Mag 7, 2025 Scritto da 

Comunione: Radice dell’essere, Energia sognante che rilegge la storia

 Puntando verso il basso, dal servizio alla Comunione

Gv 13,16-20 (.21-38)

 

Un «inviato» non è più di colui che lo manda (v.16). La nuova traduzione CEI precisa che Gesù non elegge Dodici Apostoli come si trattasse di capi e fenomeni destinati ad avere posizioni favolose.

I suoi sono persone del tutto comuni, mandate ad annunciare; non direttori forniti di carica, bensì di un umile incarico: essere se stessi e lavare i piedi agli altri. Questa la loro stoffa.

La Chiesa ministeriale non è quella dei personaggi con titolo e ruoli, ma del servizio autentico, non di maniera: dimesso e anticonformista.

Possiamo diventare continuazione del Mistero che avvolge la Persona di Cristo solo se consapevoli che non siamo fotocopie duali, né “più” di altri - figuriamoci del Maestro.

 

Ne I Promessi Sposi Manzoni narra che il marchese successore di don Rodrigo [«brav’uomo, non un originale»] serve a tavola gli invitati alle nozze di Renzo e Lucia.

Poi però si ritira a pranzare in disparte con don Abbondio: «d’umiltà n’aveva quanta bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar in loro pari».

 

Un tempo si faceva così: lo imponeva l’etichetta sociale.

Stile a modo, grazie al quale per voler piacere si accettava di adattarsi a gesti (estemporanei) di elemosina e benevolenza, fra ottime persone assai educate - ovviamente tutelando il protagonismo delle posizioni.

Ma allinearsi ai modelli non fa uscire dalle solite gabbie; anzi, ci nasconde nell’illusione d’un cambiamento che in realtà non è in atto. Ciò perché l’ordine fasullo resta, malgrado l’altruismo delle apparenze - indossate per buonismi di circostanza.

Il portento cui siamo chiamati e mandati non è quello di fare spazio a sentimenti convenienti.

L’autentica ‘cifra’ è passare dalla nostra vetta esterna all’altrui livello e starci gomito a gomito, per donare a tutti l’emozione di sentirsi adeguati.

Dal servizio alla Comunione: unico clima [non sempre “secondo etichetta” ma autenticamente nostro e sognante] d’intima potenza che sviluppa fioriture, innescando recuperi impossibili.

Da qui si rilegge la storia.

Eppure tutti si chiedono con quali energie attuarla, se talora noi stessi ci sentiamo incompleti, incerti nell’operare; non all’altezza.

 

Nel contesto della lavanda dei piedi, Gesù ricorda che il discepolo non deve farsi illusioni: non avrà in dote una splendida carriera, riconoscimenti mondani, o meno persecuzioni del Maestro.

 

Secondo mentalità antica, maltrattare un ambasciatore o un messaggero significava offendere chi rappresentava; accettarlo significava riconoscergli onore.

Si giunge qui alla radice della Missione di svelamento: accogliendo l’inviato si onora Cristo, e in lui Dio stesso (v.20).

Gli apostoli sono ‘mandati’ in tal senso, come il Figlio dal Padre. Dentro tale flusso divengono luce rivelatrice, pienamente, senza chiusure.

Insomma, uno dei modi di lavarsi i piedi gli uni gli altri (v.14) è proprio quello di venire e sentirsi propriamente «inviati» - raffigurando Gesù e Dio stesso, che ci attraversano.

È la via della Beatitudine (v.17) - quella del Signore vivo. Il nucleo della Chiesa in uscita: aggiungere a insegnamenti belli e pratici la dimensione essenziale.

Tale il cammino plausibile e amabile, evangelizzatore delle nostre Radici. Viaggio il quale non chiede “resilienza” nei rapporti, solo agli “inferiori” del mondo.

Salvezza in dimensione divina, che assume valore. Redenzione operata dal di dentro della coscienza, la quale trova stima e volto, e libero fermento che apre la speranza, orientando.

Nell’azione si esprimerà l’essere profondo dell’Amico che ha la libertà di scendere.

Egli si rivela promotore dei malfermi, non sottile prevaricatore.

 

Facendo ogni esodo, il nostro tratto vocazionale porta in sé uno scrigno prezioso, la consapevolezza della Sorgente intima dell’apostolato, e la sua preziosa concatenazione che tramuta il passato in futuro.

Il senso di completezza e significato radicale che ne deriva è efficace. 

Lo è per chi scova, incontra, sente viva, la propria Fonte missionaria - e ne è il testimone.

Esprimendo semplicemente e con naturalezza se stesso, senza forzature o artificiosità - lo è al contempo per i fratelli da riconoscere.

 

Insomma, il servizio della comunità ministeriale non è nella dimensione del servaggio, bensì d’un flusso di energie primigenie, di stoffa; onda su onda genuine.

In tutto ciò, sviluppo dopo sviluppo, riattualizziamo l’epifania del Logos in Cristo. Nell’oggi dell’essere persone [malferme eppure convinte, tenaci] legate da una cifra fraterna di peso.

«Io Sono» di Es 3,14 diviene - senza sforzo - il Popolo comunionale e accogliente dei servitori ricolmi di dignità donata.

L’elemento eterno del Verbo è conservato e sviluppato dai suoi inviati e dalla chiesa ministeriale, ‘apostolica’: sia nel suo carattere originario e fondante, che di legame alla storia di ciascuno.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa significa per te passare dal servire a fare comunione? Lo ritieni un eccesso fastidioso?

Ti basta far stare bene gli altri a tratti, da protagonista e in modo compiaciuto, o t’impegni a farli sentire adeguati?

 

 

Dare la vita e rapidamente tradire

(Gv 13,21-33.36-38)

 

«Darò la mia vita per te» - pur di comandare.

Gli apostoli darebbero tutto per vincere, non per perdere; per trionfare, non per farsi beffeggiare o darsi in alimento, e curare il mondo.

Meglio negoziare. Altro che lavarsi i piedi a vicenda!

Perciò il Signore desidera che ciascuno di noi commensali si ponga il quesito se per caso non siamo implicati in qualche tradimento.

Non per colpevolizzare e piantarsi lì, ma per incontrarci: ciascuno è ammiratore e avversario del Maestro.

Siamo fulgore e tenebra - fianchi compresenti, più o meno integrati, anche competitivi.

È la Risurrezione che si annida nell’effervescenza della vita, a riscattare poi le motivazioni egoistiche, e trasfigurare in energie collimanti altrove i lati oscuri e in attrito.

Aspetti che diventano come cibi da neonato, per ogni nuova genesi - i quali una volta emersi [piantati sulla terra e accostati alle radici] possono diventare punti di forza.

La strada si blocca solo davanti alla persona che continua a farsi condizionare l’anima da opinioni e mali antichi o à la page.

Lì non si rivela nulla; non avverrà il prodigio della trasmutazione del nostro abisso.

 

La liturgia della Parola ci mette a contatto con un Gesù pervaso dal senso di debolezza; la sua solitudine si fa acuta.

In missione, anche noi siamo talvolta in balia dello sconforto: forse Dio ci ha ingannati, trascinandoci in una impresa assurda?

No, non siamo ingaggiati e abbandonati a una logica ignobile, a una generazione perversa: la stessa forza della vita è disseminata di pietre tombali ed ha varie facce. Influssi benefici.

Il cammino favorevole è spoglio di prestigio, di mansioni riconosciute e maestà: esse tendono a placarci, e non scavare.

Spesso sono proprio i disturbi che migliorano la capacità di giudizio.

Lo stillicidio può suscitare la voce della parte più autentica di noi stessi, farsi eco incisivo per ritrovarsi, e completarsi - portando avanti il cuore pioniere, invece di trattenerlo.

La strada della prova e dello squilibrio ci desta dall’invecchiamento nocivo dello spirito.

Essa recupera le energie contrarie, i versanti opposti, e i desideri incompatibili, le passioni (alleate) cui non abbiamo dato spazio.

Anche nell’esperienza torturante del limite, Dio vuole raggiungere la nostra semente variegata, affinché essa non si lasci depredare - neppure dallo sgomento di aver attinto insieme il boccone ed essere stati noi i traditori.

Nulla è invalidante.

 

C’è un solo ambito tossico, cronico, di morte, che annienta tutto e non ha insito nessun germe attivo: quello che offusca e detesta il cambiamento primario.

Lì l’orizzonte si stringe e rimane solo un baratro - o il blando che contagia per farci mollare, e arretrare senza posa, rinnegare e regredire ancora.

Restano infine solo le paure, le mezze scelte, le nevrosi tacitate dal compromesso che tenta di colmare il prezioso senso di vuoto.

 

Siamo davanti a un Signore ridotto a niente, affinché anche noi ci comprendiamo nelle nostre defezioni; negli episodi in cui accampiamo inutili e devianti artifici, tutti misurati, che affaticano invano.

La storia dell’incomprensibile solitudine del Cristo accanto al traditore e al rinnegato ci sta scritta nel cuore.

È tutta realtà, ma per la salvezza, per una rinnovata intimità e convinzione.

La vocazione missionaria si spegne e ristagna solo per zavorre di calcolo e mentalità comune - ove non si scuote (né tintinna) la nuda povertà dell’essere discorde che siamo.

Senza l’abbandono subìto, l’uomo non diventa universale, anzi tende ad attenuare i migliori strumenti della potenza di Dio.

Su quel terreno stepposo Egli ci sta donando l’amicizia di uno spostamento di sguardo.

Senza l’inquietudine del turbamento profondo e umiliante - senza la consegna della propria umanità nell’estrema debolezza - la nostra marionetta insoddisfatta indugia, accontentandosi.

Malgrado l’ammirazione per i valori, diviene anch’essa larva residuale. Una caricatura dell’essere che potevamo: donne e uomini dall’occhio contemplativo.

Compiuti a partire da dentro, come Gesù.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa tramo quando il Signore mi chiede di rischiare?

Cos’hanno significato per te i gesti non amici, e il rigetto, negli esiti paradossali?

 

 

Amare è creare: Gloria che volta pagina

 

Comandamento Liberazione. Causa Fonte

(Gv 13,31-35)

 

L’unione vicendevole è l’ultima volontà del Signore. Gesù affida ai discepoli il suo testamento, con una novità radicale.

L’amore al prossimo figurava già fra le prescrizioni antiche, e Cristo sembra ricalcarne la formulazione stessa (Lv 19,18).

Ma il Figlio di Dio non allude solo a compatrioti e proseliti della medesima religione. Egli abbatte le barriere sinora considerate ovvie. 

Eppure la grande novità è nelle motivazioni fondamentali.

L’amore reciproco è sulla stessa linea dell’incontro con se stessi - dove per grazia e vocazione si annida un possesso di ricchezze, perfezioni crescenti, che vogliono affiorare.

Da tale scrigno, conoscenza, piattaforma solida, sorge l’afflato del poter donare la vita: ma per accrescerla, renderla piena e rallegrarla - a partire non da condizionamenti esterni e mansioni da espletare o sfruttare.

Infatti il comandamento è «nuovo» non solo perché edificante e di stimolo, ma anzitutto perché rivelatore della propria vocazione e della vita intima di Dio, del rapporto fra il Padre e il Figlio, assunto.

È un legame manifestativo, che diviene fondamento, motivo crescente e motore; energia lucida, che ci dà la capacità di spostare lo sguardo e voltare pagina: introduce una nuova età, un nuovo regno.

Il comandamento «nuovo» dell’amore - unica consegna del Cristo - è cifra della vittoria di Pasqua, teofania e testimonianza del suo popolo autentico: «non con misura» (Gv 3,31-36: 34).

Il «senza misura» è quello delle nozze mistiche fra le due “nature”, dell’amicizia intima che penetra la vita del Padre.

Anche nell’attesa, il senza-confini vivifica l’esistenza e la compie, provenendo dall’esperienza della sostanza e della vertigine - già in se stessi.

È la vita del Figlio in noi: percezione di un poter “stare” costitutivo. Quindi senza perdere interesse nel tempo dell’assenza.

E di poter cambiare; intuizione d’una differente «gloria» (irriducibile) dalle caratteristiche speciali.

 

Ora non vale più la morale delle religioni: la nostra è un’etica vocazionale e pasquale, nello Spirito che rinnova la faccia della terra.

Ogni proposito, ciascun ruolo, qualsiasi ministero, viene illuminato dalla vittoria della vita sulla morte.

In tal guisa, il comportamento va configurato al Mistero.

Viviamo in Cristo, uomo nuovo: non siamo più sotto doveri “a posto” e prescrizioni. L’attitudine battesimale non può venire misurata.

L’unzione e l’appello ricevuti rispondono all’intima passione, al senso di reciprocità e Pienezza personale, che trasbordano.

Così smuovono mète eminenti: nella partecipazione alla vita colma, eccesso non assimilabile a conformismi e orizzonti medi.

 

Per un pio israelita avere gloria è dare peso specifico alla propria esistenza, e rivelare il suo completo valore - ma in senso elettivo.

«Fu vera gloria?» - si chiede Manzoni: dalla gloria-vana e vanesia si rotola giù. Tutt’altra la Gloria quale Presenza reale di Dio.

 

Ecco i dissidi fra comunità e umanità (persone in pienezza); liturgia e realtà, preghiera e ascolto, teologia e vita, proclami e dietro le quinte.

Mentre i Sinottici annunciano Amore universale, l’autore del quarto Vangelo è preoccupato che la testimonianza inespressa dei figli non sia una clamorosa smentita della santità predicata agli altri [dagli “eletti”].

Come diceva Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri». Non solo per un’opportuna e dovuta valutazione di coerenza morale, ma perché rimandano al Mistero, all’Oro divino.

Solo se collocati sulla medesima onda di bellezza e fascino del «Figlio dell’uomo» contribuiamo a non farlo tramontare o escludere: quanto più si è umani senza doppiezze, tanto più si manifesta il Cielo che è in noi.

Certo, sembra impossibile amare «come» Lui (v.34), ma qui l’espressione greca ha un’altra possibilità di lettura. Il termine originario non indica solo un orizzonte ideale o la misura alta - irraggiungibile per sforzo.

«Kathòs» [avverbio e congiunzione] è dotato di valore generativo, oltre che comparativo.

L’espressione chiave del brano si può intendere:  «Amatevi gli uni gli altri per il fatto che Io vi ho amati senza condizioni» ovvero «Perché Io vi ho amati gratuitamente, proprio su tale onda di vita, ora potete amarvi».

Vuol dire: far sentire il prossimo già abilitato - adeguato e libero - è l’unico contrassegno non ridotto della Fede in Cristo.

Insomma, il Padre non è il Dio delle prescrizioni: non assorbe le nostre energie, ma le genera e dilata.

Non pretende di soffocare e sfiancarci.

 

Il distintivo, l’emblema della testimonianza piena dei figli e delle comunità schiette non è produzione propria.

Conserva una qualità indistruttibile di elasticità e Relazione che non sgomenta, né lascia cadere le braccia: dona respiro.

Non è opera di fanatici spartiacque pro e contro, né d’un individualismo devoto che predica la “salvezza della propria anima” - esasperazione della pietà religiosa e della pedestre morale retributiva dei «meriti».

È il dispiegarsi dell’azione del Figlio dell’uomo (v. 31) che rende potente il calpestato e meschino.

Il Maestro non s’accontenta di fare il gregario accodato, come l’eterodiretto Giuda, apostolo zelante in apparenza.

«Figlio dell’uomo» indica Gesù che manifesta il Padre, l’uomo che rende palese la condizione divina.

La Persona che nella sua pienezza umana riflette il disegno sano delle Origini - possibilità per tutti i rinati in Cristo.

 

Il sentimento carnale ha fretta di regolarsi sulla base di traguardi e titoli; delle imprese e del successo, o di perfezioni e prestigio dell’amato. 

Stabilisce confini.

L’Amore divino (e quello dei figli) è sproporzionato, ha un’altra condotta: previene, recupera; non rompe l’intesa, aiuta.

L’Amore non vagabondo conosce il piccolo, l’incerto e il debole. Sa che essi crescono solo attraverso l’esperienza del Dono, altrimenti si bloccano.

Se il Gratis non soppianta il merito, nessuno si rafforza; anzi, tutti - anche gli energici - rattrappiscono. Condannati a una cappa esterna di norme e dottrine, o di astrazioni e sofisticazioni disincarnate.

Per questo il «Figlio dell’uomo» - lo sviluppo genuino e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato da pubblici peccatori, bensì da coloro che suppongono di sé e avrebbero il ministero di farlo conoscere!

 

La Gloria divina non ha a che fare con divise, paltò, coccarde o distintivi epidermici; si palesa nella Comunione senza previe interdizioni, nel servizio che si porge agli insufficienti e non ammanicati - da cui sperare... zero.

Nulla che possa essere integrato poi, aggiungendo qualcosina - un semplice “completamento” - alle norme della Prima Alleanza [che non insisteva sulla somiglianza con Dio ma sull’obbedienza di massa].

Le inclinazioni di natura fondamentalista, o le maniere di circostanza e à la page, la brama di prestigio mondano - in realtà - dividono.

La convivialità delle differenze comprende, dilata, accentua l’amalgama e unisce, arricchendo. Apre all’inconsueto e inimmaginabile.

 

I fondatori di religioni propongono una visione del mondo e sono modelli statici di comportamento.

Non prospettano un’offerta crescente (Gv 14,12: «opere più grandi»). Invito diffusamente personale - profondo e nitido, più del loro.

Gesù non è un “modello” prevedibile da imitare.

È anzitutto - ribadiamo - un Motivo e un Motore: amiamo come e perché Cristo. Vivendo di Lui, ciascuno.

Rischiamo tutto perché siamo all’interno d’un Evento che abbiamo visto, d’una Relazione che non solo persuade, ma ci porta e genera oltre; non in calando.

Non siamo più sotto una Legge che nomina Dio per obbligo, ma nella sfida d’un gesto che ri-crea e via via realizza, rendendo forte la nostra debolezza.

Tanto da stupire dei lati in ombra divenuti risorse e sbalordimento. Tutto senza spersonalizzare; anzi, sottolineando l’unicità.

 

Questo il comandamento «nuovo».

«Kainòs» è un termine greco che marca differenza, eclissa il resto - nel senso che riassume, supera e sostituisce. Soppianta tutti i comandamenti: ovvi e sotto condizione.

E non ce ne sarà uno migliore, perché la nostra speranza non è il Cielo (già pronto), ma il Cielo sulla terra.

Più del troppo in là del vecchio Paradiso finale a tariffa invariabile e compimento prevedibile. Modico, conformista, a settori; perfino lì articolato secondo ruoli.

E piramidale.

53 Ultima modifica il Mercoledì, 07 Maggio 2025 07:03
don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Unity is not made with glue [...] The great prayer of Jesus is to «resemble» the Father (Pope Francis)
L’Unità non si fa con la colla […] La grande preghiera di Gesù» è quella di «assomigliare» al Padre (Papa Francesco)
Divisions among Christians, while they wound the Church, wound Christ; and divided, we cause a wound to Christ: the Church is indeed the body of which Christ is the Head (Pope Francis)
Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo (Papa Francesco)
The glorification that Jesus asks for himself as High Priest, is the entry into full obedience to the Father, an obedience that leads to his fullest filial condition [Pope Benedict]
La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale [Papa Benedetto]
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
This unknown “thing” is the true “hope” which drives us, and at the same time the fact that it is unknown is the cause of all forms of despair and also of all efforts, whether positive or destructive, directed towards worldly authenticity and human authenticity (Spe Salvi n.12)
Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo (Spe Salvi n.12)
«When the servant of God is troubled, as it happens, by something, he must get up immediately to pray, and persevere before the Supreme Father until he restores to him the joy of his salvation. Because if it remains in sadness, that Babylonian evil will grow and, in the end, will generate in the heart an indelible rust, if it is not removed with tears» (St Francis of Assisi, FS 709)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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