(Gv 21,15-19)
Gesù chiama Simone con l’attributo «di Giovanni» perché lo considera ancora spiritualmente allievo del Battista (!).
Malgrado le sue oscillazioni, il Signore lo rimette in piedi.
Anche con noi, il Figlio non si stanca di riproporre un Volto di Dio amabile e invitante, capace di stupire.
Ricordiamo infatti che l’apostolo capo era stato chiamato a libertà e aveva scelto la condizione di lacchè [cf. Gv 21,9 con il «fuoco di brace» in Gv 18,18].
Così, al termine d’un gioco di riproposte, nel dialogo è Gesù stesso che si “accontenta” d’un amore di amicizia [cf. testo greco] modificando la doppia domanda «mi ami?» con la terza: «mi vuoi bene?».
L’amore umano attende un minimo di soddisfazione; non riesce a configurarsi in pura perdita. Aspetta qualcosina, almeno un cenno di approvazione e gratitudine.
Nessun riconoscimento? Allora è il più Forte che cede.
‘Attendere’ è l’infinito del verbo amare, perché consente di ‘nascere’ ancora.
Il sentimento umano ha fretta: regola la sua condotta sulla base del successo o delle perfezioni dell’amato.
L’Amore divino recupera, aiuta a diventare un’altra persona - non rompe l’intesa.
La sua Chiamata non è legata a meriti e prestazioni.
Anche attraverso le opere, dire «ti amo» è [purtroppo non di rado] una dichiarazione fatua.
O un’espressione sincera, ma spesso animata dall’entusiasmo senza radice profonda, che ad una successiva prova dei fatti trasforma il giuramento di fedeltà in sentimento fragile e incerto.
È la consapevolezza della propria impresentabilità gratuitamente redenta e trasformata in terreno di assurda fiducia che tramuta la presunzione di sé in apostolato!
Per questo Gesù chiede a Pietro d’iniziare cominciando dai piccoli del gregge (v.15).
E «pascere» (vv.15.17) o «pasturiare» (v.16) significa «alimentare»: nutrire, aver cura, proteggere, favorire; avviare, rischiare in prima persona, difendere e metterci la faccia - non “comandare”.
Pascere è farsi presente, in un continuo di rimandi. È questo clima che convince, educa, sfama e sostiene, lasciando crescere e fiorire.
«Pascere» non è (appunto) dominare, ma alimentare l’ideale. E cominciare dal gregge minuto (v.15).
Insomma, onde assicurarsi l’esito “felice”, il credente vero, l’amico del Signore, il figlio di Dio, non si allea con gente che conta - poi si vedrà...
Neppure deve “pescare” proseliti, bensì dilatare e rallegrare la vita.
La pienezza del “risultato” è la Gioia di ogni singola persona reale - così com’è - non “come dovrebbe essere” secondo opinione.
Infatti Gesù non chiede a Pietro: sei un buon amministratore? sei un bravo organizzatore? sei un abile animatore? sei abbastanza attrezzato, intelligente, furbo e introdotto per tener testa agli avversari?
[Una riflessione per il capo scout recita: «Ricorda, capo scout: se tu rallenti, essi si arrestano; se tu cedi, essi indietreggiano; se tu ti siedi, essi si sdraiano. Se tu cammini avanti, essi ti supereranno; se tu dai la tua mano, essi daranno la loro pelle»].
Dunque ‘nemico’ di Dio non è l’incertezza, ma la ricerca della “vita media”. Pantano ove non ci si getta.
[Venerdì 7.a sett. di Pasqua, 6 giugno 2025]