Gen 3, 2025 Scritto da 

Voler bene ai propri limiti: la possibilità di reinventarsi, in Acque allegre

La condizione limacciosa del Giordano e la dimensione umana di Gesù

(Mt 3,13-17; Mc 1,7-11; Lc 3,21-22; Gv 1,30-34)

 

Il fiume Giordano non è mai stato navigabile; segnava semplicemente un confine.

Nella mentalità del tempo, fra terra altrui e ambito sacro della libertà: qui un discrimine concreto dell’«Incarnazione».

Cerchiamo di approfondire la tematica.

La predicazione popolare sul tema del Battesimo del Signore è stata gravata d’una scorza di luoghi comuni [qua e là forse insuperabili] da impedire ogni maturazione delle credenze diffuse, ancora stagnanti.

In tal guisa Gesù si è ritrovato frettolosamente collocato dietro le nuvole, e oggi si fa difficoltà a spiegare cos’abbia in comune con la nostra vita, spesso cruda, condizionata da fatica, tentativi, ricerche.

Pur fondamentale per l’interiorizzazione proficua d’un cammino che si scosti da banalità genericamente (talora autenticamente) devote, dall’ambone e nelle catechesi siamo ancora oggi costretti a dribblare il vero significato dell’evento.

Infatti, il Battesimo del Signore ha creato imbarazzo e confusioni interpretative, fin dalle prime generazioni di credenti.

 

Tratteggiamo qualche considerazione che recuperi il senso di questo fatto storico - per noi potrebbe essere come un sole dentro - con cui la liturgia completa il cammino del tempo di Natale.

Gesù in ricerca e desideroso di vagliare anche l’insegnamento migliore del suo tempo, entra come allievo nella scuola del Battista.

Per questo motivo è battezzato da Giovanni - e mediante tale rito d’ingresso, aggregato ad altri comuni seguaci.

Sembrerà incredibile, ma il Maestro e Signore si è riconosciuto curioso, imperfetto, ignorante, incompleto; bisognoso di evolvere. Non di diventare “migliore” e più forte, bensì d’imparare a posare lo sguardo altrimenti.

In quell’ambiente fortemente impegnato ma serioso, tagliente, spesso a senso unico, Egli ha compreso la vera grandezza della Rivelazione.

Insomma, il Soggetto del cammino spirituale è la Vita divina, con l’intero suo portato, che provvidenzialmente si riversa e smuove situazioni variegate.

Essa Viene per dilatare orizzonti; non per rattrappirci su dei modi particolari d’intendere e volere.

Già lo sappiamo: non è l’io che pensa e progetta a poterci attirare nell’esperienza della Felicità integrale, totalizzante; dell’amore autentico e solido.

 

Il Regno è tutt’altro: Completo. È inclusivo di ciò che non “piace” all’opinione sterilizzata, o alla moda, e comune.

Porge una energia terrestre che vale tanto quanto quella ideale, celeste.

Il Cielo non può essere preparato e addirittura allestito: diventerebbe una proiezione, un riflesso condizionato, una torre esteriore come Babele.

Piuttosto bisogna accoglierlo, ospitarlo in sé.

Si spalanca allora un altro genere di Ascesi, con meno aspettative di “perfezione”. Percorso che spiazza, e che l’impulso divino in noi - concreto - ci chiede.

Conosceremo la Gioia di vivere, la sentiremo scorrere dentro; solo in tal guisa ci coglieremo appagati.

Sposando il lato in ombra, che diventerà nostro Profumo.

 

I risultati che fanno leva sul genio e muscoli, prima snervano, poi risultano frustranti; quindi bloccano la crescita dell’universo innato.

Gli artifici esterni all’anima spengono le novità personalmente ispirate, la stessa Sorgente dell’essere e dell’entusiasmo.

In effetti, l’uomo religioso unilaterale resta nel malessere; inaridisce, perché non fa il salto sponsale, creativo, dell’avventura di Fede.

Diventa una fotografia o una fotocopia.

Poi stagna nella constatazione deprimente della differenza tra risultati attesi e fatti concreti.

Paradossalmente, centra le vie su di sé - ma non posa lo sguardo “nella” sua essenza.

Obbedisce forse, ma non Ascolta. Così si lascia vampirizzare da manierismi e stilemi epidermici.

Avendo smarrito il senso anche relazionale del suo irripetibile Unicum - misura tutta l’incapacità a percepire, elaborare, realizzare disegni misteriosi, che guidino a pienezza i sogni e le risorse.

Perde tutte le energie facendo propositi indotti, colmi d’artificio; fuori scala.

Si dà mete che lo rendono supponente, acido, formale, esterno - semplicemente perché quegli obiettivi sovrastanti non lo riguardano.

 

Nel frattempo, la disciplina perfetta e stressante che s’impone, come fosse lui il Protagonista, toglie la gioia d’incontrare talenti superiori.

Sempre gli verrà meno l’ebbrezza di vivere intensamente ciò che la realtà (più completa) porge.

Così non estrae dalla sua stessa Miniera tutta a portata di mano quelle capacità che realizzano la Missione personale.

Neanche se ne accorge - preso da idee iperboliche e grandi discipline assolutamente derivate, paradossalmente banali [in grado finalmente solo di smantellarne i picchi e la rarità].

Costui ha sempre l’occhio sul passato o sulle mode; sul pensiero comune, quello della situazione, delle autorità, degli altri, dell’ambiente che frequenta, del contorno - che appanna, o devia.

E pone il focus solo su quanto di norma si ritiene “dovrebbe essere” - secondo eticismi consolidati e smorzanti, ovvero utopie à la page, disincarnate.

Dentro il vortice dei modelli insuperabili, mai capisce a cosa davvero Dio lo chiama, anche nei disturbi.

Infine, ogni discrepanza fra ciò cui si è tanto dato e quel che viene ottenuto, distrugge l'atipicità della stessa Speranza, scatenando una inesorabile tristezza, o l’inutile tran-tran individuale ed ecclesiale.

 

Gesù adulto che si lascia immergere nelle acque del Giordano è icona di una proposta che valorizza le paludi vistosamente torbide della nostra condizione.

Il Signore non solo ne coglie le possibilità, ma persino rende allegre le Acque [così in tutte le icone orientali, che accentuano eleganti volute].

Ma resta l’interrogativo. Come può nostro Signore affiancarsi a una folla indistinta di peccatori e sbandati, i quali cercano redenzione?

In ognuno di loro Gesù vedeva affiorare un talento.

E siamo nel punto più basso della terra - 400 metri sotto il livello del mare.

È proprio questo il salto di qualità che discrimina l’idealismo sofisticato o la religiosità sempliciotta - anche ammantata di grandi cose - e qualsivoglia ricerca di Fede.

Il Figlio rivela la Vita divina, che irrompe sgretolando le aspettative.

Essa si manifesta incessantemente amica. Volto inconscio che non distrugge ma si accosta, per far emergere le possibilità soffocate.

Perché Dio non schiaccia, non umilia le nostre inclinazioni e risorse celate, né aggiunge pesi insostenibili.

Non è un Re di sottomessi e affaticati.

Entra in una realtà di fango, per il fatto che essa è colma di punti di tensione. 

Così prepara i nostri sviluppi, e desidera crescere - producendo percorsi pur interrotti, ma infine il fiore inatteso.

 

Ora, finalmente, a ciascuno è possibile corrispondere in modo semplice all’invito sponsale: «Vuoi unire la tua vita alla Mia?».

Solo ciò ch’è disumanizzante non riguarda il nostro lato eterno. 

Qualsiasi Dono divino attraversa la “carne”: condizione della persona così com’è, persino nella concretezza delle sue azioni minime o insicure.

La genuina crudezza della nostra indagine del vero, del bene e del bello passa - come in Gesù - attraverso sentieri da correggere nel tempo, tentativi, errori.

Niente di male: solo dai diamanti non spunta nulla.

Anche Leonardo Da Vinci scrisse che «ogni nostra convinzione principia dai sentimenti». Non da pensieri cristallini e in sé conclusi, ma da un linguaggio più debole.

Siamo allora introdotti in una spiritualità dell’Esodo costante, che però si orienta alla libertà della Terra Promessa, la Casa ch’è davvero nostra.

È qui - percepiamo dentro - lo sgorgare del Centro intrinseco, del Nucleo personale, dell’Eros fondante che chiama.

Presenza che detesta la gabbia degli schemi, avvicinando l’Irrepetibilità rara, inusuale (niente di grandioso) che siamo.

In tutto ciò, risvegliando interessi, e la vita reale, appassionata, che non è “immune”, né definitiva.

 

Insomma, succede anche con Dio, sbagliare appuntamento.

Ci si rialza, perché quell’humus nutre - e nell’esperienza variegata si annida un’occasione, un sapere, una competenza, un’abilità, una maggiore autenticità: un valore aggiunto.

L’appello del Padre rimane estraneo sia alle idee consuete del verticismo di obbiettivi, che a meccanismi adultoidi di purificazione - non mirati all’esistenza ordinaria (tipici delle ascesi filosofiche o moraliste).

Dunque il Battesimo in Spirito è una Luce - per noi un incremento interiore, una sublimazione della consapevolezza di sé e della propria mèta.

Non più un traguardo pallido, solo adeguato a ruoli, procedure, posizioni che la persona non sente proprie.

Lo stesso «squarcio dei cieli» non più sigillati da una distanza (severa) o dal paradigma culturale, dice una Comunicazione oramai ininterrotta e crescente del divino con la natura umana.

 

Esplorando possiamo errare, nei due sensi.

Ma assai peggio è sentirsi spenti e demotivati, nonché agire secondo nomenclature e concatenazioni fisse, ovvero per calcolo.

Effettivamente, nella cultura religiosa antica, perfezione e indegnità sono incomponibili.

Viceversa, in Cristo torniamo al momento della Creazione, dove “l’ulivo” narra di un’armonia ricostruita proprio sui limiti del peccato.

Gen 8,21: «Non maledirò più, perché l’istinto del cuore umano è incline al male sin dall’adolescenza».

Ecco la Colomba, nuovo simbolo dello Spirito.

Figura netta e virtù di concerto, di recupero, che anima il credente - il quale non è più chiamato a sforzi titanici, né obbligato a riprodurre futili clamori che non vuole e non gli appartengono.

I regni antichi esprimevano e suscitavano l’energia aggressiva delle belve.

La donna e l’uomo autentici sono viceversa i rivoluzionari della carezza,  della gentilezza concessa anche ai propri e altrui limiti.

Fedeli, non della sfera bensì del poliedro: non più i duri e sicuri, piantati su banali euforie autocelebrative.

 

Nella scuola del grande Precursore, Gesù aveva notato il proliferare degli attriti corrucciati e “spirituali” che sorgevano tra allievi (del Battista) - i quali facevano a gara per mettere a punto il Regno.

Avendone valutato la vacua freddezza e il pericolo di omologazione - il nuovo Rabbi capisce definitivamente che la malattia peggiore delle persone è non avere pulsioni umanizzanti.

Impeti forse poco temperati, certo, ma che predispongono non all’Esodo, bensì a una sorta di scalata a tappe prevedibili, con sosta perpetua; a temperatura-ambiente.

Qui nessun lato in ombra diventa nuova ricchezza per tutti.

Per questo motivo, su «il Monte» non proclamerà alcun “No” comandato che rinneghi i nostri ardori - bensì, Beatitudini.

Esse aprono il respiro e l’esistenza tutta. Perfino degli incerti.

Insomma, non sapere ancora chi siamo e dove andiamo, vuol dire possibilità di reinventarsi.

Così impariamo a voler bene ai nostri limiti e alle tante condizioni limacciose: ci ricordano il Giordano.

 

La terra ha bisogno di Luce, ma la Luce ha bisogno di terra. Sono espressione di Nuova Alleanza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Hai mai incontrato un saggio accompagnatore spirituale che invece di farti precipitare nella sua soluzione t’insegna a voler bene ai tuoi limiti, sapendo che presto o tardi spiazzeranno e sbalordiranno sia te che lui?

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

For those who first heard Jesus, as for us, the symbol of light evokes the desire for truth and the thirst for the fullness of knowledge which are imprinted deep within every human being. When the light fades or vanishes altogether, we no longer see things as they really are. In the heart of the night we can feel frightened and insecure, and we impatiently await the coming of the light of dawn. Dear young people, it is up to you to be the watchmen of the morning (cf. Is 21:11-12) who announce the coming of the sun who is the Risen Christ! (John Paul II)
Per quanti da principio ascoltarono Gesù, come anche per noi, il simbolo della luce evoca il desiderio di verità e la sete di giungere alla pienezza della conoscenza, impressi nell'intimo di ogni essere umano. Quando la luce va scemando o scompare del tutto, non si riesce più a distinguere la realtà circostante. Nel cuore della notte ci si può sentire intimoriti ed insicuri, e si attende allora con impazienza l'arrivo della luce dell'aurora. Cari giovani, tocca a voi essere le sentinelle del mattino (cfr Is 21, 11-12) che annunciano l'avvento del sole che è Cristo risorto! (Giovanni Paolo II)
Christ compares himself to the sower and explains that the seed is the word (cf. Mk 4: 14); those who hear it, accept it and bear fruit (cf. Mk 4: 20) take part in the Kingdom of God, that is, they live under his lordship. They remain in the world, but are no longer of the world. They bear within them a seed of eternity a principle of transformation [Pope Benedict]
Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola (cfr Mc 4,14): coloro che l’ascoltano, l’accolgono e portano frutto (cfr Mc 4,20) fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione [Papa Benedetto]
In one of his most celebrated sermons, Saint Bernard of Clairvaux “recreates”, as it were, the scene where God and humanity wait for Mary to say “yes”. Turning to her he begs: “[…] Arise, run, open up! Arise with faith, run with your devotion, open up with your consent!” [Pope Benedict]
San Bernardo di Chiaravalle, in uno dei suoi Sermoni più celebri, quasi «rappresenta» l’attesa da parte di Dio e dell’umanità del «sì» di Maria, rivolgendosi a lei con una supplica: «[…] Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!» [Papa Benedetto]
«The "blasphemy" [in question] does not really consist in offending the Holy Spirit with words; it consists, instead, in the refusal to accept the salvation that God offers to man through the Holy Spirit, and which works by virtue of the sacrifice of the cross [It] does not allow man to get out of his self-imprisonment and to open himself to the divine sources of purification» (John Paul II, General Audience July 25, 1990))
«La “bestemmia” [di cui si tratta] non consiste propriamente nell’offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all’uomo mediante lo Spirito Santo, e che opera in virtù del sacrificio della croce [Esso] non permette all’uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione» (Giovanni Paolo II, Udienza Generale 25 luglio 1990)
Every moment can be the propitious “day” for our conversion. Every day (kathēmeran) can become the today of our salvation, because salvation is a story that is ongoing for the Church and for every disciple of Christ. This is the Christian meaning of “carpe diem”: seize the day in which God is calling you to give you salvation! (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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