Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
1. «Siamo servi inutili» (Lc 17, 10).
L'eco di queste parole di Cristo non cessò sicuramente di risonare nell'animo degli Apostoli quando, ubbidendo al suo comando, si avviarono sulle strade del mondo per annunziare il Vangelo. Passavano da una città all'altra, da una regione all'altra, faticando a servizio del Regno, e sempre custodendo nel cuore l'ammonimento di Gesù: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 10).
Questa stessa consapevolezza essi trasmisero ai loro discepoli, anche a quelli che per primi attraversarono il Mar Adriatico, portando il Vangelo nella Dalmazia romana, ai popoli che in quell'epoca abitavano questa bellissima costa e le altre terre non meno belle fino alla Pannonia. La fede cominciò così a diffondersi tra i vostri antenati, i quali a loro volta la consegnarono a voi. È un lungo processo storico, che risale all'epoca di San Paolo e che riparte con nuovo slancio nel VII secolo all'arrivo delle popolazioni croate.
Oggi vogliamo ringraziare la Santissima Trinità per il Battesimo che hanno ricevuto i vostri avi. Il cristianesimo è arrivato qui dall'Oriente e dall'Italia, da Roma, e ha plasmato la vostra tradizione nazionale. Questo ricordo risveglia nell'animo un vivo senso di gratitudine verso la divina Provvidenza per questo duplice dono: anzitutto il dono della vocazione alla fede, e poi quello dei frutti che ne sono maturati nella vostra cultura e nelle vostre consuetudini.
Sulla costa croata, lungo i secoli, sono fioriti meravigliosi capolavori di architettura, che hanno suscitato l'ammirazione di innumerevoli persone in ogni epoca. Tutti potevano godere di questo splendido patrimonio inserito in un incantevole paesaggio. Purtroppo, a causa delle guerre, parte di questi tesori è andata distrutta o è stata danneggiata. L'occhio umano ormai non potrà più gioirne. Come non provarne rimpianto?
2. «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». La parola di Gesù pone degli interrogativi che non è possibile evitare: abbiamo veramente fatto quanto dovevamo? E che cosa dovremmo fare ora? Quali sono i compiti che stanno davanti a noi? Quali mezzi e quali forze abbiamo a disposizione? Le domande sono complesse e la risposta dovrà quindi essere articolata. Oggi noi ci poniamo queste domande come cristiani, come seguaci di Cristo, e con questa consapevolezza leggiamo la pagina della Lettera di San Paolo a Timoteo. In essa l'Apostolo, elencando i nomi di alcuni discepoli, menziona anche quello di Tito, del quale ricorda la missione in Dalmazia. Tito fu dunque uno di coloro che per primi evangelizzarono queste terre, a singolare testimonianza della preoccupazione apostolica di far giungere il Vangelo fin qui.
Nelle parole di Paolo, di un Paolo ormai provato dagli anni, sentiamo echeggiare l'ansia apostolica di tutta una vita. Ora che è giunto per lui il momento di sciogliere le vele (cfr 2 Tm 4, 6), scrive al discepolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4, 7). È una testimonianza ed è anche un testamento. In questa prospettiva acquistano maggiore importanza le parole conclusive: «Il Signore (...) mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del Messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili» (2 Tm 4,17).
Coloro che oggi, alla fine del secondo millennio, devono continuare l'opera dell'evangelizzazione possono attingere qui luce e conforto. In questa opera, che è divina e al tempo stesso umana, bisogna fare appello alla potenza del Signore. Giustamente, alle soglie del nuovo millennio, parliamo della necessità di una nuova evangelizzazione: nuova quanto al metodo, ma sempre identica quanto alle verità proposte. Ora, la nuova evangelizzazione è un compito immane: universale nei contenuti e nella destinazione, essa deve diversificarsi nella forma adattandosi alle esigenze dei vari luoghi. Come non sentire il bisogno dell'intervento di Dio a sostegno della nostra pochezza?
Preghiamo, affinché la Chiesa nel vostro Paese cattolico sappia leggere bene, con l'aiuto di Dio, esigenze e compiti della nuova evangelizzazione e orientarne l'impegno nella giusta direzione "tertio millennio adveniente".
[…]
«Se aveste fede quanto un granellino di senapa ...» (Lc 17,6), ci ha detto Gesù poco fa nel Vangelo. La grazia di Dio ha fatto sì che quel granellino di fede germogliasse e crescesse fino a diventare un albero grande, ricco di frutti di santità. Anche nei periodi più duri della vostra storia, non sono mancati uomini e donne che non hanno cessato di ripetere: «La fede cattolica è la mia vocazione» (Servo di Dio Ivan Merz, in Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, Roma 1998, p. 477); uomini e donne che hanno fatto della fede il programma della loro vita. Così è stato per il martire Domnio, in epoca romana, così per i numerosi martiri durante l'occupazione turca, sino al Beato martire Alojzije Stepinac, nei giorni nostri.
La decisione dei vostri padri di accogliere la fede cattolica, la fede annunciata e professata dai Santi Apostoli Pietro e Paolo, ha avuto un ruolo centrale nella storia religiosa e civile della Nazione. «Questo fu un evento di capitale importanza per i Croati, perché da quel momento accettarono con grande prontezza il Vangelo di Cristo come veniva propagato e insegnato da Roma. La fede cattolica ha permeato la vita nazionale dei Croati»: così hanno scritto i vostri Vescovi (Lettera pastorale del 16 marzo 1939), in vista della celebrazione giubilare dell'evangelizzazione dei Croati, programmata per il 1941 e rinviata, poi, a causa di eventi che hanno sconvolto la vostra Patria, l'Europa e il mondo intero.
5. È un'eredità che obbliga. Nella Lettera che vi ho scritto per l'Anno di Branimir, una delle tappe della celebrazione del Giubileo del Battesimo del vostro Popolo, vi dicevo: «Con la vostra perseveranza avete stretto una specie di patto con Cristo e con la sua Chiesa: dovete restare fedeli a questo patto quanto più i tempi vi si oppongono. Quali siete stati da quel glorioso anno 879, tali rimanete sempre» (15 maggio 1979). Queste parole vi ripeto anche oggi, nel nuovo clima sociale e politico che si è instaurato nella vostra Patria.
Il Signore non ha mancato di illuminare di speranza i vostri giorni (cfr Ef 1, 17-18), Ed ora, con l'avvento della libertà e della democrazia, è legittimo attendere una nuova primavera di fede in queste terre croate. La Chiesa ha oggi la possibilità di servirsi di molteplici mezzi di evangelizzazione e di accedere a tutti gli spazi della società. È questa un'occasione propizia che la Provvidenza offre a questa generazione per annunciare il Vangelo e rendere testimonianza a Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, contribuendo così all'edificazione di una società a misura d'uomo.
Concretamente, i cristiani delle terre croate sono oggi chiamati a dare un volto nuovo alla loro Patria, soprattutto impegnandosi per il ripristino nella società dei valori etici e morali minati dai precedenti totalitarismi e dalla recente violenza bellica. È compito che richiede molte energie e ferma volontà. Ed è compito urgente, perché senza valori non vi può essere vera libertà né vera democrazia. Fondamentale, tra i valori, è il rispetto della vita umana, dei diritti e della dignità della persona, come anche dei diritti e della dignità dei popoli.
Il cristiano sa di avere una responsabilità ben precisa, accanto agli altri cittadini, per le sorti della propria Patria e per la promozione del bene comune. La fede impegna sempre al servizio degli altri, dei concittadini visti come fratelli. E non vi può essere testimonianza efficace senza una fede profondamente vissuta, senza una vita ancorata al Vangelo e permeata di amore verso Dio e verso il prossimo, sull'esempio di Gesù Cristo. Testimoniare, per il cristiano, vuol dire rivelare agli altri le meraviglie dell'amore di Dio, costruendo unitamente ai fratelli quel Regno, di cui la Chiesa "costituisce in terra il germe e l'inizio" (Lumen gentium, 5).
6. «Se aveste fede... Siamo servi inutili... ». La fede non cerca cose straordinarie, ma si sforza di rendersi utile servendo i fratelli nella prospettiva del Regno. La sua grandezza sta nell'umiltà: «Siamo servi inutili...». Una fede umile è una fede autentica. E una fede autentica, anche se piccola "come un granellino di senapa", può operare cose straordinarie.
Quante volte ciò ha trovato attuazione in queste regioni! Possa il futuro recare nuove conferme di questa parola del Signore, così che il Vangelo continui a portare abbondanti frutti di santità tra le generazioni che verranno.
Il Signore della storia accolga le suppliche che si innalzano oggi da questa terra croata ed esaudisca la preghiera di quanti confessano il santo Nome di Dio e chiedono di rimanere fedeli alla grande Alleanza battesimale dei loro avi.
Sorretto dalla fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, questo popolo sappia costruire il proprio futuro sulle sue antiche radici cristiane, che risalgono ai tempi apostolici!
Siano lodati Gesù e Maria!
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Split 4 ottobre 1998]
La Parola di Dio ci presenta oggi due aspetti essenziali della vita cristiana: la fede e il servizio. A proposito della fede, vengono rivolte al Signore due particolari richieste.
La prima è quella del profeta Abacuc, che implora Dio perché intervenga e ristabilisca la giustizia e la pace che gli uomini hanno infranto con violenza, liti e contese: «Fino a quando, Signore, – dice – implorerò aiuto e non ascolti?» (Ab 1,2). Dio, rispondendo, non interviene direttamente, non risolve la situazione in modo brusco, non si rende presente con la forza. Al contrario, invita ad attendere con pazienza, senza mai perdere la speranza; soprattutto, sottolinea l’importanza della fede. Perché per la sua fede l’uomo vivrà (cfr Ab 2,4). Così Dio fa anche con noi: non asseconda i nostri desideri che vorrebbero cambiare il mondo e gli altri subito e continuamente, ma mira anzitutto a guarire il cuore, il mio cuore, il tuo cuore, il cuore di ciascuno; Dio cambia il mondo cambiando i nostri cuori, e questo non può farlo senza di noi. Il Signore desidera infatti che gli apriamo la porta del cuore, per poter entrare nella nostra vita. E questa apertura a Lui, questa fiducia in Lui è proprio «la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1 Gv 5,4). Perché quando Dio trova un cuore aperto e fiducioso, lì può compiere meraviglie.
Ma avere fede, una fede viva, non è facile; ed ecco allora la seconda richiesta, quella che nel Vangelo gli Apostoli rivolgono al Signore: «Accresci in noi la fede!» (Lc 17,6). È una bella domanda, una preghiera che anche noi potremmo rivolgere a Dio ogni giorno. Ma la risposta divina è sorprendente e anche in questo caso ribalta la domanda: «Se aveste fede…». È Lui che chiede a noi di avere fede. Perché la fede, che è un dono di Dio e va sempre chiesta, va anche coltivata da parte nostra. Non è una forza magica che scende dal cielo, non è una “dote” che si riceve una volta per sempre, e nemmeno un super-potere che serve a risolvere i problemi della vita. Perché una fede utile a soddisfare i nostri bisogni sarebbe una fede egoistica, tutta centrata su di noi. La fede non va confusa con lo stare bene o col sentirsi bene, con l’essere consolati nell’animo perché abbiamo un po’ di pace nel cuore. La fede è il filo d’oro che ci lega al Signore, la pura gioia di stare con Lui, di essere uniti a Lui; è il dono che vale la vita intera, ma che porta frutto se facciamo la nostra parte.
E qual è la nostra parte? Gesù ci fa comprendere che è il servizio. Nel Vangelo, infatti, il Signore fa subito seguire alle parole sulla potenza della fede quelle sul servizio. Fede e servizio non si possono separare, anzi sono strettamente collegati, annodati tra di loro. Per spiegarmi vorrei utilizzare un’immagine a voi molto familiare, quella di un bel tappeto: i vostri tappeti sono delle vere opere d’arte e provengono da una storia antichissima. Anche la vita cristiana di ciascuno viene da lontano, è un dono che abbiamo ricevuto nella Chiesa e che proviene dal cuore di Dio, nostro Padre, il quale desidera fare di ciascuno di noi un capolavoro del creato e della storia. Ogni tappeto, voi lo sapete bene, va tessuto secondo la trama e l’ordito; solo con questa struttura l’insieme risulta ben composto e armonioso. Così è per la vita cristiana: va ogni giorno pazientemente intessuta, intrecciando tra loro una trama e un ordito ben definiti: la trama della fede e l’ordito del servizio. Quando alla fede si annoda il servizio, il cuore si mantiene aperto e giovane, e si dilata nel fare il bene. Allora la fede, come dice Gesù nel Vangelo, diventa potente, fa meraviglie. Se cammina su quella strada, allora matura e diventa forte, a condizione che rimanga sempre unita al servizio.
Ma che cos’è il servizio? Possiamo pensare che consista solo nell’essere ligi ai propri doveri o nel compiere qualche opera buona. Ma per Gesù è molto di più. Nel Vangelo di oggi Egli ci chiede, anche con parole molto forti, radicali, una disponibilità totale, una vita a piena disposizione, senza calcoli e senza utili. Perché è così esigente Gesù? Perché Lui ci ha amato così, facendosi nostro servo «fino alla fine» (Gv 13,1), venendo «per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45). E questo avviene ancora ogni volta che celebriamo l’Eucaristia: il Signore viene in mezzo a noi e per quanto noi ci possiamo proporre di servirlo e amarlo, è sempre Lui che ci precede, servendoci e amandoci più di quanto immaginiamo e meritiamo. Ci dona la sua stessa vita. E ci invita a imitarlo, dicendoci: «Se uno mi vuole servire, mi segua» (Gv 12,26).
Dunque, non siamo chiamati a servire solo per avere una ricompensa, ma per imitare Dio, fattosi servo per nostro amore. E non siamo chiamati a servire ogni tanto, ma a vivere servendo. Il servizio è allora uno stile di vita, anzi riassume in sé tutto lo stile di vita cristiano: servire Dio nell’adorazione e nella preghiera; essere aperti e disponibili; amare concretamente il prossimo; adoperarsi con slancio per il bene comune.
Non mancano anche per i credenti le tentazioni, che allontanano dallo stile del servizio e finiscono per rendere la vita inservibile. Dove non c’è servizio la vita è inservibile! Anche qui possiamo evidenziarne due. Una è quella di lasciare intiepidire il cuore. Un cuore tiepido si chiude in una vita pigra e soffoca il fuoco dell’amore. Chi è tiepido vive per soddisfare i propri comodi, che non bastano mai, e così non è mai contento; poco a poco finisce per accontentarsi di una vita mediocre. Il tiepido riserva a Dio e agli altri delle “percentuali” del proprio tempo e del proprio cuore, senza mai esagerare, anzi cercando sempre di risparmiare. Così la sua vita perde di gusto: diventa come un tè che era veramente buono, ma che quando si raffredda non si può più bere. Sono certo però che voi, guardando agli esempi di chi vi ha preceduto nella fede, non lascerete intiepidire il cuore. La Chiesa intera, che nutre per voi una speciale simpatia, vi guarda e vi incoraggia: siete un piccolo gregge tanto prezioso agli occhi di Dio!
C’è una seconda tentazione, nella quale si può cadere non perché si è passivi, ma perché si è “troppo attivi”: quella di pensare da padroni, di darsi da fare solo per guadagnare credito e per diventare qualcuno. Allora il servizio diventa un mezzo e non un fine, perché il fine è diventato il prestigio; poi viene il potere, il voler essere grandi. «Tra voi però – ricorda Gesù a tutti noi – non sarà così: ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,26). Così si edifica e si abbellisce la Chiesa. Riprendo l’immagine del tappeto, applicandola alla vostra bella comunità: ciascuno di voi è come uno splendido filo di seta, ma solo se sono ben intrecciati tra di loro i diversi fili creano una bella composizione; da soli, non servono. Restate sempre uniti, vivendo umilmente in carità e gioia; il Signore, che crea l’armonia nelle differenze, vi custodirà.
Ci aiuti l’intercessione della Vergine Immacolata e dei Santi, in particolare di Santa Teresa di Calcutta, i cui frutti di fede e di servizio sono in mezzo a voi. Accogliamo alcune sue splendide parole, che riassumono il messaggio di oggi: «Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è il servizio. Il frutto del servizio è la pace» (Il cammino semplice, Introduzione).
[Papa Francesco, omelia Baku 2 ottobre 2016]
Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale
(Lc 17,1-6)
La conoscenza di Dio non è una scienza acquisita: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.
Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.
Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.
Eppure, il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.
Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.
Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.
Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.
È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile; di rinascita.
Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.
Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.
Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.
La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza. Quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.
Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.
Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.
In tal guisa eccentrica, essa trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.
Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.
Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.
Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.
Fa volare la realtà verso se stessa.
L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale ‘vuoto’ e Silenzio che Dio si fa strada.
Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.
[Lunedì 32.a sett. T.O. 10 novembre 2025]
Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale
(Lc 17,1-6)
La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.
Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.
Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.
Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.
Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.
Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.
Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.
È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.
Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.
Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.
Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.
Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.
Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.
Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.
La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.
Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.
Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.
Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.
In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.
Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.
Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.
Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.
E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.
Facendola volare verso se stessa.
L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale ‘vuoto’ e Silenzio che Dio si fa strada.
Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.
Accrescere la fede: vita noiosa, intimidita, o la porta della speranza
Forse anche a noi è stato inculcato che la fede bisogna chiederla, così Dio ce l’aumenta. Invece abbiamo voce in capitolo, ma non nel senso d’una avance da rivolgere al Cielo.
La Fede è dono, però nel senso di proposta e iniziativa relazionale, faccia a faccia; che chiede percezione accogliente. Quindi non cresce per caduta d’un pacchetto - come a precipizio, o per infusione dall’alto. Addirittura forzandola, e convincendo il Padre.
Non è neppure un semplice assenso legato al carattere bonario. Non è un bagaglio di nozioni che qualcuno ha e dimostra in modo giusto; altri meno, o affatto.
Nell’innamoramento si può essere più o meno coinvolti!
Fede non è credere che Dio esista, ma l’aderire a un suggerimento sorgivo che (senza imposizioni) ci guida a trascurare la reputazione.
La persona di Fede non bada a spese o rischi, anche per la vita altrui. Tiene in sospeso le costumanze particolari; non anteporre gli affetti di cerchia. Perdona senza limiti.
Spesso siamo d’accordo solo in parte e accettiamo qualcosina - magari fino a che l’amore non vada sino in fondo, o ci rimetta in discussione.
Così la testa, i vezzi, la concatenazione dei valori, e il piccolo mondo cui siamo legati.
Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello.
Perciò Gesù neppure risponde a una richiesta tanto ridicola - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.
Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie e nella vita personale.
Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.
Ci sono poi grandi eventi piantati nel cuore di ogni uomo, che forse consideriamo irrealizzabili: ad es. la fratellanza universale, la vittoria sulla fame, una vita dignitosa e bella per tutti, un mondo e una Chiesa senza personaggi volatili, corrotti e vanitosi.
Siccome le consideriamo situazioni impossibili, neppure iniziamo a edificarle - subito ci lasciamo cadere le braccia.
Ma la maturazione è frutto contromano di lati segreti, non di armature mentali impermeabili.
Come diceva un premio Nobel: «Gli innocenti non sapevano che il loro progetto era impossibile, per questo lo realizzarono».
E non è che dopo una vita impiegata nel servizio - agli ordini del Principale - nell’aldilà finalmente comanderemo, sulla base del rango conquistato [sebbene anche questo forse ci sia stato trasmesso].
Uno dei prodigi che compie in noi la Fede in Cristo - qui e ora - è farci prendere coscienza della bellezza e della gioia di avere libertà di scendere dai piedistalli già identificati, per favorire la vita piena (di tutti).
E a “fine mese” - alla “resa dei conti” o alla “paga” - non diventeremo finalmente dei boss - almeno in cielo!
Perché Dio è Comunione, convivialità delle differenze; e non accetta lo schema servo-padrone, addirittura come premio.
Se l’uomo non è riconciliato con Dio, è in discordia anche con la creazione. Non è riconciliato con se stesso, vorrebbe essere un altro da quel che è ed è pertanto non riconciliato neppure con il prossimo. Fa inoltre parte della riconciliazione la capacità di riconoscere la colpa e di chiedere perdono – a Dio e all’altro. E infine appartiene al processo della riconciliazione la disponibilità alla penitenza, la disponibilità a soffrire fino in fondo per una colpa e a lasciarsi trasformare. E ne fa parte la gratuità, di cui l’Enciclica “Caritas in veritate” parla ripetutamente: la disponibilità ad andare oltre il necessario, a non fare conti, ma ad andare al di là di ciò che richiedono le semplici condizioni giuridiche. Ne fa parte quella generosità di cui Dio stesso ci ha dato l’esempio. Pensiamo alla parola di Gesù: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23s.). Dio che sapeva che non siamo riconciliati, che vedeva che abbiamo qualcosa contro di Lui, si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione. Ci è venuto incontro fino alla Croce, per riconciliarci. Questa è gratuità: la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione. Non cedere nella volontà di riconciliazione: di questo Dio ci ha dato l’esempio, ed è questo il modo per diventare simili a Lui, un atteggiamento di cui sempre di nuovo abbiamo bisogno nel mondo. Dobbiamo oggi apprendere nuovamente la capacità di riconoscere la colpa, dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti. Dobbiamo apprendere la capacità di far penitenza, di lasciarci trasformare; di andare incontro all’altro e di farci donare da Dio il coraggio e la forza per un tale rinnovamento. In questo nostro mondo di oggi dobbiamo riscoprire il Sacramento della penitenza e della riconciliazione. Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita, che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace. San Bonaventura era dell’opinione che il Sacramento della penitenza fosse un Sacramento dell’umanità in quanto tale, un Sacramento che Dio aveva istituito nella sua essenza già immediatamente dopo il peccato originale con la penitenza imposta ad Adamo, anche se ha potuto ottenere la sua forma completa solo in Cristo, che è personalmente la forza riconciliatrice di Dio e ha preso su di sé la nostra penitenza. In effetti, l’unità di colpa, penitenza e perdono è una delle condizioni fondamentali della vera umanità, condizioni che nel Sacramento ottengono la loro forma completa, ma che, a partire dalle loro radici, fanno parte dell’essere persone umane come tale.
[Papa Benedetto, alla Curia romana 21 dicembre 2009]
Cari fratelli e sorelle.
1. Questa domenica sera a Edmonton, la sera del primo giorno della settimana, giorno in cui i cristiani celebrano la risurrezione del Signore, veniamo insieme in preghiera in questa bella cattedrale di Saint Joseph. Siamo riuniti nella gioia del nostro comune Battesimo, nella forza della parola di Dio, e nella pace e nell’amore di Cristo, che proclamiamo luce del mondo e suprema manifestazione di Dio. Vi invito tutti a riflettere con me questa sera sul mistero della presenza di Dio.
Come uomini e donne di fede, noi crediamo che Dio è presente nella sua creazione, che egli è il Signore della storia il quale dirige i tempi e le stagioni, che egli è vicino a tutti coloro che lo invocano: il povero e l’affranto, l’afflitto e il solitario, il debole e l’oppresso. Noi crediamo che Dio si fa strada nel silenzio, e anche nel rumore della nostra vita quotidiana, rivelandoci la sua verità e il suo amore. Egli vuole dissipare la nostra paura e rafforzare la nostra speranza nella sua misericordia salvatrice.
Dio parla personalmente al cuore di ognuno, ma egli agisce anche attraverso la comunità di coloro che egli ha predestinato ad essere suoi. Vediamo questo innanzitutto nella storia del popolo ebreo. Attraverso Abramo, nostro padre nella fede, attraverso Isacco e Giacobbe, e in particolare attraverso Mosè, Dio chiamò un popolo ad appartenergli in un modo speciale. Egli ha stretto un’alleanza con loro, dicendo: “Io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33). Quando i suoi eletti peccarono e se ne andarono per la loro via, dimenticando Dio che li aveva salvati, Dio nel suo amore senza fine intervenne nella loro vita per mezzo dei profeti. Egli chiamò il popolo al pentimento e promise di stabilire con essi una nuova e migliore alleanza. Questa nuova alleanza egli la descrisse con queste parole: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore... Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31, 33-34).
E come stabili Dio questa nuova alleanza? Come scrisse la sua legge nel cuore dei suoi eletti? Con il sangue di Gesù, il sangue dell’Agnello di Dio, il sangue della nuova ed eterna alleanza, il sangue del nostro Salvatore, che è il prezzo della nostra redenzione e la più eloquente espressione possibile dell’amore di Dio per il mondo.
2. La presenza di Dio è incarnata nella sua pienezza in Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio che è diventato il Figlio di Maria e che ha versato il suo sangue per noi sulla croce. Gesù è l’Emanuele, Dio con noi, la parola fatta carne, la rivelazione dell’eterno Padre. Davanti a questo grande mistero della presenza di Dio, noi stiamo in timore e reverenza, e i nostri cuori e le nostre voci ardono dal desiderio di irrompere in canti e inni di lode. E davvero questo è quello che più si addice, perché il primo dovere di una creatura è di glorificare il Creatore, il primo dovere di un popolo redento è di lodare il suo Signore e Salvatore. Per questo sono così lieto di unirmi a voi questa sera in questo servizio serale di lode. Quanto è bello, come fratelli e sorelle in Cristo, unire le nostre voci in “salmi, inni e cantici spirituali” (Col 3, 16).
Il salmo 103 (Sal 103, 1-2), che recitiamo insieme questa sera, ci mostra una persona il cui essere è interamente ricolmo della lode di Dio:
“Benedici il Signore, anima mia, / quanto è in me benedica il suo santo nome. / Benedici il Signore, anima mia, / non dimenticare tanti suoi benefici”.
“Non dimenticare tanti suoi benefici”: un cuore ricolmo di lode mai dimentica i molti benefici di Dio. Infatti, la preghiera di lode implica un atto di memoria riconoscente, nel ricordo di come in tanti modi Dio ha mostrato il suo amore salvifico. E così il salmista dichiara:
“Egli perdona tutte le tue colpe, / guarisce tutte le tue malattie; / salva dalla fossa la tua vita, / ti corona di grazia e di misericordia; / egli sazia di beni i tuoi giorni / e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza” (Sal 103, 3-5).
La preghiera di lode procede da un’umile consapevolezza della nostra indegnità e della nostra totale dipendenza da Dio, congiunta con infantile confidenza nella ricca misericordia di Dio. Così il salmista continua:
“Come un padre ha pietà dei suoi figli, / così il Signore ha pietà di quanti lo temono. / Perché egli sa di che siamo plasmati, / ricorda che noi siamo polvere” (Sal 103, 13-14).
Lodare il Signore è anche acclamare i molti attributi di Dio, magnificare le qualità di questo grande e santo Dio che ha stabilito un’alleanza con il suo popolo. Allora il salmista dice:
“Buono e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore... / La sua giustizia è per i figli dei figli, / per quanti custodiscono la sua alleanza” (Sal 103, 8.17-18).
3. Vivendo alla presenza di Dio, i cristiani prorompono nell’acclamazione e nella lode, esprimendo gratitudine per il dono della fede e per tutti gli atti salvifici del Signore. Ma dobbiamo anche rivolgerci al Signore con preghiere di petizione, invocando dal Signore protezione e salvezza dalle forze del male, perdono per i nostri peccati e guarigione per le nostre anime ferite, forza per portare i pesi della vita e grazia per compiere la volontà di Dio. Spesso la preghiera di petizione dev’essere fatta con un senso di urgenza e di supplica. Per questo l’uomo del salmo 141 (Sal 141, 1.8) esclama:
“Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; / ascolta la mia voce quando t’invoco. / A te, Signore mio Dio, sono rivolti i miei occhi: / in te mi rifugio, proteggi la mia vita”.
La preghiera di petizione scaturisce da un’umile consapevolezza del grande bisogno che abbiamo della grazia di Dio, e da una profonda fiducia nella potente misericordia di Dio. Essa è accompagnata così da un atteggiamento di adorazione. Ci inginocchiamo, almeno in spirito, all’adorabile presenza della maestà di Dio, e le parole che pronunciamo sono come quelle del salmista che supplica:
“Come incenso salga a te la mia preghiera, / le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 141, 2).
4. Il nostro Salvatore ci ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Noi sappiamo che questo è vero questa sera mentre come cristiani ci uniamo insieme in comune preghiera. La presenza di Cristo riempie questa cattedrale nel momento in cui lodiamo il suo nome, e nel momento in cui preghiamo per quella perfetta unità tra i cristiani che egli vuole per i suoi seguaci.
Poiché la vera preghiera trabocca in generoso servizio, noi non siamo questa sera dimentichi dei grandi bisogni dei nostri fratelli e sorelle che soffrono nel mondo intero. Come fedele risposta al Signore, il cui Santo Spirito ha suscitato il movimento ecumenico, non solo vogliamo pregare insieme ed entrare in dialogo ecumenico, ma ci impegniamo anche in sforzi di congiunta collaborazione per promuovere un mondo più giusto e più pacifico. Noi cerchiamo di diventare, e ci aiutiamo gli uni gli altri ad esserlo, “il sale della terra” e “la luce del mondo” (cf. Mt 5, 11-16). In questo modo, proclamiamo insieme la buona novella della presenza di Dio nel mondo nella persona di Gesù Cristo, che è uno con la sua Chiesa.
5. La bella preghiera conosciuta come il Magnificat, che recitiamo insieme questa sera, indirizza le nostre menti a Dio e alla sua presenza salvifica nella storia umana. Essa fa rivolgere anche la nostra attenzione a Maria, la Madre del nostro Salvatore. Questa donna di fede rimane per noi oggi un modello di santità di vita. In un modo speciale, ella sperimentò la presenza di Dio nella sua vita quando divenne la Madre del nostro Redentore. Come una donna il cui cuore era pieno di lode, ella magnificò la grandezza di Dio, proclamando la sua bontà verso i poveri e gli umili e parlando della sua misericordia verso tutte le generazioni. Insieme con Maria, noi uniamo le nostre voci per lodare “la magnificenza del Signore” (cf. Lc 1, 46).
Noi facciamo questo soprattutto in unione con Gesù Cristo, che rimane per sempre la luce del mondo, e che ci offre la luce della vita (cf. Gv 8, 12). Miei cari amici: accogliamo da lui questa luce e camminiamo in questa luce, per la gloria di suo Padre, che vive e regna con il Santo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.
[Papa Giovanni Paolo II, Edmonton 16 settembre 1984]
Stefano non maledice i suoi persecutori, ma prega per loro: «Piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”» (At 7,60).
Siamo chiamati ad imparare da lui a perdonare, sempre: il perdono allarga il cuore, genera condivisione, dona serenità e pace.
Il proto-martire Stefano ci indica la strada da percorrere nelle relazioni interpersonali in famiglia, nei luoghi di scuola e di lavoro, in parrocchia e nelle diverse comunità. La logica del perdono e della misericordia è sempre vincente e apre orizzonti di speranza. Ma il perdono si coltiva con la preghiera, che ci permette di tenere fisso lo sguardo su Gesù. Stefano è stato capace di perdonare i suoi uccisori perché, pieno di Spirito Santo, fissava il cielo e aveva gli occhi aperti su Dio (cfr At 7,55). Dalla preghiera gli venne la forza di subire il martirio. Dobbiamo pregare con insistenza lo Spirito Santo perché effonda su di noi il dono della fortezza che guarisce le nostre paure, le nostre debolezze, le nostre piccolezze.
Invochiamo l’intercessione della Madonna e di Santo Stefano: la loro preghiera ci aiuti ad affidarci sempre a Dio, specialmente nei momenti difficili, e ci sostenga nel proposito di essere uomini e donne capaci di perdono.
[Papa Francesco, Angelus 26 dicembre 2018]
Pietre vive e Liberazione dai mercanti: Segno e Anticipazione
(Gv 2,13-22)
Dove adorare l’Altissimo?
Già il cosmo è come una grande cattedrale, che tesse lodi divine; poi certamente hanno avuto un senso storico sia le alture che i templi.
Ma ora è Cristo il luogo in cui la donna e l’uomo incontrano Dio, il centro d’irruzione e dispiegamento dell’Amore del Padre, nel cosmo.
Il Signore viene volentieri, per fondersi con la vita del credente e dilatare le sue capacità, risorse qualitative, mondo di relazioni.
L’Eterno vive e agisce nell'Amico che - pur inconsapevolmente - ne accoglie le proposte.
Così, anche se i cieli non lo contengono, Egli si degna e diletta di stare tra noi e in noi.
Il grande Sovrano antico era relegato nel Tempio, e nelle vicende del quotidiano ci si dimenticava di Lui. Ora siamo noi i Santuari, veri e vivi.
Quindi, anche se la folla dei turisti si aggira per ammirarne l’arte, le Basiliche sono segno, non realtà.
Siamo noi le ‘chiese’ fuori delle chiese, ove abita la Fonte dell’essere che ‘si rivela’ e dobbiamo far incontrare agli altri.
Segno efficace e anticipazione di un cosmo più umano. In ognuno il Volto di Cristo.
Solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra» [Dante, Paradiso 31, 30-35].
«Era vicina la Pasqua»: tempo della liberazione dalla schiavitù - dai mercanti che avevano sequestrato il Dio dell’Esodo.
Il popolo riteneva di essere emancipato grazie all’acquisizione della ‘terra promessa’, e di praticare un culto gradito.
In realtà era ancora schiavo di una immagine pagana dell’Onnipotente.
Infatti, il complesso del Tempio era costituito da una serie di circuiti che via via scremavano i visitatori.
Gesù vuole smantellare le barriere che impediscono di accostarsi a Dio; tutti i pregiudizi e muri divisori.
La grande Novità è che in Lui ciascuno ha accesso al Padre.
Egli propone la comunione come convivialità delle differenze, non sinergia con scopi qualsiasi.
Poi, il timore inculcato dalla vecchia religiosità aveva trasformato i grandi luoghi di culto dell’oriente antico in banche.
La commistione di preghiera e denaro è davvero insopportabile.
Quando subentrano interessi economici, le conseguenze sulle persone senza peso [e sulla civiltà stessa] sono devastanti.
Così, il Maestro ci sbatte fuori dalla falsa immagine di Dio, per recuperarlo dentro ciascuno di noi.
Insomma, bisogna farla finita con le palizzate - pur “ideali” - in cui la gratuità e la preghiera hanno ben poco di somigliante al rapporto del Figlio col Padre.
Tutto ciò anche spingendoci a capire altrove, navigando verso impossibili territori.
Infine approdando sempre più alla densità del Mistero che vuole viaggiare con noi.
Faremo tutt’altro genere di acquisizioni.
Ormai il mercanteggiare è incompatibile con la nostra azione di ‘pietre vive’.
[Dedicazione della Basilica Lateranense, 9 novembre]
Pietre vive e Liberazione dai mercanti:
Segno e Anticipazione di un nuovo cosmo, d’una nuova umanità
(Gv 2,13-22)
Dove adorare l’Altissimo? Già il cosmo è come una grande cattedrale, che tesse le lodi divine; poi certamente hanno avuto un senso storico sia le alture che i templi.
Ma ora è Cristo il luogo in cui la donna e l’uomo incontrano Dio, il centro d’irruzione e dispiegamento dell’Amore del Padre, nel cosmo.
Il Signore viene volentieri, per fondersi con la vita del credente e dilatare le sue capacità, risorse qualitative, mondo di relazioni.
L’Eterno vive e agisce nell'amico che - pur inconsapevolmente - ne accoglie le proposte. Così, anche se i cieli non lo contengono, Egli si degna e diletta di stare tra noi e in noi.
Il grande Sovrano antico era relegato nel Tempio, e nelle vicende del quotidiano ci si dimenticava di Lui. Ora siamo noi i santuari, veri e vivi.
Quindi, anche se la folla dei turisti si aggira per ammirarne l’arte, le Basiliche sono segno, non realtà.
Siamo noi le chiese fuori delle chiese, ove abita la Fonte dell’essere che si rivela e dobbiamo far incontrare agli altri.
Segno efficace e anticipazione di un cosmo più umano. In ognuno il Volto di Cristo.
Solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra» [Dante, Paradiso 31, 30-35].
«Era vicina la Pasqua»: tempo della liberazione dalla schiavitù - dai mercanti che avevano sequestrato il Dio dell’Esodo.
Il popolo riteneva di essere emancipato grazie all’acquisizione della “terra promessa”, e di praticare un culto gradito.
In realtà era ancora schiavo d’una immagine pagana dell’Onnipotente, e di una religiosità più volte rabberciata a uso e consumo dei professionisti del sacro.
Il Tempio di Gerusalemme era l’orgoglio dell’élite spiritualeggiante, eppure Gesù si comporta in modo da sconcertare il sistema culturale consolidato.
Non media, non cerca appoggi, non intende far carriera, non si fa problema a buttare all’aria il mercato tanto caro alla classe sacerdotale.
Ogni risvolto era fondato sopra un falso insegnamento, che faceva leva sul senso d’indegnità inculcato alla gente semplice. Quindi sul timore delle maledizioni celesti - sotto condizione, favorevoli solo ai protagonisti del commercio religioso.
Il complesso del Tempio era costituito da una serie di circuiti che via via scremavano i visitatori.
Nella spianata potevano entrare tutte le persone sane, anche pagani; poi iniziavano i muri di separazione.
Il primo, sotto minaccia di morte, bloccava i non israeliti. Il secondo le donne, il terzo anche i circoncisi.
Al santuario interno avevano accesso i soli addetti al rito: nessun profano poteva calcare le sacre pietre.
Nel Santo dei santi entrava unicamente il sommo sacerdote, una volta l’anno (giorno del kippur).
La caratteristica più evidente del complesso [logica dei suoi recinti chiusi] era la Separazione: l’esclusione delle persone.
Proprio i più bisognosi non erano ammessi: malati, paralitici, peccatori, pubblicani, pastori - neppure israeliti.
Gesù vuole smantellare le barriere che impediscono di accostarsi a Dio; tutti i pregiudizi e muri divisori.
La grande Novità è che in Lui ciascuno ha accesso al Padre, senza impedimento né imprimatur da implorare.
Egli propone la comunione come convivialità delle differenze, non sinergia con scopi qualsiasi.
Valorizza l’unicum delle risorse personali, non propone il solito totem - martellante qualsiasi nostra facoltà.
Chiunque lo desideri può entrare nel Santuario del nuovo Tempio-Persona, senza ostacolo [né dover prima ottenere autorizzazioni (come talora avviene) da gente pericolosa, poco trasparente, e insulsa].
Poi, il timore inculcato dalla vecchia religiosità aveva trasformato le grandi sedi di culto dell’oriente antico in banche - oltre che luoghi di ossessione.
La commistione di preghiera e denaro è davvero insopportabile. Quando subentrano interessi economici, le conseguenze sulla civiltà e sulle persone senza peso sono devastanti.
Ma il teatro del potere “santificante” e perbenista è tornato (a volte, quasi imperturbabile) anche sotto l’egida del povero Crocifisso.
Così Gesù nei suoi profeti, Viene - pure - a sottolineare l’incompatibilità fra commercio e vita di comunione col Padre.
Il che connota l’enorme differenza tra edificio materiale e luogo sacro personale.
Cristo in noi non si protende a rabberciare l’antica pratica pia, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo, soppiantarlo. E persino eliminarlo - perché esso tende a legittimare illusioni di perfezione, che disumanizzano cuori e assemblee.
Il Maestro ci sbatte fuori dalla falsa immagine di Dio presentata negli spazi di quanto appare inviolabile e celeste… per recuperarlo dentro ciascuno di noi e nella comunità che s’incontra davvero.
Insomma, bisogna farla finita con le palizzate - anche “ideali” - in cui la gratuità e la preghiera hanno ben poco di somigliante al rapporto del Figlio col Padre.
Informali e squilibrati d’amore come l’Eterno stesso, anche noi non sappiamo “stare al mondo” in modo fisso, tranquillo, rassicurante.
Per Fede non siamo più il prodotto di santuari di fredde e dure pietre.
Non di rado i templi sono immagini d’un sapere religioso astratto, e d’uno stile di vita standard che incaponisce, che non sa dare risposte a domande nuove, che non risolve i veri problemi.
Vorremmo sì imparare a tradurre i nostri balzi in avanti con la “nostalgia dell’infinito”, con il desiderio di tornare alla Sorgente, alla Bellezza, alle origini - ma che accompagnano il “pellegrino”.
Esse in Cristo non creano nessun «legame costante e ossessivo» [cf. Fratelli Tutti, n.44].
Certo non attendiamo neppure di finire nell’ideologia arrendevole e disincarnata delle élites: un pensiero talmente sofisticato da bloccare totalmente ogni scommessa impegnativa, per un rischio educativo e l’azione pastorale.
Non siamo qualunquisti.
Viceversa aneliamo andare sino in fondo, scoprire le Radici, e sbalordire dei caratteri inespressi; nella vita d’amore che approda ai lati in ombra, sottaciuti, profondi. Quei versanti cui ancora non abbiamo concesso spazio.
Senza appunto tacitare inquietudini, né rinnegare versanti oscuri, o le contraddizioni, i momenti sgradevoli, le fratture, i disagi che convivono nell’essenza. E ci completano.
Apprenderemo come tornare alla Casa che appartiene all’Eros fondante, senza sopire le sporgenze intime - appelli dell’anima, spesso costretta.
Allora conosceremo e insegneremo a recuperare le dimensioni amare, spiacevoli o “impure”, che il tempio di muro immagina di poter trascurare, allontanare, sterilizzare.
Esse configurano invece il terreno più fecondo della nostra evoluzione.
Tutto ciò forse non rassicura, ma attiva l’Esodo - spingendoci a capire altrove, navigando verso impossibili territori.
Infine approdando sempre più alla densità del Mistero che vuole viaggiare con noi.
E devozioni o meno, faremo tutt’altro genere di acquisizioni - non quella dei soci in affari con Dio - o di “separati”.
«Oggi la liturgia ricorda la Dedicazione della Basilica Lateranense, che è la cattedrale di Roma e che la tradizione definisce "madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". Con il termine "madre" ci si riferisce non tanto all’edificio sacro della Basilica, quanto all’opera dello Spirito Santo che in questo edificio si manifesta» [Papa Francesco, Angelus 9 novembre 2014].
Ribadiamo: solo in tal senso «Laterano/ a le cose mortali andò di sopra».
Spiacente per i dirigenti delle “news” che vogliono strapparci dai codici infiniti che ci abitano.
Il Sé Amico, eminente, prende il nostro passo - non intende relegarci a portaborse del mondo arruolato.
Ormai il mercanteggiare di contrabbando è incompatibile con la nostra azione di pietre vive.
Lo stesso vale nella relazione di Fede-Identità immediata: nessun commercio (cf. vv.23-25).
Con chi si accosta a Lui come facitore di miracoli, protettore materiale, o stendardo per sacralizzare visioni del mondo tutte piantate nella palude della cronaca, Gesù ha un atteggiamento distaccato.
La creduloneria nello straordinario dei prodigi o dei pensieri è fragile, passeggera - sottomessa al perdurare degli spettacoli esteriori, delle maniere e mode appariscenti, o dell’utile.
Non è qui che si accetta di diventare - come Lui - testimoni critici del mondo nuovo. Padri e madri d’una nuova umanità.
«Se l’uomo presta attenzione agli oggetti dei sensi, finisce per nascere in lui attaccamento per quelli; dall’attaccamento nasce il desiderio, dal desiderio scaturisce la collera; dalla collera si origina lo smarrimento, dallo smarrimento confusione nella memoria, dalla perdita della memoria la rovina dell’intelletto: con la rovina dell’intelletto l’uomo è perduto» (Bhagavad Gita, II, 62-63).
Liberazione e Personalizzazione: differenza tra religiosità e Fede
Piccola Casa di Dio o luogo di affari? Non si mercanteggia più
(Lc 19,45-48)
Gesù nota che attorno all’attività che si svolgeva nei perimetri del Tempio si era articolata tutta un’ambigua struttura di peccato.
La smania affaristica del Santuario non era neppure nascosta - anzi, addirittura lo fronteggiava.
Ma le prospettive sacerdotali del santo tributo e gli orizzonti di vita piena del popolo confliggevano.
Idem per gli scopi di giuristi e dottori, che volentieri si affollavano in specie sotto il portico di Salomone [dall’altra parte, verso est] a “concedere” consulenze.
L’esclusiva funzione di favorire l’incontro con la presenza di Dio veniva totalmente mortificata.
L’area sacra era divenuta covo di astuti mercanti, affaristi perennemente a caccia, sempre intenti a cambiar valuta.
Ciò col beneplacito della setta dei dominanti sadducei, che non sapevano resistere alla tentazione di tirare le fila dei lauti commerci.
Cacciando i falsi amici del Padre soccorrevole, parassiti della religiosità, il Signore non si orienta tanto a risarcire la purezza del Luogo, né a rabberciare e riproporre lo smalto del sobrio culto originario - come pur volevano i Profeti.
Rende un servizio santo non al Dio antico (come nelle religioni) bensì alla gente - da quel sistema [o groviglio] resa totalmente inconsapevole della propria dignità vocazionale: solo incatenata, munta, e tosata.
Infatti gli Zeloti puntavano a restaurare la purezza dei riti. Immaginavano in qualche modo di poterne recuperare la coerenza.
Gli Esseni avevano invece del tutto abbandonato il Tempio. Essi consideravano la vergognosa situazione ormai compromessa.
Giovanni il Battezzatore aveva operato il medesimo distacco.
Sebbene di stirpe sacerdotale, predicava al popolo il perdono dei peccati attraverso una conversione di vita, non mediante i sacrifici della liturgia [solo in Gerusalemme].
L’autentico Angelo dell’Alleanza era invece definitivamente intransigente, assai più radicale di tutti loro!
Infatti secondo i primissimi cristiani, che pur rifrequentavano il Tempio, il luogo dell’incontro con Dio, la terra dalla quale irradiava il suo Amore, non era più legata ad aspetti materiali.
Neppure in sé religiosi; tantomeno impregnata di osservanze dottrinali, codici moralisti, o visioni del mondo unilaterali.
In tal guisa, anche per noi la Presenza divina e la sua Comunione non si colgono nella mitica purità, nell’antica magnificenza, negli sforzi perfezionisti - o nell’adesione à la page.
Il servizio a Dio è onore della donna e dell’uomo così come e dove sono: il sacro rispetto parte da un Dono che già attraversa la nostra vita. Le opinioni non servono.
L’Amico sconosciuto vuole dimorare in noi non per appropriarsi, ma per fondersi e dilatare le capacità relazionali e qualitative. Quelle nostre, non altrui o a contorno.
In Cristo, dall’obbedienza a norme più o meno datate [fossero anche futuribili] passiamo allo stile di Somiglianza personale. Ciò che edifica Santuari viventi.
L’onore al Padre si realizza non nei dettagli o nello spirito di corpo già dettato, bensì nei figli e figlie, comunque - se vivono in fraternità.
Questo avviene in specie quando essi assimilano l’Insegnamento di Gesù [sulla Grazia] (v.47).
Così nel tempo, da Lui stesso imparano la convivialità, e insieme sono incoraggiati a dialogare con la loro eccezionale e irripetibile Vocazione, la quale avvince perché corrisponde davvero.
E l’intima convinzione è sola, incomparabile e preziosa energia di valenza trasformatrice - che porta a non recedere da se stessi, dalla propria eccezionalità, né soprassedere la realtà dei fratelli.
Piuttosto induce a fare Esodo, esplorare nuove condizioni dell’essere, trasfigurare la percezione in azione beata.
Solo da qui, deriva la coesistenza.
E Peccato resta sì deviazione, ma non più trasgressione alla legge - bensì incapacità a corrispondere alla Chiamata che caratterizza, che sprigiona e potenzia una sorprendente unicità di Relazione.
La prima Tenda di Dio è dunque l’umanità stessa, il suo cuore pulsante - non uno spazio di pietre e mattoni, fisso, delimitato, o fantasioso… da ornare con sovraggiunte.
Entrato in Gerusalemme, il Maestro prende possesso della Casa celeste - che non è il Tempio, bensì il Popolo.
Per questo Egli caccia fuori dall’immaginifico sacrale inculcato agli ingenui, proprio i tratti più diseducativi del festival - e specialmente insegna ai malfermi, a sentirsi già adeguati!
Incredibile: a ciascuno Cristo cambia l’atmosfera mentale.
Il Signore vero non insegna a entrare in armature abitudinarie o astratte e formali, accette al contorno ma distanti da noi stessi, dalle creature.
Piuttosto, stimola a non frenare la nostra vera natura con delle cappe di costume [datate o meno] secondo le quali “non è mai abbastanza”.
Dietro la nostra essenza caratteriale si cela una Chiamata feconda, irripetibile, singolare; dai risvolti visuali e sociali che non sappiamo.
Come siamo - proprio così - andiamo bene.
Non c’è bisogno di esorcizzare nulla del nostro essere profondo, che spontaneamente manifesta i suoi disagi compressi e le corrispondenze gioiose, anche nelle eccentricità esteriori.
Piuttosto, ogni domesticazione convenzionale epidermica, di adattamento, o astuta, soffoca il nucleo della Chiamata per Nome - autentica Guida, impulso dello Spirito.
Il nostro mondo interno non va istericamente considerato alla stregua di un pericoloso estraneo da riconfigurare.
Le radici innate e la nostra energia naturale hanno il diritto di fiorire e prevalere sulle maniere o idee comuni: sono traccia sperimentale del Divino.
In esse sussiste un legame Personale.
La rivendicazione del Signore è immediatamente contrastata dall’ostilità dei paludati, interessati al dare-avere di quel teatrino manierista.
Lo fanno passare per squilibrato, da eliminare subito: sognatore pericolosissimo, perché attiva e valorizza le anime, invece della struttura di mediazione.
Ecco la condanna impartita dai “grandi” in società: esito d’ogni operazione di verità.
Così si cerca di appannare qualsiasi tentativo d’emancipazione dei vessati nello spirito, nel nucleo di sé - sia per paura di Dio che per ossessione d’indegnità.
Ma nella realtà attuale, che ci tallona, il Risorto continua a demitizzare l’eccessiva preoccupazione per i luoghi identificati, le “alture” di carattere stanziale e materiale.
Coi loro risvolti che non nutrono in modo pieno e stabile - viceversa diventano un tarlo.
Insomma, bisogna cambiare approccio.
È Lui stesso il punto essenziale del culto all’Eterno.
In tale luce di Persona nella sua Persona, ciascuno può abbracciare proposte che non sono altrui e intruse; che non risulteranno zavorra.
E prestigio autentico della Chiesa sarà far echeggiare l’Annuncio che libera e piace davvero.
Provocando ovviamente le medesime tensioni mercantili; cartina al tornasole della nostra azione divina.
Per opera di apostoli impauriti dalle maniere spicce delle autorità, e forse essi stessi proni al compromesso - il magnifico santuario che Gesù aveva esplicitamente definito come una tana di marpioni ridiventerà il centro dell’assemblea ecclesiale [Lc 24,53; At 5,12].
Provvederà in modo più efficace… non la coscienza che brucia, bensì la tragica storia della città santa, a farne tramontare l’eccesso d’importanza.
Anche oggi: il fantasmagorico culmine antico sta diventando periferia, decade. E a ritrovarsi, facciamo difficoltà.
Occasione da non perdere per procedere in modo vivo e singolare, in sintonia con un sempre nuovo insegnamento sull’Amore inedito, che prende il nostro passo.
È l’Appello bruciante de «il Monte», che centra sulla passione: proprio sul Desiderio.
Non più un severo richiamo ai “no” delle grandi apparenze - ma finalmente Ascolto della Voce nell’anima, che stupisce (v.48).
Autentico sacro del tempio.
L’insegnamento di Gesù nel luogo venerando viene presentato da Lc 19,47 come duraturo: «stava insegnando ogni giorno» [testo greco].
Attraverso la Parola che non resta in alto ma partecipa della nostra umanità (finalmente spalancata) Egli ritrova anche oggi il suo Tempio.
Dimora sgombrata da vetusti e nuovi cacciatori.
Egli brama solo il suo Popolo - donne e uomini liberati dalla spelonca di briganti [Ger 7,11; Lc 19,46] che ancora tenta di penetrare la nostra qualità di relazione.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.226) volentieri ribadiamo con Papa Francesco: «non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà» (irritante) dei soci in affari con Dio.
La spazzatura va eliminata. La posta in palio è troppo alta e personale.
Con ciò che non corrisponde, anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, non si mercanteggia più.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai ancora bisogno di tempi stabiliti, luoghi ritagliati, gesti di espiazione e propiziazione, o con Dio senti una relazione vivente?
Qual è la tua Casa di Preghiera?
Chiese di servizio, non supermercato.
Il più importante tempio di Dio è il nostro cuore
«Chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”»: non ha usato giri di parole Papa Francesco nel riproporre l’attualità del gesto di Gesù di scacciare i mercanti dal tempio. E «vigilanza, servizio e gratuità» sono le tre parole chiave che ha rilanciato nella messa celebrata venerdì 24 novembre a Santa Marta.
«Ambedue le letture della liturgia di oggi — ha spiegato il Pontefice — ci parlano del tempio, anzi della purificazione del tempio». Prendendo spunto dal passo del primo libro dei Maccabei (4, 36-37.52-59), il Papa ha fatto notare come «dopo la sconfitta della gente che Antioco Epìfane aveva inviato per paganizzare il popolo, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli vogliono purificare il tempio, quel tempio dove ci sono stati sacrifici pagani e ripristinare la bellezza spirituale del tempio, il sacro del tempio». Per questo «il popolo era gioioso». Si legge infatti nel testo biblico che «grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani». Dunque, ha aggiunto il Papa, «il popolo ritrova la propria legge, si ritrova con il proprio essere; il tempio diventa, un’altra volta, il posto dell’incontro con Dio».
«Lo stesso fa Gesù quando scaccia quelli che vendevano nel tempio: purifica il tempio» ha affermato Francesco, richiamandosi al passo evangelico di Luca (19, 45-48). Così facendo il Signore rende il tempio «come deve essere: puro, solo per Dio e per il popolo che va a pregare». Ma, da parte nostra, «come purificare il tempio di Dio?». La risposta, ha detto il Papa, sta in «tre parole che possono aiutarci a capire. Prima: vigilanza; seconda: servizio; terza: gratuità».
«Vigilanza», dunque, è la prima parola suggerita dal Pontefice: «Non solo il tempio fisico, i palazzi, i templi sono i templi di Dio: il più importante tempio di Dio è il nostro cuore, la nostra anima». Tanto che, ha fatto presente il Papa, san Paolo ci dice: «Voi siete tempio dello Spirito Santo». Dunque, ha rilanciato Francesco, «dentro di noi abita lo Spirito Santo».
E proprio «per questo la prima parola» proposta da Francesco è, appunto, «vigilanza». Da qui alcune domande per un esame di coscienza: «Cosa succede nel mio cuore? Cosa succede dentro di me? Come mi comporto con lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è uno in più dei tanti idoli che io ho dentro di me o ho cura dello Spirito Santo? Ho imparato a vigilare dentro di me, perché il tempio nel mio cuore sia solo per lo Spirito Santo?».
Ecco, allora, l'importanza di «purificare il tempio, il tempio interiore, e vigilare» ha affermato il Papa. Con un invito esplicito: «Stai attento, stai attenta: cosa succede nel tuo cuore? Chi viene, chi va... Quali sono i tuoi sentimenti, le tue idee? Tu parli con lo Spirito Santo? Ascolti lo Spirito Santo?». Si tratta, perciò, di «vigilare: stare attenti a cosa succede nel tempio nostro, dentro di noi».
La «seconda parola è servizio» ha proseguito il Pontefice. «Gesù — ha ricordato — ci fa capire che lui è presente in un modo speciale nel tempio di quelli che hanno bisogno». E «lo dice chiaramente: è presente negli ammalati, quelli che soffrono, negli affamati, nei carcerati, è presente lì». Anche per la parola «servizio» Francesco ha suggerito alcune domande da porre a se stessi: «So custodire quel tempio? Mi prendo cura del tempio con il mio servizio? Mi avvicino per aiutare, per vestire, per consolare quelli che hanno bisogno?».
«San Giovanni Crisostomo — ha fatto notare Francesco — rimproverava quelli che facevano tante offerte per ornare, per abbellire il tempio fisico e non prendevano cura dei bisognosi: rimproverava e diceva: “No, questo non va bene, prima il servizio poi le ornamentazioni”». Insomma, siamo chiamati a «purificare il tempio che sono gli altri». E per farlo bene, occorre domandarci: «Come io aiuto a purificare quel tempio?». La risposta è semplice: «Con il servizio, con il servizio ai bisognosi. Gesù stesso dice che lui è presente lì». E «lui è presente lì — ha spiegato il Papa — e quando noi ci avviciniamo a prestare un servizio, ad aiutare, assomigliamo a Gesù che è lì dentro».
Francesco, a questo proposito, ha confidato di aver «visto un’icona tanto bella del Cireneo che aiutava Gesù a portare la croce: guardando bene quell’icona, il Cireneo aveva la stessa faccia di Gesù». Dunque, «se tu custodisci quel tempio che è l’ammalato, il carcerato, il bisognoso e l’affamato, anche il tuo cuore sarà più simile a quello di Gesù». Proprio «per questo custodire il tempio significa servizio».
«La prima parola, vigilanza» ha riepilogato il Pontefice, esprime qualcosa che «succede dentro di noi». Mentre «la seconda parola» ci porta verso il «servizio ai bisognosi: quello è purificare il tempio». E «la terza parola che mi viene in mente — ha proseguito — leggendo il Vangelo è gratuità». Nel brano del Vangelo, Gesù dice: «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Proprio tenendo in mente queste parole del Signore, ha affermato il Papa, «quante volte con tristezza entriamo in un tempio — pensiamo a una parrocchia, un vescovado — e non sappiamo se siamo nella casa di Dio o in un supermercato: ci sono lì i commerci, anche c’è la lista dei prezzi per i sacramenti» e «manca la gratuità».
Ma «Dio ci ha salvato gratuitamente, non ci ha fatto pagare nulla» ha insistito il Pontefice, invitando a essere di aiuto «affinché le nostre chiese, le nostre parrocchie non siano un supermercato: che siano casa di preghiera, che non siano un covo di ladri, ma che siano servizio gratuito». Certo, ha aggiunto il Papa, qualcuno potrebbe obiettare che «dobbiamo avere dei soldi per mantenere la struttura e anche dobbiamo avere dei soldi per dare da mangiare ai preti, ai catechisti». La risposta del Pontefice è chiara: «Tu da’ con gratuità e Dio farà il resto, Dio farà quello che manca».
«Custodire il tempio — ha affermato, dunque, Francesco — significa questo: vigilanza, servizio e gratuità». Anzitutto «vigilanza nel tempio del nostro cuore: cosa succede lì, stare attenti perché è il tempio dello Spirito Santo». Poi «servizio ai bisognosi» ha ripetuto, suggerendo anche di leggere il capitolo 25 del vangelo di Matteo. Servizio anche «agli affamati, agli ammalati, ai carcerati, a quelli che hanno bisogno perché lì è Cristo», sempre con la certezza che «il bisognoso è il tempio di Cristo».
Infine, ha concluso il Papa, il «terzo» punto è la «gratuità nel servizio che si dà nelle nostre chiese: chiese di servizio, chiese gratuite, come è stata gratuita la salvezza, e non “chiese supermercato”».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 25/11/2017]
La liturgia ci fa celebrare oggi la Dedicazione della Basilica Lateranense, chiamata "madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe". In effetti, questa Basilica fu la prima ad essere costruita dopo l’editto dell’imperatore Costantino che, nel 313, concesse ai cristiani la libertà di praticare la loro religione. Lo stesso imperatore donò al Papa Melchiade l’antico possedimento della famiglia dei Laterani e vi fece edificare la Basilica, il Battistero e il Patriarchio, cioè la residenza del Vescovo di Roma, dove i Papi abitarono fino al periodo avignonese. La dedicazione della Basilica fu celebrata dal Papa Silvestro verso il 324 e il tempio fu intitolato al Santissimo Salvatore; solo dopo il VI secolo vennero aggiunti i titoli dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, da cui la comune denominazione. Questa ricorrenza interessò dapprima la sola città di Roma; poi, a partire dal 1565, si estese a tutte le Chiese di rito romano. In tal modo, onorando l’edificio sacro, si intende esprimere amore e venerazione per la Chiesa romana che, come afferma sant’Ignazio di Antiochia, "presiede alla carità" dell’intera comunione cattolica (Ai Romani, 1, 1).
La Parola di Dio in questa solennità richiama una verità essenziale: il tempio di mattoni è simbolo della Chiesa viva, la comunità cristiana, che già gli Apostoli Pietro e Paolo, nelle loro lettere, intendevano come "edificio spirituale", costruito da Dio con le "pietre vive" che sono i cristiani, sopra l’unico fondamento che è Gesù Cristo, paragonato a sua volta alla "pietra angolare" (cfr 1 Cor 3,9-11.16-17; 1 Pt 2,4-8; Ef 2,20-22). "Fratelli, voi siete edificio di Dio", scrive san Paolo e aggiunge: "santo è il tempio di Dio, che siete voi" (1 Cor 3,9c.17). La bellezza e l’armonia delle chiese, destinate a rendere lode a Dio, invita anche noi esseri umani, limitati e peccatori, a convertirci per formare un "cosmo", una costruzione bene ordinata, in stretta comunione con Gesù, che è il vero Santo dei Santi. Ciò avviene in modo culminante nella liturgia eucaristica, in cui l’"ecclesìa", cioè la comunità dei battezzati, si ritrova unita per ascoltare la Parola di Dio e per nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo. Intorno a questa duplice mensa la Chiesa di pietre vive si edifica nella verità e nella carità e viene interiormente plasmata dallo Spirito Santo trasformandosi in ciò che riceve, conformandosi sempre più al suo Signore Gesù Cristo. Essa stessa, se vive nell’unità sincera e fraterna, diventa così sacrificio spirituale gradito a Dio.
Cari amici, la festa odierna celebra un mistero sempre attuale: che cioè Dio vuole edificarsi nel mondo un tempio spirituale, una comunità che lo adori in spirito e verità (cfr Gv 4,23-24). Ma questa ricorrenza ci ricorda anche l’importanza degli edifici materiali, in cui le comunità si raccolgono per celebrare le lodi di Dio. Ogni comunità ha pertanto il dovere di custodire con cura i propri edifici sacri, che costituiscono un prezioso patrimonio religioso e storico. Invochiamo perciò l’intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a diventare, come Lei, "casa di Dio", tempio vivo del suo amore.
[Papa Benedetto, Angelus 9 novembre 2008]
It has made us come here the veneration of martyrdom, on which, from the beginning, the kingdom of God is built, proclaimed and begun in human history by Jesus Christ (Pope John Paul II)
Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio, sul quale, sin dall’inizio, si costruisce il regno di Dio, proclamato ed iniziato nella storia umana da Gesù Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
The evangelization of the world involves the profound transformation of the human person (Pope John Paul II)
L'opera evangelizzatrice del mondo comporta la profonda trasformazione delle persone (Papa Giovanni Paolo II)
The Church, which is ceaselessly born from the Eucharist, from Jesus' gift of self, is the continuation of this gift, this superabundance which is expressed in poverty, in the all that is offered in the fragment (Pope Benedict)
La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, dall’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento (Papa Benedetto)
He is alive and wants us to be alive; he is our hope (Pope Francis)
È vivo e ci vuole vivi. Cristo è la nostra speranza (Papa Francesco
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Ecclesial life is made up of exclusive inclinations, and of tasks that may seem exceptional - or less relevant. What matters is not to be embittered by the titles of others, therefore not to play to the downside, nor to fear the more of the Love that risks (for afraid of making mistakes)
La vita ecclesiale è fatta di inclinazioni esclusive, e di incarichi che possono sembrare eccezionali - o meno rilevanti. Ciò che conta è non amareggiarsi dei titoli altrui, quindi non giocare al ribasso, né temere il di più dell’Amore che rischia (per paura di sbagliare).
Zacchaeus wishes to see Jesus, that is, understand if God is sensitive to his anxieties - but because of shame he hides (in the dense foliage). He wants to see, without being seen by those who judge him. Instead the Lord looks at him from below upwards; Not vice versa
Zaccheo desidera vedere Gesù, ossia capire se Dio è sensibile alle sue ansie - ma per vergogna si nasconde nel fitto fogliame. Vuole vedere, senza essere visto da chi lo giudica. Invece il Signore lo guarda dal basso in alto; non viceversa
don Giuseppe Nespeca
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