Qualche giorno mi trovavo in un bar. C’erano dei giovani che parlavano dei loro problemi quotidiani, quando a un certo punto esce fuori il problema dell’invidia.
La discussione su questo argomento viene accolta anche dalle persone che erano lì e qualcuno scherzando o meno (chissà) ha espresso: ma come si toglie?
Mi sono tornate in mente vecchie pratiche magiche e superstiziose di quando ero bimbo. Oppure di tutte quelle volte che ho sentito dire di fronte a un insuccesso o situazione poco favorevole: “devo andare a far togliere l’invidia”. E non solo da gente semplice, ma anche da persone con un certo grado di cultura. Come già sostenuto nei precedenti articoletti, anche l’uomo di scienza ha la sua parte irrazionale.
Nel vocabolario Treccani alla voce invidia si legge: “Sentimento spiacevole per un bene o qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece le possiede”.
E’ un sentimento che abbiamo tutti e che ci rifiutiamo di riconoscere perché spesso è una cosa di cui ci vergogniamo. Spesso crediamo che questo sentimento abbia poteri occulti e per questo crediamo che pseudo pratiche magiche possano liberarci. Nulla di più illusorio.
Melanie Klein ha scritto il libro “Invidia e Gratitudine” dove affronta tale tematica.
Quest’autrice ha indagato a fondo il primo rapporto che il bambino ha con il seno materno e poi con la madre quando riesce a percepirla come oggetto totale. Rapporto primario che può risultare difficile anche per cause materne: non accettazione del bimbo, difficoltà nel parto, o riluttanza nell’allattarlo.
Ma ci sono cause che possono scaturire anche dal bambino, e fra queste primeggia proprio l’invidia che gli impedisce un bel rapporto col seno.
Il bimbo può provare un grosso sentimento di rabbia verso il seno, sia che venga percepito come buono, cioè che lo soddisfi, sia come cattivo - perché non accontenta i suoi bisogni e genera invidia perché possiede qualcosa che lui non ha.
E allora il lattante prova a danneggiarlo come può, mettendoci le sue parti cattive (sputando, orinando, mordendo, ecc.).
In una persona una forte presenza dell’invidia può danneggiare il proprio modo di vivere, e i suoi rapporti con gli altri; non per cause esterne, ma perché non riesce a comprendere l’oggetto buono.
Ritiene di averlo rovinato e reso cattivo.
Non riesce a sentire i suoi sentimenti buoni, e questo aumenta la sua invidia e il suo odio.
Invece il bambino che è più capace di provare amore e gratitudine per il dono che ha ricevuto, sperimenta maggiormente l’oggetto buono.
Di conseguenza, acquistando fiducia nella propria bontà, supererà invidia e odio con maggiore facilità.
La persona affetta da invidia difficilmente riesce a godere delle gioie della vita, perché il rapporto con la madre e poi con qualsiasi altro oggetto di amore è danneggiato.
I sentimenti positivi spingono il bambino a conservare il latte ricevuto come buono.
Saper sperimentare gratitudine è la base del piacere, e in seguito egli sarà in grado di stabilire rapporti soddisfacenti, perché sono diminuiti i desideri distruttivi: le sue angosce saranno meno forti.
L’invidia non ci fa vivere bene, per il semplice motivo che va in senso contrario alla vita - e il mondo esterno diventa il nostro nemico.
Oppure essa ci fa vivere un “seno” troppo idealizzato o troppo cattivo.
Una persona con una buona capacita di voler bene riesce ad amare l’ “oggetto” pur vedendone i limiti.
Una cosa positiva che l’invidia può operare in noi è la possibilità di migliorarci.
Spesse volte, per chi chiede aiuto ad un professionista, fra le varie tematiche che la persona porta in analisi, si deve affrontare questo problema.
Se l’analista ha ben cosciente queste sue parti distruttive, riuscirà a condurre la persona che ha di fronte a riconoscere le parti negative, e a mitigarle con l’amore e i sentimenti positivi.
La persona ben adattata sopporterà meglio i propri sensi di colpa, e non avrà bisogno di vederli addosso agli altri. .
Molto spesso è difficile sopportare noi stessi.
Francesco Giovannozzi Psicologo – Psicoterapeuta.