Gesù in sinagoga: la Liberazione dal quietismo
(Lc 4,31-37)
Nel terzo Vangelo i primi ‘segni’ del Signore sono il tranquillo scampare alle minacce di morte [agitate dalla sua gente!] e la guarigione del posseduto.
In tale modo di narrare la vicenda di Gesù, Lc indica le priorità che le sue comunità vivevano: anzitutto, bisognava sospendere le lotte intime, inculcate dalla tradizione giudaizzante e dal suo “saper stare al mondo”.
Nel paesino cocciuto e conformista di Nazaret il Maestro non riesce a comunicare la sua novità, e si vede costretto a cambiare residenza.
Non si rassegna, anzi: Cafarnao era all’incrocio di strade importanti, il che facilitava contatti e divulgazione.
Fra persone di tutti i ceti, il Figlio di Dio desiderava creare una coscienza fortemente critica verso le dottrine omologate dei capi religiosi.
Egli non citava meccanicamente gl’insegnamenti - modesti - delle autorità, ma partiva dalla sua esperienza di vita e dal rapporto vivo col Padre.
Così creava menti sgombre e un fremito inconsueto, non riduttivo; che mirava a far raggiungere un livello superiore alle anime vessate dalla mentalità automatica del quieto vivere.
Il Maestro ancora oggi fronteggia il potere che riduce le persone in una condizione senza originalità, allergica alle differenze.
Nel Vangelo, la persona che d’improvviso fa scintille era da sempre un tranquillo frequentatore di assemblea, che stancamente trascinava la sua vita spirituale in piccoli ambiti senza colore, privi di largo respiro e ritmo.
Ma la Parola del Signore ha in sé una carica reale: la forza della beatitudine del vivere, del creare, dell’amare in verità - che non odia le caratteristiche eccentriche.
Dove giunge tale Appello vengono smascherati e saltano fuori dalle tane tutti i demoni che non t’aspetti.
Chi incontra Cristo è rovesciato; vede le sue certezze buttate all’aria.
Rivolgimento che consente alle sfaccettature celate o represse di fare la loro parte - anche se non sono “come dovrebbero essere”.
Insomma, il Vangelo invita ad accogliere tutto ciò che c’è in noi, così com’è, non attenuato; moltiplicando le energie - perché dentro si annida il meglio della nostra Chiamata alla personale Missione.
In Cristo, i nostri poliedrici volti [pur contraddittori] possono scendere in campo insieme, senza più reprimere i territori preziosi dell’anima, dell’essenza, del carattere; di un’altra persuasione - anche lontana o irripetibilmente singolare.
L’habitué delle assemblee viene sì scomodato e interpellato, ma non permane abulico; anzi, fa un progresso vistoso dall’esistenza assopita e rituale - piegata, ripetitiva, spenta e finta.
È liberato faccia a faccia da tutti i luoghi comuni che prima lo tenevano buono, soggiogato e a guinzaglio.
Persino attraverso una protesta che rompe l’apatia, il Richiamo divino ci costringe a una vita da salvati, di nuova testimonianza che sembrava impossibile.
Ora non più in disparte, ma in mezzo alla gente (v.35), nello stupore d’una Felicità profonda, personale, inattesa.
Differenza tra religiosità comune e Fede viva.
[Martedì 22.a sett. T.O. 3 settembre 2024]