Da un po’ di tempo sento parlare dai media di intelligenza artificiale. Apprendo che è una branca dell’informatica che ha come scopo la costruzione di macchine capaci di lavorare, di avere delle prestazioni simili a quelle dell’uomo. Qualche giorno fa ho sentito che è stato tradotto un antico manoscritto grazie all’intelligenza artificiale.
So che l’idea di realizzare macchinari in grado di riprodurre l’intelligenza umana ci ha sempre attratti fin dall’antichità.
Kerenyi nei miti della Grecia ci parla della figura di Talo (o Talos) di Creta. Era una statua vivente, un gigantesco automa invulnerabile, incaricato da Minosse di sorvegliare l’isola. Il gigante era invincibile tranne in un punto della caviglia dove era visibile una vena. La leggenda narra che fu ucciso con una freccia che lo colpì nel punto debole. Altra versione narra che morì per la perdita del sangue, però non per una freccia, ma perché aveva urtato la caviglia contro una roccia, dopo che Medea lo aveva stregato con le sue arti magiche.
L’intelligenza artificiale: non so se siano più i vantaggi o i pericoli. Forse in campo scientifico o medico essa può risultare preziosa, ma nella vita pratica, quotidiana, temo una disumanizzazione.
Oltretutto: e i posti di lavoro?
Per fare un banale esempio, immaginate quando domani in un ristorante vi servirà un robot? Credo che tutti preferiamo un essere umano, con i suoi pregi, difetti, con il suo ingegno.
O ancora, ho sentito da un telegiornale che l’intelligenza artificiale sarà impiegata nel campo della psicologia e della psicoterapia.
Qui tutto il mio essere si ribella!
La psicologia si occupa dell’anima e la psicoterapia è una forma di aiuto attraverso il rapporto interpersonale. Come può un automa aiutare un essere umano nella sofferenza interiore? Quale vissuto può trasmettere e comunicare all’altro?
Non basta dare linee guida; lo psicoterapeuta studia per anni e nel caso dell’analisi si sottopone egli stesso ad analisi per poter conoscere il proprio inconscio e cercare di aiutare l’altro. Ma anche nell’applicare un test, il professionista si serve di solito di un computer al fine di valutare i dati statistici, ma è sempre lo stesso professionista a valutare il test in base alle sue conoscenze e alla storia del soggetto. Può un automa fare questo?
Penso che l’intelletto sia una prerogativa umana. Esistono comportamenti animali che fanno supporre l’attività conseguente a un fine, anche se basate sull’istinto.
La definizione di intelligenza si è evoluta negli anni, passando da un’abilità generale ad una competenza cognitiva congiunta con componenti ambientali, emozionali, esperienziali.
La prima definizione di essa fu data da Spermann che la considerava come “fattore g“ - cioè una capacità generale astratta, al di sopra di altre abilità. Poteva essere misurata attraverso dei test e questo la rendeva scientifica.
Poi sono state elaborate altre teorie sull’intelligenza: Thurstone ipotizzò sette abilità primarie, Guilford ci ha parlato di 120 abilità primarie e autonome fra di loro, Cattell distinse tra intelligenza fluida e cristallizzata. La fluida è la parte strutturale funzionale, innata - cioè la capacità di cogliere relazioni tra elementi, indipendentemente da apprendimenti; quella cristallizzata scaturisce dall’esperienza.
Un tipo di intelligenza oggi molto studiata è l’intelligenza emotiva. Consiste nel riconoscere e regolamentare le propria vita emozionale.
Questo elenco non è esaustivo. Ho solo citato qualche teoria.
Quella che personalmente mi piace di più è la teoria di Jean Piaget: l’autore parla di ‘assimilazione e accomodamento’. Essi accompagnano la vita di un individuo; più flessibile in giovinezza, più rigido nella senescenza.
L’assimilazione: abbiamo esperienza dl mondo esterno per mezzo di schemi già in nostro possesso. Ne è un esempio il neonato con il riflesso di suzione, che gli permette di esplorare la realtà circostante. L’accomodamento è il cambiamento di questi schemi in base a nuove esperienze, che forniscono ulteriori informazioni. Questi due momenti si alternano in cerca di un equilibrio.
Questo equilibrio fa sì che l’individuo organizzi una forma di adattamento all’ambiente.
I due momenti sono quasi sempre presenti in ogni attività umana; a volte prevale l’assimilazione, a volte l’accomodamento. Ad esempio, quando un bimbo stringe il pugno senza tenere nulla in mano o fa i movimenti della suzione senza avere niente in bocca, è l’ assimilazione a dominare; mentre l’accomodamento primeggia quando ad esempio un bimbo imita un gesto che ha visto o tenta di portare la mano alla bocca. O ancora se un bambino prende una penna deve eseguire dei movimenti con le dita diversi da quando prende un pallone. Accomoda i suoi gesti.
Per Piaget lo sviluppo mentale comincia con il periodo sensomotorio. Sinteticamente è una fase che va dalla nascita ai due anni circa. Dai soli riflessi, passa a dei comportamenti, per vedere le conseguenze sul proprio corpo e poi su oggetti del mondo esterno, scoprendo nuove azioni efficaci per raggiungere uno scopo. Verso i diciotto mesi compare l’attività rappresentativa: il bambino è in grado di immaginarsi delle azioni.
Nella fase preconcettuale [2- 4 anni] prevale l’egocentrismo e aumenta il linguaggio, ma il bimbo non sa passare dal modo di pensare generale a quello particolare, e contrariamente.
Dai quattro ai sette anni circa abbiamo la fase del pensiero intuitivo. Con la scuola materna il bambino acquisisce nuove informazioni, ma ancora non c’è reversibilità. Quest’ultima consiste nel mettere in relazione col pensiero più azioni, e saperle ricostruire al contrario.
Nella fase delle operazioni concrete, cresce l’accordo fra le azioni. Il pensiero passa dal particolare al generale, e viceversa; ma si è ancora legati alle azioni.
Nella fase delle operazioni formali [dagli undici ai quattordici anni circa] il ragionamento ipotetico deduttivo permette di fare delle ipotesi. Il preadolescente comincia a pensare al proprio futuro, e riflette sui valori del proprio ambiente culturale.
Questo piccolo schema riassuntivo non è completo né esaustivo. La teoria “piagetiana“ è molto più articolata. Oltre alla teoria di Piaget ci sono stati Wygotskij e Bruner, che hanno avuto i loro punti di vista.
Tenendo conto di questi piccoli dati sullo sviluppo umano, reminiscenze degli studi universitari, mi sono chiesto: l’intelligenza artificiale sarà in grado di trovare un accomodamento per adattarsi al meglio? Saprà trovare nuove soluzioni? O si avvarrà solo del momento di assimilazione? E soprattutto: sarà un aiuto, o si metterà in concorrenza con l’essere umano?
Francesco Giovannozzi, psicologo-psicoterapeuta.