Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Oggi Dio continua a piangere — con lacrime di padre e di madre — davanti alle calamità, alle guerre scatenate per adorare il dio denaro, a tanti innocenti uccisi dalle bombe, a un’umanità che sembra non volere la pace. È un forte invito alla conversione quello rilanciato da Francesco nella messa celebrata giovedì mattina, 27 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta. Un invito che il Pontefice ha motivato ricordando che Dio si è fatto uomo proprio per piangere con e per i suoi figli.
Nel passo del vangelo di Luca (13, 31-35) proposto dalla liturgia, ha spiegato il Papa, «sembra che Gesù avesse perso la pazienza e usa anche parole forti: non è un insulto ma non è fare un complimento dire “volpe” a una persona». Per la precisione dice ai farisei che gli hanno parlato di Erode: «Andate a dire a quella volpe». Ma già «in altre occasioni Gesù ha parlato duro»: ad esempio, ha detto «generazione perversa e adultera». E ha chiamato i discepoli «duri di cuore» e «stolti». Luca riporta le parole con cui Gesù fa un vero e proprio «riassunto di quello che dovrà accadere: “è necessario che io prosegua il mio cammino perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”». In pratica il Signore «dice quello che succederà, si prepara a morire».
Ma «poi subito Gesù cambia i toni», ha evidenziato Francesco. «Dopo questo scoppio tanto forte», infatti, «cambia tono e guarda il suo popolo, guarda la città di Gerusalemme: “Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te!”». Egli guarda «la Gerusalemme chiusa, che non ha sempre ricevuto i messaggeri del Padre». E «il cuore di Gesù incomincia a parlare con tenerezza: “Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini!”». Ecco «la tenerezza di Dio, la tenerezza di Gesù». Quel giorno egli «pianse su Gerusalemme». Ma «quel pianto di Gesù — ha spiegato il Papa — non è il pianto dell’amico davanti alla tomba di Lazzaro. Quello è il pianto di un amico davanti alla morte dell’altro»; invece «questo è il pianto di un padre che piange, è Dio Padre che piange qui nella persona di Gesù».
«Qualcuno ha detto che Dio si è fatto uomo per poter piangere quello che avevano fatto i suoi figli» ha affermato il Pontefice. E così «il pianto davanti alla tomba di Lazzaro è il pianto dell’amico». Ma quello che racconta Luca «è il pianto del Padre». A questo proposito Francesco ha voluto riproporre anche l’atteggiamento del «padre del figliol prodigo, quando il figlio più piccolo gli ha chiesto i soldi dell’eredità e se ne è andato via». E «quel padre è sicuro, non è andato dai suoi vicini a dire: “guarda cosa mi è accaduto, ma questo povero disgraziato cosa mi ha fatto, io maledico questo figlio!”. No, non ha fatto questo». Invece, ha detto il Papa, «sono sicuro» che quel padre «se ne è andato a piangere da solo».
È vero, il Vangelo non rivela questo particolare — ha proseguito Francesco — però racconta «che quando il figlio tornò vide il padre da lontano: questo significa che il padre continuamente saliva sul terrazzo a guardare il cammino per vedere se il figlio tornava». E «un padre che fa questo è un padre che vive nel pianto, aspettando che il figlio torni». Proprio questo è «il pianto di Dio Padre; e con questo pianto il Padre ricrea nel suo Figlio tutta la creazione».
«Quando Gesù andava con la croce al Calvario — ha ricordato il Pontefice — le pie donne piangevano e ha detto loro: “No, non piangete su di me, piangete per i vostri figli”». È il «pianto di padre e di madre che Dio anche oggi continua a fare: anche oggi davanti alle calamità, alle guerre che si fanno per adorare il dio denaro, a tanti innocenti uccisi dalle bombe che gettano giù gli adoratori dell’idolo denaro». E così «anche oggi il Padre piange, anche oggi dice: “Gerusalemme, Gerusalemme, figlioli miei, cosa state facendo?”». E «lo dice alle vittime poverette e anche ai trafficanti delle armi e a tutti quelli che vendono la vita della gente».
In conclusione Francesco ha suggerito di «pensare che Dio si è fatto uomo per poter piangere. E ci farà bene pensare che nostro Padre Dio oggi piange: piange per questa umanità che non finisce di capire la pace che lui ci offre, la pace dell’amore».
[Papa Francesco, omelia a s. Marta, in L’Osservatore Romano 28/10/2016]
Porta stretta: non perché oppressiva
(Lc 13,22-30)
Il senso della prima domanda è: «La Salvezza è esclusiva?» (v.23). Certo che no - e neppure dispotica. Ma non basta dichiararsi “Amici”.
A mezzo secolo dalla crocifissione di Gesù, nelle comunità iniziano a manifestarsi i primi segni di rilassamento.
I privilegiati sono già fuori Casa [vv.25ss].
La loro vicenda mette in guardia dall’illusione di sentirsi “eletti”. E interroga i credenti. Come fare per collocarsi sulla strada giusta?
Occasione per capire se siamo sui passi che davvero ci appartengono è la revisione costante del rapporto con la Persona “inadeguata” del Cristo [la «Porta stretta»: v.24].
Secondo il Maestro non si diventa “migliori” ricalcando cliché abitudinari ostentati, scarsamente convinti e adempiuti per tran tran.
Insomma, chi opera molte cose per Dio (v.26) e non per i fratelli - o neppure si accorge che esistono - in realtà non rende onore al Padre.
Coloro che non si “sgonfiano”, non solo mancano di umiltà per farsi servitori, ma neppure attraversano gli interstizi dei muri in cui s’incunea lo Spirito.
Ci chiediamo però ancora sorpresi come può il Padre trascurare proprio i suoi che hanno tanto creduto in Lui, e prediligere addirittura i lontani, provenienti non si sa bene da dove.
Forse hanno amato come Lui. Non hanno avuto una “corretta” relazione con Dio, ma una giusta relazione con gli altri, sì.
È nel loro intimo che hanno conosciuto il Signore. Personalmente. E trasmigrando, hanno compiuto il loro Esodo.
Andando direttamente all’obiettivo, si sono interessati del frutto: ascolto, compassione, condivisione generosa dei beni - invece delle molte foglie.
Con gli occhi dell’anima, in queste persone del tutto prive di supponenza spirituale, la percezione degli orientamenti interiori ha vinto i pensieri e gl’idoli del costume a portata di mano.
Essi sono coloro che non si sono mai considerati troppo grandi.
Vale per noi: non sentirsi eccellenti e non avere pretese è dal Cristo valutato assai più delle carte in regola.
Egli definisce costoro «facitori di cose vane, facitori di cose morte» [Lc 13,27; il testo greco ha un sottofondo semita del genere: Sal 6,9 testo ebraico].
Si riferisce ai ‘tiepidi’ che vanno avanti per inerzia e ancora oggi partecipano alle manifestazioni esteriori con estrema superficialità.
Fanno corpo, ma personalmente non mettono in moto nulla. Non sono passati per la «Porta stretta» che è Gesù stesso.
Costringendolo a dire: «Non so ‘da’ dove voi siete» (vv.25-27).
I veri discepoli partecipano del Banchetto senza finzioni: non hanno fuggito il mondo, hanno lottato (v. 24) per farsi capaci di amare. Si sono compromessi.
In tal modo hanno saputo incontrare gli stati profondi di se stessi e accompagnare le eccentricità altrui, recuperandone gli opposti (v.30).
«Porta stretta»: non perché oppressiva.
[Mercoledì 30.a sett. T.O. 30 ottobre 2024]
Porta stretta: non perché oppressiva
(Lc 13,22-30)
Il senso della prima domanda è: «La Salvezza è esclusiva?» (v.23). Certo che no - e neppure oppressiva.
Ma non basta dichiararsi “Amici” [qua e là proclamazione di maniera, divenuta patente d’immunità per condurre una doppia vita].
A mezzo secolo dalla crocifissione di Gesù nelle comunità iniziano a manifestarsi i primi segni di rilassamento, vezzo e confusione.
Infatti, proprio i lontani, nuovi e respinti dai veterani, manifestano di essere credenti che riconoscono il Signore più degli abitudinari di comunità (v.25).
Taluni di essi, praticanti ormai inautentici della sua Mensa e della Parola (v.26).
Come mai il Figlio indulgente di Lc finisce per sbattere la porta in faccia ai suoi vecchi devoti?
Perché sono diventati manieristi fasulli, teatranti come quelli della religione antica, manipolatori dell’immagine di Dio dell’Esodo.
Ormai incapaci [v.24 testo greco] di orientarsi secondo il disegno del Padre, e dispotici, solo perché rivestiti di lunghe pratiche di rito. Stilemi esterni, adempiuti per usanza e a scapito della vita piena - ossia, messa a disposizione dei fratelli.
I privilegiati sono già fuori Casa [vv.25ss].
La loro vicenda mette in guardia dall’illusione di sentirsi “eletti”, ed essere a posto, sulla strada giusta.
Insomma, bisogna evitare di atteggiarsi a fenomeni (cristologici) per routine - a buon mercato - invece che a servizio dell’umanizzazione.
Un’occasione per capire se siamo sui passi che davvero ci appartengono è la revisione costante del rapporto con la Persona “inadeguata” - del Cristo (la «Porta stretta»: v.24).
Secondo il Maestro non si diventa “migliori” ricalcando cliché abitudinari ostentati, scarsamente convinti e adempiuti per tran tran.
C’è dunque un punto critico nella sua clemenza? Di che genere è la sua inflessibilità? Perché il discrimine è nella sua cerchia?
Chi opera molte cose per Dio (v.26) e non per i fratelli - o neppure si accorge che esistono - in realtà non rende onore al Padre.
Coloro che non si “sgonfiano”, non solo mancano di umiltà per farsi servitori, ma neppure attraversano gli interstizi dei muri di pietra (o di gomma, più diplomatici) in cui s’incunea lo Spirito.
Ci chiediamo però ancora sorpresi come può il Padre trascurare proprio i suoi che hanno tanto creduto in Lui, e prediligere addirittura i lontani, provenienti non si sa bene da dove.
Forse hanno amato come Lui.
Hanno spontaneamente operato quel cambiamento di rotta e di sorte che la Chiesa istituzione [riflesso del Regno] è chiamata da sempre a incarnare.
E come sono riusciti a trovare il modo per passare?
Non hanno avuto una “corretta” relazione con Dio - probabilmente - ma una giusta relazione con gli altri, sì.
È nel loro intimo che hanno conosciuto il Signore. Personalmente - anche quelli che neppure ne hanno sentito parlare direttamente.
E trasmigrando, hanno compiuto il loro Esodo.
Andando direttamente all’obiettivo, si sono interessati del frutto: ascolto, compassione, condivisione generosa dei beni - invece delle molte foglie (di stendardo, rito e formula).
Con gli occhi dell’anima, in queste persone del tutto prive di supponenza spirituale, la percezione degli orientamenti interiori ha vinto i pensieri e gl’idoli del costume a portata di mano.
Essi sono coloro che non si sono mai considerati troppo grandi.
Il non sentirsi eccellenti e il non avere pretese è e sarà valutato assai più della giusta osservanza e dell’esatto stendardo.
Caratteristiche fatue, addirittura (!) - che il nuovo Rabbi attribuisce proprio agli habitué che sembrano avere le carte in regola.
Li definisce «facitori di cose vane, facitori di cose morte» [Lc 13,27; il testo greco ha un sottofondo semita del genere: Sal 6,9 testo ebraico].
Si riferisce ai tiepidi che vanno avanti per inerzia e ancora oggi partecipano alle manifestazioni esteriori con estrema superficialità.
Fanno corpo, ma personalmente non mettono in moto nulla.
Il Signore non vuole umiliare, ma invitarci a ripensare i motivi e le modalità della nostra sequela.
Ricevere il suo Pane significa accettare di diventare alimento in favore della vita del mondo.
Accogliere la sua Parola è gesto che denota il desiderio ardente di viverla, non un’abitudine, né modo per lasciarsi apprezzare e fare slalom.
Eppure Cristo si vede costretto a dire: «Non so “da” dove voi siete» (vv.25-27).
Mentre alcuni che neppure hanno conosciuto il Signore, sono misteriosamente passati per la «Porta stretta» che è appunto Gesù stesso - senz’accorgersi.
Privi dell’ipocrisia di reputarsi grandi Apostoli, ovvero coloro che sanno stare al mondo.
Il loro segreto è quello di un’esperienza convinta e di una pratica fraterna che ha diradato l’inganno spirituale delle parentesi (teatrali) in società.
Non hanno partecipato a passerelle (sacre) per poi trascorrere la vita additando, mortificando, rendendo inferma l’esistenza di tutti ed in specie dei malfermi.
Gente che si è dedicata al bene - quindi non è affogata nell’angoscia stantia delle culture devote e moraliste locali. Magari bloccati per timore di contaminarsi.
Anime le quali non sono vissute sotto una cappa di morbose ossessioni, tipiche di chi si fissa sui comportamenti altrui [e in modo inespresso li coltiva dentro].
I veri discepoli partecipano del Banchetto perché non hanno fuggito il mondo, hanno lottato (v. 24) per farsi capaci di amare.
Si sono compromessi coi vili limiti delle periferie esistenziali, proprie e dei fratelli.
Hanno dedicato l’esistenza all’inclusione sociale e all’accoglienza dei sentimenti, a riconoscere il legittimo desiderio di vita di ciascuno.
Si sono sradicati dall’idea che l’appartenenza religiosa porgesse una patente d’immunità (o addirittura di sacralizzazione) alla tiepidezza.
Con tutte le loro imperfezioni, hanno desiderato Felicità, non la banale allegria che copre il niente delle scelte.
Sono già persone complete, che hanno colmato anche la nostra esistenza, e per questo “entrate” sotto la luce di Dio.
Hanno avuto rispetto del loro Nucleo infallibile e della natura delle cose del mondo, che chiamano a Comunione.
Se sono state donne e uomini di preghiera, hanno ascoltato la voce della propria essenza.
Hanno saputo accogliere come ospite di riguardo qualsiasi stato d’animo (e intuizione) di partenza. Si sono accorti.
Hanno percepito ed espresso, non solo pensato e soffocato.
E scavando, si sono chiesti: cosa significa questa gioia o questa tristezza per me? Perché le mie calme e le mie angosce?
In tal modo hanno imparato a incontrare se stessi in tutto, e ad accompagnare le eccentricità altrui, recuperandone gli opposti (v.30).
Angeli rimasti in sintonia col Mistero di Dio che si annida nelle pieghe della storia personale e dell’altrui vicenda, giorno per giorno - nel genio del tempo.
Hanno colto il Segreto di Dio perché non hanno trascurato nulla come fosse un inganno, né tacitato le inquietudini.
L’insegnamento del Signore ha trasformato la loro esistenza: la conoscenza di Dio è diventata compassione ed empatia.
Così non hanno scambiato per pace l’indifferenza, per quiete l’opportunismo, per tranquillità il fallimento dei “meticci”.
Non sono stati tanto presuntuosi da ritenersi in diritto. Non hanno chiamato vittoria la subordinazione degli ultimi e degli esclusi.
«Porta stretta»: non perché oppressiva.
Anche l'odierna liturgia ci propone una parola di Cristo illuminante e al tempo stesso sconcertante. Durante la sua ultima salita verso Gerusalemme, un tale gli chiede: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". E Gesù risponde: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno" (Lc 13, 23-24). Che significa questa "porta stretta"? Perché molti non riescono ad entrarvi? Si tratta forse di un passaggio riservato solo ad alcuni eletti? In effetti, questo modo di ragionare degli interlocutori di Gesù, a ben vedere è sempre attuale: è sempre in agguato la tentazione di interpretare la pratica religiosa come fonte di privilegi o di sicurezze. In realtà, il messaggio di Cristo va proprio in senso opposto: tutti possono entrare nella vita, ma per tutti la porta è "stretta". Non ci sono privilegiati. Il passaggio alla vita eterna è aperto a tutti, ma è "stretto" perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo.
Ancora una volta, come nelle scorse domeniche, il Vangelo ci invita a considerare il futuro che ci attende e al quale ci dobbiamo preparare durante il nostro pellegrinaggio sulla terra. La salvezza, che Gesù ha operato con la sua morte e risurrezione, è universale. Egli è l'unico Redentore e invita tutti al banchetto della vita immortale. Ma ad un'unica e uguale condizione: quella di sforzarsi di seguirlo ed imitarlo, prendendo su di sé, come Lui ha fatto, la propria croce e dedicando la vita al servizio dei fratelli. Unica e universale, dunque, è questa condizione per entrare nella vita celeste. Nell'ultimo giorno - ricorda ancora Gesù nel Vangelo - non è in base a presunti privilegi che saremo giudicati, ma secondo le nostre opere. Gli "operatori di iniquità" si troveranno esclusi, mentre saranno accolti quanti avranno compiuto il bene e cercato la giustizia, a costo di sacrifici. Non basterà pertanto dichiararsi "amici" di Cristo vantando falsi meriti: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze" (Lc 13, 26). La vera amicizia con Gesù si esprime nel modo di vivere: si esprime con la bontà del cuore, con l'umiltà, la mitezza e la misericordia, l'amore per la giustizia e la verità, l'impegno sincero ed onesto per la pace e la riconciliazione. Questa, potremmo dire, è la "carta d'identità" che ci qualifica come suoi autentici "amici"; questo è il "passaporto" che ci permetterà di entrare nella vita eterna.
Cari fratelli e sorelle, se vogliamo anche noi passare per la porta stretta, dobbiamo impegnarci ad essere piccoli, cioè umili di cuore come Gesù. Come Maria, sua e nostra Madre. Lei per prima, dietro il Figlio, ha percorso la via della Croce ed è stata assunta nella gloria del Cielo, come abbiamo ricordato qualche giorno fa. Il popolo cristiano la invoca quale Ianua Caeli, Porta del Cielo. Chiediamole di guidarci, nelle nostre scelte quotidiane, sulla strada che conduce alla "porta del Cielo".
[Papa Benedetto, Angelus 26 agosto 2007]
5. Assieme a tutti i discepoli di Cristo, la Chiesa cattolica fonda sul disegno di Dio il suo impegno ecumenico di radunare tutti nell'unità. Infatti "la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce: raccogliere tutti e tutto in Cristo; ad essere per tutti "sacramento inseparabile di unità".
74. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21). La coerenza e l'onestà delle intenzioni e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta. Il Decreto conciliare sull'ecumenismo nota che negli altri cristiani "la fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; si aggiunge il vivo sentimento della giustizia e la sincera carità verso il prossimo".
103. Io, Giovanni Paolo, umile servus servorum Dei, mi permetto di fare mie le parole dell'apostolo Paolo, il cui martirio, unito a quello dell'apostolo Pietro, ha conferito a questa sede di Roma lo splendore della sua testimonianza, e dico a voi, fedeli della Chiesa cattolica, e a voi, fratelli e sorelle delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, "tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi [...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Cor 13,11.13).
[Papa Giovanni Paolo II, Ut Unum sint]
L’odierna pagina evangelica ci esorta a meditare sul tema della salvezza. L’evangelista Luca racconta che Gesù è in viaggio verso Gerusalemme e durante il percorso viene avvicinato da un tale che gli pone questa domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). Gesù non dà una risposta diretta, ma sposta il dibattito su un altro piano, con un linguaggio suggestivo, che all’inizio forse i discepoli non capiscono: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (v.24). Con l’immagine della porta, Egli vuol far capire ai suoi ascoltatori che non è questione di numero – quanti si salveranno - , non importa sapere quanti, ma è importante che tutti sappiano quale è il cammino che conduce alla salvezza.
Tale percorso prevede che si attraversi una porta. Ma, dov’è la porta? Com’è la porta? Chi è la porta? Gesù stesso è la porta. Lo dice Lui nel Vangelo di Giovanni; “Io sono la porta” (Gv 10,9). Lui ci conduce nella comunione con il Padre, dove troviamo amore, comprensione e protezione. Ma perché questa porta è stretta, si può domandare? Perché dice che è stretta? È una porta stretta non perché sia oppressiva, ma perché ci chiede di restringere e contenere il nostro orgoglio e la nostra paura, per aprirci con cuore umile e fiducioso a Lui, riconoscendoci peccatori, bisognosi del suo perdono. Per questo è stretta: per contenere il nostro orgoglio, che ci gonfia. La porta della misericordia di Dio è stretta ma sempre spalancata per tutti! Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni. Una porta stretta per restringere il nostro orgoglio e la nostra paura; una porta spalancata perché Dio ci accoglie senza distinzioni. E la salvezza che Egli ci dona è un flusso incessante di misericordia, che abbatte ogni barriera e apre sorprendenti prospettive di luce e di pace. La porta stretta ma sempre spalancata: non dimenticatevi di questo.
Gesù oggi ci rivolge, ancora una volta, un pressante invito ad andare da Lui, a varcare la porta della vita piena, riconciliata e felice. Egli aspetta ciascuno di noi, qualunque peccato abbiamo commesso, per abbracciarci, per offrirci il suo perdono. Lui solo può trasformare il nostro cuore, Lui solo può dare senso pieno alla nostra esistenza, donandoci la gioia vera. Entrando per la porta di Gesù, la porta della fede e del Vangelo, noi potremo uscire dagli atteggiamenti mondani, dalle cattive abitudini, dagli egoismi e dalle chiusure. Quando c’è il contatto con l’amore e la misericordia di Dio, c’è il cambiamento autentico. E la nostra vita è illuminata dalla luce dello Spirito Santo: una luce inestinguibile!
Vorrei farvi una proposta. Pensiamo adesso, in silenzio, per un attimo alle cose che abbiamo dentro di noi e che ci impediscono di attraversare la porta: il mio orgoglio, la mia superbia, i miei peccati. E poi, pensiamo all’altra porta, quella spalancata dalla misericordia di Dio che dall’altra parte ci aspetta per dare il perdono.
Il Signore ci offre tante occasioni per salvarci ed entrare attraverso la porta della salvezza. Questa porta è l’occasione che non va sprecata: non dobbiamo fare discorsi accademici sulla salvezza, come quel tale che si è rivolto a Gesù, ma dobbiamo cogliere le occasioni di salvezza. Perché a un certo momento «il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta» (v.25), come ci ha ricordato il Vangelo. Ma se Dio è buono e ci ama, perché chiuderà la porta a un certo punto? Perché la nostra vita non è un videogioco o una telenovela; la nostra vita è seria e l’obiettivo da raggiungere è importante: la salvezza eterna.
Alla Vergine Maria, Porta del Cielo, chiediamo di aiutarci a cogliere le occasioni che il Signore ci offre per varcare la porta della fede ed entrare così in una strada larga: è la strada della salvezza capace di accogliere tutti coloro che si lasciano coinvolgere dall’amore. È l’amore che salva, l’amore che già sulla terra è fonte di beatitudine di quanti, nella mitezza, nella pazienza e nella giustizia, si dimenticano di sé e si donano agli altri, specialmente ai più deboli.
[Papa Francesco, Angelus 21 agosto 2016]
Dal di dentro e nel domestico
(Lc 13,18-21)
Le due parabole sono state esposte in un momento di dubbio circa la proposta del Maestro e la missione dei suoi.
Un piccolo gruppetto di fedeli privi di aggancio sociale, poteva dire qualcosa al mondo?
Malgrado l’impegno, donne e uomini si arrovellano in tutti i loro antichi problemi; sentono il peso di sofferenze e angosce: a prima vista tutto appare come prima (sconnesso, caotico, frammentario).
Che senso ha per il concerto culturale e civico - oggi globale - la piccola speranza di pochi credenti privi d’un patrimonio appariscente?
Sembra che nella realtà del cosmo nulla cambi… ma il Granello è stato gettato nel solco della terra.
Pare che la pasta umana sia quella di sempre, ma un Lievito la sta rinnovando tutta, dal di dentro.
Gesù è stato come un semino piantato nell’oscurità, nulla di clamoroso. E gettato come nell’orto di casa [v.19 testo greco].
Il chicco di senape ha però una incredibile e intrinseca forza evolutiva.
Certo, il momento della crescita si conclude con un semplicissimo alberetto - un arbusto come tanti, sottoposto alle intemperie... eppure in grado di dare riposo e riparo a chiunque passi (v.19).
Quindi è sufficiente mettere un pizzico di lievito nella massa per farla completamente fermentare.
Il lievito non risalta, è nascosto: sparisce dentro. E a quel tempo tutto si conservava in una semplice madia casalinga.
Approfondendo la vita nello Spirito, ripetutamente ci rendiamo conto che abbiamo visto solo in parte: c’è ancora molto [più] da scoprire - in relazione allo sviluppo della vita ordinaria.
Malgrado i megalomani, le dimensioni del Regno di Dio, dell’universo dell’anima, e della Missione, non sono cosa verificabile immediatamente e completamente.
Bisogna introdursi in un processo, personale e tutto celato - per questo autenticamente sorgivo, convinto, e paradossalmente spalancato.
Infatti, persino «ad opera compiuta, ritrarsi è la Via del Cielo» [Tao Tê Ching, ix].
All’orizzonte di ogni cammino c’è sempre una nuova pianta, un’altra ‘genesi’, una differente fioritura nel tempo delle stagioni; un’inedita effervescenza, da introdurre nell’antico assetto già capitalizzato.
Ma seme e fermento lavorano ignoti.
Mancanza di riflettori, situazione povera, piccolezza... non sono ostacoli alla crescita, bensì la condizione.
Ciò che sembra niente diventa quel che la Creazione attende.
Si vede appena o affatto - ma dando tempo senza forzare e affrettare, ottiene l’evoluzione cordiale e domestica che non stona con Dio e i minimi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quale astuzia sensazionale ha tentato di distruggere la tua terra?
Quale conformismo ti ha fatto impallidire?
Quale Parola sommessa e calibrata su di te non ha prodotto trambusti, bensì ha rigenerato la tua passione, e ha dilatato la vita?
[Martedì 30.a sett. T.O. 29 ottobre 2024]
Dal di dentro e nel domestico
(Lc 13,18-21)
Le due parabole sono state esposte in un momento di dubbio circa la proposta del Maestro e la missione dei suoi.
Un piccolo gruppetto di fedeli privi di aggancio sociale, poteva dire qualcosa al mondo?
Malgrado l’impegno, donne e uomini si arrovellano in tutti i loro antichi problemi, sentono il peso di sofferenze e angosce: a prima vista tutto sembra come prima, sconnesso, caotico, frammentario.
Che senso ha per il concerto culturale e civico - oggi globale - la piccola speranza di pochi credenti privi d’un patrimonio appariscente?
Sembra che nella realtà del cosmo nulla cambi… ma il Granello è stato gettato nel solco della terra.
Pare che la pasta umana sia quella di sempre, ma un Lievito la sta rinnovando tutta, dal di dentro.
Gesù è stato come un semino piantato nell’oscurità, nulla di clamoroso. E gettato come nell’orto di casa [v.19 testo greco] dove non si coltivano parate strepitose, ma semplici patate, insalata, melanzane, cetrioli, pomodori - cose normali, niente di che.
Il chicco di senape ha però una incredibile e intrinseca forza evolutiva.
Certo, il momento della crescita si conclude con un semplicissimo alberetto - un arbusto come tanti, sottoposto alle intemperie... eppure in grado di dare riposo e riparo a chiunque passi (v.19).
Questo reca il miracolo finale: «una forma di vita dal sapore di Vangelo […] che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui [s. Francesco] dichiara beato colui che ama l’altro quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui».
Sebbene ripresa da espressioni del Primo Testamento, nei tratti descritti da Lc la figura evangelica degli uccelli del cielo illustra «l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» [cf. enciclica Fratelli Tutti, n.1].
L’esperienza del Santo di Assisi dal «cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze» introduce in una logica di dialogo che evita «ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna sottomissione» - senza mai imporre una «guerra dialettica» o le «dottrine» [FT, 3-4].
Quindi è sufficiente mettere un pizzico di lievito nella massa per farla completamente fermentare.
Il lievito non risalta, è nascosto: sparisce dentro. E a quel tempo tutto si conservava in una semplice madia casalinga.
Approfondendo la vita nello Spirito, ripetutamente ci rendiamo conto che abbiamo visto solo in parte: c’è ancora molto (più) da scoprire - in relazione allo sviluppo della vita ordinaria.
Quindi intuiamo sia in fondo alla portata di ciascuno; certo, non misterico, né acquisibile in una qualsiasi delle discipline dell’arcano.
Insomma, malgrado i megalomani, le dimensioni del Regno di Dio, dell’universo dell’anima, e della Missione, non sono cosa verificabile immediatamente e completamente.
Bisogna introdursi in un processo, personale e tutto celato - per questo autenticamente sorgivo, convinto, e paradossalmente spalancato.
Infatti, persino «ad opera compiuta, ritrarsi è la Via del Cielo» [Tao Tê Ching, ix].
All’orizzonte di ogni cammino c’è sempre una nuova pianta, un’altra ‘genesi’, una differente fioritura nel tempo delle stagioni; un’inedita effervescenza, da introdurre nell’antico assetto già capitalizzato.
Questo splendore e vitalità nascosti del cuore intuitivo e missionario, non appartiene ai rituali “culturali” o collettivi, né a doveri di contorno.
I lasciapassare artificiosi ci rendono prigionieri di condizionamenti che attenuano la percezione e smorzano la missione per cui siamo nati.
Anzi, uscire dal branco che partorisce i soliti pallidi (solo drogati) modelli interpretativi sarà un'opportunità per scoprire qualcosa di nuovo.
Sbalordiremo anche delle nostre stesse intime capacità propulsive - accompagnati solo dall’Amico che vede nel segreto.
Seme e fermento lavorano ignoti.
Mancanza di riflettori, situazione povera, piccolezza... non sono ostacoli alla crescita, bensì la condizione.
Ciò che sembra niente diventa quel che la Creazione attende.
Si vede appena o affatto - ma dando tempo senza forzare e affrettare, ottiene l’evoluzione cordiale e domestica che non stona con Dio e i minimi.
La Chiesa che verrà non sarà invadente: non pretenderà l’adesione [pena esclusioni].
Per questo motivo il dinamismo di crescita avrà un esito fuori scala, ma solo dal punto di vista umano e delle capacità ospitali (v.19), non per grandiosità concitate.
Priva di magnificenze clamorose, eclatanti e ricercate, la nuova Sposa divina si coglierà nell’attitudine alla pienezza. Ma solo perché corrisponderà al progetto di vita completa che ci abita il petto, e misteriosamente intuiamo nostro.
Capiremo: farà star bene tutti.
L’insicuro diventerà deciso, il perdente si tramuterà per Grazia in sapiente. Capiremo che accogliere la Parola e corrispondere alla propria Vocazione personale non sarà terrificante, bensì rigenerante.
Chi non s’incarta ma sposterà i suoi pensieri, punterà tutto, farà venir fuori la propria essenza.
Intuiremo che il nostro essere è già calibrato su trame innate, sommesse, personalmente-socialmente corrispondenti.
Nello Spirito e nella vita reale scopriremo il Magnifico qualitativo e speciale che i più conformisti e precipitosi, meno dialogici o capaci di ascolto, nemmeno lontanamente immaginano possa eccellere.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quale astuzia sensazionale ha tentato di distruggere la tua terra?
Quale conformismo - anche di clan - ti ha fatto impallidire?
Quale Parola sommessa e calibrata su di te non ha prodotto trambusti, bensì ha rigenerato la tua passione, e ha dilatato la vita?
Essendo cristiani, sappiamo che nostro è il futuro e l’albero della Chiesa non è un albero morente, ma l’albero che cresce sempre di nuovo. Quindi, abbiamo motivo di non lasciarci impressionare - come ha detto Papa Giovanni - dai profeti di sventura, che dicono: la Chiesa, bene, è un albero venuto dal grano di senape, cresciuto in due millenni, adesso ha il tempo dietro di sé, adesso è il tempo in cui muore”. No. La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro. Naturalmente, c’è un falso ottimismo e un falso pessimismo. Un falso pessimismo che dice: il tempo del cristianesimo è finito. No: comincia di nuovo! Il falso ottimismo era quello dopo il Concilio, quando i conventi chiudevano, i seminari chiudevano, e dicevano: ma … niente, va tutto bene … No! Non va tutto bene. Ci sono anche cadute gravi, pericolose, e dobbiamo riconoscere con sano realismo che così non va, non va dove si fanno cose sbagliate. Ma anche essere sicuri, allo stesso tempo, che se qua e là la Chiesa muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza, nello stesso tempo, nasce di nuovo. Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza della nostra vita, il grande, vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita eterna.
[Papa Benedetto al Seminario Romano, 8 febbraio 2013]
2. Gesù dice: “Il Regno di Dio è come un uomo che getta un seme nella terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura” (Mc 4, 26-29). Dunque il Regno di Dio cresce qui sulla terra, nella storia dell’umanità, in virtù di una semina iniziale, cioè di una fondazione, che viene da Dio, e di un misterioso operare di Dio stesso, che continua a coltivare la Chiesa lungo i secoli. Nell’azione di Dio in ordine al Regno è presente anche la falce del sacrificio: lo sviluppo del Regno non si realizza senza sofferenza. Questo è il senso della parabola riportata dal Vangelo di Marco.
3. Ritroviamo lo stesso concetto anche in altre parabole, specialmente in quelle riunite nel testo di Matteo (Mt 13, 3-50).
“Il regno dei cieli - leggiamo in questo Vangelo - si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo si annidano fra i suoi rami” (Mt 13, 31). È la crescita del regno in senso “estensivo”.
Un’altra parabola invece ne mostra la crescita in senso “intensivo” o qualitativo, paragonandolo al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti” (Mt 13, 32).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 25 settembre 1991]
Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
People have a dream: to guess identity and mission. The feast is a sign that the Lord has come to the family
Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione. La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia
“By the Holy Spirit was incarnate of the Virgin Mary”. At this sentence we kneel, for the veil that concealed God is lifted, as it were, and his unfathomable and inaccessible mystery touches us: God becomes the Emmanuel, “God-with-us” (Pope Benedict)
«Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi” (Papa Benedetto)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situationsi
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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