(Mt 6,19-23)
«Dove è il tuo Tesoro, là sarà il tuo cuore» (v.21). Non è un problema personale o istituzionale abusato, insipido; da facili ironie.
Ignorarlo significa concedergli ulteriore respiro, facendolo crescere a dismisura; rendendolo ancor più fuori tempo e difficile leggerlo - e individuarne le terapie.
Tutto ciò, però, va fatto mettendo fra parentesi le precipitazioni… nello spirito di comprensione più largo. Fermo restando che per cogliersi dentro e attivare differenti risorse, ogni comunità deve attraversare i momenti della verifica più severa.
Anche per chiese denominazionali di ampia e prestigiosa tradizione, la coscienza di essere oggi perdenti sotto questo aspetto è indispensabile per ritrovarsi. Superando l’incaglio ‘in avanti’, “in uscita”.
Leggiamo nell’Enciclica «Spe Salvi» n.2 [«La Fede è Speranza»]:
«Speranza è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembrano interscambiabili […]
Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l'aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l'esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni […]
I loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano “senza Dio” e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. “In nihil ab nihilo quam cito recidimus” (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo) dice un epitaffio di quell'epoca […]
Compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto.
Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti.
Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita.
La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova».
Nella forma della Relazione, tutto apre la vita intensa - che integra e valica l’amor proprio, la sete di dominio.
Ciò libera dal “vecchio”, ossia chiude un ciclo di percorsi già messi a punto - per farci tornare come neonati.
La Speranza che ha peso smantella l’inessenziale; espelle il rumore dei pensieri che non sono più in sintonia con la nostra crescita, e introduce energie sognanti, una ricchezza di possibilità.
Ci saranno resistenze iniziali, ma lo sviluppo si predispone.
La Speranza sacrifica le zavorre e ci attiva secondo il ‘divino interiore’. Spalanca le porte a una nuova fase, più luminosa; corrispondente.
I tesori della terra rapidamente accecano; allo stesso modo passano: d’improvviso. L’età della crisi globale ce lo sbatte in faccia.
Eppure, è un dolore necessario.
Capiamo: i nuovi percorsi non sono tracciati dai beni, né da memorie devote, ma dal Vuoto che fa da intercapedine a facilonerie comuni, scontate, rassicuranti.
La religiosità buona per tutte le stagioni cede il passo alla vita inedita di Fede.
Qui si colloca l’Arte del discernimento e della pastorale: dovrebbe saper introdurre nuove energie competitive, difformi - cosmiche e personali - che preparano sintesi inedite, aperte, gratuite.
Lo sappiamo, eppure in alcune cerchie prestigiose e già straricche, la bramosia di possedere sotto parvenza di necessità non consente di vedere chiaro.
Capita anche a dei consacrati di lungo corso - non si capisce perché tale avida, sommaria doppiezza.
Vogliamo ancora emergere, sollevando altre confusioni? In fondo siamo scontenti delle nostre scelte mediocri.
All’inizio della Vocazione sentivamo la necessità d’una Relazione che infondesse Senso e un Centro alla ferialità…
Poi abbiamo deviato, forse per insoddisfazione o motivi di calcolo e comodo - poi l’ottundimento degli occhi malati di rapina ha prevalso. Prima qua e là, via via occupando l’anima.
Anche in alcuni dirigenti e ambiti di spicco ecclesiale, la base dell’esistenza è diventato il volume d’affari in cordata [gangs intriganti, direbbe Papa Francesco].
In molteplici realtà, la scena vanitosa, il sacchetto del commercio, l’ebbrezza del salire sul tabellone, hanno soppiantato i cuori veri - e gli occhi stessi.
Come dire: c’è un’altra esperienza del “divino”, dozzinale: fra un Salmo e l’altro, meglio dell’Amore diventa il sentirsi potente, sicuro, celebre, rispettato attorno.
[Dio e l’accumulo danno ordini diversi? Non c’è problema: facciamo intendere che lo si fa per la “sua” Gloria].
E bando al bene comune.
Non pochi si stanno accorgendo che il far di conto è lo sport più frequentato in diverse aziende multimpianti, fantasticamente imbellettate di eventi e iniziative (a copertura di quel che ‘vale’ sul serio).
E cartina al tornasole è proprio quello scrutare meschino (vv.22-23) che dietro fitte quinte, trattiene, giudica persino, e si tiene a distanza dagli altri.
Tal guisa, con lo sguardo che chiude l’orizzonte dell’esistenza: conta l’immediatamente a portata di mano, e di circostanza.
Un credere in apparenza sovrabbondante - guarda caso senza il rilievo della Speranza - ci sta condannando al peggiore tasso di denatalità mondiale.
Il panorama dei nostri devotissimi paesini e cittadine vuoti è sconfortante.
Ma ci si bea del proprio loculo, e della piccina o grandiosa situazione.
L’importante è che tutto sia epidermicamente adornato.
Sotto il campanile particolare che dà il ritmo alle solite cose, molta gente trattiene il “suo” troppo per sé. Accontentandosi di sacralizzare egoismi con grandiosi proclami, o più modestamente, con l’esibizione di belle statue, usi, stendardi, costumi variopinti e manierismi.
Invece, secondo i Vangeli, nei tentativi e nei percorsi di Fede che non si accontentano d’una spiritualità vuota, la vita diventa luminosa d’Amore creativo che rifiorisce, e mette tutti a proprio agio.
Anche il vecchio potrà riemergere in questo nuovo spirito, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
L’autentica Chiesa suscitata da ‘visioni’ limpide - senza cartapesta e doppiezze - rivela sempre qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà la lettura degli accadimenti e l’azione dei credenti all’opera dello Spirito, senza barriere.
Perché quando qualcuno cede il pensiero normalizzato, e si deposita, il nuovo avanza.
La scelta è ormai inesorabile: tra morte e vita; fra bramosia e «tenebra» (v.23), o Felicità.
Il primo passo è ammettere di dover fare un cammino.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Dov’è il tuo Tesoro? Il tuo cuore e il tuo occhio sono semplici?
Hai mai fatto esperienza di lati che altri giudicano inconcludenti (dal punto di vista materiale) e che invece hanno preparato i tuoi nuovi percorsi?