I teatranti e la neutralità
(Lc 13,10-17)
L’opinione o le idee comuni vecchie e nuove si frappongono alla vita che chiama, che fa scoprire altro, che accende passioni, che vuole totalità, e attiva la trasformazione.
Come sempre, Gesù si fa Presente in “sinagoga” non per fare orazioni codificate: è tra la sua gente ad «istruire» (v.10). Il Signore sta educando i suoi intimi, in modo assai deciso.
Nel luogo di culto il Maestro trova un’umanità subalterna, un panorama di minimi ancora vessati dall’ossessione religiosa antica - quindi ripiegati su di sé, fiaccati, incapaci di sollevare la testa.
Lo spirito di debolezza che quello stesso ambiente iniettava proprio ai malfermi, rendeva i fedeli dell’assemblea [o gli abitudiari in essa] totalmente passivi.
Un’esistenza ricurva, trascinata alla meno peggio; senza orizzonti.
L’azione di Cristo estrae dalla folla assuefatta, libera dal conformismo e dalla massificazione; rimette in piedi la ‘donna’ vacillante, che prende a lodare Dio sul serio, con gioia, immediatamente (vv.12-13).
Figura pur “partecipe” del rito, e sempre in mezzo al popolo riunito, ma prima d’incontrare personalmente il Signore non glorificava il Padre in modo reale - né onorava la sua stessa esistenza.
Nessuna espressione lieta per la guarigione, da parte dei leaders - abituati a inoculare nelle anime un clima soporifero - anzi, solo condanna. Illustri e distanti.
Individualisti negoziatori del potere di turno, incapaci di vicinanza. Ciò anche per vari interessi di cerchia, dottrina, di supremazia, e prestigio istituzionale.
Poi - nell’idea comune - sembrava che in termini legalistici o di rubrica la santificazione del giorno dedicato al Signore escludesse qualsiasi coinvolgimento, e le opere di bene!
In aggiunta a tale credenza malsana, anche toccare una “carne” ferita s’immaginava potesse rendere impuri!
Insomma, lo spirito del comandamento che imponeva il riposo del sabato [nato storicamente per la tutela di vaste esigenze sociali, cultuali, identitarie] era stato completamente manipolato e rovesciato.
La logica del giovane Rabbi è opposta ai protocolli: solo la trascuratezza dei marginali e asserviti disonora Dio.
Unico principio non negoziabile è il bene della donna e dell’uomo reali: questa l’unica chiave di lettura dei Vangeli.
E il rito deve celebrare proprio una vita fraterna d’accoglienza e condivisione, di felicità, personalizzazione, cura, amore.
Il resto è per Gesù una commedia insopportabile, dalla quale i suoi responsabili di chiesa devono tenersi alla larga: «Teatranti» (v.15) li definirebbe anche oggi - altrimenti - nostro Signore.
Valiamo ben più di buoi e asini (vv.15-16).
Il rapporto con Dio è festa, guarigione, salvezza: tutto concreto - frutto di scelta, perfino sociale.
Spiritualità non vuota, e qualsiasi - dove i piccoli sono costretti a delegare ad altri i loro sogni.
[Lunedì 30.a sett. T.O. 27 ottobre 2025]







