Set 1, 2023 Scritto da 

XXIII Domenica T.O. (anno A)

Mt 18,15-20

Matteo 18:15 Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;

Matteo 18:16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.

Matteo 18:17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.

 

Il v. 15 introduce in termini volutamente generici il caso di un fratello che sbaglia. Il verbo usato, (amartáno) è ricco di significati: deviare, fallire, non cogliere l'obiettivo o la meta posta davanti, sbagliare strada, allontanarsi dalla verità, rendersi colpevole, peccare. Si tratta, dunque, di un membro della comunità (fratello), che tiene comportamenti disdicevoli. A fronte di ciò, ogni fratello è reso personalmente responsabile ed è chiamato in prima persona ad intervenire per recuperare il fratello in errore.

L’iniziativa parte sempre dalla parte offesa, non da chi ha offeso, perché ci può essere l’umiliazione di dover andare a chiedere scusa all’altro e ci può essere il rischio che l’altro dica: io non ti voglio più vedere e così si raddoppia l’umiliazione. In questa maniera non si può ricostruire l’unità all’interno del gruppo. Gesù invita la comunità dei discepoli ad assumere lo stesso atteggiamento del Padre nei confronti degli uomini.

Qual è il comportamento da assumere nei confronti del fratello che ha sbagliato? Nell'insieme si ha l'idea di un richiamo deciso, che punta ad ottenere risultati concreti e immediati. Il primo verbo che si incontra è un imperativo: “hypage” (vai) che se da un lato significa avvicinarsi, dall'altro letteralmente significa trarre a sé, guadagnare alla propria causa, adescare. Questa pluralità di significati definisce il senso dell'avvicinarsi al fratello che ha sbagliato: si tratta di sottrarlo, con decisione, all'errore in cui è caduto, riconducendolo sulla retta via.

Segue immediatamente il secondo verbo “élegxon”, che significa far convincere dell'errore. Significa anche far vergognare, rimproverare, biasimare. Si tratta, quindi, di un approccio nei confronti del fratello in errore, senza tanti convenevoli, che punta ad ottenere risultati pratici. Il terzo verbo “ekérthēsas” parla di un guadagno, quale risultato utile di un'azione mirata e condotta con fermezza e decisione.

Non basta dire che tutto va bene. Anche dire ciò che va male è un atto di amore. Fa parte della carità chiamare le cose col loro nome; si può perdonare solo se il male è male, se no che perdono è?

Gesù insiste che bisogna concedere perdono all’altro perché chiedere perdono a Dio è la cosa più semplice che ci sia: mi chiudo in camera e dico Signore perdonami. Però è difficile farlo capire agli altri. Come possono sapere gli altri che io ho chiesto perdono a Dio? È una cosa privata tra me e Lui. Invece concedere il perdono all’altro è molto difficile, perché lì bisogna fare un profondo respiro e aprire il petto, tutti si accorgono del perdono concesso. In quella casa, in quella comunità c’era discordia; si è superata perché in quella casa, fra quelle persone, è entrato il perdono.

Ma cosa succede “se non ti ascolterà”? Fai la stessa cosa in presenza di testimoni! “Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano”.

Dal richiamo privato a quello semiufficiale in presenza di testimoni, da qui all'ufficialità dell'assemblea (ekklēsía). Il termine ekklēsía indica la chiesa, intesa qui come comunità di credenti. Assume il senso di assemblea appositamente convocata per giudicare il caso. Il termine ekklēsía,  traduce generalmente l'ebraico qāhāl, il cui senso è fatto derivare da un gruppo lessicale che significa “riunirsi”, e talvolta traduce anche il termine 'ēdāh, che designa un gruppo di persone che si riuniscono su convocazione. È probabile, quindi, che il nostro ekklēsía, in questo contesto, abbia questo significato: il riunirsi dei responsabili della comunità per giudicare il caso.

“Sia per te come un pagano e un pubblicano”. È l'espulsione dalla comunità. Di conseguenza l'impenitente non era più considerato un fratello, ma eguagliato ai pagani e ai pubblicani, una persona da cui tutti i credenti dovevano guardarsi. Se uno non si pente non puoi neanche perdonargli.

L’estrema ratio è dirgli: Guarda che tu hai rotto la fraternità, non sei fratello; il tuo atteggiamento non è da figlio di Dio. È doveroso dirlo, anche se non spetta a me dirlo - spetta alla comunità. Ed è un atto di carità dirgli: non sei fratello, e se lui ci tiene ad essere fratello e figlio, è l’estrema ratio con cui può dire: no, allora cambio. Questa prassi non è finalizzata all'espulsione del fratello impenitente, bensì al suo recupero, nello spirito che punta a cercare e a recuperare ciò che era perduto.

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

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Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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The Lord gives his disciples a new commandment, as it were a Testament, so that they might continue his presence among them in a new way: […] If we love each other, Jesus will continue to be present in our midst, to be glorified in this world (Pope Benedict)
Quasi come Testamento ai suoi discepoli per continuare in modo nuovo la sua presenza in mezzo a loro, dà ad essi un comandamento: […] Se ci amiamo gli uni gli altri, Gesù continua ad essere presente in mezzo a noi, ad essere glorificato nel mondo (Papa Benedetto)
St Teresa of Avila wrote: “the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ” (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7) [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6) [Papa Benedetto]
Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
In this passage, the Lord tells us three things about the true shepherd:  he gives his own life for his sheep; he knows them and they know him; he is at the service of unity [Pope Benedict]
In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell'unità [Papa Benedetto]
Jesus, Good Shepherd and door of the sheep, is a leader whose authority is expressed in service, a leader who, in order to command, gives his life and does not ask others to sacrifice theirs. One can trust in a leader like this (Pope Francis)
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare (Papa Francesco)
In today’s Gospel passage (cf. Jn 10:27-30) Jesus is presented to us as the true Shepherd of the People of God. He speaks about the relationship that binds him to the sheep of the flock, namely, to his disciples, and he emphasizes the fact that it is a relationship of mutual recognition (Pope Francis)

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don Giuseppe Nespeca

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