Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Da un po’ di tempo sento parlare dai media di intelligenza artificiale. Apprendo che è una branca dell’informatica che ha come scopo la costruzione di macchine capaci di lavorare, di avere delle prestazioni simili a quelle dell’uomo. Qualche giorno fa ho sentito che è stato tradotto un antico manoscritto grazie all’intelligenza artificiale.
So che l’idea di realizzare macchinari in grado di riprodurre l’intelligenza umana ci ha sempre attratti fin dall’antichità.
Kerenyi nei miti della Grecia ci parla della figura di Talo (o Talos) di Creta. Era una statua vivente, un gigantesco automa invulnerabile, incaricato da Minosse di sorvegliare l’isola. Il gigante era invincibile tranne in un punto della caviglia dove era visibile una vena. La leggenda narra che fu ucciso con una freccia che lo colpì nel punto debole. Altra versione narra che morì per la perdita del sangue, però non per una freccia, ma perché aveva urtato la caviglia contro una roccia, dopo che Medea lo aveva stregato con le sue arti magiche.
L’intelligenza artificiale: non so se siano più i vantaggi o i pericoli. Forse in campo scientifico o medico essa può risultare preziosa, ma nella vita pratica, quotidiana, temo una disumanizzazione.
Oltretutto: e i posti di lavoro?
Per fare un banale esempio, immaginate quando domani in un ristorante vi servirà un robot? Credo che tutti preferiamo un essere umano, con i suoi pregi, difetti, con il suo ingegno.
O ancora, ho sentito da un telegiornale che l’intelligenza artificiale sarà impiegata nel campo della psicologia e della psicoterapia.
Qui tutto il mio essere si ribella!
La psicologia si occupa dell’anima e la psicoterapia è una forma di aiuto attraverso il rapporto interpersonale. Come può un automa aiutare un essere umano nella sofferenza interiore? Quale vissuto può trasmettere e comunicare all’altro?
Non basta dare linee guida; lo psicoterapeuta studia per anni e nel caso dell’analisi si sottopone egli stesso ad analisi per poter conoscere il proprio inconscio e cercare di aiutare l’altro. Ma anche nell’applicare un test, il professionista si serve di solito di un computer al fine di valutare i dati statistici, ma è sempre lo stesso professionista a valutare il test in base alle sue conoscenze e alla storia del soggetto. Può un automa fare questo?
Penso che l’intelletto sia una prerogativa umana. Esistono comportamenti animali che fanno supporre l’attività conseguente a un fine, anche se basate sull’istinto.
La definizione di intelligenza si è evoluta negli anni, passando da un’abilità generale ad una competenza cognitiva congiunta con componenti ambientali, emozionali, esperienziali.
La prima definizione di essa fu data da Spermann che la considerava come “fattore g“ - cioè una capacità generale astratta, al di sopra di altre abilità. Poteva essere misurata attraverso dei test e questo la rendeva scientifica.
Poi sono state elaborate altre teorie sull’intelligenza: Thurstone ipotizzò sette abilità primarie, Guilford ci ha parlato di 120 abilità primarie e autonome fra di loro, Cattell distinse tra intelligenza fluida e cristallizzata. La fluida è la parte strutturale funzionale, innata - cioè la capacità di cogliere relazioni tra elementi, indipendentemente da apprendimenti; quella cristallizzata scaturisce dall’esperienza.
Un tipo di intelligenza oggi molto studiata è l’intelligenza emotiva. Consiste nel riconoscere e regolamentare le propria vita emozionale.
Questo elenco non è esaustivo. Ho solo citato qualche teoria.
Quella che personalmente mi piace di più è la teoria di Jean Piaget: l’autore parla di ‘assimilazione e accomodamento’. Essi accompagnano la vita di un individuo; più flessibile in giovinezza, più rigido nella senescenza.
L’assimilazione: abbiamo esperienza dl mondo esterno per mezzo di schemi già in nostro possesso. Ne è un esempio il neonato con il riflesso di suzione, che gli permette di esplorare la realtà circostante. L’accomodamento è il cambiamento di questi schemi in base a nuove esperienze, che forniscono ulteriori informazioni. Questi due momenti si alternano in cerca di un equilibrio.
Questo equilibrio fa sì che l’individuo organizzi una forma di adattamento all’ambiente.
I due momenti sono quasi sempre presenti in ogni attività umana; a volte prevale l’assimilazione, a volte l’accomodamento. Ad esempio, quando un bimbo stringe il pugno senza tenere nulla in mano o fa i movimenti della suzione senza avere niente in bocca, è l’ assimilazione a dominare; mentre l’accomodamento primeggia quando ad esempio un bimbo imita un gesto che ha visto o tenta di portare la mano alla bocca. O ancora se un bambino prende una penna deve eseguire dei movimenti con le dita diversi da quando prende un pallone. Accomoda i suoi gesti.
Per Piaget lo sviluppo mentale comincia con il periodo sensomotorio. Sinteticamente è una fase che va dalla nascita ai due anni circa. Dai soli riflessi, passa a dei comportamenti, per vedere le conseguenze sul proprio corpo e poi su oggetti del mondo esterno, scoprendo nuove azioni efficaci per raggiungere uno scopo. Verso i diciotto mesi compare l’attività rappresentativa: il bambino è in grado di immaginarsi delle azioni.
Nella fase preconcettuale [2- 4 anni] prevale l’egocentrismo e aumenta il linguaggio, ma il bimbo non sa passare dal modo di pensare generale a quello particolare, e contrariamente.
Dai quattro ai sette anni circa abbiamo la fase del pensiero intuitivo. Con la scuola materna il bambino acquisisce nuove informazioni, ma ancora non c’è reversibilità. Quest’ultima consiste nel mettere in relazione col pensiero più azioni, e saperle ricostruire al contrario.
Nella fase delle operazioni concrete, cresce l’accordo fra le azioni. Il pensiero passa dal particolare al generale, e viceversa; ma si è ancora legati alle azioni.
Nella fase delle operazioni formali [dagli undici ai quattordici anni circa] il ragionamento ipotetico deduttivo permette di fare delle ipotesi. Il preadolescente comincia a pensare al proprio futuro, e riflette sui valori del proprio ambiente culturale.
Questo piccolo schema riassuntivo non è completo né esaustivo. La teoria “piagetiana“ è molto più articolata. Oltre alla teoria di Piaget ci sono stati Wygotskij e Bruner, che hanno avuto i loro punti di vista.
Tenendo conto di questi piccoli dati sullo sviluppo umano, reminiscenze degli studi universitari, mi sono chiesto: l’intelligenza artificiale sarà in grado di trovare un accomodamento per adattarsi al meglio? Saprà trovare nuove soluzioni? O si avvarrà solo del momento di assimilazione? E soprattutto: sarà un aiuto, o si metterà in concorrenza con l’essere umano?
Francesco Giovannozzi, psicologo-psicoterapeuta.
Si avvicina il Natale, per eccellenza la festa transculturale della Nascita.
Lo scorso Natale ho già fatto un piccola riflessione sul significato psicologico dl Natale. In questo articoletto vorrei affrontare l’argomento in modo diverso.
Gravidanza, nascita e infanzia sono un continuum.
Alcuni psicologi dell’inconscio sostengono che la vita psichica ha inizio addirittura durante la gravidanza.
Riporto alcune esperienze di analisti tratte dal libro «L’origine della paura - i miti della Mesopotamia e il trauma della nascita» di Franz Renggli [Ed. Magi. (gen. 2004)].
Queste esperienze riportate nel libro aiutano a comprendere la vita psichica di colui che sta per nascere.
L’autore cita a pag. 29 una storia di animali di William Emerson.
“Una motrice da rimorchio aveva investito una cagna gravida. Sopravvissero sia la madre che il cucciolo. Dopo la nascita ,esso fu portato in una fattoria dove si distinse per il suo atteggiamento pauroso.
In particolare reagiva nervosamente al gracidio delle oche nel periodo primaverile quando queste migravano verso nord - e in autunno, quando facevano ritorno. In queste occasioni sussultava e si nascondeva in un granaio.
Occorre aggiungere che il conducente dell’autocarro aveva cercato di evitare l’incidente suonando il clacson, il cui effetto acustico era simile al grido delle oche.
E’ evidente che il vecchio trauma prenatale, legato ad un grande dolore e alla paura della morte, veniva risvegliato in questo cucciolo dal passaggio delle oche.”
In questo capitolo del libro l’autore riporta un’altra storia di Thomas Verny tratta dal suo libro «Vita segreta prima della nascita» (1981):
“Un direttore d’orchestra durante la prima esecuzione di una composizione, conosceva in anticipo, prima di voltar le pagine della partitura, le parti affidate al violoncello. Quando lo raccontò alla madre violoncellista di professione, il segreto fu presto svelato: durante la gravidanza, lei aveva provato al violoncello proprio quei passaggi”.
L’autore riporta anche delle ricerche condotte da David Chamberlain. Egli ha sottoposto ad ipnosi alcuni bimbi con linguaggio, chiedendo loro l’esperienza della nascita. Ha fatto lo stesso con madri - e confrontando,i loro racconti coincidevano.
“Questi bambini descrivono la loro nascita dall’interno, l’ansia che li ha colti durante le doglie, ma anche le loro preoccupazioni e l'empatia che li univa alla madre durante il parto”.
Interessanti sono anche le osservazioni di Alessandra Piontelli (p.31)
Questa psicoanalista ha effettuato delle osservazioni durante il periodo della gravidanza e le conoscenze sul periodo prenatale si sono arricchite.
Nel libro sopra citato (p.32) viene riportato il caso di una madre che in gravidanza mangiava in continuazione nonostante il parere contrario dei medici.
Il nascituro era altrettanto insaziabile, si succhiava continuamente il pollice e la placenta; la sua lingua era sempre in movimento, e ingeriva grandi quantità di liquido amniotico.
Un altro esempio descritto è quello di una madre con un elevato livello di ansia, perché aveva già perso un bambino,
Ogni volta che i medici le comunicavano qualcosa, andava in ansia e subito pensava a quale danno poteva andar incontro il nascituro.
Il feto di conseguenza si nascondeva dietro le braccia e dietro le gambe,in modo tale che durante gli esami medici con ultrasuoni non si distingueva chiaramente la testa. Ansioso come la madre.
A p.33 del libro viene citato uno studio effettuato da David Chamberlain.
Ogni volta che le madri vogliono sapere se il bambino che sta per nascere è nomale si sottopongono ad amniocentesi: Chamberlain riferisce che un feto si è ritratto per poi colpire con un pugno l’ago; altri si irrigidiscono, e il loro cuore batte più forte. Nonché la respirazione può rallentare per alcuni giorni.
Generalmente i nascituri non si spaventano tanto dell’ago, a meno che non sia una questione vitale e percepiscano un pericolo.
Anche nella mia esperienza professionale mi sono imbattuto in vissuti dolorosi che erano riconducibili al periodo gestazionale.
La raccolta dall’anamnesi era centrata ampiamente sul periodo del concepimento e di come era stata la vita dei genitori durante l’attesa,oltre che sulla storia personale del bimbo.
Il vissuto di genitori metteva in luce l’accettazione o meno del bimbo, talora eventuali matrimoni non voluti, ovvero vicende di madri e padri ancora loro stessi “bimbi”: incapaci di ‘prendersi cura’, aspetto tipico della funzione genitoriale.
Certo che poi il piccolo nasce, ma vivrà meglio se supportato da sentimenti positivi e amorevoli. Avrà più forza per affrontare le difficoltà della vita.
E allora viviamo con gioia il Natale, anche se ci sono persone che lo vivono male.
Natale rappresenta e tramanda il tema della nascita.
E vero che il Natale è la nascita del Bambino Gesù, ma è anche la festa di qualsiasi nascita. Mi chiedo quale persona non senta dentro di sé una particolare gioia, quando un bimbo viene al mondo (cristiani e non).
Personalmente penso che la festività del Natale non escluda nessuno,
E mi piacerebbe che si continuasse a chiamarlo così, non festa d’inverno come suggerito da voci autorevoli.
Francesco Giovannozzi psicologo - psicoterapeuta.
Una signora mi dà l’occasione per riflettere su questo argomento. Mi racconta un sogno di circa una settimana fa. Vuole comprenderne il senso. Avverte un po’ di ansia perché nel sogno lei aveva paura di qualcosa di non specifico.
Nel vocabolario Treccani alla voce Paura si legge: “Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento di fronte ad un pericolo reale o immaginario, o dinanzi a cosa o fatto che sia o si creda dannoso; più o meno intenso secondo le persone o le circostanze. Esso assume il carattere di un turbamento forte e improvviso che si manifesta anche con reazioni fisiche quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa, o comunque appaia imminente”.
La paura insieme ad altre è una delle emozioni più importanti. In tal guisa, non dobbiamo credere che avere paura sia sempre negativo, anzi dobbiamo capire che alcune di tali emozioni critiche ci fanno sopravvivere.
La paura fa riconoscere le situazioni che potrebbero farci del male, o addirittura farci soccombere.
Nel nostro territorio e nei nostri ricordi che cosa succederebbe se non avessimo avuto paura del terremoto?
La paura ci fa battere il cuore più velocemente, aumenta la sudorazione; forse anche una certa motilità intestinale - e altre reazioni.
A livello della psiche, una risposta è costituita dalla fuga. Essa ci fa scappare dando una sensazione di sollievo momentaneo, ma poi dobbiamo affrontare il problema perché potrebbe sorgere della sfiducia in se stessi.
Un’altra risposta è l’attacco, per cercare di far fronte e risolvere il motivo che ci fa paura.
Vi sono poi delle situazioni un po’ più eccessive come ad esempio immobilizzarsi: qui l’individuo riesce solo a bloccarsi, visto che non riesce ad avere nessun’altra reazione.
In situazioni estreme e anche pericolose, c’e chi si finge morto per evitare la situazione dove c’è un’alta percentuale di rischio, e dove spesso è in pericolo la vita stessa.
C ‘è poi anche un tipo di paura che riguarda le relazioni umane, ed è spesso la paura di legarsi, di stabilire una relazione duratura con l’altro perché magari l’essere “legato” ci può far sentire indifesi.
In tal senso, l’amore potrebbe portare la persona a perdere il controllo sulle proprie emozioni; appunto, facendolo comportare in maniera istintiva.
Oppure potrebbe esserci la paura di aprirsi all’altro - che potrebbe voler supporre una perdita di una parte di sé.
Quando le paure vengono vissute in modo esagerato diventano fobie, o possono manifestarsi attacchi di panico.
Quando una paura viene associata a oggetti o situazioni che obiettivamente non presentano un pericolo o non sentite come rischiose, possiamo definire tale fattispecie come fobia. La persona comprende che il suo comportamento è illogico, eppure si sente spinto ad evitare quelle situazioni che lo espongono a qualcosa di intollerabile.
Storicamente il caso più antico di una persona fobica è riportato in uno dei libri di Ippocrate.
Uno dei primi tentativi di trattare sistematicamente le reazioni fobiche venne compiuto da John Locke.
Esse - dice Locke - hanno origine da un’associazione di idee, e se sono sorte nell’infanzia spesso ne dimentichiamo le cause:
“le idee sugli spiriti maligni e sui fantasmi non hanno più rapporto con le tenebre che con la luce; basta che qualcuno inculchi queste idee nella mente di un bambino che probabilmente non sarà in grado di separarsene finché vivrà […] il buio porterà con sé quelle idee spaventose, e cosi non tollererà né il buio né quelle idee “.
Freud raggruppò le fobie in: ‘comuni’, cioè una paura esagerata di tutte quelle cose che ognuno detesta o teme come la morte, la solitudine, la malattia ecc. e ‘fobie specifiche’ cioè la paura di speciali circostanze che di solito non provocano timore alla maggioranza delle persone [es. la paura degli spazi aperti, della folla, ecc.].
Ogni cosa può diventar oggetto di una fobia, perciò l’idea di classificarle dando loro un nome greco non è più considerata utile, perché bisognerebbe aggiungere all’elenco infinite altre voci.
I processi impegnati nella formazione dei sintomi fobici sono ben illustrati nell’analisi della fobia di un bambino di cinque anni descritto da Freud, noto come il caso del piccolo Hans.
Abbiamo poi l’attacco di panico caratterizzato da una fortissima ansia e terrore. Spesso ai bambini piccoli dicevo che esso è come una grande onda del mare che ti sommerge…
Il termine panico deriva dal dio Pan, una divinità della mitologia greca. Si narra infatti che egli spaventasse chiunque lo disturbava durante il riposo, emettendo delle urla terrificanti. Da qui il termine “andare in panico”.
Francesco Giovannozzi psicologo e psicoterapeuta.
Una persona di una certa età mi racconta le sue esperienze, soprattutto quelle lavorative.
Dice di aver sempre lavorato intensamente e di aver cercato di dare il meglio di sé anche perché ha sempre creduto nella dignità del lavoro e di come esso dia un valore profondo all’esistenza umana. Racconta che a volte il lavoro da lui svolto con passione e senza platealità fosse stato rivendicato come proprio da altri, spesso nullafacenti, poco capaci o peggio profittatori.
Ma il gioco non sempre riusciva a questi furbacchioni o aveva breve durata per via della poco o nulla credibilità degli stessi.
Alla fine del discorso il signore mi dice che sapeva che mi interesso a storie, miti, fiabe tramandate dalla saggezza popolare. Come ho sostenuto nei precedenti articoletti, esse sono espressione dell’inconscio collettivo. E su alcuni temi specifici sono più efficaci di una spiegazione scientifica; non devono essere spiegate perché il messaggio che veicolano arriva direttamente al “cuore” di tutti.
Mi racconta la storiella del bue e la mosca. “Una mosca si posa sul corno di un bue che sta arando un campo. Una rana dalla riva del fosso chiede : che fai lassù ? E quella con aria da presuntuosa risponde: “Ariamo”
Al di la dei significati sociologici e politici attribuiti nel tempo a questo aneddoto, la mia vuole essere solo una riflessione sul comportamento umano.
Questa della “storiella” è una situazione che è avvenuta, che avviene, che avverrà; una situazione che non varia nonostante lo scorrere del tempo.
Tutti ci siamo incontrati almeno una volta nel significato delle favole.
Nel dizionario dei simboli si legge che “il bue è simbolo di bontà, di calma, di forza tranquilla”
Generalmente essendo un animale dalla grande forza fisica sta a rappresentare il lavoro quotidiano realizzato con responsabilità, senso del dovere e continuità.
Inoltre il bue è presente nella Bibbia insieme all’asinello al momento della nascita del Bambino Gesù: con il loro calore Lo hanno riscaldato dal freddo della notte.
Nella vita reale molte imprese o attività hanno dovuto chiudere i battenti perché sono venute meno la caratteristiche della persona che agisce da “bue”… così la mosca ha creduto di poter mandare avanti l’attività. Quanta illusione senza alcun fondamento!
Sempre nello stesso dizionario alla voce Mosca: “Incessantemente ronzanti sempre in moto e pungenti, le mosche sono esseri insopportabili che si moltiplicano nella putredine e nella decomposizione; portano i germi delle peggiori malattie e sfidano ogni protezione. Sono il simbolo dell’inseguimento incessante...
D‘altra parte la mosca rappresenta lo pseudo uomo d’azione: frenetico… inutile, che pretende il suo compenso dopo aver soltanto copiato i lavoratori o essere stato solamente lì senza fare alcunché.
Alcune persone che nella loro vita hanno realizzato tra il poco o il niente, forse per darsi un significato credono di essere al centro dell’universo, si aggrappano a tutte le situazioni che possano mettere in prima fila. Pensano di saper dirigere, di essere dei manager - e che qualsiasi cosa senza di loro non potrebbe avvenire. Sono indispensabili! Vanità delle vanità - si legge nella Sacra Scrittura.
E spesso cadono anche loro nella tela che si sono costruiti. In tal guisa, finiscono per credere che la loro realtà sia vera e non fittizia. Essi vanno alla continua ricerca di un’altra situazione o pseudo attività che li ponga al centro dell’attenzione, forse senza mai riuscirci.
Probabilmente perché l’onda della disperazione li sommergerebbe.
In un’altra favola e precisamente in quella della cicala e della formica, la cicala recita la parte della persona oziosa che pensa solo il proprio divertimento per poi sperare nell’aiuto degli altri… al contrario della formica, simbolo dell’operosità continua e incessante. Ma forse l’equilibrio sta nel saper conciliare gli opposti. La formica potrebbe concedersi momenti in cui canta; la cicala momenti in cui lavora, almeno per il suo sostentamento.
Ma a differenza della mosca, la cicala non si è appropriata del lavoro degli altri .
Ha fatto del male solo a se stessa senza nuocere a nessuno o derubare le fatiche gloriandosi del lavoro degli altri!
Francesco Giovannozzi psicologo - psicoterapeuta
Jesus shows us how to face moments of difficulty and the most insidious of temptations by preserving in our hearts a peace that is neither detachment nor superhuman impassivity (Pope Francis)
Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo (Papa Francesco)
If, in his prophecy about the shepherd, Ezekiel was aiming to restore unity among the dispersed tribes of Israel (cf. Ez 34: 22-24), here it is a question not only of the unification of a dispersed Israel but of the unification of all the children of God, of humanity - of the Church of Jews and of pagans [Pope Benedict]
Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora non solo più dell'unificazione dell'Israele disperso, ma dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità - della Chiesa di giudei e di pagani [Papa Benedetto]
St Teresa of Avila wrote: «the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ» (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7). Therefore, only by believing in Christ, by remaining united to him, may the disciples, among whom we too are, continue their permanent action in history [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia [Papa Benedetto]
Just as he did during his earthly existence, so today the risen Jesus walks along the streets of our life and sees us immersed in our activities, with all our desires and our needs. In the midst of our everyday circumstances he continues to speak to us; he calls us to live our life with him, for only he is capable of satisfying our thirst for hope (Pope Benedict)
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza (Papa Benedetto)
Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32) [Pope Francis]
La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé [Papa Francesco]
don Giuseppe Nespeca
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