Avvicinarsi senza stare sottomessi
(Mt 19,13-15)
«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» [Evangelii Gaudium n.49].
Non bisogna lasciarsi trascinare dalle ovvie sentenze sprezzanti sull’impurità legale. Secondo Gesù, un peso inutile, artificioso; che tarpa le ali e rende infelici.
Al contrario, è sempre opportuno acquisire una differente percezione delle cose di Dio nell’uomo. E non occorre essere ben formati nelle pratiche consuetudinarie: i giovinetti non lo sono.
Cosa succedeva nelle piccole chiese di Galilea e Siria all’inizio degli anni 80? Molti pagani iniziavano a presentarsi alle soglie delle comunità (giudaizzanti) e stavano diventando maggioranza.
I membri della catena di comando valutavano gli incipienti poco qualificati dal punto di vista dell’osservanza delle disposizioni dei “padri”.
Alcuni reduci altezzosi consideravano i nuovi che chiedevano di essere accolti, alla stregua di servetti ancora torbidi [«paidìa»: età 9-11 anni], contaminati e frammisti.
A quel tempo, nelle condizioni in cui vivevano, certo i ragazzetti non adempivano le leggi di purità religiosa; però servivano gli altri, sia in casa che al lavoro.
Insomma, Gesù propone agli Apostoli un cambiamento di paradigma.
Fare pace col mondo dei giudizi.
La proposta sembrava un’assurdità per le religioni (tutte piramidali), non per la persona di Fede che procede sulla Via, nello Spirito.
Dio non ritiene affatto che la sua santità sia messa in pericolo dal contatto con le realtà normali di questo mondo.
Anzi, il Signore e Maestro s’identifica proprio con i garzoncini di bottega e di casa, con gli esseri “inquinati”, socialmente nulli e valutati male.
Ciò a dire: il discepolo del Regno non può permettersi di disconoscere le esigenze altrui.
Bando a luoghi comuni, nomenclature, doppiezze e procedure riconosciute.
Ciò che conta è il bene concreto della persona reale, così com’è.
L’accoglimento di fanciulli - ossia di coloro che sono al principio - nella loro condizione d’integrità creativa e affettiva, ancora ritenuta ambigua e trasgressiva, è icona d’una logica sociale, religiosa e di ceto capovolta; radicalmente impari.
Quindi guai a chi impedisce agli insignificanti di andare al Signore!
L’imposizione delle mani su di essi (vv.13.15) è un segno di redenzione, valorizzazione, emancipazione e promozione della condizione di ultimi, esclusi, irrisi, nullatenenti e “meticci” [non di quadretti tutti limpidezza e candore].
Chi accoglie un privilegiato, un legalista, uno che si è fatto strada ma non accetta i cambiamenti, difficilmente accoglie Gesù.
Come ha esplicitamente ricordato Papa Francesco: «Nel cammino sinodale, l’ascolto […] non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace».
Solo i misconosciuti e incerti vanno posti al centro della nuova Chiesa che dovremo costruire.
[Sabato 19.a sett. T.O. 17 agosto 2024]