Set 8, 2025 Scritto da 

Esaltazione della Santa Croce

(Gv 3,13-17)

 

Giovanni 3:13 Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.

Giovanni 3:14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,

Giovanni 3:15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

 

Giovanni 3:16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.

 

Il v. 13 si apre con il verbo “anabébēken” (è salito); si tratta di un perfetto indicativo, che per la sua natura indica uno stato presente, quale conseguenza di un'azione passata, che qui Giovanni pone come esclusiva del Figlio dell'uomo: “nessuno è mai salito al cielo, fuorché...”. Quel “nessuno”  toglie di mezzo ogni possibile concorrenza o confronto con il Figlio dell'uomo, assegnandogli una posizione unica. Il Figlio dell'uomo, dunque, è colto nel suo stato di glorificazione definitiva, come colui che è già salito al cielo e lo è in modo definitivo e permanente a seguito di un evento passato, accaduto qui nella storia e che viene specificato nel seguente v. 14.

Se la prima parte del v. 13 contempla l'evento unico ed esclusivo della glorificazione del Figlio dell'uomo, esaltandone in tal modo la divinità, la seconda parte lo coglie agli inizi della sua avventura terrena, cioè nel suo discendere, con chiaro riferimento alla sua incarnazione. Il verbo “katabás” (disceso), infatti, è un participio passato aoristo, che esprime l'accadere di un evento colto nel suo iniziale apparire temporale.

Se il v. 13 presenta i due estremi dell'azione salvifica di Dio, l'incarnazione e l'ascensione del Figlio dell'uomo, il v. 14 colloca tra i due eventi quelli intermedi della morte e della risurrezione di Gesù, e lo fa partendo da un'immagine tratta da Nm 21,6-9, dove Mosè fece un serpente di rame e lo mise sopra un'asta; quando un serpente mordeva un israelita, se questi guardava il serpente di rame restava in vita. Il contesto in cui è inserito l'episodio veterotestamentario è quello di una rivolta del popolo contro Mosè e contro Dio, il quale mandò dei serpenti velenosi a punire con la morte gli israeliti. Il racconto richiama da vicino la caduta di Adamo ed Eva: anche là vi fu una rivolta contro Dio; anche là vi fu un serpente che inoculò in loro il veleno mortale della ribellione a Dio; anche là vi fu un atto di misericordia divina, che prospettò all'uomo, mortalmente decaduto, la vittoria della Donna e della sua Stirpe sul Serpente (Gn 3,15). Il richiamo dell'innalzamento del serpente da parte di Mosè evoca questo insieme di racconti antichi, così che la figura del Figlio dell'uomo innalzato diviene la definitiva attuazione di quelle immagini e la risposta alle attese e alle speranze dell'umanità decaduta e corrotta dal peccato.

Il v. 14, infatti, innesca un confronto tra l'innalzamento del serpente da parte di Mosè e quello avvenuto per Gesù; ma mentre l'innalzamento mosaico è espresso con un aoristo (“hípsōsen”, innalzò), che circoscrive l'evento salvifico nel tempo, l'innalzamento di Gesù presenta alcune particolarità, che gli assegnano un senso unico ed esclusivo, che travalica il tempo: “hipsōthēnai dei”, “bisogna che sia innalzato”. Due verbi, l'uno posto all'aoristo infinito passivo (hipsōthēnai) “essere innalzato”, che nel linguaggio neotestamentario rimanda l'azione a Dio stesso; l'altro al presente indicativo (“deî”), “bisogna”, ed esprime uno stato di necessità, che lascia sottintendere come l'innalzamento di Gesù, nel suo duplice significato di morte-risurrezione, rientra in un prestabilito piano divino, che si attua nell'innalzamento dello stesso Gesù. Ma se l'innalzamento mosaico era racchiuso nel tempo, rendendo i suoi effetti salvifici relativi alla circostanza, quello di Gesù travalica i limiti spazio-temporali, rendendo gli effetti salvifici del suo innalzamento universali, poiché vengono sottratti alla relatività della storia.

Il v. 15 riporta l'attestazione che il credere in Gesù consente di accedere alla vita eterna. Una fede che per Giovanni non è un concetto astratto, ma un'azione, che si radica nella vita e la qualifica come vita credente, nella quale, proprio perché credente, si rispecchia la vita di Dio che è essenzialmente vita di amore. Il credente, pertanto, diviene una sorta di riflesso di Dio in mezzo agli uomini, testimone della sua vita divina, in cui è collocato e vive proprio per il suo credere. Non è un caso che il termine “fede” non ricorra mai, neppure una volta, in Giovanni, ma esso è sempre sostituito dal verbo “credere”. Il verbo, infatti, esprime sempre un'azione ed è, quindi, più confacente alla dinamica stessa della vita.

L'innalzamento di Gesù, dunque, punta al recupero di ogni uomo alla vita divina per mezzo della fede nell'Innalzato. Il senso dell'universalità del progetto divino è reso con quel “pâs” (chiunque), che coinvolge l'uomo di ogni tempo e di ogni luogo. Si tratta, dunque, di un'azione salvifica universale, rivolta a tutti e che ha come presupposto il “credere in lui”. Significativa è l'espressione greca “ho pisteúōn en autō”, “il credente in lui”. Il verbo al participio presente indica come l'azione del credere diventi una costante, che qualifica la vita dell'uomo e ne determini l'orientamento esistenziale. Il verbo credere è qui seguito dall'espressione “en autō”, che indica uno stato in luogo: “in lui”. La finalità del credere, dunque, è quella di collocare il credente “in lui” e per per mezzo suo ottenere la “vita eterna”.

Il v. 16 costituisce il vertice del pensiero di Giovanni su Gesù, che vede la discesa dal cielo del Figlio dell'uomo come la conseguenza di un atto di amore del Padre; un amore che si fa dono e un dono che si fa salvezza per il credente. Non si tratta, dunque, di un amore etereo o mistico, ma concreto, che assume storicamente il volto di Cristo e in esso si rende visibile e raggiungibile da tutti; e il dono è la vita stessa di Dio.

L'esclusività di questo donare viene rimarcata nell'attributo con cui viene qualificato il Figlio: Unigenito; un'espressione che esprime l'unicità non soltanto del Figlio nei confronti del Padre, ma anche del rapporto che li lega in una stretta comunione di amore.

Il verbo “dídomi”, tuttavia, non significa soltanto “dare, donare”, ma anche “consegnare, affidare”. Il dono, quindi, che il Padre fa del proprio Figlio non esprime soltanto la sua natura di amore, ma è anche un consegnarlo agli uomini, un consegnarlo che possiede in se stesso una valenza sacrificale e redentiva, “perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.

La frase “chiunque crede in lui” viene ripresa sostanzialmente identica dal v. 15, ma qui viene apportata una piccola variante, molto significativa: la particella “in” resa al v. 15 con “en” , viene qui sostituita dalla particella “eis”. La prima (en) indica uno stato in luogo, sottolineando come il credere collochi il credente nella stessa vita divina (vita eterna); la seconda (eis) esprime un moto a luogo ed imprime al credere del credente un forte dinamismo, che lo orienta esistenzialmente verso Cristo. La particella “eis” evidenzia, pertanto, una fede in cammino verso la salvezza, che non ha ancora definitivamente acquisito, poiché appare come in filigrana anche la prospettiva della perdizione, sia pur espressa in forma negativa (“non muoia”).

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

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  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
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Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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Experts in the Holy Scriptures believed that Elijah's return should anticipate and prepare for the advent of the Kingdom of God. Since the Lord was present, the first disciples wondered what the value of that teaching was. Among the people coming from Judaism the question arose about the value of ancient doctrines…
Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio. Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento. Tra i provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche...
Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune

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don Giuseppe Nespeca

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