Mag 13, 2024 Scritto da 

Gloria d’Oriente e Occidente: ut Unum sint

Quanta est nobis via?

Continuare ed intensificare il dialogo

77. Ora possiamo chiederci quanta strada ci separa ancora da quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristica del Signore. La migliore conoscenza reciproca già realizzata tra di noi, le convergenze dottrinali raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita affettiva ed effettiva di comunione, non possono bastare alla coscienza dei cristiani che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati.

In vista di questa mèta, tutti i risultati raggiunti sinora non sono che una tappa, anche se promettente e positiva. 

78. Nel movimento ecumenico, non è soltanto la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa esigente concezione dell'unità voluta da Dio. La tendenza verso una tale unità è espressa anche da altri.

L'ecumenismo implica che le Comunità cristiane si aiutino a vicenda affinché in esse sia veramente presente tutto il contenuto e tutte le esigenze dell'"eredità tramandata dagli Apostoli". Senza di ciò, la piena comunione non sarà mai possibile. Questo vicendevole aiuto nella ricerca della verità è una forma suprema della carità evangelica.

La ricerca dell'unità si è espressa nei vari documenti delle numerose Commissioni miste internazionali di dialogo. In tali testi si tratta del Battesimo, dell'Eucaristia, del Ministero e dell'autorità partendo da una certa unità fondamentale di dottrina.

Da tale unità fondamentale, ma parziale, si deve ora passare all'unità visibile necessaria e sufficiente, che si iscriva nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente il segno di quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si esprimerà nella concelebrazione eucaristica.

Questo cammino verso l'unità visibile necessaria e sufficiente, nella comunione dell'unica Chiesa voluta da Cristo, esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel far ciò bisogna non imporre altri obblighi all'infuori degli indispensabili (cfr. At 15,28). 

79. Sin da ora è possibile individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere un vero consenso di fede: 1) le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la sacra Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio; 2) l'Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo; 3) l'Ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l'insegnamento e la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e icona della Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l'umanità.

In questo coraggioso cammino verso l'unità, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa. Inversamente, la stessa lucidità e la stessa prudenza ci raccomandano di sfuggire la tiepidezza nell'impegno per l'unità ed ancor più l'opposizione preconcetta, o il disfattismo che tende a vedere tutto al negativo.

Mantenere una visione dell'unità che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata non significa mettere un freno al movimento ecumenico. Al contrario significa evitargli di accomodarsi in soluzioni apparenti, che non perverrebbero a nulla di stabile e di solido. L'esigenza della verità deve andare fino in fondo. E non è forse questa la legge del Vangelo?

Ricezione dei risultati raggiunti

80. Mentre prosegue il dialogo su nuove tematiche o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino ad ora raggiunti. Essi non possono rimanere affermazioni delle Commissioni bilaterali, ma debbono diventare patrimonio comune. Perché ciò avvenga e si rafforzino così i legami di comunione, occorre un serio esame che, in modi, forme e competenze diverse, deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta infatti di questioni che spesso riguardano la fede ed esse esigono l'universale consenso, che si estende dai Vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto l'unzione dello Spirito Santo134. È lo stesso Spirito che assiste il Magistero e suscita il sensus fidei.

Per recepire i risultati del dialogo occorre pertanto un ampio ed accurato processo critico che li analizzi e ne verifichi con rigore la coerenza con la Tradizione di fede ricevuta dagli Apostoli e vissuta nella comunità dei credenti radunata attorno al Vescovo, suo legittimo Pastore. 

81. Questo processo, che si dovrà fare con prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo Spirito Santo. Perché esso dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati siano opportunamente divulgati da persone competenti. Di grande rilievo, a tal fine, è il contributo che i teologi e le facoltà di teologia sono chiamati ad offrire in adempimento al loro carisma nella Chiesa. È chiaro, inoltre, che le commissioni ecumeniche hanno, a questo riguardo, responsabilità e compiti del tutto singolari.

L'intero processo è seguito ed aiutato dai Vescovi e dalla Santa Sede. L'autorità docente ha la responsabilità di esprimere il giudizio definitivo.

In tutto questo, sarà di grande aiuto attenersi metodologicamente alla distinzione fra il deposito della fede e la formulazione in cui esso è espresso, come raccomandava Papa Giovanni XXIII nel discorso pronunciato in apertura del Concilio Vaticano II. 

Continuare l'ecumenismo spirituale e testimoniare la santità

82. Si comprende come la gravità dell'impegno ecumenico interpelli in profondità i fedeli cattolici. Lo Spirito li invita ad un serio esame di coscienza. La Chiesa cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare "dialogo della conversione", nel quale è posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio, ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e rimettere se stesso nelle mani di Colui che è l'Intercessore presso il Padre, Gesù Cristo.

Certamente, in questa relazione di conversione alla volontà del Padre e, al tempo stesso, di penitenza e di fiducia assoluta nella potenza riconciliatrice della verità che è Cristo, si trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo pellegrinaggio ecumenico. Il "dialogo della conversione" di ogni comunità con il Padre, senza indulgenze per se stessa, è il fondamento di relazioni fraterne che siano una cosa diversa da una cordiale intesa o da una convivialità tutta esteriore. I legami della koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in Cristo Gesù.

Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena136, che sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa. 

83. Ho parlato della volontà del Padre dello spazio spirituale in cui ogni comunità ascolta l'appello ad un superamento degli ostacoli all'unità. Ebbene, tutte le Comunità cristiane sanno che una tale esigenza, un tale superamento, per mezzo della forza che dà lo Spirito, non sono fuori della loro portata. Tutte, infatti, hanno dei martiri della fede cristiana. Malgrado il dramma della divisione, questi fratelli hanno conservato in se stessi un attaccamento a Cristo e al Padre suo tanto radicale e assoluto da poter arrivare fino all'effusione del sangue. Ma non è forse questo stesso attaccamento ad essere chiamato in causa in ciò che ho qualificato come "dialogo della conversione"? Non è proprio questo dialogo a sottolineare la necessità di andare fino in fondo all'esperienza di verità per la piena comunione? 

84. In una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un Martirologio comune. Esso comprende anche i martiri del nostro secolo, più numerosi di quanto non si pensi, e mostra come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell'esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita. Se si può morire per la fede, ciò dimostra che si può raggiungere la mèta quando si tratta di altre forme della stessa esigenza. Ho già constatato, e con gioia, come la comunione, imperfetta ma reale, è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l'apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cfr. Ef 2,13).

Se per tutte le Comunità cristiane i martiri sono la prova della potenza della grazia, essi non sono tuttavia i soli a testimoniare di tale potenza. Sebbene in modo invisibile, la comunione non ancora piena delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella piena comunione dei santi, cioè di coloro che, alla conclusione di una esistenza fedele alla grazia, sono nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma in primo luogo e innanzi tutto questa realtà della santità.

Nell'irradiazione che emana dal "patrimonio dei santi" appartenenti a tutte le Comunità, il "dialogo della conversione" verso l'unità piena e visibile appare allora sotto una luce di speranza. Questa presenza universale dei santi dà, infatti, la prova della trascendenza della potenza dello Spirito. Essa è segno e prova della vittoria di Dio sulle forze del male che dividono l'umanità. Come cantano le liturgie, "incoronando i santi, Dio incorona i suoi propri doni".

Laddove esiste la sincera volontà di seguire Cristo, spesso lo Spirito sa effondere la sua grazia in sentieri diversi da quelli ordinari. L'esperienza ecumenica ci ha permesso di comprenderlo meglio. Se, nello spazio spirituale interiore che ho descritto, le Comunità sapranno veramente "convertirsi" alla ricerca della comunione piena e visibile, Dio farà per esse ciò che ha fatto per i loro santi. Egli saprà superare gli ostacoli ereditati dal passato e le condurrà sulle sue vie dove egli vuole: alla koinonia visibile che è al tempo stesso lode della sua gloria e servizio al suo disegno di salvezza. 

85. Poiché nella sua infinita misericordia, Dio può sempre trarre il bene anche dalle situazioni che recano offesa al suo disegno, possiamo allora scoprire che lo Spirito ha fatto sì che le opposizioni servissero in alcune circostanze ad esplicitare aspetti della vocazione cristiana, come avviene nella vita dei santi. Malgrado la frammentazione, che è un male da cui dobbiamo guarire, si è dunque realizzata come una comunicazione della ricchezza della grazia che è destinata ad abbellire la koinonia. La grazia di Dio sarà con tutti coloro che, seguendo l'esempio dei santi, si impegnano ad assecondarne le esigenze. E noi, come possiamo esitare a convertirci alle attese del Padre? Egli è con noi.

Contributo della Chiesa cattolica nella ricerca dell'unità dei cristiani

86. La Costituzione Lumen gentium in una sua affermazione fondamentale che il Decreto Unitatis redintegratio riecheggia, scrive che l'unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica. Il Decreto sull'ecumenismo sottolinea la presenza in essa della pienezza (plenitudo) degli strumenti di salvezza. La piena unità si realizzerà quando tutti parteciperanno alla pienezza dei mezzi di salvezza che Cristo ha affidato alla sua Chiesa. 

87. Lungo il cammino che conduce verso la piena unità, il dialogo ecumenico si adopera a suscitare un fraterno aiuto reciproco per mezzo del quale le Comunità si applicano a darsi scambievolmente ciò di cui ciascuna ha bisogno per crescere secondo il disegno di Dio verso la pienezza definitiva (cfr. Ef 4,11-13). Ho detto come siamo consapevoli, in quanto Chiesa cattolica, di aver ricevuto molto dalla testimonianza, dalla ricerca e finanche dalla maniera in cui sono stati sottolineati e vissuti dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali certi beni cristiani comuni. Tra i progressi compiuti durante gli ultimi trent'anni, bisogna attribuire un posto di rilievo a tale fraterno influsso reciproco. Nella tappa alla quale siamo pervenuti144, tale dinamismo di mutuo arricchimento deve essere preso seriamente in considerazione. Basato sulla comunione che già esiste grazie agli elementi ecclesiali presenti nelle Comunità cristiane, esso non mancherà di spingere verso la comunione piena e visibile, mèta sospirata del cammino che stiamo compiendo. È la forma ecumenica della legge evangelica della condivisione. Questo mi incita a ripetere: "Occorre dimostrare in ogni cosa la premura di venire incontro a ciò che i nostri fratelli cristiani, legittimamente, desiderano e si attendono da noi, conoscendo il loro modo di pensare e la loro sensibilità [...]. Bisogna che i doni di ciascuno si sviluppino per l'utilità e a vantaggio di tutti".

Il ministero d'unità del Vescovo di Roma

88. Tra tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il ministero del Successore dell'apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha costituito quale "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità", e che lo Spirito sostiene perché di questo essenziale bene renda partecipi tutti gli altri. Secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, il mio ministero è quello di servus servorum Dei. Tale definizione salvaguarda nel modo migliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il primato) dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà secondo il Vangelo: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27), dice il Signore nostro Gesù Cristo, Capo della Chiesa. D'altra parte, come ho avuto modo di affermare nell'importante occasione dell'incontro al Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 12 giugno 1984, la convinzione della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei Padri, nel ministero del Vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell'unità, costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi. Per quello che ne siamo responsabili, con il mio Predecessore Paolo VI imploro perdono. 

89. È tuttavia significativo ed incoraggiante che la questione del primato del Vescovo di Roma sia attualmente diventata oggetto di studio, immediato o in prospettiva, e significativo ed incoraggiante è pure che tale questione sia presente quale tema essenziale non soltanto nei dialoghi teologici che la Chiesa cattolica intrattiene con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, ma anche più generalmente nell'insieme del movimento ecumenico. Recentemente, i partecipanti alla quinta assemblea mondiale della Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio ecumenico delle Chiese, tenutasi a Santiago de Compostela, hanno raccomandato che essa "dia l'avvio ad un nuovo studio sulla questione di un ministero universale dell'unità cristiana". Dopo secoli di aspre polemiche, le altre Chiese e Comunità ecclesiali sempre di più scrutano con uno sguardo nuovo tale ministero di unità. 

90. Il Vescovo di Roma è il Vescovo della Chiesa che conserva l'impronta del martirio di Pietro e di quello di Paolo: "Per un misterioso disegno della Provvidenza, è a Roma che egli [Pietro] conclude il suo cammino al seguito di Gesù ed è a Roma che dà questa massima prova d'amore e di fedeltà. A Roma, Paolo, l'apostolo delle genti, dà anche lui la testimonianza suprema. La Chiesa di Roma diventava così la Chiesa di Pietro e di Paolo".

Nel Nuovo Testamento, la persona di Pietro ha un posto eminente. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli, egli appare come il capo ed il portavoce del collegio apostolico designato come "Pietro [...] con gli altri Undici" (2,14; cfr. anche 2,37; 5,29). Il posto assegnato a Pietro è fondato sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono ricordate nelle tradizioni evangeliche. 

91. Il Vangelo di Matteo delinea e precisa la missione pastorale di Pietro nella Chiesa: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (16,17-19). Luca evidenzia che Cristo raccomanda a Pietro di confermare i fratelli, ma che allo stesso tempo gli fa conoscere la sua debolezza umana ed il suo bisogno di conversione (cfr. Lc 22,31-32). È proprio come se, sullo sfondo dell'umana debolezza di Pietro, si manifestasse pienamente che il suo particolare ministero nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; è come se il Maestro si dedicasse in modo speciale alla sua conversione per prepararlo al compito che si appresta ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto esigente con lui. La stessa funzione di Pietro, sempre legata ad una realistica affermazione della sua debolezza, si ritrova nel quarto Vangelo: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? [...] Pasci le mie pecorelle" (cfr. Gv 21,15-19). È inoltre significativo che secondo la Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, il Cristo risorto appaia a Cefa e quindi ai Dodici (cfr. 15,5).

È importante rilevare come la debolezza di Pietro e di Paolo manifesti che la Chiesa si fonda sulla infinita potenza della grazia (cfr. Mt 16,17; 2Cor 12,7-10). Pietro, subito dopo la sua investitura, è redarguito con rara severità da Cristo che gli dice: "Tu mi sei di scandalo" (Mt 16,23). Come non vedere nella misericordia di cui Pietro ha bisogno una relazione con il ministero di quella misericordia che egli sperimenta per primo? Ugualmente, tre volte egli rinnegherà Gesù. Anche il Vangelo di Giovanni sottolinea che Pietro riceve l'incarico di pascere il gregge in una triplice professione d'amore (cfr. 21,15-17) che corrisponde al suo triplice tradimento (cfr. 13, 38). Luca, da parte sua, nella parola di Cristo già citata, alla quale aderirà la prima tradizione nell'intento di delineare la missione di Pietro, insiste sul fatto che questi dovrà "confermare i suoi fratelli una volta che si sarà ravveduto" (cfr. Lc 22,32). 

92. Quanto a Paolo, egli può concludere la descrizione del suo ministero con la sconvolgente affermazione che gli è dato raccogliere dalle labbra del Signore: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza", e può esclamare quindi: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,9-10). È questa una caratteristica fondamentale dell'esperienza cristiana.

Erede della missione di Pietro, nella Chiesa fecondata dal sangue dei corifei degli Apostoli, il Vescovo di Roma esercita un ministero che ha la sua origine nella multiforme misericordia di Dio, la quale converte i cuori e infonde la forza della grazia laddove il discepolo conosce il gusto amaro della sua debolezza e della sua miseria. L'autorità propria di questo ministero è tutta per il servizio del disegno misericordioso di Dio e va sempre vista in questa prospettiva. Il suo potere si spiega con essa. 

93. Ricollegandosi alla triplice professione d'amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento, il suo successore sa di dover essere segno di misericordia. Il suo è un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo. Tutta questa lezione del Vangelo deve essere costantemente riletta, affinché l'esercizio del ministero petrino nulla perda della sua autenticità e trasparenza.

La Chiesa di Dio è chiamata da Cristo a manifestare ad un mondo ripiegato nel groviglio delle sue colpevolezze e dei suoi biechi propositi che, malgrado tutto, Dio può, nella sua misericordia, convertire i cuori all'unità, facendoli accedere alla sua propria comunione. 

94. Tale servizio dell'unità, radicato nell'opera della misericordia divina, è affidato, all'interno stesso del collegio dei Vescovi, ad uno di coloro che hanno ricevuto dallo Spirito l'incarico, non di esercitare il potere sul popolo - come fanno i capi delle nazioni e i grandi (cfr. Mt 20,25; Mc 10,42) -, ma di guidarlo perché possa dirigersi verso pascoli tranquilli. Questo incarico può esigere di offrire la propria vita (cfr. Gv 10,11-18). Dopo aver mostrato come Cristo sia "il solo Pastore, nell'unità del quale tutti sono uno", sant'Agostino esorta: "Che tutti i pastori siano dunque nel solo Pastore, che essi facciano udire la voce unica del Pastore; che le pecore odano questa voce, seguano il loro Pastore, cioè non questo o quello, ma il solo; che tutti in lui facciano intendere una sola voce e non delle voci discordanti [...], la voce sgombra da ogni divisione, purificata da ogni eresia, che le pecore ascoltano". La missione del Vescovo di Roma nel gruppo di tutti i Pastori consiste appunto nel "vegliare" (episkopein) come una sentinella, in modo che, grazie ai Pastori, si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce di Cristo-Pastore. Così, in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si realizza l'una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia. Tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i Pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo.

Con il potere e l'autorità senza i quali tale funzione sarebbe illusoria, il Vescovo di Roma deve assicurare la comunione di tutte le Chiese. A questo titolo, egli è il primo tra i servitori dell'unità. Tale primato si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana. Spetta al Successore di Pietro di ricordare le esigenze del bene comune della Chiesa, se qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione dei propri interessi. Egli ha il dovere di avvertire, mettere in guardia, dichiarare a volte inconciliabile con l'unità di fede questa o quella opinione che si diffonde. Quando le circostanze lo esigono, egli parla a nome di tutti i Pastori in comunione con lui. Egli può anche - in condizioni ben precise, chiarite dal Concilio Vaticano I - dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene al deposito della fede. Testimoniando così della verità, egli serve l'unità. 

95. Tutto questo si deve però compiere sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "vicari e delegati di Cristo". Il Vescovo di Roma appartiene al loro "collegio" ed essi sono i suoi fratelli nel ministero.

Ciò che riguarda l'unità di tutte le comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina".

In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios I, ho detto di essere consapevole che "per delle ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri". 

96. Compito immane, che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido "siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21)?

[Ut Unum sint]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
For the prodigious and instantaneous healing of the paralytic, the apostle St. Matthew is more sober than the other synoptics, St. Mark and St. Luke. These add broader details, including that of the opening of the roof in the environment where Jesus was, to lower the sick man with his lettuce, given the huge crowd that crowded at the entrance. Evident is the hope of the pitiful companions: they almost want to force Jesus to take care of the unexpected guest and to begin a dialogue with him (Pope Paul VI)
Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata. Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui (Papa Paolo VI)
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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