Mar 12, 2025 Scritto da 

Povertà accanto a ricchezza sfrenata

Soluzione esterna?

(Lc 16,19-31)

 

Il rovesciamento delle situazioni nell’aldilà è un tema appartenente a tutta la cultura del medio Oriente antico - area fortemente segnata dalle discriminazioni sociali. Ma il senso del Vangelo è profondo.

La nuova traduzione Cei ha reso correttamente il termine Ade (v.23) con «inferi», non più «inferno» [Cei ‘74] perché il senso della parabola di Gesù è tutto proteso sull’aldiquà!

Il “dietro le nuvole” non c’entra. Quel che interessa il Signore non è tanto la sorte finale, quanto la situazione attuale di coloro che lo ascoltano - a partire dai suoi stessi seguaci: dove stanno andando?

Nelle parabole della Misericordia e del Padre cedevole Lc (15,1-32) annunciava che un uomo perduto sarebbe una sconfitta di Dio stesso.

Il suo Volto rivelatosi inconsueto induce i primi della classe invidiosi a spiare la libertà che i nuovi di Chiesa si permettono.

“Chi vi ha autorizzato a considerarvi pari agli altri e insidiare le nostre precedenze, senza esservi sobbarcati l’intera trafila, l’impegno cocciuto e le fatiche di noi veterani?”.

I pagani hanno gioco facile (Lc 16,1-15): accusano i vecchi di nascondere il loro spirito d’inamovibile avidità sotto i malcelati panni degli “omaggi”, delle opere benemerite, e di necessità gerarchiche.

Facilmente i “migliori” vengono colti con le mani nel sacco, abituati come sono a riverire Dio per servire insieme tutt’altro padrone - ben nascosto.

Infatti dopo aver narrato la parabola dell’amministratore disonesto, Gesù stesso sente sghignazzare alle sue spalle (Lc 16,14) non i peccatori, bensì proprio la gente devota e bigotta.

Sono i furbetti dell’élite attaccati alle cose e amanti del denaro (vv.13-15) - abituati a esercitare quell’antico mestiere [facile, valutato di diritto dei capi religiosi]. Ciò che il Signore aveva definito incompatibile («abominazione»: v.15): riverire l’Altissimo e intascare il suo malloppo.

“Povero illuso!” - direbbero del nostro Maestro i mestieranti, falsi amici di Dio: “Impossibile fare seguaci senza bottino: il Gratis dell’amore è un bel sogno, ma non alza nulla, non ammucchia proseliti e non fa scattare l’istinto predatorio dei primi della classe!”.

 

Nel brano di Vangelo di oggi, coloro che si ritengono in diritto di precedenza [nella comunità dei figli!] sollevano una questione di apparente ovvietà:

Non è forse nell’ordine naturale delle cose che nell’umana società ci siano primi e ultimi, dotti e ignoranti, sovrani e sudditi?

In fondo, il principio giuridico che regolava tutto il diritto di proprietà privata nel mondo latino è anche il motto di un noto quotidiano ufficiale: Unicuique Suum.

Anche Leone XIII, papa delle Encicliche sociali, riconosceva che «nella società umana è secondo l'ordine stabilito da Dio che vi siano prìncipi e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, nobili e plebei; obbligo di carità dei ricchi e dei possidenti è quello di sovvenire ai poveri e agli indigenti» [mentalità d'un peccato di semplice omissione: basta che poi facciano la “carità”].

La posizione del Signore è molto molto diversa. Per Lc il ricco non è il benedetto da Dio, come si supponeva fossero i possidenti - e così venivano considerati i patriarchi del Primo Testamento.

Il suo vestiario ricercato è solo metafora del vuoto interiore e dell’effimero di cui si bea - ciò che poi sarà corroso da tarme.

Il suo ingozzarsi è segno d’un abisso intimo da colmare - una sorta di fame nervosa, che percepisce vertigine.

«Eli hezer» [“Lazzaro”]: Dio aiuta, ma non l’epulone - secondo la mentalità pia, bacchettona e retriva.

Egli non dimentica; anzi, sta decisamente dalla parte del malfermo: la Fede crede il contrario delle religioni arcaiche!

Pertanto, il “godersi la vita” disattento dello straricco è rinunciare a vivere completamente: neppure ha nome - cosa terrificante per la mentalità antica.

L’evangelista non precisa che un tempo Lazzaro era forse stato una persona buona e responsabile: un povero e basta.

Neppure afferma che il gran signore fosse un delinquente totale: a parte la “cecità”... se l’indigente preferiva sostare fuori del suo uscio e non altrove, significa che qualcosina lì rimediava.

Ma a quel tempo non c’erano posate e ci si puliva le dita con la mollica del pane, poi gettata a terra; di ciò si cibavano i miserabili.

Una vita da cane, peggiore degli insulti. E ignorata.

 

Ecco il male radicale: che non era negli atti singoli, piuttosto nel fondo dell’essere, e nella conseguente sbadatezza globale.

Disattenzione che tende a scegliere il consenso e le gerarchie come sfondo ultimo dell’esistenza.

Dunque il quesito che il passo di Lc ribadisce non è banalmente moralistico: meriti o colpe, giuridiche o religiose.

La domanda si pone sull’umanità stessa: diminuita, ridotta, arida, inabile; incapace di scandire un rovesciamento deliberato.

Inestricabilmente legata agli abissi già scavati.

Il Vangelo vuole stimolarci a riflettere non sul tema dell’elemosina lecita, bensì sull’avvertenza, e Comunione delle risorse: sul senso della ricchezza sfrenata accanto alla povertà.

La miseria involontaria è spesso considerata situazione ormai d’abitudine, ma tale dramma incide sulle persone e su interi popoli - dalla nascita alla morte costretti in una realtà squilibrata, o impossibile da sostenere.

In molte aree, le disarmonie di ceto tendono persino ad aggravarsi, forse per una logica interna a un sistema economico e sociale che tende a concentrare il potere e dirigere le risorse.

 

Anticamente, il «seno di Abramo» (vv.22-23) era la condizione che riconosceva il successo del progetto di Dio, il luogo dell’adempimento delle Promesse d’Israele.

Anche oggi, chi non avverte che alcuni deperiscono in un mondo di miseria, trasforma la vita in un insuccesso; si ritrova inutile e vuoto, non giunge nella Luce della Vita.

Coloro che traccheggiano - senza l’incontro con gli altri - scelgono una forma di esistenza che nulla ha a che spartire con il Popolo di Dio; nulla a che vedere con il Mistero dell’Eterno, e le sue benedizioni.

Come dunque non sprofondare nell’abisso dell’insignificanza?

Non è una sorte dovuta all’ignoranza o a uno spirito di rivalsa, quella che urta con il disegno del Padre sui suoi figli.

Essere aperti alla sensibilità umanizzante e alla grandezza dell’opera di Dio non è una questione legata a un qualche celeste meccanismo vendicativo del “poi”.

Quindi neppure a una sorta d’avviso (pur eloquente) foraneo.

 

Allora, come distoglierci dalla seduzione dei beni?

Vincere le attrattive del denaro e la brama di accumulo che genera paralisi sociale e umiliazioni devastanti la persona, è un vero miracolo.

E un miracolo di coscienza non può farlo né un prodigio immediato, né una visione (vv.29-31).

Tantomeno una comune religione, se essa tendesse a sacralizzare e non interferire, a far permanere le posizioni; a farsi complice nel fabbricare poveri e ricchi, guadagnando su entrambi.

Ciò cui Gesù rimanda è l’Ascolto. Lo «Shemà Israel» - recitato due volte ogni giorno.

Nella povertà estrema dei mezzi, «Ascolta Israele» è il Richiamo del Padre.

Il Signore partecipa della situazione oppressa di troppi suoi figli - impossibilitati a vestirsi di abiti costosi o banchettare lautamente e frequentemente.

Insomma, per edificare il Regno e cambiare il mondo diviso, vale solo il lasciarsi educare dalla Parola di Dio.

Seme intimo e Germe, Terapia-evento, Verbo energico e Richiamo: che introduce nella consapevolezza attiva e sponsale dell’Amore.

Logos che ci colloca nella giusta posizione. Avvertimento unico; non esterno.

 

Eros fondante che già qui e ora rovescia le situazioni.

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

St Teresa of Avila wrote: “the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ” (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7) [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6) [Papa Benedetto]
Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
In this passage, the Lord tells us three things about the true shepherd:  he gives his own life for his sheep; he knows them and they know him; he is at the service of unity [Pope Benedict]
In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell'unità [Papa Benedetto]
Jesus, Good Shepherd and door of the sheep, is a leader whose authority is expressed in service, a leader who, in order to command, gives his life and does not ask others to sacrifice theirs. One can trust in a leader like this (Pope Francis)
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare (Papa Francesco)
In today’s Gospel passage (cf. Jn 10:27-30) Jesus is presented to us as the true Shepherd of the People of God. He speaks about the relationship that binds him to the sheep of the flock, namely, to his disciples, and he emphasizes the fact that it is a relationship of mutual recognition […] we see that Jesus’ work is explained in several actions: Jesus speaks; Jesus knows; Jesus gives eternal life; Jesus safeguards (Pope Francis)
Nel Vangelo di oggi (cfr Gv 10,27-30) Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca […] vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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