilmente un raggio del Verbo creatore che illumina ogni uomo, e proprio perché di questo Verbo, fatto carne, è seguace, si eleva alla legge superiore del Vangelo che positivamente gli impone – col comandamento della carità – di fare al prossimo tutto quel bene che vuole sia fatto a sé. Egli sigilla così l’intima voce della sua coscienza con l’adesione assoluta a Cristo ed alla sua parola.
Vi auguro anche di sperimentare, dopo il discernimento dei problemi essenziali ed importanti per la vostra giovinezza, per il progetto di tutta la vita che è davanti a voi, ciò di cui parla il Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò». Vi auguro di sperimentare uno sguardo così! Vi auguro di sperimentare la verità che egli, il Cristo, vi guarda con amore!
Egli guarda con amore ogni uomo. Il Vangelo lo conferma ad ogni passo. Si può anche dire che in questo «sguardo amorevole» di Cristo sia contenuto quasi il riassunto e la sintesi di tutta la Buona Novella. Se cerchiamo l’inizio di questo sguardo, occorre che torniamo indietro al Libro della Genesi, a quell’istante in cui, dopo la creazione dell’uomo «maschio e femmina», Dio vide che «era cosa molto buona». Questo primissimo sguardo del Creatore si rispecchia nello sguardo di Cristo, che accompagna la conversazione col giovane del Vangelo.
Sappiamo che Cristo confermerà e sigillerà questo sguardo col sacrificio redentivo della Croce, poiché proprio per mezzo di questo sacrificio quello «sguardo» raggiunse una particolare profondità di amore. In esso è contenuta una tale affermazione dell’uomo e dell’umanità, della quale solo egli è capace, solo Cristo Redentore e Sposo. Egli solo «sa quello che c’è in ogni uomo»: conosce la sua debolezza, ma conosce anche e soprattutto la sua dignità.
Auguro a ciascuno e a ciascuna di voi di scoprire questo sguardo di Cristo e di sperimentarlo fino in fondo. Non so in quale momento della vita. Penso che ciò avverrà quando ce ne sarà più bisogno: forse nella sofferenza, forse insieme con la testimonianza di una coscienza pura, come nel caso di quel giovane del Vangelo, o forse proprio in una situazione opposta: insieme col senso di colpa, col rimorso di coscienza. Cristo, infatti, guardò anche Pietro nell’ora della sua caduta, quando egli ebbe rinnegato tre volte il suo Maestro.
È necessario all’uomo questo sguardo amorevole: è a lui necessaria la consapevolezza di essere amato, di essere amato eternamente e scelto dall’eternità. Al tempo stesso, questo eterno amore di elezione divina accompagna l’uomo durante la vita come lo sguardo d’amore di Cristo. E forse massimamente nel momento della prova, dell’umiliazione, della persecuzione, della sconfitta, allorché la nostra umanità viene quasi cancellata agli occhi degli uomini, oltraggiata e calpestata: allora la consapevolezza che il Padre ci ha da sempre amati nel suo Figlio, che il Cristo ama ognuno e sempre, diventa un fermo punto di sostegno per tutta la nostra esistenza umana. Quando tutto si pronuncia in favore del dubbio su se stessi e sul senso della propria vita, allora questo sguardo di Cristo, cioè la consapevolezza dell’amore che in lui si è dimostrato più potente di ogni male e di ogni distruzione, questa consapevolezza ci permette di sopravvivere.
Vi auguro, dunque, di sperimentare ciò che sperimentò il giovane del Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò».
[Papa Giovanni Paolo II, Dilecti Amici]