Il testo di questa Via Crucis è stato scritto da un cristiano laico, membro della Chiesa Ortodossa. Questo laico sente di essere uno qualunque, ed ha accettato l'invito con molta emozione e riconoscenza per almeno due motivi principali.
Prima di tutto, perché sul cammino verso il Golgota non ci può più essere alcuna separazione. La morte d'amore del Cristo rende irrisorio ogni atteggiamento che non sia di penitenza e di riconciliazione.
In secondo luogo, perché scrivere una Via Crucis, significa meditare, attraverso una strana esperienza mistica, le parole e i gesti del Dio fatto uomo nel momento in cui assume fino in fondo la nostra condizione, per conoscere dal di dentro la morte e aprirla alla risurrezione.
Esistono, come si è potuto costatare negli ultimi anni, due versioni della Via Crucis. La più recente cita e commenta soltanto testi del vangelo. Quella più antica aggiunge delle stazioni nate dalla sensibilità medievale, soprattutto francescana: quali le tre cadute di Gesù, oppure il suo incontro con la Veronica, scene che sono commentate con testi dell'Antico Testamento.
Tanti dipinti o sculture che si succedono sui muri delle chiese, in Europa occidentale ed oramai dappertutto nel mondo, tante cappelle e tante croci erette lungo i sentieri dei pellegrinaggi, sulle montagne, hanno reso familiari a tutti le rappresentazioni di queste scene della Via Crucis. E per questo il commentatore ha preferito seguire la forma tradizionale, per entrare pienamente e senza nulla perdere della propria visione della redenzione, nella sensibilità del mondo cattolico.
Si ripete spesso che l'Occidente cristiano aveva messo l'accento sul Venerdì Santo e l'Oriente sulla Pasqua. Ciò sarebbe dimenticare che la Croce e la Risurrezione sono inseparabili, come sottolinea questo commento. Gli stigmatizzati del mondo cattolico sapevano (e sanno) che il sangue che scorre dalle loro piaghe è un sangue di luce, e gli ortodossi, celebrando durante i Vespri del Venerdì Santo l'ufficio delle « sante sofferenze », oppure affermando che ogni uomo di preghiera e di compassione è uno stauroforo, cioè un « portatore della Croce », hanno sempre capito che soltanto la Croce è portatrice di risurrezione.
Per un ortodosso, entrare nella spiritualità francescana della Via Crucis, era tentare di sottolinearne la profondità non solo umana ma divino-umana. Perché è Dio stesso che sul Golgota soffre umanamente le nostre agonie disperate per aprirci cammini (forse inattesi) di risurrezione.
L'epoca moderna, come si sa, ha intentato un processo accanito e senza pietà contro Dio, sia Egli l'onnipotente, nel senso umano della parola (allora perché il mondo è assurdo e cattivo?), sia Egli Colui che ci ha creati liberi, ma sapendo che cosa avremmo fatto della nostra libertà. Bisognava far vedere — tentare di far vedere — che all'insolubile questione del male, l'unica risposta è appunto la Via Crucis.
Dio scende volontariamente nel male, nella morte, — un male e una morte di cui non è affatto responsabile, di cui forse non ha neanche l'idea, come ha detto un teologo contemporaneo — scende per frapporsi per sempre fra il nulla e noi, per farci sentire, farci vivere, che al fondo delle cose, non c'è il nulla, ma l'amore.
Dio al di là di Dio, questo « oceano della limpidezza », e questo uomo coperto di sangue e di sputi che barcolla e cade sotto il peso di tutte le nostre croci, è lo stesso, sì veramente è lo stesso nella sua trascendenza e nella sua « follia d'amore ». Tale antinomia fa l'inimmaginabile originalità del cristianesimo. La sofferenza del corpo, la derisione sociale, la disperazione dell'anima abbandonata, tutto si concentra affinché Dio si riveli qui, non come pienezza che schiaccia, giudica e condanna, ma come apertura senza limite di amore nel rispetto senza limite della nostra libertà.
Ecco che la distanza impensabile fra Dio e il Crocifisso — « Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? » — si riempie tutto ad un tratto del soffio dello Spirito, del soffio della risurrezione.
Si apre l'ultima tappa della storia umana e del divenire del cosmo: nel sangue che sgorga dal costato trafitto del Cristo, il fuoco che egli è venuto a gettare sulla terra brucia ormai, questo fuoco dello Spirito Santo che feconda la nostra libertà affinché diventi capace di cambiare in risurrezione la lunga passione della storia. Effusione di pace e di luce che non può appunto manifestarsi se non attraverso questa libertà che egli libera e che lo libera...
Da qui viene senza dubbio l'ultima caratteristica di questa Via Crucis ripresa nella sua forma tradizionale: il ruolo più grande delle donne, le uniche rimaste fedeli, a parte Giovanni, le più esposte, le più capaci di amore. Come dimostra il gesto della Veronica che asciuga il Volto di Cristo con un velo sul quale esso si imprime e si trasmette alle nostre chiese: tanti Santo Volto in cui si mostra nella sua pasta umana il volto di Dio, affinché noi possiamo vedere in Dio ogni volto umano.
[Olivier Clément, presentazione Via Crucis 10 aprile 1998]