1. “Segni” della divina onnipotenza e della potenza salvifica del Figlio dell’uomo, i miracoli di Cristo, narrati dai Vangeli, sono anche la rivelazione dell’amore di Dio verso l’uomo, particolarmente verso l’uomo che soffre, che ha bisogno, che implora guarigione, perdono e pietà. Sono dunque “segni” dell’amore misericordioso proclamato dall’Antico e dal Nuovo Testamento (cf. Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia). Specialmente la lettura del Vangelo ci fa capire e quasi “sentire” che i miracoli di Gesù hanno la loro sorgente nel cuore amante e misericordioso di Dio, che vive e vibra nel suo stesso cuore umano. Gesù li compie per superare ogni genere di male che esiste nel mondo: il male fisico, il male morale, cioè il peccato, e infine colui che è “padre del peccato” nella storia dell’uomo: satana.
I miracoli sono dunque “per l’uomo”. Sono opere di Gesù che, in armonia con la finalità redentiva della sua missione, ristabiliscono il bene là dove si è annidato il male producendovi disordine e sconquasso. Coloro che li ricevono, che vi assistono, si rendono conto di questo fatto, tanto che secondo Marco, “pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”” (Mc 7, 37).
5. Nel modo stesso di compiere i miracoli si nota la grande semplicità e si potrebbe dire umiltà, garbo, delicatezza di tratto di Gesù. Quanto ci fanno pensare, da questo punto di vista, le parole che hanno accompagnato la risurrezione della figlia di Giairo: “La bambina non è morta, ma dorme” (Mc 5, 39), come a voler “smorzare” il significato di quanto stava per fare. E poi: “raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo” (Mc 5, 43). Così fece anche in altri casi, per esempio dopo la guarigione di un sordomuto (Mc 7, 36), e dopo la professione di fede di Pietro (Mc 8, 29-30).
Per guarire il sordomuto è significativo che Gesù l’abbia portato “in disparte lontano dalla folla”. Ivi “guardando . . . verso il cielo, emise un sospiro”. Questo “sospiro” sembra essere un segno di compassione e, nello stesso tempo, una preghiera. La parola “Effatà” (“Apriti!”) fa sì che si aprano “gli orecchi” e si sciolga “il nodo della lingua” del sordomuto (cf. Mc 7, 33-35).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 9 dicembre 1987]