don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

3a Domenica di Avvento (anno A)  [14 dicembre 2025] 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! “Rallegratevi sempre nel Signore… il Signore è vicino”. L’annuncio di questa terza domenica di Avvento è l’annuncio della gioia del Natale vicino. L’Avvento ci educa a saper attendere con paziente speranza Gesù che certamente verrà. 

 

*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (35, 1...10)

Questo passo proviene dalla Piccola Apocalisse di Isaia detta “Apocalisse minore”(cc34-35), probabilmente scritta da un autore anonimo, e  racconta il gioioso ritorno di Israele dall’esilio a Babilonia. Siamo nel periodo in cui il popolo ha subito il sacco di Gerusalemme e trascorso oltre cinquanta anni lontano dalla propria terra, vivendo umiliazioni e sofferenze che scoraggiano anche i più forti. Isaia, vissuto nel VI secolo a.C. durante l’esilio a Babilonia, rassicura il popolo spaventato: “Ecco il vostro Dio: giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Il risultato sarà la liberazione dei sofferenti: ciechi vedranno, sordi udranno, zoppi salteranno di gioia, muti grideranno di gioia. Il popolo ha patito anni di dominazione, deportazione con umiliazioni e tante prove anche religiose: un tempo che scoraggia e fa temere per il futuro. L’autore usa l’espressione “vendetta di Dio”, che oggi può sorprendere. Ma qui la vendetta non è punizione sugli uomini: è la sconfitta del male che li opprime e la liberazione che Dio dona. Dio interviene personalmente per salvare, riscattare e ridare dignità: i ciechi vedranno, i sordi udranno, i zoppi salteranno e i muti grideranno di gioia. Il ritorno dall’esilio è descritto come una marcia trionfale attraverso il deserto: l’arido paesaggio si trasforma in terra fertile e lussureggiante, bella quanto le montagne del Libano, le colline del Carmelo e la pianura del Sarone, simboli di abbondanza e bellezza nella terra di Israele. Questo percorso indica che anche le prove più dure possono diventare un cammino di gioia e speranza quando Dio interviene. Il deserto, simbolo di difficoltà e prova, si trasforma così in un percorso di gioia e speranza grazie all’intervento di Dio. Il popolo liberato è chiamato “riscattato” e la  liberazione è paragonata al “riscatto” della legge ebraica: così come un parente vicino liberava un debito o riscattava uno schiavo, Dio stesso è il nostro “Go’el”, il Parente che libera chi è oppresso o prigioniero del male. In questo senso, la redenzione significa liberazione: fisica, morale e spirituale. Cantare “Alleluia” significa riconoscere che Dio ci conduce dalla servitù alla libertà, trasformando la disperazione in gioia e il deserto in fioritura. Questo testo ci ricorda che Dio non ci abbandona mai: anche nei momenti più difficili, la sua misericordia e il suo amore ci liberano e ci ridanno speranza e mostra come il linguaggio della Bibbia sappia trasformare parole che sembrano minacciose in promesse di salvezza e speranza, ricordandoci che Dio interviene sempre per liberarci e restaurare la nostra dignità.

.Elementi principali +Contesto: esilio babilonese, Israele lontano dalla terra, autore anonimo. +Piccola Apocalisse di Isaia: profezia di speranza e ritorno alla terra promessa. +Vendetta di Dio: sconfitta del male, non punizione sugli uomini. +Liberazione concreta: ciechi, sordi, zoppi, muti e prigionieri riscattati. +Deserto fiorirà: difficoltà trasformate in gioia e bellezza. +Riscatto/Redenzione: Dio come Go’el, liberatore di chi è oppresso. +Alleluia: canto di lode per la liberazione ricevuta. +Messaggio spirituale: Dio interviene per liberarci e ridarci speranza anche nei momenti più duri.

 

*Salmo responsoriale (145/146, 7-8. 9-10

Questo salmo, un “salmo dell’Alleluia” è un canto pieno di gioia e di riconoscenza, scritto dopo il ritorno del popolo d’Israele dall’esilio di Babilonia, probabilmente per la dedicazione del Tempio ricostruito. Il Tempio era stato distrutto nel 587 a.C. da Nabucodonosor, re di Babilonia. Nel 538 a.C., dopo la conquista di Babilonia da parte del re persiano Ciro, gli Ebrei furono autorizzati a tornare nella loro terra e a ricostruire il Tempio. La ricostruzione non fu facile a causa delle tensioni tra chi rientrava da Babilonia e chi era rimasto in Israele, ma grazie alla forza dei profeti Aggeo e Zaccaria i lavori terminarono nel 515 a.C., sotto il re Dario. La dedicazione del nuovo Tempio fu celebrata con grande gioia (Esdra 6,16). Il salmo riflette questa gioia: Israele riconosce che Dio è rimasto fedele all’Alleanza, come già durante l’Esodo. Dio è colui che libera gli oppressi, scioglie le catene, dà pane agli affamati, dona la vista ai ciechi e rialza i deboli. Questa immagine di Dio, un Dio che prende le parti dei poveri e prova compassione (“misericordia”indica come se le viscere fremessero), non era scontata nell’antichità. È il grande contributo di Israele alla fede dell’umanità: rivelare un Dio di amore e di misericordia. Il salmo lo esprime dicendo che il Signore sostiene la vedova e l’orfano. Il popolo è invitato a imitare Dio nella stessa misericordia, e la Legge d’Israele contiene molte norme a protezione dei deboli (vedove, orfani, stranieri). I profeti giudicavano la fedeltà d’Israele all’Alleanza anche sulla base di questo comportamento. A un livello più profondo, il salmo mostra che Dio non libera solo dalle oppressioni esteriori, ma anche da quelle interiori: la fame spirituale trova il suo cibo nella Parola; le cecità interiori vengono illuminate; le catene dell’odio, dell’orgoglio e della gelosia vengono sciolte. Anche se qui non lo vediamo, in realtà questo salmo è incorniciato dalla parola “Alleluia”, che secondo la tradizione ebraica significa cantare la lode di Dio perché Egli conduce dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla tristezza alla gioia. Noi cristiani leggiamo questo salmo alla luce di Gesù Cristo: Egli ha dato il pane ai suoi contemporanei e continua a dare il “pane della vita” nell’Eucaristia; Egli è la luce del mondo (Gv 8,12); nella sua risurrezione ha liberato definitivamente gli uomini dalle catene della morte. Infine, siccome l’uomo è creato a immagine di Dio, ogni volta che soccorre un povero, un malato, un prigioniero, uno straniero, manifesta l’immagine stessa di Dio. E ogni gesto fatto “al più piccolo” contribuisce a far crescere il Regno di Dio. Una catecumena, leggendo il miracolo della moltiplicazione dei pani, chiese: “Perché Gesù non lo fa ancora oggi per tutti gli affamati?” E dopo un attimo rispose: “Forse conta su di noi per farlo.”

Elementi importanti da ricordare +Contesto storico: salmo nato dopo il ritorno dall’esilio e la ricostruzione del Tempio (587–515 a.C.). +Tema centrale: la gioia del popolo per la fedeltà di Dio e la sua liberazione. +Rivelazione di Dio: Dio è misericordioso e difende gli oppressi, i poveri, i deboli. +Impegno del popolo: imitare Dio nelle opere di misericordia verso tutti gli oppressi. +Lettura spirituale: Dio libera dalle catene interiori (odio, orgoglio, cecità spirituale). +Alleluia: simbolo del passaggio dalla schiavitù alla libertà e dalla tristezza alla gioia. +Lettura cristiana: compimento in Cristo, che dà il pane vero, illumina, libera, salva. +Immagine di Dio nell’uomo: ogni gesto di amore verso i più fragili rende visibile l’immagine di Dio. + Responsabilità cristiana: Dio conta anche sul nostro impegno per nutrire, liberare e sostenere i sofferenti.

 

*Seconda Lettura dalla lettera d san Giacomo apostolo (5,7-10)

La tradizione cristiana conosce tre figure di Giacomo vicine a Gesù: Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, dal carattere impetuoso, presente alla Trasfigurazione e a Getsemani; Giacomo figlio di Alfeo, uno dei Dodici; Giacomo “fratello/cugino” del Signore, guida della Chiesa di Gerusalemme e probabile autore della Lettera di Giacomo. Nel testo emerge un tema fondamentale per i primi cristiani: l’attesa della venuta del Signore. Come Paolo, anche Giacomo guarda sempre all’orizzonte del compimento finale del progetto di Dio. È significativo che proprio all’inizio della predicazione cristiana si desiderasse più ardentemente la fine del mondo, forse perché la Risurrezione aveva dato un assaggio della gloria futura. In questa attesa, Giacomo ripete un invito cruciale: la pazienza, parola che nel greco originale (makrothyméo)  significa “avere il fiato lungo, avere un animo lungo”. L’attesa della venuta del Signore è una corsa di resistenza, non uno scatto: la fede deve imparare a durare nel tempo. Quando i primi cristiani si resero conto che la parusía non arrivava subito, l’attesa divenne una vera prova di fedeltà.

Per vivere questa resistenza, Giacomo offre due modelli: il contadino, che conosce il ritmo delle stagioni fiducioso in Dio che manda la pioggia “a suo tempo” (Dt 11,14) e l’altro modello: i profeti, che hanno sopportato ostilità e persecuzioni per rimanere fedeli alla loro missione. Giacomo chiede ai cristiani di avere fiato (costanza/pazienza) e cuore saldo (“Rinfrancate i vostri cuori”). Proprio nel versetto 11 che segue questo testo Giacomo cita anche Giobbe, unico caso nel Nuovo Testamento, come esempio supremo di perseveranza: chi rimane saldo come lui sperimenterà la misericordia del Signore. La pazienza non è solo personale: si vive nelle relazioni comunitarie. Giacomo riprende l’insegnamento di Gesù: non lamentatevi gli uni degli altri, non giudicatevi, non mormorate. “Il Giudice è alle porte”: solo Dio giudica davvero, perché vede il cuore. L’uomo rischia di confondere facilmente grano e zizzania. La lezione è anche per noi: spesso ci manca il respiro della speranza, e allo stesso tempo cediamo alla tentazione di giudicare. Eppure la parola di Gesù sulla pagliuzza e la trave rimane sempre attuale.

Elementi importanti da ricordare: + dei tre Giacomo, è il Maggiore, il figlio di Alfeo, il “fratello” del Signore il probabile autore di questa Lettera che riflette il tema centrale dell’attesa della venuta del Signore. +La pazienza è ripetuta più volte ed è intesa come “fiato lungo”, una corsa di resistenza. +L’attesa cristiana iniziale era molto intensa: si pensava che il ritorno di Cristo fosse imminente. +Due modelli di perseveranza: il contadino (fiducia nel tempo di Dio) e i profeti (coraggio nella missione). + v.11 non in questo testo ma subito dopo giovanni

cita Giobbe come esempio di tenuta: unica citazione nel NT, simbolo di perseveranza nella prova. +Missione comunitaria: non giudicare, non mormorare, non lamentarsi perché Il Giudice è alle porte” E invita a vivere sapendo che solo Dio giudica rettamente. +Pericolo anche oggi è la mancanza di respiro spirituale e rischio di giudicare gli altri.

   

*Dal Vangelo secondo Matteo (11, 2-11)

Domenica scorsa abbiamo visto Giovanni Battista battezzare lungo il Giordano e annunciare: “Dopo di me viene uno”. Quando Gesù chiese il battesimo, Giovanni riconobbe in lui il Messia atteso, ma i mesi passarono e Giovanni fu messo in prigione da Erode intorno all’anno 28, momento in cui Gesù iniziò la sua predicazione pubblica in Galilea. Gesù iniziò la vita pubblica con discorsi famosi, come il Discorso della Montagna e le Beatitudini, e con molte guarigioni. Tuttavia, il suo comportamento era strano agli occhi della gente: si circondava di discepoli poco “raccomandabili” (pubblicani, persone diverse per origine e carattere); non era un asceta come Giovanni, mangiava e beveva come tutti, e si mostrava tra la gente comune; non rivendicava mai il titolo di Messia, né cercava potere. Dalla prigione, Giovanni riceveva notizie da chi lo teneva informato e iniziò a dubitare: “Sarò stato ingannato? Sei tu il Messia?” Questa domanda è cruciale, perché riguarda sia Giovanni sia Gesù, costretto a confrontarsi con le aspettative di chi lo attendeva. Gesù non risponde con un sì o un no, ma cita le profezie sulle opere del Messia:i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi ascoltano, i morti risuscitano, i poveri ricevono la buona notizia (Isaia 35,5-6; 61,1). Con queste parole, Gesù invita Giovanni a verificare da sé se sta compiendo le opere del Messia, confermando che sì, è il Messia, anche se le sue maniere appaiono strane. Il vero volto di Dio si mostra al servizio dell’uomo, non secondo le aspettative di potere o gloria. Infine, Gesù elogia Giovanni che è beato perché  “non trova in me motivo di scandalo”. Giovanni dà un esempio di fede: anche nel dubbio, non perde fiducia e cerca direttamente la verità da Gesù stesso. Gesù conclude spiegando che Giovanni è il più grande dei profeti perché apre la strada al Messia, ma con la venuta di Gesù, anche il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di Giovanni, sottolineando che il contenuto del messaggio di Cristo supera qualsiasi aspettativa umana: “Il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi”.

 

Elementi importanti da ricordare +Giovanni Battista annuncia il Messia e battezza lungo il Giordano.+Gesù inizia la vita pubblica dopo l’arresto di Giovanni, in Galilea, con discorsi e miracoli.+Comportamento “strano” di Gesù che frequenta tutti, anche i più emarginati, non rivendica titoli o potere, si nutre e si mostra come la gente comune.+Dubbi di Giovanni: manda i discepoli a chiedere se Gesù è davvero il Messia.+ Risposta di Gesù: cita le opere profetiche del Messia (guarigioni, liberazioni, annuncio ai poveri).+Fede attiva di Giovanni: non resta nel dubbio, chiede chiarimenti direttamente a Gesù. +Gioia e sorpresa: il volto di Dio si rivela al servizio dell’uomo, non secondo le aspettative tradizionali. +Giovanni come precursore: il più grande dei profeti, ma con Gesù il più piccolo nel Regno è più grande. +Messaggio finale: Cristo è il Verbo incarnato, la realizzazione delle promesse di Dio.

 

*Ecco una citazione di San Gregorio Magno nell’Omelia 6 sui Vangeli, che commenta così l’episodio: “Giovanni non ignora chi sia Gesù: egli lo indica come l’Agnello di Dio. Ma, mandato in prigione, invia i discepoli non per sapere lui, bensì perché essi imparino dal Cristo ciò che egli già sapeva. Giovanni non cerca di istruirsi, ma di istruire. E Cristo non risponde con parole, ma con le opere: fa capire che è Lui il Messia non dicendo di esserlo, ma mostrando le opere annunciate dai profeti.” E aggiunge: “Il Signore proclama beato chi non si scandalizza di Lui, perché in Lui vi è grandezza nascosta sotto umile apparenza: chi non si scandalizza della sua umiltà, riconosce la sua divinità.” Questo commento illumina perfettamente il cuore del Vangelo: Giovanni non dubita per sé, ma per aiutare i suoi discepoli a riconoscere che Gesù è il Messia atteso, anche se si presenta in modo sorprendente e umile.

 

+Giovanni D’Ercole

Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria [8 Dicembre]

Testi biblici: Gn3, 9…20 – Ep 1, 3…12 – Lc 1, 26-38 Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Invece di commentare le letture propongo una meditazione teologica e spirituale sulla Immacolata Concezione a partire da San Paolo e facendo riferimento alla tradizione della Chiesa e alla liturgia.

1. San Paolo e Maria: un legame nascosto ma reale Anche se Paolo parla quasi per nulla direttamente della Vergine Maria, il suo insegnamento sull’elezione, santità e predestinazione dei cristiani (Ef 1,4-11) illumina profondamente il mistero di Maria. San Paolo afferma che tutti i battezzati sono eletti, santi e immacolati. Applicando questo a Maria, comprendiamo che ciò che vale per l’intera Chiesa si realizza in lei in modo perfetto e anticipato.

2. Il mistero della Chiesa illumina il mistero di Maria Nella cammino della teologia soprattutto nei primi secoli, si è compreso Maria a partire dalla Chiesa: Maria è ciò che la Chiesa è chiamata a diventare. Ciò che in noi è parziale, in lei è perfetto. È “la prima in cammino”: prima per tempo, prima per perfezione. Maria è la “prima” in due sensi: cronologicamente prima ad accogliere Cristo, prima a condividere la sua Passione, prima ad entrare nella gloria con corpo e anima. Qualitativamente: nessuno ha accolto Cristo con maggiore purezza, amore e libertà. La sua grazia unica non la separa da noi, ma manifesta ciò che Dio vuole realizzare in tutta la Chiesa. L’Immacolata Concezione non è un privilegio isolato, ma la piena realizzazione della vocazione di ogni cristiano: Maria è preservata dal peccato in vista dei meriti di Cristo. Noi siamo salvati dal peccato attraverso i meriti di Cristo (battesimo, sacramenti, conversione). Le traiettorie sono le stesse; in Maria sono solo anticipate e portate a perfezione grazie alla sua totale obbedienza e totale abbandono nella volontà di Dio: Maria non ha fatto la volontà divina ma ha vissuto interamente nella volontà di Dio. E’ qui la chiave della sua vita: tentata come tutti compreso Gesù, ha sconfitto Satana scegliendo di vivere sempre e completamente nella volontà del Padre e per questo è ora segno di sicura speranza per noi tutti

3. Perché Maria è Immacolata? La ragione è profondamente semplice: per essere veramente Madre di Dio. Per amare Gesù per ciò che è realmente — vero Dio e vero uomo — Maria doveva essere totalmente libera dal peccato, totalmente aperta all’amore, capace di accogliere Dio senza ostacoli. L’Immacolata Concezione è un dono d’amore: Dio la forma così per amore del Figlio e per amore nostro, perché Maria diventi Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Scrive san Giovanni Damasceno: “Come Eva ha collaborato alla caduta, Maria ha cooperato alla redenzione: immacolata, ha portato la vita a colui che doveva dare la vita al mondo.” E san Bartolo Longo recentemente canonizzato osserva: “L’Immacolata non è solo un titolo, ma un mistero vivo: Dio l’ha creata tutta pura per farne la Madre del Redentore.”

4. Maria ci precede per indicarci il nostro destino. Maria non schiaccia, non umilia, non allontana: mostra ciò che noi saremo nella gloria; è anticipo di ciò che la Chiesa diventerà; la sua santità è promessa della nostra. In lei vediamo la meta della vita cristiana. Maria riceve l’annuncio dell’angelo liberamente e Il suo “fiat” apre la porta alla salvezza. Oggi anche la Chiesa, come Maria, è chiamata ad annunciare Cristo, a portare il suo amore nel mondo, a dire il proprio “sì” nella storia. Dio ha bisogno delle nostre mani, dei nostri occhi, delle nostre abbra, del nostro cuore: come Maria, siamo chiamati a essere portatori di luce e lo possiamo essere nella misura in cui in noi vive la volontà di Dio come protagonista di tutta la nostra esistenza.

5. Che significa essere “immacolati” oggi? Per noi non significa essere senza peccato, ma accogliere l’azione di Dio nella nostra vita. Significa vivere aperti alla grazia, dire il nostro “sì” quotidiano, lasciarci purificare e trasformare dallo Spirito, diventare trasparenti per mostrare Cristo nel mondo. L’Immacolata Concezione diventa così una vocazione e un cammino. “La verità sull’Immacolata Concezione mi sembrava la più difficile da accettare … quando finalmente l’ho accolta, tutto si è chiarito: la mia fede ha trovato senso.”  (testimonianza riportata sul sito CatholicConvert.com nel racconto di Delores, una donna che narra la sua conversione al cattolicesimo).

Elementi importanti da ricordare: +Maria è compresa a partire dalla Chiesa: ciò che è vero per tutti i battezzati è perfetto in lei. +Immacolata perché Madre di Dio: per amare pienamente il Figlio, doveva essere totalmente libera dal peccato +“Prima in cammino”: prima nel tempo e nella qualità dell’amore e della santità.+La sua grazia è promessa per noi: ciò che lei vive già, la Chiesa e i cristiani lo vivranno appieno nella gloria. +Predestinazione condivisa: Maria è preservata dal peccato; noi siamo salvati dal peccato. +Il “fiat” di Maria come modello: Dio chiama, ma attende la nostra libertà; il sì apre la via alla missione. +Essere immacolati oggi: significa accogliere Dio, lasciarsi purificare, diventare trasparenza della sua luce. +Maria non toglie nulla a Dio: è “eco di Dio”; venerarla significa onorare l’opera di Dio in lei. +Maria indica il nostro destino: in lei vediamo ciò che Dio vuole realizzare in ognuno di noi. +L’Immacolata è un dono d’amore: di Dio a Maria e di Maria al  mondo.

*Ecco una brevissima sintesi storica dei principali difensori medievali dell’Immacolata Concezione: Sant’Alberto Magno (1200‑1280) – Teologo domenicano; aperto all’idea della preservazione di Maria dal peccato originale, ma senza definirla definitivamente. San Tommaso d’Aquino (1225‑1274) – Teologo domenicano; sosteneva che Maria fosse redenta «dopo il peccato originale», quindi non immacolata fin dal concepimento. Duns Scoto (1266‑1308) – Teologo francescano; difensore principale dell’Immacolata Concezione. Maria fu preservata dal peccato originale fin dal primo istante, grazie ai meriti di Cristo anticipati da Dio. Guglielmo di Ockham (1287‑1347) – Francescano; sostenitore della posizione di Scoto, pur con alcune sfumature filosofiche. L’idea centrale di Scoto: Maria immacolata fin dal concepimento, preservata dalla grazia di Dio grazie ai meriti futuri di Cristo, anticipando il dogma ufficiale definito nel 1854.

 

+ Giovanni D’Ercole

Dic 4, 2025

La cocciutaggine

Pubblicato in Commento breve

Un solo “personaggio”, o il Figlio dell’uomo

(Mt 11,16-19)

 

I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo religioso comune, e Fede.

Ci emancipano ribaltando posizioni: chi si sentiva difeso e sicuro - o sulla cresta dell’onda [alla moda] - ora sembra non capire nulla dell’agire di Dio in noi.

Mentre in Cristo si fa strada la provvidenza dei nuovi assetti, coloro che sono legati a forme banali cercano cocciutamente di riaggrapparsi ad esse.

 

I bambini capricciosi reclamano sempre, quando non ottengono un posto di rilievo nei giochi, o quando altri non fanno quel che dicono loro.

Il Battista era un araldo eminente, chiamato alla realizzazione del piano di Dio [noto a motivo della sua figura particolare, forse più incline alla rinuncia].

Ma il preconcetto della mortificazione non andava bene: dunque, un rompiscatole da rigettare.

Il ‘Figlio dell’uomo’ era più simpatico, espressivo e accogliente; non si faceva problemi di purità [quindi pure lui era un esagerato]: da ingiuriare e condannare.

L’austero e penitente veniva giudicato al pari d’un indemoniato; il giovane Rabbi che invitava alla gioia, un lassista.

Giovanni sembrava troppo esigente, Gesù esageratamente largo d’idee e comportamenti.

 

I ragazzini viziati non si accordano neppure nel gioco, e stanno caparbiamente fermi sulle loro posizioni.

I bimbi incontentabili rifiutano ogni proposta: hanno sempre da ridire.

Ma la Rivelazione va al di là di ogni Attesa.

Certo, il modo austero del deserto sembrava irragionevole.

Il Signore invece viveva in mezzo alla gente, accettava inviti e non cercava di apparire diverso dagli altri - ma il suo stile affabile e semplice era considerato troppo ordinario e accessibile per un inviato da Dio.

«Eppure la Sapienza è stata riconosciuta giusta dalle sue opere» (v.19) ossia i piccoli leggono il segno dei tempi.

I figli riconoscono la divina Sapienza, vedono il suo disegno.

Colgono il progetto di Salvezza nella predicazione del Battista e del Cristo.

Non hanno troppo ‘controllo’ sulle cose; ne sono amici.

Sono coscienti dei limiti e dei punti di forza; apprendono perfino da posizioni subalterne e dai lati oscuri, imparano dagli stessi timori.

Vincono l’immobilismo spirituale dei grandi esperti, criticoni d’ogni brezza di cambiamento, o troppo astratti e sofisticati.

Entrambi i quali s’installano e signoreggiano - generando un’umanità radicalmente impoverita.

Costoro sono come figure puerili e incontentabili, ma che non si alzano né smuovono: «seduti» (v.16).

Essi calpestano, violano, inceppano tutto.

Ovunque, gli “eletti” rimangono indifferenti o indispettiti, perché sono, colgono e comprendono “una cosa sola”.

Mai chiudono il loro ‘personaggio’ per aprirne un altro, o per esplorare diversi lati di sé e del mondo.

Hanno l’anima inamidata.

Invece, chi non ha il cuore chiuso sta anticipando la Venuta d’un nuovo Regno, sta cogliendo il proprio ‘volto eterno’.

 

 

[Venerdì 2.a sett. Avvento, 12 dicembre 2025]

Dic 4, 2025

La cocciutaggine

Pubblicato in Croce e Vuoto

Un solo “personaggio”, o il Figlio dell’uomo

(Mt 11,16-19)

 

I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e Fede.

Ci emancipano ribaltando posizioni: chi si sentiva difeso e sicuro ora sembra un bambolotto che non capisce nulla dell’agire di Dio in noi.

D’altro canto, i “grandi” riformatori senza storia e senza spina dorsale elaborano straordinarie proiezioni disincarnate, e si trastullano in esse.

Pur cercando la gioia di vivere, si mettono sempre a distanza di sicurezza da ogni crudo coinvolgimento - che (con Papa Francesco) potremmo definire «artigianale».

Mentre si fa strada la provvidenza dei nuovi assetti, coloro che sono legati a forme stagnanti o eccessivamente fantasiose cercano cocciutamente di riaggrapparsi ad esse.

Entrambe le posizioni sembrano fatte apposta per non dare frutti, né crescere insieme. Esse arginano le autenticità, che pur qua e là fioriscono e dilagano.

I dirigenti del popolo e i veterani si sentono smarriti, perché iniziano a misurare la vacuità della loro supponenza, la futilità del loro prestigio, l’infantile incoerenza dei loro patetici pretesti.

 

In epigrafe al commento sul Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung scrive: «L’eterno Nome vuol essere come l’infante che ancora non ha parlato, come il pulcino che ancora non s’è sgusciato».

I bambini capricciosi invece reclamano sempre, quando non ottengono un posto di rilievo nei giochi, o quando altri non fanno quel che dicono loro.

Il Battista era un araldo eminente, chiamato alla realizzazione del piano di Dio [noto a motivo della sua figura particolare, forse più incline alla rinuncia].

Ma il preconcetto della mortificazione non andava bene: dunque, un rompiscatole da rigettare.

Cristo era più simpatico, espressivo e accogliente; non si faceva problemi di purità [quindi pure lui doveva essere un esagerato]: da ingiuriare e condannare.

L’austero e penitente veniva giudicato al pari d’un indemoniato; il giovane Rabbi che invitava alla gioia, un lassista.

Per i beccamorti della città santa Giovanni era troppo esigente, Gesù sembrava esageratamente largo d’idee e comportamenti.

I ragazzini viziati non si accordano neppure nel gioco, e stanno caparbiamente fermi sulle loro posizioni.

I bimbi incontentabili rifiutano ogni proposta: hanno sempre da ridire.

Ma la stessa Rivelazione va al di là di ogni Attesa [cf. Tertio Millennio Adveniente, n.6].

 

Certo, il modo austero del deserto sembrava irragionevole.

Il Signore invece viveva in mezzo alla gente, accettava inviti e non cercava di apparire diverso dagli altri - ma il suo stile affabile e semplice era considerato troppo ordinario e accessibile per un inviato da Dio.

«Eppure la Sapienza è stata riconosciuta giusta dalle sue opere» (v.19 testo greco) ossia i piccoli leggono il segno dei tempi.

I figli riconoscono la divina Sapienza, vedono il suo disegno.

Colgono il progetto di Salvezza nella predicazione del Battista e del Cristo.

Non hanno troppo “controllo” sulle cose; ne sono amici.

Sono coscienti dei limiti e dei punti di forza; apprendono perfino da posizioni subalterne e dai lati oscuri, imparano dagli stessi timori.

Vincono l’immobilismo spirituale dei grandi esperti, criticoni d’ogni brezza di cambiamento, o troppo astratti e sofisticati.

Entrambi i quali s’installano e signoreggiano - generando un’umanità radicalmente impoverita.

Costoro sono come figure puerili e incontentabili, ma che non si alzano né smuovono: «seduti» (v.16).

Essi calpestano, violano, inceppano tutto.

Ovunque, gli “eletti” rimangono indifferenti o indispettiti, perché sono, colgono e comprendono “una cosa sola”.

Mai chiudono il loro “personaggio” per aprirne un altro, o per esplorare diversi lati di sé e del mondo.

 

In una omelia a s. Marta [sul rifiuto del profeta Giona] Papa Francesco ha suggerito di «guardare come agisce il Signore», contrario dei «malati di rigidità» che hanno «l’anima inamidata».

I testardi infantili conoscono bene solo come disturbare donne e uomini franchi, i quali spontaneamente si esprimono in poliedriche fattezze perché non hanno un «piccolo cuore chiuso», ma lo «sanno allargare».

Proprio gli audaci che sono se stessi completamente - non patinati e glamour - invece di ribadire luoghi comuni isterici e sentenziare, accarezzano i fratelli diversi e dilatano la vita.

In tal guisa, stanno cogliendo il proprio volto eterno.

Gli autentici donne e uomini di Fede anticipano la Venuta d’un nuovo Regno.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Chi ti ha aiutato e chi ti ha frenato a comprendere il tuo desiderio profondo? Semplici, o dotti ben introdotti?

Amici che si smuovono e hanno cura, o dirigenti qualificati e specialisti che neanche si mettono d’accordo nei loro “giochi” - gente testarda, che s’installa, signoreggia, frena, inceppa gli altri?

 

 

Figlio dell’uomo

 

«Figlio dell’uomo» (v.19) designa già dall’AT il carattere d’una santità che supera la fiction antica dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione.

La massa permaneva a bocca asciutta: qualsiasi fosse il sovrano che s’impadroniva del potere, la folla minuta restava sottomessa e soffocata.

Identica norma vigeva nelle religioni, i cui capi elargivano al popolo una forte pulsione da orda e il contentino dei gregari.

Invece nel Regno di Gesù devono mancare i ranghi - per questo la sua proposta non collima con le ambizioni delle autorità religiose, e con le stesse aspettative degli Apostoli.

Anch’essi volevano “contare”. Ma appunto «Figlio dell’uomo» è la persona secondo un criterio di umanizzazione, non una belva che prevale perché più forte delle altre [cf. Dan 7].

Ciascun uomo col cuore di carne - non di bestia, né di pietra - è persona comprensiva, capace di ascolto, sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.

Allude alla dimensione larga della santità; trasmissibile a chiunque, ma creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire! Ma questo fa problema, in specie (sembra assurdo) negli ambienti devoti.

Nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato dai frequentatori dei luoghi di malaffare, ma dagli habitué dei recinti sacri.

La crescita e umanizzazione del popolo non è contrastata da peccatori, bensì proprio da coloro che avrebbero il ministero di far conoscere a tutti il Volto di Dio!

In Mc 9,36-37 (cf. Mt 18,2-5; Lc 9,47-48) Gesù abbraccia un ragazzino di 8-12 anni che a quel tempo non contava nulla - appunto, un valletto di casa, un inserviente di bottega [«paidìon»].

È l’unica identificazione che Gesù ama e desidera consegnarci: quella con colui che non può permettersi di non riconoscere le esigenze altrui.

Dimensione di santità senza aureole distintive: condivisibile, perché legata all’empatia, alla spontanea amicizia verso tutti - donna e uomo di ogni tempo.

Ovvio: non si tratta d’una proposta compromessa con la religione dottrina-e-disciplina che ricaccia indietro le eccentricità: assai più simpatica e amabile.

Quella del Figlio dell’uomo è quel tipo di Santità che ci rende unici, non che sta sempre ad aborrire ed esorcizzare il pericolo dell’inconsueto.

 

Aristotele affermava che - al di là di petizioni di principio artificiali o proclami apparenti - si ama davvero solo se stessi. Siamo dunque come ragazzini capricciosi? È un punto di domanda non da poco.

Ammesso e non concesso, la crescita, promozione e fioritura delle nostre qualità si colloca all’interno d’una Via sapiente, d’un sentiero che sa concedersi d’incontrare nuovi stati dell’essere.

L’amore genuino e maturo dilata i confini dell’ego amante del primato, della visibilità e del tornaconto, comprendendo il Tu nell’io.

Itinerario e Vettore che poi espande le capacità e la vita. Altrimenti in ogni circostanza e purtroppo a qualsiasi età rimarremo nel gioco puerile di chi sgomita sui gradini, per prevalere.

Come ha detto Papa Francesco circa i fenomeni mafiosi: «C’è bisogno di uomini e donne di Amore, non di onore!».

 

Leggiamo nel Tao Tê Ching (XL): «La debolezza è quel che adopra il Tao». E il maestro Wang Pi commenta: «L’alto ha per basamento il basso, il nobile ha per fondamento il vile».

Senza sforzi alienanti il personale sfocia nel plurale e globale, valicando e vincendo spontaneamente la frammentazione e dispersione:

 

«Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come “Figlio di Davide”, ma come “figlio dell’uomo”. Il titolo di “Figlio dell’uomo”, nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione»

[papa Benedetto, Concistoro 24 novembre 2012].

 

 

Ancora sul Figlio dell’uomo (Papa Giovanni Paolo II):

 

1. Gesù Cristo, Figlio dell’uomo e di Dio: è il tema culminante delle nostre catechesi sull’identità del Messia. È la verità fondamentale della rivelazione cristiana e della fede: l’umanità e la divinità di Cristo sulla quale dovremo riflettere in seguito in modo più completo. Per ora ci preme completare l’analisi dei titoli messianici già in qualche modo presenti nell’Antico Testamento e vedere in quale senso Gesù li attribuisce a sè.

Quanto al titolo di “Figlio dell’uomo”, è significativo che Gesù ne abbia fatto un uso frequente parlando di se stesso, mentre sono gli altri che lo chiamano “Figlio di Dio”, come vedremo nella prossima catechesi. Invece egli si autodefinisce “Figlio dell’uomo”, mentre nessun altro lo chiamava così, se si eccettuano il diacono Stefano prima della lapidazione (At 7, 56) e l’autore dell’Apocalisse in due testi (At 1, 13; 14, 14).

2. Il titolo “Figlio dell’uomo” proviene dall’Antico Testamento dal Libro del profeta Daniele. Ecco il testo che descrive una visione notturna del profeta: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”(Dn 7, 13-14).

E quando il profeta chiede la spiegazione di questa visione, riceve la risposta seguente: “I santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli . . . allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo, saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Dn 7, 18.27). Il testo di Daniele riguarda una persona singola e il popolo. Notiamo subito che ciò che si riferisce alla persona del Figlio dell’uomo si ritrova nelle parole dell’angelo nell’annunciazione a Maria: “regnerà per sempre . . . e il suo regno non avrà fine” (Lc 1, 33).

3. Quando Gesù chiama se stesso “Figlio dell’uomo” usa un’espressione proveniente dalla tradizione canonica dell’Antico Testamento e presente anche negli apocrifi giudaici. Occorre però notare che l’espressione “Figlio dell’uomo” (ben-adam) era diventata nell’aramaico dei tempi di Gesù un’espressione indicante semplicemente “uomo” (“bar-enas”). Gesù, perciò, chiamando se stesso “figlio dell’uomo”, riuscì quasi a nascondere dietro il velo del significato comune il significato messianico che la parola aveva nell’insegnamento profetico. Non a caso, tuttavia, se enunciazioni sul “Figlio dell’uomo” appaiono specialmente nel contesto della vita terrena e della passione di Cristo, non ne mancano anche in riferimento alla sua elevazione escatologica.

4. Nel contesto della vita terrena di Gesù di Nazaret troviamo testi quali: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20); o anche: “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11, 19). Altre volte la parola di Gesù assume un valore più fortemente indicativo del suo potere. Così quando dice: “Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 2, 28). In occasione della guarigione del paralitico calato attraverso un’apertura praticata nel tetto egli afferma in tono quasi di sfida: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2, 10-11). Altrove Gesù dichiara: “Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11, 30). In altra occasione si tratta di una visione avvolta nel mistero: “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete” (Lc 17, 22).

5. Alcuni teologi notano un parallelismo interessante tra la profezia di Ezechiele e le enunciazioni di Gesù. Scrive il profeta: “(Dio) Mi disse: “Figlio dell’uomo, io ti mando agli Israeliti . . . che si sono rivoltati contro di me . . . Tu dirai loro: Dice il Signore Dio”” (Ez 2, 3-4). “Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono . . .” (Ez 12, 2) “Tu, figlio dell’uomo . . . tieni fisso lo sguardo su di essa (Gerusalemme) che sarà assediata . . . e profeterai contro di essa” (Ez 4, 1-7). “Figlio dell’uomo, proponi un enigma che racconta una parabola agli Israeliti” (Ez 17, 2).

Facendo eco alle parole del profeta, Gesù insegna: “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10). “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; cf. anche Mt 20, 28). Il “Figlio dell’uomo” . . . “quando verrà nella gloria del Padre”, si vergognerà di chi si vergognava di lui e delle sue parole davanti agli uomini (cf. Mc 8, 38).

6. L’identità del Figlio dell’uomo appare nel duplice aspetto di rappresentante di Dio, annunciatore del regno di Dio, profeta che richiama alla conversione. Dall’altra egli è “rappresentantedegli uomini, dei quali condivide la condizione terrena e le sofferenze per riscattarli e salvarli secondo il disegno del Padre. Come dice egli stesso nel colloquio con Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15).

È un chiaro annuncio della passione, che Gesù ripete: “E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8, 31). Per ben tre volte proviamo a fare preannuncio nel Vangelo di Marco (cf. Mc 9, 31; 10, 33-34) e in ciascuna di esse Gesù parla di se stesso come “Figlio dell’uomo”.

7. Con lo stesso appellativo Gesù si autodefinisce dinanzi al tribunale di Caifa, quando alla domanda: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, risponde: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (Mc 14, 62). In queste poche parole risuona l’eco della profezia di Daniele sul “Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo” (Dn 7, 13) e del salmo 110 che vede il Signore assiso alla destra di Dio (cf. Sal 110, 1).

8. Ripetutamente Gesù parla della elevazione del “Figlio dell’uomo”, ma non nasconde ai suoi ascoltatori che essa include l’umiliazione della croce. Alle obiezioni e alla incredulità della gente e dei discepoli, che ben comprendevano la magicità delle sue allusioni e che pure gli chiedevano: “Come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo?” (Gv 12, 34), Gesù asserisce: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre” (Gv 8, 28). Gesù afferma che la sua “elevazione” per mezzo della croce costituirà la sua glorificazione. Poco dopo aggiungerà: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12, 23). È significativo che alla partenza di Giuda dal Cenacolo, Gesù dica “ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui”(Gv 13, 31).

9. Ciò costituisce il contenuto di vita, di passione, di morte e di gloria di cui il profeta Daniele aveva offerto un pallido abbozzo. Gesù non esita ad applicare a sé anche il carattere di regno eterno e intramontabile che Daniele aveva assegnato all’opera del Figlio dell’uomo, quando nel mondo proclama: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13,26; cf. Mt 24, 30). In questa prospettiva escatologica deve svolgersi l’opera di evangelizzazione della Chiesa. Egli avverte: “Non avrete finito di percorrere la città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo” (Mt 10, 23). E si chiede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

10. Se come “Figlio dell’uomo” Gesù ha realizzato con la sua vita, passione, morte e resurrezione, il piano messianico, delineato nell’Antico Testamento, nello stesso tempo egli assume con quello stesso nome il suo posto tra gli uomini come uomo vero, come figlio di una donna, Maria di Nazaret. Per mezzo di questa donna, sua Madre, lui, il “Figlio di Dio”, è contemporaneamente “Figlio dell’uomo”, uomo vero, come attesta la Lettera agli Ebrei: “Si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Eb 4, 5; cf. Gaudium et Spes, 22).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 29 aprile 1987]

In tutti i Vangeli, sono coloro che hanno operato scelte sbagliate ad essere particolarmente amati da Gesù, perché, quando si sono resi conto del loro errore, si sono aperti più degli altri alla sua parola risanatrice. In verità, Gesù fu spesso criticato da sedicenti giusti, perché passava troppo tempo in compagnia di tali persone. “Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”, chiedevano. Ed egli rispondeva: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati ... non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (cfr Mt 9, 11-13). Erano coloro che desideravano ricostruire la loro vita che si dimostravano i più disponibili a dare ascolto a Gesù e a diventare suoi discepoli. Voi potete seguire le loro orme; anche voi potete avvicinarvi particolarmente a Gesù proprio perché avete scelto di ritornare a lui. Potete essere certi che, proprio come il Padre del racconto del figliol prodigo, Gesù vi accoglie a braccia spalancate. Vi offre il suo amore incondizionato: ed è nella profonda amicizia con lui che si trova la pienezza della vita.

[Papa Benedetto, incontro con la comunità di recupero, Sydney 18 luglio 2008]

Le particolari circostanze della nascita di Giovanni ci sono state tramandate dall’evangelista Luca. Secondo un’antica tradizione, essa avvenne ad Ain-Karim, davanti alle porte di Gerusalemme. Le circostanze che accompagnarono questa nascita erano tanto inconsuete, che già a quell’epoca la gente si domandava: “Che sarà mai questo bambino?” (Lc 1, 66). Per i suoi genitori credenti, per i vicini e per i parenti era evidente, che la sua nascita fosse un segno di Dio. Essi vedevano chiaramente che la “mano del Signore” era su di lui. Lo dimostrava già l’annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, mentre questi provvedeva al servizio sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. La madre, Elisabetta, era già avanti negli anni e si riteneva fosse sterile. Anche il nome “Giovanni” che gli fu dato era inconsueto per il suo ambiente. Il padre stesso dovette dare ordine che fosse chiamato “Giovanni” e non, come tutti gli altri volevano,“Zaccaria” (cf. Lc 1, 59-63).

Il nome Giovanni significa, in lingua ebraica “Dio è misericordioso”. Così già nel nome si esprime il fatto che il neonato un giorno annuncerà il piano di salvezza di Dio.

Il futuro avrebbe pienamente confermato le predizioni e gli avvenimenti che circondarono la sua nascita: Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, divenne la “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3, 3), che sulle rive del Giordano chiamava la gente alla penitenza e preparava la via a Cristo.

Cristo stesso ha detto di Giovanni il Battista che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande” (cf. Mt 11, 11). Per questo anche la Chiesa ha riservato a questo grande messaggero di Dio una venerazione particolare, fin dall’inizio. Espressione di questa venerazione è la festa odierna.

4. Cari fratelli e sorelle! Questa celebrazione, con i suoi testi liturgici, ci invita a riflettere sulla questione del divenire dell’uomo, delle sue origini e della sua destinazione. È vero, ci sembra di sapere già molto su questo argomento, sia per la lunga esperienza dell’umanità, sia per le sempre più approfondite ricerche biomediche. Ma è la parola di Dio che ristabilisce sempre di nuovo la dimensione essenziale della verità sull’uomo: l’uomo è creato da Dio e da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Nessuna scienza puramente umana può dimostrare questa verità. Al massimo essa può avvicinarsi a questa verità o supporre intuitivamente la verità su questo “essere sconosciuto” che è l’uomo fin dal momento del suo concepimento nel grembo materno.

Allo stesso tempo però ci troviamo ad essere testimoni di come, in nome di una presunta scienza, l’uomo venga “ridotto” in un drammatico processo e rappresentato in una triste semplificazione; e così accade che si adombrino anche quei diritti che si fondano sulla dignità della sua persona, che lo distingue da tutte le altre creature del mondo visibile. Quelle parole del libro della Genesi, che parlano dell’uomo come della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, mettono in rilievo, in modo conciso e al tempo stesso profondo, la piena verità su di lui.

5. Questa verità sull’uomo possiamo apprenderla anche dalla liturgia odierna, in cui la Chiesa prega Dio, il creatore, con le parole del salmista:

“Signore, tu mi scruti e mi conosci . . .
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre . . .
tu mi conosci fino in fondo.
Quando venivo formato nel segreto . . .
non ti erano nascoste le mie ossa . . .
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 139 [138], 1. 13-15).

L’uomo quindi è consapevole di ciò che è - di ciò che è fin dall’inizio, fin dal grembo materno. Egli sa di essere una creatura che Dio vuole incontrare e con la quale vuole dialogare. Di più: nell’uomo vorrebbe incontrare l’intero creato.

Per Dio, l’uomo è un “qualcuno”: unico ed irripetibile. Egli, come dice il Concilio Vaticano II, “in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (cf. Gaudium et Spes, 24).

“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1); come il nome del bambino che è nato in Ain-Karim: “Giovanni”. L’uomo è quell’essere, che Dio chiama per nome. Per Iddio egli è il “tu” creato, Tra tutte le creature egli è quell’“io” personale, che può rivolgersi a Dio e chiamarlo per nome. Dio vuole nell’uomo quel partner che si rivolga a lui come al proprio creatore e Padre: “Tu, mio Signore e mio Dio”. Al “tu” divino.

7. Dio ha chiamato Giovanni il Battista già “nel grembo materno” perché divenisse “la voce di uno che grida nel deserto” e preparasse quindi la via a suo Figlio. In modo molto simile, Dio ha “posto la sua mano” anche su ciascuno di noi. Per ciascuno di noi ha una chiamata particolare, a ciascuno di noi viene affidato un compito pensato da lui per noi.

In ciascuna chiamata, che può giungerci nel modo più diverso, si avverte quella voce divina, che allora parlò attraverso Giovanni: “Preparate la via del Signore!” (Mt 3, 3).

Ogni uomo dovrebbe domandarsi in che modo può contribuire nell’ambito del proprio lavoro e della propria posizione, ad aprire a Dio la via in questo mondo. Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia Eisenstaedt 24 giugno 1988]

Ci sono cristiani che hanno «una certa allergia per i predicatori della parola»: accettano «la verità della rivelazione» ma non «il predicatore», preferendo «una vita ingabbiata». È accaduto ai tempi di Gesù e purtroppo continua ad accadere ancora oggi in coloro che vivono chiusi in se stessi, perché hanno paura della libertà che viene dallo Spirito Santo.

È questo per Papa Francesco l’insegnamento che viene dalle letture della liturgia celebrata venerdì mattina, 13 dicembre, nella cappella di Santa Marta. Il Pontefice si è soffermato soprattutto sul brano del vangelo di Matteo (11, 16-19) in cui Gesù paragona la generazione dei suoi contemporanei «a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto».

In proposito il vescovo di Roma ha ricordato che Cristo nei Vangeli «parla sempre bene dei bambini», offrendoli come «modello della vita cristiana» e invitando a «essere come loro per entrare nel regno dei cieli». Invece — ha fatto notare — nel brano in questione «è l’unica volta che non parla tanto bene di loro». Per il Papa si tratta di un’immagine di fanciulli «un po’ speciali: maleducati, malcontenti, screanzati pure»; bambini che non sanno essere felici mentre giocano e che «rifiutano sempre l’invito degli altri: nessuna cosa va loro bene». In particolare Gesù usa questa immagine per descrivere «i dirigenti del suo popolo», definiti dal Pontefice «gente che non era aperta alla parola di Dio».

Per il Santo Padre c’è un aspetto interessante in questo atteggiamento: il loro rifiuto, appunto, «non è per il messaggio, è per il messaggero». Basta proseguire nella lettura del brano evangelico per averne conferma. «È venuto Giovanni, che non mangia e non beve — ha fatto notare il Papa — e hanno detto: ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori». In pratica, da sempre gli uomini trovano motivi per delegittimare il predicatore. Basti pensare alla gente di quel tempo, che preferiva «rifugiarsi in una religione un po’ elaborata: nei precetti morali, come i farisei; nel compromesso politico, come i sadducei; nella rivoluzione sociale, come gli zeloti; nella spiritualità gnostica, come gli esseni». Tutti, ha aggiunto, «con il loro sistema ben pulito, ben fatto», ma che non accetta «il predicatore». Ecco perché Gesù rinfresca loro la memoria ricordando i profeti, che sono stati perseguitati e uccisi.

Accettare «la verità della rivelazione» e non «il predicatore» rivela per il Pontefice una mentalità frutto di «una vita ingabbiata nei precetti, nei compromessi, nei piani rivoluzionari, nella spiritualità senza carne». Papa Francesco ha fatto riferimento in particolare a quei cristiani «che si permettono di non ballare quando il predicatore ti dà una bella notizia di gioia, e si permettono di non piangere quando il predicatore ti dà una notizia triste». A quei cristiani, cioè, «che sono chiusi, ingabbiati, che non sono liberi». E il motivo è la «paura della libertà dello Spirito Santo, che viene tramite la predicazione».

Del resto, «questo è lo scandalo della predicazione del quale parlava san Paolo; lo scandalo della predicazione che finisce nello scandalo della croce». Infatti «scandalizza che Dio ci parli tramite uomini con limiti, uomini peccatori; e scandalizza di più che Dio ci parli e ci salvi tramite un uomo che dice di essere il figlio di Dio, ma finisce come un criminale». Così per Papa Francesco si finisce per coprire «la libertà che viene dallo Spirito Santo», perché in ultima analisi «questi cristiani tristi non credono nello Spirito Santo; non credono in quella libertà che viene dalla predicazione, che ti ammonisce, ti insegna, ti schiaffeggia pure, ma è proprio la libertà che fa crescere la Chiesa».

Dunque l’immagine del Vangelo, con «i bambini che hanno paura di ballare, di piangere», che hanno «paura di tutto, che chiedono sicurezza in tutto», fa pensare «a questi cristiani tristi, che criticano sempre i predicatori della verità, perché hanno paura di aprire la porta allo Spirito Santo». Da qui l’esortazione del Pontefice a pregare per loro e a pregare anche per noi stessi, affinché «non diventiamo cristiani tristi», di quelli che tolgono «allo Spirito Santo la libertà di venire a noi tramite lo scandalo della predicazione».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 14/12/2013]

Il grande Battezzatore, più piccino del Minimo

(Mt 11,11-15)

 

Nell’arco della storia della Redenzione il Battista è stato un crocevia di proposte radicali, inattese, dirimenti.

Ma non ha rivelato - come il Figlio - la profondità del cuore del Padre.

Credeva che l’opera dei nuovi profeti dovesse fare giustizia immediata (sommaria...).

Sognava di poter recuperare l’incontaminatezza e la forza antiche, rabberciando gl’ingredienti della religione dei padri.

Tutto, purificando e aggiornando il gran Tempio - non soppiantandolo nella sua configurazione giuridico-teologica.

Secondo Gesù invece, essa permaneva radicalmente deviante, perché incline alla forza e incapace di valorizzare fragilità e insicurezze.

Il Dio delle credenze arcaiche disdegnava le contraddizioni. Veniva a sentenziare e castigare secondo un freddo codice, tanto ideale quanto distante da ciascuno [anche dei suoi stessi credenti].

Ma un Altissimo sovrano che non ha cura delle persone deboli o delle cose che non piacciono, non sembra amabile.

Le continue mortificazioni delle eccentricità che renderebbero fantastici, demotivano.

Chiusi nelle armature che non ci appartengono, diventiamo arcigni, nemici della vita, invece che eccezionali, unici, rigogliosi.

Per questo Gesù annuncia la novità di un Regno da «accogliere».

Non da allestire con sudori e preparare con sforzo, secondo dettati culturali, legalisti, esterni, ma appunto da ospitare e includere; perché spiazza, travalica, sbalordisce.

In tal senso Giovanni è inferiore a qualsiasi ultimo degli ultimi e senza peso (v.11) che si presenta alla soglia delle comunità, per godere della vita fraterna.

Anche l’idea del Battezzatore circa il Messia non era quella del Cristo disposto ad abbracciare, recuperare, valorizzare e prediligere persino i senza voce, o i lontani considerati impuri.

Il nostro Maestro e Fratello è propugnatore di opere di sola vita con pienezza di Felicità (vv.2-6), non di mortificazione o accusa.

Per Gesù i mikròi (v.11) - ossia i minimi, estranei e pitocchi - portano in cuore e nel Regno il germe della novità dei cieli squarciati per sempre.

Malgrado abbiano scarsa energia, essi recano la colomba di pace [Mt 3,16; Mc 1,10; Lc 3,22].

Icona di una energia non più aggressiva, sebbene la subiscano (v.12) [cf. Lc 16,16].

E come sottolineava Paolo VI, a prezzo di uno stile figliale, aperto al ripensamento di sé, crocifiggente - nella virtù intima del rovesciamento [Evangelii Nuntiandi 10].

L’uomo di Fede non sarà mai un prevaricatore bellicoso.

Per questo alla personalità distinta del grande e celebre Santo del deserto e del Giordano, il Figlio di Dio può anteporre un qualsiasi inesperto, nuovo, claudicante, peccatore, reso libero perché rigenerato.

Questa la nuova era, dove più nessuno è additato e sotto assedio.

Gli stati creativi di qualsiasi ‘infante’ - fuori dal giro, ma sensibile - sono accolti e risvegliati, invece che tirati da una parte e messi a tacere.

L’autentico motore della storia è in una dedita ma aperta e tranquilla potenza spontanea, naturale, innata.

Sia nei rovesci (anche epocali) che nella ricerca dello sviluppo umano integrale, o nell’incessante ricerca della pace, tale attitudine battesimale sa riprendere da zero.

Scioglie i veri nodi, non decurta spazio all’esistenza, non impoverisce le cose.

 

 

[Giovedì 2.a sett. Avvento, 11 dicembre 2025]

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Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune. L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo [...] E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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