(Gv 20,19-31)
La Manifestazione, lo Spirito, la remissione
(Gv 20,19-23)
La Pentecoste giovannea non subisce ritardo temporale alcuno (v.22) tuttavia anche il racconto lucano evidenzia il legame con la Pasqua, di cui in filigrana non è che ulteriore specificazione.
Pentecoste non è questione di data, bensì evento che accade senza posa, nell’assemblea riunita; dove si fa presente una Pace-pienezza di gioia colma di conciliazione, che fonda la Missione.
Gesù non aveva assicurato vita facile. Ma le «porte chiuse» stanno a indicare che il Risorto non è ritornato all’esistenza di prima: è stato introdotto nella condizione divina, in una forma di vita totale.
La configurazione completa del suo essere non è nell’ordine di carne e ossa; sfugge ai nostri sensi.
“Risurrezione della carne” non equivale al miglioramento delle condizioni precedenti. Da un uomo [come da un seme] è sbocciata una forma di vita che sussiste in Dio stesso.
I discepoli gioiscono nel vedere le piaghe (v.20). La reazione non sorprende: si tratta della percezione-vertigine di Presenza, che sgorga e si riversa da sensi interiori.
Il Risorto che si rivela è lo stesso Gesù che ha consegnato in dono la vita, nello Spirito.
Il Mondo del Padre porta il suo Nome - ossia l’intera sua storia, tutta reale.
Il Mondo celeste non resta più quello delle religioni. Non è esclusivo, né fantasioso o astratto; neppure sterilizzato.
La Manifestazione è collocata ne «l’uno dei sabati» (v.19) a dire che i discepoli possono incontrare e vedere il Risorto ogni volta che si ritrovano insieme nel giorno del Signore.
Grazie al Dono dello Spirito (v.22) i suoi sono inviati in Missione, per continuare e dilatare l’azione del Maestro - insistendo in particolare sull’opera di remissione dei peccati (v.23).
Al tempo era diffusa la concezione che gli uomini agissero male e si lasciassero contaminare dagli idoli, perché mossi da un istinto immondo che iniziava a manifestarsi già in tenera età.
Ci si illudeva che si potesse riuscire a vincere o almeno tenere a bada tale spirito maligno con lo studio della Torah - ma era facile verificarne gli insuccessi: le indicazioni della Legge, pur giuste, non davano la Forza di percorrere quel sentiero.
Dopo tanti fallimenti anche di Re e dell’intera classe sacerdotale, si attendeva che Dio stesso venisse, proprio per liberarci dalle impurità, attraverso l’effusione di un impulso buono.
In tutto il mondo antico [anche nella cultura classica: in particolare Ovidio] ci si chiedeva il senso di questo blocco creaturale.
Dentro, nell’intimo, l'umanità si trovava accomunata e lacerata tra intuizione e desiderio del bene, e incapacità di attuarlo (cf. Rm 7, 15-19).
Nessuna religione o filosofia aveva mai intuito che è nel disagio e nella imperfezione che covano le più preziose energie plasmabili, la nostra unicità, e la soluzione non conformista dei problemi.
Per bocca dei Profeti, Dio aveva promesso il dono di un cuore nuovo - di carne e non di pietra (Ez 36,25-27).
Un’effusione di Spirito che avrebbe rinnovato il mondo, vivificato e reso fecondo il deserto.
Nel giorno di Pasqua si compirono le profezie.
Il «soffio» di Cristo richiama il momento della Creazione (Gn 2,7; cf. Ez 37,7-14).
Siamo all’origine di una nuova umanità di madri e padri che generano - ora in grado di far apparire solo vita, eliminando la morte dalla faccia della terra.
Gesù crea l’uomo nuovo, non più vittima delle forze invincibili che lo portano al male, malgrado le sue aspirazioni profonde.
Egli trasmette un’energia intraprendente, nitida, alternativa, sicura di sé, che spinge spontaneamente al bene.
Dove giunge questo Spirito, il peccato viene annientato.
Fu la prima esperienza ecclesiale: l’azione inequivocabile della Potenza divina, che si faceva presente e operante in persone timorose e non tenute in conto alcuno.
In tutto il libro di Atti degli Apostoli il protagonista è appunto il Vento impetuoso dello Spirito.
Fin qui, in Gv mancava il concetto di perdono dei peccati. Ma il senso dell’espressione al v.23 non è strettamente sacramentale.
Neutralizzare e sconfiggere le inadempienze riguarda ciascuno che si coinvolga nell’opera di miglioramento della vita nel mondo.
Insomma, siamo chiamati a creare le condizioni affinché dissodando il terreno dei cuori, tutti si aprano all’azione divina.
Viceversa, l’incapacità al bene si trascina: in tal guisa, il peccato non viene ‘rimesso’.
Lo Shalôm ricevuto dai discepoli va da essi stessi annunciato e trasmesso al mondo.
È una Pace non frutto mondano di compromessi soppesati e astuti: unico mezzo potente da utilizzare è il perdono.
Non tanto per la tranquillità e la “permanenza”, bensì per introdurre potenze sconosciute, accentuare vita, far affiorare gli aspetti cui non abbiamo dato spazio; trasmettere senso di adeguatezza e libertà.
In ciascuno e per tutti i tempi, la Chiesa è chiamata a rendere efficace il Gratis completo e personale del Signore.
Come un Dono nello Spirito: senza mai «ritenere» (v.23) i problemi, né renderli paradossali protagonisti della vita [perfino di assemblea].
Tale la dimensione sacerdotale, regale e profetica della Comunità fraterna. Tale la sua Novità.
Vittoria del Risorto, Chiesa di persone libere
Senza isterismi
(Gv 20,24-31)
Il brano ha un sapore liturgico, ma la domanda che scorgiamo in filigrana è cruda. Anche noi vogliamo «vederlo».
Come credere senza avere visto?
E addirittura come poteva andare da sé l’identificazione del sottoposto a supplizio con la beatitudine vissuta, e la stessa divinità?
È il quesito più diffuso a partire dalla terza generazione di credenti, i quali non solo non avevano avuto modo di conoscere gli Apostoli, ma molti di essi neppure i loro allievi.
L’evangelista assicura: rispetto ai primi testimoni della Risurrezione, la nostra condizione non è per nulla sfavorita, anzi: più aperta e meno soggetta a condizionamenti o circostanze particolari.
Bisogna andare più a fondo dell’esperienza immediata.
Anche i discepoli diretti hanno fatto una gran fatica, cercando di passare ad un altro vocabolario e grammatica della rivelazione; e dal “vedere”, al ‘credere’.
Ci sono purtroppo tratti comuni, come ad es. la ricerca della Maddalena nei luoghi della morte. O qui le porte accuratamente sbarrate, dove non si entra senza forzare le chiusure - ma soprattutto scarti significativi.
In particolare, ribadiamo il quesito più bruciante. Come passare dal «vedere»… al «credere» in uno sconfitto, addirittura sottoposto a supplizio?
Non crediamo, solo perché ci sono testimoni veritieri.
Siamo certi che la vita soppianta la morte, perché abbiamo «veduto» in prima persona; perché siamo passati attraverso un riconoscimento personale.
Infatti Egli non si fa condottiero, bensì ripetutamente «in mezzo»(vv.19.26).
Nella raccolta delle Manifestazioni del Risorto [cosiddetto “Libro della risurrezione”] Gv designa le condizioni della Fede pasquale.
Egli espone le esperienze di testimonianza delle prime chiese (mattina e sera, e otto giorni dopo) nonché dei discepoli che accettano il mandato missionario.
Allora come oggi, percepire le realtà nascoste al semplice sguardo, interiorizzare la disponibilità a fare esodo verso le periferie, dipende dalla profondità della Fede.
Né consegue la disponibilità a giocarsi la vita, per edificare un regno dai valori capovolti rispetto a quelli religiosi comuni, antichi, imperiali.
Nel momento in cui viene redatto l’episodio di Tommaso, la dimensione dell’ottavo giorno [Dies Domini] aveva già una configurazione prevalente, rispetto al sabato dei primi Messianici radicalmente giudaizzanti.
«Shalôm» è inteso però ancora in senso antico: non si tratta di un augurio, ma del compimento presente delle Promesse divine.
La «Pace» messianica avrebbe evocato la disfatta delle paure, la liberazione dalla morte; la conciliazione con la propria vita, il mondo, e Dio.
«Shalôm» - qui - viene a sorprenderci: giunge dal dono di sé portato sino in fondo; oltre, le capacità.
Le piaghe sono parte del carattere del Risorto.
È fuorviante ogni immagine che non espliciti i segni della gratuità eccessiva del nuovo regno inaugurato da Cristo [perfino la scultura in bronzo dorato della Sala Nervi].
La Gioia viene dalla percezione della Presenza ‘oltre’ la vita biologica.
La nostra felicità si attenua e smarrisce, se perdiamo il Testimone della vita - grazie al quale ogni minimo gesto o stato d’animo (anche il timore) diventa svelamento, senso, intensità di relazione.
Riversandosi nel mondo, gli Inviati abbracciano la medesima missione di Gesù: che tutti si lascino salvare.
E il dono dello Spirito operante è appunto come l’inizio di una creazione nuova.
Infatti la Pentecoste giovannea scaturisce dalla prospettiva inedita e genuina di salvezza: amabile, serena, non “integra”, né forzata.
A ben vedere, secondo il libro degli Atti, la predicazione di Pietro suscita un putiferio di conversioni. In Gv tutto è viceversa discreto: nessun rombo né fuoco e tempesta; nulla appare di fuori, né permane esteriore.
Si tratta di apostoli abilitati ad aprire gli usci chiusi a chiave, e a disporre le condizioni della gratuità.
Ciò con virtù passive più che attive; ad es. il ‘perdono’, dov’esso non c’è.
In tal guisa, ogni Gratuità per risollevare gli uomini da qualsivoglia problematica, affinché il bene trionfi sul male e la vita sulla morte.
Tutto nel concreto, quindi attraverso un processo che chiede tempo; come percorrendo a piedi una Via.
Intensità di ben ‘altra’ natura, cui si addice da parte nostra la sola contemplazione - a paragone della letteratura più di propaganda e poco raccolta di At 2, dove scompaiono i riflessi d’incredulità e dubbi.
Come se l'identità del Gesù Crocifisso e del Risorto non facesse problema alcuno!
E nel quarto Vangelo mancava fin qui il concetto di «perdono dei peccati».
Ma appunto occorre passare dalla “visione” oculare alla Fede.
Il modo nuovo di vita del Figlio si conosce nella vita della Chiesa, ma è meglio e pienamente accessibile solo a chi sebbene un po’ dentro e un poco fuori, non permane nelle chiusure.
Tommaso è scelto da Gv come punto di congiunzione fra generazioni di credenti.
Come ognuno di noi, non è uno scettico indifferente: non ha paura del mondo, anzi vuol verificare, vagliare bene.
In lui Gesù lancia il suo apprezzamento verso i credenti futuri, che ne riconosceranno la condizione divina sulla base della propria esperienza - tanto profonda quanto intensamente vissuta.
Esiste forse una parte élitaria di Chiesa autentica, eppur tenuta insieme dalla paura (v.19).
Non solo perché il mandato di cattura pende sempre sui veri testimoni. Anche per timore del confronto col mondo, o per incapacità di dialogo.
Anche oggi: timore della cultura, della scienza, degli studi biblici, dell’emancipazione, del confronto filosofico, ecumenico, interreligioso; così via.
Tommaso non si spaventa di stare fuori dalle porte sbarrate.
Non si ripiega e non teme l’incontro, il rapporto con la vita che pulsa e viene.
In tal senso è «detto gemello» [δίδυμο] di ciascuno - e di Gesù.
Il nostro contesto somiglia a quello delle piccole realtà giovannee dell’Asia Minore, sperdute nell’immensità dell’impero romano; talora sedotte dalle sue attrattive.
Efeso in particolare contava centinaia di migliaia di abitanti.
Emporio commerciale, centro bancario e città cosmopolita di rilievo [il cui fulcro era naturalmente il grande Tempio di Artemide - meraviglia del mondo antico] era la quarta città dell’impero.
Le distrazioni erano molte.
Già dalle prime generazioni di fedeli iniziava a subentrare la routine: il fervore degli inizi si andava spegnendo; la partecipazione diventava saltuaria.
Sotto Domiziano i credenti subivano anche emarginazione e discriminazioni.
Qualche fedele poi rimaneva deluso dall’atteggiamento di chiusura e monologo dei responsabili di comunità. Altri da ambigue zone d’ombra interne e dal frammisto di compromessi (in specie dei responsabili) che scoraggiavano i più sensibili.
Anche oggi, uno degli elementi discrimine della capacità di manifestare il Risorto Presente resta l’incontro diretto con i fratelli, all’interno di una solidarietà viva.
Coesistenza non tenuta in ostaggio da cerchie confinate, che integrano membri solo su designazione di quelli già in carica.
Persone che accolgono sorprese e sollecitano la capacità di pensiero e dibattito.
Donne e uomini che sono se stesse, e fanno respirare gli altri.
Non creduloni indottrinati e plagiati - o finti sofisticati, senza spina dorsale.
Sorelle e fratelli che spendono le loro risorse materiali e di saggezza, secondo storia e sensibilità particolari.
Dove ciascuno così com’è e dov’è - reale a tutto tondo, non dissociato da sé - si rende alimento altrui con le briciole che ha.
Ecco allora il «riconoscimento»: è una questione non di obbedienza a un mondo astratto, bensì di Somiglianza personale.
Si tratta di sintonizzare la fisionomia e le nostre piccole «azioni» con la Sorgente dell’Amore consumato sino in fondo [il nostro «dito» e le sue «Mani»; la nostra «mano» e il suo «Costato trafitto»].
Pur col nostro limite, ‘entrando nelle piaghe’. Per attrazione, la Fede sgorgherà spontanea (v.28).
Così (vv.29-31 e 21,25) Gv invita ciascuno a scrivere un suo personale Vangelo.
Quando le nostre opere saranno almeno un poco le medesime di Cristo, tutti lo ‘vedranno’.
Ci sono dunque prove che Gesù vive?
Certo, Egli si manifesta concretamente in una assemblea di persone non conformiste; che sono se stesse.
Anime dotate di capacità di pensiero autonomo. «Gemelli» suoi e di Tommaso.
Creature Libere di starsene nel mondo; fuori degli usci chiusi a chiave - per ascoltare, scendere, servire.
E farlo con convinzione: personalmente, senza forzature, né isterismi.
Anche noi vogliamo «vederlo».