Meditando sulle Letture bibliche di questa domenica e pensando alla realtà di Napoli, sono rimasto colpito dal fatto che oggi la Parola di Dio ha come tema principale la preghiera, anzi, "la necessità di pregare sempre senza stancarsi", come dice il Vangelo (cfr Lc 18,1). A prima vista, questo potrebbe sembrare un messaggio non molto pertinente, non realistico, poco incisivo rispetto ad una realtà sociale con tanti problemi come la vostra. Ma, riflettendoci, si comprende che questa Parola contiene un messaggio certamente controcorrente, destinato tuttavia ad illuminare in profondità la coscienza di questa vostra Chiesa e di questa vostra Città. Lo riassumerei così: la forza, che in silenzio e senza clamori cambia il mondo e lo trasforma nel Regno di Dio, è la fede - ed espressione della fede è la preghiera. Quando la fede si colma d’amore per Dio, riconosciuto come Padre buono e giusto, la preghiera si fa perseverante, insistente, diventa un gemito dello spirito, un grido dell’anima che penetra il cuore di Dio. In tal modo la preghiera diviene la più grande forza di trasformazione del mondo. Di fronte a realtà sociali difficili e complesse, come sicuramente è anche la vostra, occorre rafforzare la speranza, che si fonda sulla fede e si esprime in una preghiera instancabile. E’ la preghiera a tenere accesa la fiaccola della fede. Domanda Gesù, come abbiamo sentito alla fine del Vangelo: "Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terrà?" (Lc 18,8). È una domanda che ci fa pensare. Quale sarà la nostra risposta a questo inquietante interrogativo? Quest’oggi, vogliamo insieme ripetere con umile coraggio: Signore, la tua venuta tra noi in questa celebrazione domenicale ci trova radunati con la lampada della fede accesa. Noi crediamo e confidiamo in te! Accresci la nostra fede!
Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato ci presentano alcuni modelli a cui ispirarci in questa nostra professione di fede che è sempre anche professione di speranza, perché la fede è speranza, apre la terra alla forza divina, alla forza del bene. Sono le figure della vedova che incontriamo nella parabola evangelica e quella di Mosè di cui parla il libro dell’Esodo. La vedova del Vangelo (cfr Lc 18,1-8) fa pensare ai "piccoli", agli ultimi, ma anche a tante persone semplici e rette, che soffrono per le sopraffazioni, si sentono impotenti di fronte al perdurare del malessere sociale e sono tentate di scoraggiarsi. A costoro Gesù ripete: osservate questa povera vedova con quale tenacia insiste e alla fine ottiene ascolto da un giudice disonesto! Come potreste pensare che il vostro Padre celeste, buono e fedele, e potente, il quale desidera solo il bene dei suoi figli, non vi faccia a suo tempo giustizia? La fede ci assicura che Dio ascolta la nostra preghiera e ci esaudisce al momento opportuno, anche se l’esperienza quotidiana sembra smentire questa certezza. In effetti, davanti a certi fatti di cronaca, o a tanti quotidiani disagi della vita di cui i giornali non parlano neppure, sale spontaneamente al cuore la supplica dell’antico profeta: "Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non soccorri?" (Ab 1,2). La risposta a questa invocazione accorata è una sola: Dio non può cambiare le cose senza la nostra conversione, e la nostra vera conversione inizia con il "grido" dell’anima, che implora perdono e salvezza. La preghiera cristiana non è pertanto espressione di fatalismo e di inerzia, anzi è l’opposto dell’evasione dalla realtà, dell’intimismo consolatorio: è forza di speranza, massima espressione della fede nella potenza di Dio che è Amore e non ci abbandona. La preghiera che Gesù ci ha insegnato, culminata nel Getsemani, ha il carattere dell’"agonismo" cioè della lotta, perché si schiera decisamente al fianco del Signore per combattere l’ingiustizia e vincere il male con il bene; è l’arma dei piccoli e dei poveri di spirito, che ripudiano ogni tipo di violenza. Anzi rispondono ad essa con la non violenza evangelica, testimoniando così che la verità dell’Amore è più forte dell’odio e della morte.
Questo emerge anche dalla prima Lettura, il celebre racconto della battaglia tra gli Israeliti e gli Amaleciti (cfr Es 17,8-13a). A determinare le sorti di quel duro conflitto fu proprio la preghiera rivolta con fede al vero Dio. Mentre Giosuè e i suoi uomini affrontavano sul campo gli avversari, Mosè stava sulla cima della collina con le mani alzate, nella posizione della persona in preghiera. Queste mani alzate del grande condottiero garantirono la vittoria di Israele. Dio era con il suo popolo, ne voleva la vittoria, ma condizionava questo suo intervento alle mani alzate di Mosè. Sembra incredibile, ma è così: Dio ha bisogno delle mani alzate del suo servo! Le braccia levate di Mosè fanno pensare a quelle di Gesù sulla croce: braccia spalancate ed inchiodate con cui il Redentore ha vinto la battaglia decisiva contro il nemico infernale. La sua lotta, le sue mani alzate verso il Padre e spalancate sul mondo chiedono altre braccia, altri cuori che continuino ad offrirsi con il suo stesso amore, fino alla fine del mondo.
[Papa Benedetto, omelia Napoli 21 ottobre 2007]