(1Cor 15,12.16-20)
6a Domenica T.O. (C)
1Corinzi 15:12 Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?
1Corinzi 15:16 Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;
1Corinzi 15:17 ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.
1Corinzi 15:18 E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.
1Corinzi 15:19 Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
Alcuni Corinzi sostenevano delle idee greche intorno all’immortalità dell’anima, e cioè che dopo la morte l’anima si separava dal corpo per essere assorbita nel divino o per continuare una tenue esistenza nell’Ades, in quanto per i Greci la risurrezione fisica era impossibile. Paolo ha già detto che Gesù Cristo non solo è risuscitato dai morti, egli è anche stato visto risorto. Le persone che hanno avuto la grazia di vederlo sono tantissime. Eppure, a Corinto alcuni insegnavano che non esiste risurrezione dei morti. Da una parte c’è tutto il vangelo che è fondato sulla risurrezione di Gesù e dall’altra si afferma che i morti non risuscitano. Questa non è una contraddizione su un punto marginale della fede; è una contraddizione sul punto nevralgico della fede, anzi sulla stessa fede, poiché la nostra fede è la risurrezione di Gesù Cristo; insieme alla sua incarnazione, passione e morte. O Cristo è risorto e anche i morti risorgono, oppure i morti non risorgono e neanche Cristo è risorto.
Paolo non parte dalla risurrezione di Gesù per confutare l’errore dei Corinzi: parte dall’errore dei Corinzi per trarre tutte le conseguenze di questa loro affermazione e metterli così dinanzi ad un’altra verità che loro dovrebbero confessare se la loro affermazione fosse vera: “se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati”.
Se Cristo non è risorto, oltre che ad avere una fede vana, c’è anche uno stato miserevole nel quale l’uomo viene a trovarsi: egli è ancora nei suoi peccati. Se Cristo non è risorto per la nostra giustificazione, neanche è morto per i nostri peccati, è morto e basta. Nessuna risurrezione implica nessuna espiazione. La tomba rimasta chiusa di Gesù starebbe a indicare ch’egli pure è rimasto preda della morte e che, di conseguenza, sono illusori il perdono dei peccati e la giustificazione che abbiamo cercato in lui: siamo ancora nella nostra schiavitù. Entriamo qui nel relativismo e nell’indifferentismo religioso. Se il peccato non è tolto attraverso la nostra giustificazione, non c’è alcuna differenza tra il cristiano e tutti gli altri uomini esistenti nel mondo. La differenza sarebbe solo di forma, ma non di sostanza. Tanto noi e gli altri siamo tutti nei nostri peccati e in essi viviamo, ma anche moriamo.
Altra conseguenza: “Anche quelli che dormono in Cristo, sono dunque periti”. Non solo noi che siamo vivi, siamo nei peccati; anche quelli che morirono credendo e sperando in Cristo, sono periti perché Cristo non essendo il vero Messia, non poterono ottenere la remissione dei peccati per la fede in Lui, e quindi passarono all'altro mondo con tutti i loro peccati, i quali conducono a perdizione. Da questa ultima deduzione una cosa appare evidente: la fede in Cristo (se non è risuscitato) non ci serve, né in questa vita, né nell’altra. Non ci serve perché non ci libera dalla morte, non ci libera dal peccato, non ci ottiene la redenzione, non ci porta nella gioia del cielo.
“Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini”. Una speranza in Cristo solo per questa vita, non solo è vana, è anche deleteria; anzi è una speranza antiumana. A motivo di questa fede, dobbiamo rinunciare a tante cose, di cui gli altri godono, e sopportare ogni sorta di travagli e persecuzioni - talvolta anche versare il proprio sangue. A che serve allora sperare in Cristo in questa vita, senza la speranza della vita eterna? A che giova obbligarsi al sacrificio, alla mortificazione di se stessi, a portare la croce ogni giorno, se poi tutto questo si conclude con la morte eterna, poiché non ci sarebbe speranza oltre la morte per coloro che si sono affidati a Cristo?
Siamo solo da compiangere. Abbiamo rinunciato a questo mondo alla luce di un altro mondo, ma se Cristo non è risuscitato noi abbiamo perso il piacere di entrambi i mondi. Stoltezza più grande di questa non potrebbe esistere per un uomo. Per questo i cristiani sarebbero da compiangere più di tutti gli uomini, perché sono stolti più di tutti gli uomini e sono stolti perché vanno dietro a una fede che nel suo nucleo è falsa, poiché essi stessi, cioè coloro che la professano, affermerebbero che è falsa, fondata su una verità che non esiste.
Quanto sarebbe auspicabile che i cristiani di oggi imparassero da Paolo a trarre le conseguenze di ogni loro affermazione riguardante la nostra santissima Fede! Se facessero questo capirebbero che certe cose non si possono affermare; se invece si affermano è giusto che si tirino le conclusioni e si agisca di conseguenza. Su molti argomenti di fede oggi si potrebbe fare lo stesso ragionamento di Paolo. I risultati sarebbero veramente sorprendenti. Ma questo non si fa, e allora l’uomo continua a vivere nella sua illusione. Pensa di avere detto tutto, mentre in realtà altro non fa che vivere di falsità, di inganno e di ogni altro genere di menzogne circa il Signore, non solo a proprio danno, ma a danno di ogni uomo, cristiano e non cristiano.
La forza della fede è nelle sue argomentazioni, nelle sue deduzioni, nelle conseguenze che necessariamente debbono essere tratte da una affermazione, vera o falsa ha poco importanza, purché si tirino le conclusioni e si sappia dedurre ogni cosa. Tutta questa capacità è saggezza dello Spirito Santo e viene data a chi ama la verità, cerca la verità, desidera la verità; viene data a tutti coloro che amano Dio e l’uomo; che non vogliono essere falsi testimoni di Dio; che non vogliono essere ingannatori dei fratelli.
Bisogna pregare sempre il Signore che ci dia una mente aperta, saggia, intelligente per percepire immediatamente la trappola mortale che si nasconde e si cela dietro ogni affermazione che è nell’apparenza di fede, mentre in realtà essa è pura menzogna, pura fantasia, pura immaginazione che ha come punto di origine il cuore dell’uomo e non certamente il cuore di Dio. La ragione è un bene prezioso dell’uomo. Egli deve saperla usare e usare bene anche per scoprire il vero e il falso delle sue affermazioni; deve saperla usare per cogliere le sfumature di vero e di falso che possono essere nascoste in una parola; deve saperla usare per giungere attraverso una serie di deduzioni e di argomentazioni alla verità in sé. La fede ha bisogno della ragione, necessita di essa; non per dimostrare la fede che si fonda solo sull’annuncio; ma perché la verità della fede possiede anche un percorso razionale che bisogna sviluppare.
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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