Aprire i portoni blindati
(Lc 12,13-21)
«Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti» [Fratelli Tutti n.18].
Basilio il Grande commentava: «Qui non si condanna chi rapina, ma chi non condivide il suo».
Insensatezza dell’accumulare.
Il Dono di Dio è completo, ma ciascuno è bisognoso. Perché? Per accentuare il «fecondo interscambio».
E lo stiamo sperimentando: solo la voglia di ‘nascere nella reciprocità’ può combattere l’«impoverimento di tutti» e la stessa «sclerosi culturale» [cf. FT 133-138].
Ogni gesto di generosità cela la fioritura d’una energia vivificante innata, che fa scorrere l’anima e i capitali fuori delle mura compaginate e oltre i bordi di magazzino.
Pungolo che non ripiega le persone sulla convenienza. Impulso che viceversa sposterà la nostra immaginazione verso ben altri orizzonti, credenze e desideri.
Insomma, fare comunione è questione di vita o morte, perché ricco e povero vivono o declinano insieme.
La crescita è dunque nel porgersi e accogliere.
Nell’insuperabile Omelia 6, il primo dei Padri cappadoci sottolineava che anche chi sovrabbonda di beni si tormenta sul da farsi, chiedendosi: «Che farò?».
«Si lamenta come i poveri. Non sono forse queste le parole di chi è oppresso dalla miseria? Che farò? [...] Che farò? La risposta era semplice: ‘Sazierò gli affamati, aprirò i granai e chiamerò tutti i poveri’ [...] Non alzare i prezzi. Non aspettare la carestia per aprire i granai [...] Non attendere che il popolo sia ridotto alla fame per accrescere il tuo oro, né la miseria generale per il tuo arricchimento. Non fare commercio sulle umane disgrazie [...] Non esacerbare le ferite inflitte dal flagello dell’avversità. Tu volgi lo sguardo al tuo oro e lo distogli dal tuo fratello, riconosci ogni moneta e sai distinguere quella falsa da quella vera, ma ignori completamente il fratello che si trova nel bisogno».
Il ricco della parabola sembra non avere braccianti o parenti, né una moglie, o figli e amici: li aveva, ma nella sua realtà ci sono - davvero - solamente lui e i beni.
«Imbecille!» - gli dice Dio (v.20).
La soluzione era semplicissima: aprire i cancelli, affinché l’alimento ammucchiato potesse traboccare per le necessità dei meno fortunati - invece di perdere tempo a sfasciare e ricostruire immobili.
Forse è morto d’infarto, ma era già defunto nell’anima.
L’imprenditore che scruta i bisogni altrui per tornaconto, perisce immediatamente dentro e fuori; subisce agitazione, insonnia, tormento, per lo stress del gestire quei miraggi esteriori.
Sono questi sogni strampalati che poi tolgono respiro e diventano incubi senza svolta, dissipando le migliori energie.
È viceversa in un clima di coesistenza e convivialità delle differenze che si annidano i migliori stimoli e consigli, anche per la scoperta di quanto ci corrisponde.
Basterebbe vincere l’avidità, la vanità e la mentalità comune, per stare meglio.
Abbandonando lo spirito di accaparramento, ci allontaneremo dalle manie del computo e dell’interesse immediato [volatile].
In tale dinamica, ecco l’esperienza aprirsi ai tanti volti della realtà e delle persone, vivendo di Amicizia.
Qui l’intensità dei legami cova lo sprone personale, le sfide, e la fioritura d’amore che spostano la nostra Visione.
Ecco la soglia dei nuovi Tesori che viceversa possono emergere: fidarsi della vita, delle nuove strade, delle azioni che non bloccano lo sviluppo di tutti, né minacciano il senso di Fraternità.
Tralasciando l’accaparramento, potremo cedere all’Esodo liberante.
Primo passo lungo la Via della nostra piena Felicità: investire i tanti beni che ancora abbiamo per creare Incontro e Relazione.
Questione di vita o morte (v.20).
[18.a Domenica T.O. (anno C), 3 agosto 2025]